Corte di giustizia tributaria 2023-"Il terzo motivo è, parimenti, infondato in quanto, per giurisprudenza di legittimità costante in tema di avviso di accertamento, la motivazione, come nel caso di specie, per relationem con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla Guardia di Finanza nell'esercizio dei poteri di polizia tributaria, non è illegittima per mancanza di autonoma valutazione da parte dell'Ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l'Ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio (cfr. Cass. 32957/2018). Alla luce di tali principi, pertanto, è legittimo l' avviso di accertamento impugnato, che ha fatto proprie le conclusioni a cui sono giunti gli agenti verificatori."
Corte di giustizia tributaria di secondo grado Lazio Roma Sez. XIII, Sent., (ud. 20-09-2023) 19-11-2023
Fatto Diritto P.Q.M.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA DI SECONDO GRADO DEL LAZIO
TREDICESIMA SEZIONE
riunita in udienza il 20/09/2023 alle ore 09:30 con la seguente composizione collegiale:
CAPPELLI PAOLA, - Presidente
LAUDIERO VINCENZO, - Relatore
GUERRA MARIAEMANUELA, - Giudice
in data 20/09/2023 ha pronunciato la seguente
SENTENZA
- sull'appello n. 3710/2022 depositato il 01/07/2022
proposto da
Consorzio A. - (...)
Difeso da
- (...)
ed elettivamente domiciliato presso antonio.castrignano@pec.castrignano.org
contro
Ag. Entrate Direzione Provinciale Roma 2
elettivamente domiciliato presso dp.2roma@pce.agenziaentrate.it
Avente ad oggetto l'impugnazione di:
- pronuncia sentenza n. 13416/2021 emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale ROMA sez. 18 e pubblicata il 06/12/2021
Atti impositivi:
- AVVISO DI ACCERTAMENTO n. (...) IVA-ALTRO 2016
- AVVISO DI ACCERTAMENTO n. (...) IRAP 2016
a seguito di discussione in pubblica udienza
Richieste delle parti: Omissis
Svolgimento del processo
Il consorzio A. impugnava l'avviso di accertamento con il quale l'Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale II di Roma, gli ha contestato di avere indebitamente detratto, nell'anno d'imposta 2016, IVA su operazioni soggettivamente inesistenti per complessivi Euro 1.100.871,60
I Giudici di prime cure con la sentenza 13416/18/2021, depositata il 06 dicembre 2021, rigettavano il ricorso e condannavano il Consorzio A. al pagamento delle spese di lite, liquidando le stesse in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 25.000,00 per compensi.
Con appello del primo giugno 2022 il Consorzio A. impugnava la sentenza 13416/18/2021.
L'Appellante eccepisce come primo motivo, la nullità della notifica dell'atto impositivo impugnato per la violazione dell'art. 29 del D.L. n. 78 del 2010 e ss.mm.ii., in quanto la notifica dell'atto impositivo impugnato risulta essere nulla in quanto avvenuta a mezzo posta elettronica certificata, in quanto per il Consorzio l'U., per la notifica degli atti fiscali, dovrebbe sempre avvalersi di un messo interno o di un messo comunale (c.d. agente della notificazione) come previsto dall'art. 29 del D.L. n. 78 del 2010 e ss.mm.ii.. In caso contrario la notificazione dovrà considerarsi inesistente. Infatti, a differenza degli atti impositivi c.d. secondari, per i quali è prevista la notificazione anche con i mezzi postali, per il Consorzio gli avvisi di accertamento esecutivi per acquisire efficacia esecutiva devono essere notificati solo tramite un agente notificatore, che deve redigere e sottoscrivere la relativa relata.
L'Appellante lamenta come secondo motivo, la violazione dell'obbligo del preventivo contraddittorio differentemente da quanto previsto dalla L. n. 241 del 1990 e dallo Statuto del Contribuente (L. n. 212 del 2000), in quanto, nel caso di specie, dove l'imposta oggetto del recupero è prevalentemente l'IVA, tributo armonizzato per eccellenza, l'obbligo del contraddittorio dovrebbe essere tassativo a pena di nullità dell'atto impositivo emesso in difetto di contraddittorio.
L'Appellante obietta come terzo motivo, l'illegittimità dell'avviso di accertamento per difetto di motivazione, violando, così, il combinato disposto degli artt. 42 del D.P.R. n. 600 del 1973 e dell'art.7 della L. n. 2012 del 2000, in quanto l'obbligo di motivare gli atti di accertamento trova fondamento nel principio di ordine generale secondo cui l'atto impositivo che non mette il Contribuente in grado di conoscere la pretesa erariale in tutte le sue componenti essenziali, ai fini dell'eventuale contestazione sull' an e sul quantum debeatur, deve essere considerato illegittimo. Tale obbligo assumerebbe carattere fondamentale quando l'atto discende dall'esecuzione di una verifica fiscale, così come avvenuto nel caso di specie. Pertanto, l'Ufficio preposto all'accertamento avrebbe dovuto necessariamente procedere ad una valutazione critica dei rilievi fatti dai verificatori ed alla relativa integrazione sotto il profilo probatorio.
L'Appellante eccepisce come quarto motivo, la infondatezza nel merito dei rilievi erariali, in quanto se si analizza quello che emerge dall'atto impugnato, si nota la genericità e l'eccessiva presuntività del teorema erariale, non in linea con la più evoluta giurisprudenza comunitaria e di legittimità, soprattutto avendo riguardo al principio dell'onus probandi ed alla realtà aziendale dell'attuale appellante, che non risulterebbe affatto smentita dagli elementi raccolti dal F. a proprio carico e che gli elementi raccolti dal F. a sostegno della propria tesi spiccano per la loro apoditticità ed inconsistenza
L'Appellante lamenta come quinto motivo, l'illegittimità della sentenza impugnata, in quanto i Giudici di prime cure, in sede di motivazione, non avrebbero debitamente analizzato e preso in considerazione qualsivoglia prova il Consorzio abbia fornito e ritualmente prodotto, dichiarando assertivamente la propria posizione a favore dell'Ente impositore, indipendentemente dalle prove presentate dal Contribuente, non solo in sede di ricorso, ma anche nelle memorie successive. In particolare, uno degli elementi evidenziati nel processo verbale di costatazione, su cui si fonda poi l'atto impositivo, sarebbe la presenza nella fattispecie di una caratteristica frequente, identificativa e ricorrente nelle ipotesi di schemi fraudolenti finalizzati all'illecito risparmio di imposta. Inoltre, secondo il Collegio, si sarebbe costruita un'architettura tale da permettere un indebito risparmio fiscale da parte del Consorzio A., che l'Appellante ritiene pretestuosa. Volendo, infatti, ipotizzare la costituzione di una cooperativa con il chiaro intento di farla agire come cartiera, votata alla sistematica e totale evasione di imposta, tale ipotesi entrerebbe in insanabile contrasto con possibili pagamenti effettuati da quest'ultima, nonché con eventuali richieste di rateazione dei debiti tributari. Infatti, l'attività oggetto di contestazione, come previsto dallo statuto del Consorzio A., si sviluppa attraverso l'acquisizione da parte di quest'ultimo di contratti. A questi contratti si affiancavano appositi regolamenti interni delle cooperative che disciplinavano anche il rapporto tra datore di lavoro e lavoratori. In relazione, poi, al ruolo di Desireè D., la stessa per tutto l'anno 2016 è stata lavoratrice dipendente della Giove come dimostra la certificazione unica 2017 sull'anno d'imposta 2017 del 6 marzo 2017, svolgendo all'interno della Giove la funzione di tecnico preposto all'esercizio di gestore dei trasporti esclusivamente per imprese di trasporto di merci su strada per conto di terzi con autoveicoli di massa complessiva superiore a 1,5 t. e fino a 3,5 t., in forza del quale otteneva un rimborso forfettario ex art. 51, co. 5 del D.P.R. n. 917 del 1986. Anche l'inclusione della società L. S.r.l.s., società del tutto estranea al Consorzio, nel presunto schema fraudolento, sarebbe per l'Appellante privo di alcun fondamento, come già argomentato dinanzi ai Giudici di prime cure.
L'Appellante obietta come sesto motivo, l'illegittimità dell'avviso di accertamento per la violazione dell'articolo 12, comma 2, del D.Lgs. n. 546 del 1992, in relazione alle eccessive spese liquidate in relazione al valore della lite.
L'Appellante eccepisce come settimo motivo, la illegittimità delle sanzioni irrogate in violazione del principio di proporzionalità, in quanto la perdita del diritto alla detrazione dell'IVA in capo al Consorzio A. rappresenta di per sé una "sanzione impropria" che, sommata alle altre sanzioni applicate nell'atto, vedono la fattispecie sanzionata in modo esorbitante ed irragionevole, con conseguente violazione del fondamentale principio di proporzionalità più volte richiamato nella giurisprudenza comunitaria.
L'Appellante lamenta come ottavo motivo, la violazione dell'art. 10 dello Statuto dei diritti del contribuente ex L. n. 212 del 2000, in quanto l'Ufficio, in palese violazione di ogni principio regolatore dei rapporti amministrazione finanziaria e contribuente, non avrebbe fornito alcun cenno di riscontro alle legittime motivazioni sollevate dallo stesso in sede di contraddittorio, violando il principio della collaborazione e della buona fede.
In data 31 agosto 2022 si costituiva l'Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale II di Roma, ritenendo infondati tutti i motivi oggetto di appello.
In relazione al primo motivo di appello, la Parte resistente, contrariamente a quanto ex adverso sostenuto, con la L. n. 225 del 2016, di conversione del D.L. n. 193 del 2016, è stato inserito l'art. 7-quater che modificando l'art. 60, consente dal 1 luglio 2017 di notificare alla casella PEC dell'impresa o del professionista presente nell'indice, gli avvisi di accertamento. La notifica effettuata con la PEC, dunque, al pari di quella direttamente realizzata tramite il servizio postale per raccomandata con avviso di ricevimento, fornisce certezza in ordine al giorno ed orario esatto della spedizione e della ricezione, nonché in merito all'integrità del contenuto e degli eventuali allegati. Peraltro, qualsivoglia ipotesi di vizio della notificazione è da considerarsi sanato, ai sensi e per gli effetti degli articoli 160 e 156, terzo comma, c.p.c., allorquando sia provato che l'atto sia entrato nella sfera di conoscibilità del destinatario. Posto, infatti, che la funzione dell'attività di notifica è proprio quella di portare a conoscenza del destinatario l'esistenza dell'atto che lo riguarda, è evidente che alcuna conseguenza può derivare dagli asseriti vizi del procedimento di notifica, allorquando sia stato raggiunto lo scopo
In relazione al secondo motivo di appello, l'Ufficio rileva che l' art. 12, comma 7, dello Statuto dei diritti del contribuente stabilisce che "nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L'avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza ..." . La norma in esame costituisce di fatto il nucleo fondamentale del c.d. principio del contraddittorio endoprocedimentale, preventivo rispetto all'emissione di un atto impositivo da parte dell'Amministrazione finanziaria. Ebbene, il Consorzio aveva effettivamente presentato delle osservazioni in merito ai rilievi formulati che l'Ufficio aveva puntualmente confutato. Pertanto, il contraddittorio era stato regolarmente esperito e l'eccezione non può che essere respinta.
In relazione al terzo motivo di appello, l'Agenzia delle Entrate non condivide la fondatezza dell'eccezione connessa al paventato vizio di motivazione della sentenza, allorquando l'Appellante taccia l'Ufficio di essersi limitato a richiamare l'esistenza del processo verbale di constatazione ed alcuni elementi in esso contenuti, senza approfondire ulteriormente la vicenda. Le asserite violazioni dell'obbligo di motivazione in base ad un'attenta lettura della normativa e sulla scorta di giurisprudenza favorevole all'Ufficio sono infondate. Infatti, dal combinato disposto dell'art. 3 della L. n. 241 del 1990, dell'art. 7 della L. n. 212 del 2000 (e del relativo D.Lgs. n. 32 del 2001 adottato nell'esercizio della delega legislativa di cui alla L. n. 212 del 2000 e che si riporta agli articoli di seguito indicati) degli artt. 42 D.P.R. n. 600 del 1973, 56 D.P.R. n. 633 del 1972 e 52 D.P.R. n. 131 del 1986 e successive modifiche e sulla base della circolare n. 77/01 che espressamente modifica la circ. n. 150/2000 e alla luce di univoca giurisprudenza, si evincerebbe, quale ratio delle disposizioni, che nell'atto di accertamento devono essere indicate le ragioni di fatto, di diritto, le fonti di prova e le prove nonché, qualora la motivazione faccia riferimento ad altri atti non ricevuti, né conosciuti dai contribuenti, devono esserne riprodotti i contenuti essenziali. Nell'atto impositivo impugnato, come anche richiesto dalla parte, sono dettagliatamente inserite le circostanze e le situazioni (ragioni di fatto) che hanno prodotto le violazioni delle norme tributarie (ragioni di diritto), nonché è richiamato il processo verbale di constatazione (fonte di prova e prove) - anch'esso già nella disponibilità conoscitiva della Contribuente in quanto alla stessa regolarmente notificato -, il cui percorso argomentativo è stato pienamente condiviso e appunto richiamato per esigenze di economia di scrittura dall'ufficio accertatore.
In relazione al quarto ed al quinto motivo di appello, la Parte resistente, contrariamente a quanto ex adverso sostenuto, ritiene che il Giudice di prime cure abbia valutato attentamente la documentazione in atti dalla quale sarebbe desumibile uno schema fraudolento basato sulla fittizia "esternalizzazione" del costo del lavoro, che veniva formalmente imputato in capo a cooperative create ad hoc o comunque all'uopo utilizzate che si caratterizzavano per essere delle scatole vuote prive di una struttura organizzativa, con a capo un prestanome, e che, pur assolvendo quasi tutte agli adempimenti fiscali (presentazione delle dichiarazioni obbligatorie), non effettuavano alcun tipo di versamento. L'Ufficio, così come descritto e dimostrato nel processo verbale di constatazione a cui rinvia, vengono puntualizzate le caratteristiche di tutte le società coinvolte; ciò che emerge ita oculi è l'assenza di qualsivoglia rapporto di terzietà tra il Consorzio A. e le cooperative attenzionate costituenti di fatto un'unica entità. Le società "cooperative", prive di una qualunque autonomia imprenditoriale, erano solo formalmente deputate a svolgere materialmente le attività richieste dai clienti finali al Consorzio A.. L'Ufficio evidenziava altresì come le cartiere, dopo aver accumulato ingenti debiti fiscali, venivano poste in liquidazione, e fatte uscire dal Consorzio per essere sostituite da altre società con un profilo fiscale "pulito", sempre riconducibili agli stessi dominus. In definitiva la costituzione delle società cooperative sarebbe avvenuta al solo scopo di creare benefici fiscali in capo al Consorzio A.; infatti le fatture emesse con Iva da parte delle società "cartiere" generavano Iva a credito che il Consorzio detraeva indebitamente, in quanto, in realtà, l'oggetto delle suddette fatture, da individuarsi nelle prestazioni rese dal personale formalmente alle dipendenze delle cooperative, era opera "interna" allo stesso Consorzio e dunque costo del personale e non di servizi. Di conseguenza, per quanto riguarda la qualificazione delle prestazioni sottese alle fatture emesse dalle cooperative in esame nei confronti del Consorzio, erano da intendersi come soggettivamente inesistenti in quanto per operazioni realmente avvenute ma espletate direttamente dai lavoratori rispetto ai quali le cooperative solo formalmente si interponevano.
In relazione al sesto motivo di appello, l'Ufficio rileva che il Giudice tributario può statuire la compensazione delle spese di giudizio solo in caso di soccombenza reciproca oppure di gravi ed eccezionali ragioni che devono però essere espressamente motivate. L'art. 15, prevedendo la condanna alle spese del giudizio in capo alla parte che ne risulti soccombente, recepisce il principio della soccombenza statuito dall'art. 91 c. p.c. e le spese sono liquidate sulla base della presentazione, da parte del difensore, della nota spese di cui all'art. 75 delle disp. att. c.p.c., con distinta indicazione di onorari e spese in relazione agli articoli della tariffa, tenendo conto della complessità della lite e del suo valore economico.
In relazione al settimo motivo di appello, l'Agenzia delle Entrate sostiene che in tema di Iva relativa ad operazioni soggettivamente inesistenti, è ormai pacifico l'orientamento del Giudice Comunitario e della Corte di Cassazione, in base al quale la volontaria utilizzazione di documentazione fiscale non corrispondente alla realtà economica, configurando nei confronti del Contribuente la partecipazione a una frode fiscale, che gli impedisce di avvalersi del principio della tutela del terzo di buona fede, così come delineato dalla giurisprudenza comunitaria preclude, quindi, la detraibilità dell'imposta risultante dalle fatture. Pertanto, la buona fede, intesa come mera ignoranza, non è sufficiente a fondare il diritto a detrarre l'imposta, potendo questo diritto essere negato qualora risulti che l'operatore, usando l'ordinaria diligenza richiesta per la sua attività, avrebbe potuto sapere di partecipare ad una frode. Ebbene, nel caso di specie è ragionevole concludere non solo per la presenza degli "indizi", ma addirittura un coinvolgimento attivo, diretto e consapevole dello stesso Consorzio A. in quanto attore principale e artefice della frode.
In relazione, poi, all'ultimo motivo di appello, l'Ufficio ritiene di aver puntualmente confutato le osservazioni prodotte dalla parte, come risulta dall'atto impugnato.
Nell'udienza del 20 settembre 2023 la causa è andata in decisione.
Motivi della decisione
L'appello è infondato e non merita accoglimento.
In relazione al primo motivo di appello lo stesso è da ritenersi infondato in quanto la notifica a mezzo posta elettronica certificata dell'atto tributario è stata effettuata legittimamente ai sensi dell'art. 26 del D.P.R. n. 602 del 1973 e secondo le modalità previste dal decreto 68/2005 onde la relata di notificazione non è affatto richiesta poiché in tal caso è la ricevuta di avvenuta consegna a fornire al mittente la prova che il suo messaggio è effettivamente pervenuto all'indirizzo elettronico dichiarato dalla società ed anche a certificare il momento in cui è avvenuta la consegna. Dalla ricevuta di avvenuta consegna della pec si evince, nel caso di specie, l'avvenuto buon fine della notifica ed anche in tema di notifiche a mezzo pec, vale il principio sancito in via generale dall'art. 156 c.p.c. (Cass. SS.UU n. 7885/2016) per cui le eventuali nullità anche in tema di notificazioni, non possono essere pronunciate se l'atto ha raggiunto il suo scopo né l'Appellante nel lamentare vizi procedimentali ha prospettato anche le ragioni per le quali la presunta erronea applicazione delle regole processuali abbiano comportato una lesione del diritto di difesa o pregiudizi di altro tipo. D'altronde la notificazione degli avvisi di accertamento è disciplinata dall'art. 1, comma 161, della L. n. 296 del 2006, da cui emerge in modo chiaro che è lasciata all'Amministrazione la possibilità di procedere alla notifica per mezzo del servizio postale. Anche la disposizione di cui all'art. 60 del D.P.R. n. 600 del 1973 (modificato dall' art. 7-quater, commi 6, decreto fiscale n. 193/2001) non lascia dubbi al riguardo: "In deroga all'articolo 149-bis del codice di procedura civile e alle modalità di notificazione previste dalle norme relative alle singole leggi d'imposta non compatibili con quelle di cui al presente comma, la notificazione degli avvisi e degli altri atti, che per legge devono essere notificati alle imprese individuali o costituite in forma societaria e ai professionisti iscritti in albi o elenchi istituiti con legge dello Stato, può essere effettuata direttamente dal competente ufficio con le modalità previste dal regolamento di cui al D.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68, a mezzo posta elettronica certificata, all'indirizzo del destinatario risultante dall'indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata(INIPEC)". Quindi l'eccezione appare infondata.
In relazione al secondo ed ottavo motivo di appello gli stessi risultano privi di fondamento, in quanto in materia tributaria, il contraddittorio endoprocedimentale preventivo non è principio generale dell'azione amministrativa tributaria, bensì un adempimento procedurale da esperire ove testualmente previsto dal legislatore sotto comminatoria di particolare sanzione invalidante, come nei casi di tributi armonizzati, in relazione ai quali l'obbligo discende direttamente dalla disciplina dell'Unione alla luce dell'interpretazione della Corte di giustizia dell'Unione Europea. Nel caso in ispecie, trattandosi di Imposta sul valore aggiunto, correttamente l'Ufficio ha dimostrato, sia in sede di accertamento che dinanzi ai Giudici di prime cure, di aver confutato le osservazioni che il Consorzio ha avanzato in merito ai rilievi formulati.
Il terzo motivo è, parimenti, infondato in quanto, per giurisprudenza di legittimità costante in tema di avviso di accertamento, la motivazione, come nel caso di specie, per relationem con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla Guardia di Finanza nell'esercizio dei poteri di polizia tributaria, non è illegittima per mancanza di autonoma valutazione da parte dell'Ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l'Ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio (cfr. Cass. 32957/2018). Alla luce di tali principi, pertanto, è legittimo l' avviso di accertamento impugnato, che ha fatto proprie le conclusioni a cui sono giunti gli agenti verificatori.
Anche il quarto ed il quinto motivo di appello sono infondati e non meritano accoglimento, in quanto, nel merito, la sentenza impugnata contiene un'adeguata esposizione delle ragioni della decisione in relazione alla questione della fittizietà delle operazioni commerciali accertate e contestate al Consorzio. Invero, i giudici di prime cure hanno addotto una motivazione idonea a rendere palese il convincimento circa l'inesistenza delle operazioni oggetto di accertamento da parte dell'amministrazione finanziaria e il mancato adempimento del Consorzio all'onere probatorio su di esso gravante, "di fornire la prova di avere adoperato, per non essere coinvolto in un'operazione volta ad evadere l'imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi" (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 9851 del 20/04/2018; conforme Sez. 5, Ordinanza n. 27555 del 30/10/2018; Sez. 5, Sentenza n. 27566 del 30/10/2018. Ha affermato la Suprema Corte di Cassazione (sentenza n. 4335/16) come, nella ipotesi di fatture che l'Amministrazione finanziaria ritenga relative ad operazioni inesistenti" (in tale nozione dovendo essere ricondotte non soltanto le ipotesi di mancanza assoluta dell'operazione fatturata, ma anche ogni tipo di divergenza tra l'attività commerciale e la sua espressione documentale, ivi compresa, l'ipotesi di inesistenza soggettiva, nella quale, pur risultando i beni entrati nella disponibilità patrimoniale dell'impresa utilizzatrice delle fatture che ha regolarmente versato il corrispettivo, venga accertato che uno o entrambi i soggetti del rapporto documentato in fattura siano falsi: cfr. Cass. V Sez. n. 6378 del 22/03/2006; id. V Sez. n. 29467 del 17/12/2008; id. V Sez. n. 7672. del 16/05/2012; id. V Sez. n. 23074 del 14/12/2012); non spetti al contribuente provare che l'operazione è effettiva, ma sia onere dell'Amministrazione, che adduca la falsità del documento, provare che l'operazione commerciale, oggetto della fattura, in realtà non è mai stata posta in essere (cfr. Cass. V Sez. 12/12/2005 n. 27341; id, V Sez. n. 12S02 del 10/06/2011; id. V Sez. n. 20786 del 11/09/2013). Tale prova può ritenersi raggiunta se l'Amministrazione fornisca validi elementi - alla stregua dell'art. 54 comma 2 D.P.R. n. 633 del 1972 - che possono anche assumere la consistenza di attendibili indizi idonei ad integrare una presunzione semplice (art. 2727 c.c.), per affermare che alcune fatture sono state emesse per operazioni (anche solo parzialmente) fittizie, ovvero che, ai sensi dell'art. 54 comma 3 del medesimo decreto, dimostrino "in modo. certo e diretto" la inesattezza delle indicazioni relative alle operazioni che danno diritto alla detrazione'' (prova che può essere data anche attraverso "i verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti"). In tal caso passerà sul contribuente l'onere di dimostrare l'effettiva esistenza delle operazioni contestate (cfr. Cass. V Sez. 19/10/2007 n. 21953; id. V Sez. 15395 del 11/06/2008; id. V Sez. n. 2847 del 07/02/2008). Pertanto, il Giudice tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità e fondatezza dell'atto impositivo, è tenuto a valutare singolarmente e complessivamente gli elementi presuntivi forniti dall'Amministrazione finanziaria, dando atto in motivazione dei risultati del proprio giudizio e solo in un secondo momento, qualora ritenga tali elementi dotati del carattere di gravità, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, che ne è onerato ai sensi degli artt. 2727 e segg. e 2697 comma 2 c.c. (cfr. Cass. V Sez. 23/94/201 O n. 9784; id. V Sez. n. 4306 del 23/02/2020). Ciò posto in punto di diritto, si ritiene che, dalla disamina dei rilievi effettuati da parte dell'Agenzia delle Entrate nei confronti della società appellante, nonché dalla disamina della documentazione versata in atti sia emersa, con assoluta sicurezza, la sussistenza di un sodalizio frodatorio tra le il consorzio e le cooperative costituite oppure utilizzate ad hoc, anche solo in relazione alla mancanza di una qualunque autonomia imprenditoriale da parte delle cooperative, che erano solo formalmente deputate a svolgere materialmente le attività richieste dai clienti finali al Consorzio A. posto che le stesse in concreto presentavano di fatto le caratteristiche tipiche del soggetto interposto desumibili in sede di accertamento.
In relazione al sesto motivo di appello, lo stesso è da ritenersi infondato, in quanto in tema di spese di giudizio, la compensazione, di cui all'art. 15, secondo comma, D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, deve essere motivata anche succintamente, al fine di consentire alla parte vittoriosa di avere chiaro le ragioni per le quali l'organo giudicante abbia determinato la disapplicazione della regola della soccombenza, come la peculiarità della questione trattata e l'obiettiva controvertibilità delle questioni di diritto. Sebbene il codice del processo tributario non contenga una disposizione puntuale per calcolare il valore della lite nel caso di appelli proposti avverso la decisione del giudice di primo grado relativa alla liquidazione delle spese, ciò non significa che tale tipologia di ricorsi non sia soggetta al contributo unificato tributario. In tal caso, per calcolare il valore della lite (e, conseguentemente, per determinare l'importo del contributo unificato tributario) soccorrono le norme del codice di procedura civile (art. 14 c.p.c.), secondo le quali lo stesso si determina in base al principio della domanda. In tal senso risulta coerente l'operato dei Giudici di prime cure.
In relazione al settimo motivo di appello lo stesso è da ritenersi privo di fondamento, in quanto in materia di operazioni inesistenti, premesso che una operazione si qualifica come "soggettivamente inesistente se la stessa è stata effettivamente posta in essere ma tra soggetti diversi da quelli indicati nella rappresentazione cartolare, l'art. 21, settimo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972 dispone che se il cedente o prestatore emette fattura per operazioni inesistenti ovvero se indica nella fattura i corrispettivi delle operazioni o le imposte relative in misura superiore a quella reale, l'imposta è dovuta per l'intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura". La Corte di legittimità ha avuto modo di chiarire che lo scopo specifico della norma sopra richiamata è quello di ricondurre a coerenza il sistema impositivo dell'Iva, fondato sui principi della rivalsa e della detrazione (artt. 18 e 9). Secondo cui siccome l'emissione della fattura legittima il suo destinatario ad un credito di imposta nei confronti dell'Amministrazione finanziaria, è necessario che il soggetto che la emetta sia debitore, nei confronti della stessa, della corrispondente imposta e ciò in quanto in presenza di operazioni esistenti, il presupposto impositivo è costituito, appunto, dalla effettuazione delle operazioni imponibili (artt. 1 e 6) anche in mancanza di una loro rappresentazione documentale; in presenza, invece, di fatturazione, il presupposto stesso non può che essere costituito dal (contenuto) del documento che le rappresenta (la fattura appunto), che, per il solo fatto della sua emissione, è titolo di credito di imposta per il suo destinatario ed impone, quindi, il pagamento della corrispondente imposta da parte del soggetto passivo iva (di colui, cioè, che emette la fattura) - cfr. Cass. n. 12353/2005; Cass. n. 5979/2014 e Cass. n. 26854/2014. Pertanto, l'Iva risultante dalla fattura - ancorché quest'ultima documenti una operazione inesistente (oggettivamente e soggettivamente) - è comunque dovuta dal soggetto passivo, cedente o prestatore, che l'ha emessa. Diversamente da quanto previsto per l'imposta "a debito", non si rinvengono invece norme positive specifiche volte a disciplinare l'esercizio del diritto alla detrazione da parte del cessionario o committente con riguardo all'imposta relativa ad operazioni inesistenti, dovendosi quindi fare riferimento ai principi delineati sul punto dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale in sede di interpretazione, secondo cui l'equilibrio tra il principio di neutralità dell'imposta e della lotta contro le frodi e gli abusi viene garantito attraverso l'attribuzione di rilevanza all'elemento psicologico, di talché, nei casi in cui sia provata dall'Amministrazione finanziaria la sussistenza della frode, anche mediante presunzioni, il diritto alla detrazione deve comunque essere riconosciuto se il cessionario o committente dimostri che non sapeva o non poteva sapere di partecipare ad una operazione fraudolenta. Il diritto alla detrazione può essere, quindi, negato dall'Amministrazione finanziaria soltanto laddove sia dimostrato alla luce di elementi oggettivi, che l'operazione si inserisce in una "frode" della quale il cessionario o committente è consapevole o comunque avrebbe dovuto conoscere. Riassumendo, in tema di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti incombe sull'Amministrazione finanziaria l'onere di provare la consapevolezza da parte dell'acquirente della frode fiscale; ma il fatto impeditivo del diritto alla detrazione dell'iva non è soltanto la consapevolezza dell'iscrizione dell'operazione in una evasione a monte nella catena delle prestazioni, ma anche il fatto che l'operatore, sulla base della diligenza esigibile dall'operatore accorto in relazione alle circostanze, avrebbe dovuto sapere dell'esistenza dell'evasione. Nel nostro caso, ritenuta provata la sussistenza di un sodalizio frodatorio tra il consorzio e le cooperative costituite o utilizzate ad hoc, la detrazione dell'imposta deve essere negata.
Conclusivamente l'appello deve essere rigettato integralmente, con conseguenziale conferma della sentenza appellata.
P.Q.M.
Rigetta l'appello principale e condanna la soccombente al pagamento di Euro 35.000,00 a titolo di spese oltre accessori, se dovuti.
Roma il 20 settembre 2023.
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