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sabato 30 dicembre 2023

Corte di giustizia tributaria 2023-“ Inoltre, "al fine di fornire il necessario supporto ai soggetti preposti a fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19", veniva istituito, presso il Dipartimento della protezione civile, un Comitato tecnico-scientifico (CTS) costituito, in considerazione del ruolo istituzionale ricoperto, da vari componenti ed esperti, e segnatamente: dal "presidente del Consiglio superiore di sanità del Ministero della salute con funzioni di coordinatore del comitato"; dal "presidente dell'Istituto superiore di sanità - con funzioni di portavoce del comitato"; da un "avvocato dello Stato, Capo del Dipartimento per il coordinamento amministrativo della Presidenza del Consiglio dei ministri, con funzioni di segretario verbalizzante"; da un "rappresentante indicato dalla Conferenza delle regioni e province autonome"; dal "presidente del Comitato etico dell'Istituto nazionale per le malattie infettive "Lazzaro Spallanzani""; dal "dirigente medico della Polizia di Stato, esperto di medicina delle catastrofi in rappresentanza del Dipartimento della protezione civile"; dal "direttore scientifico dell'Istituto nazionale per le malattie infettive "Lazzaro Spallanzani""; dal "presidente dell'Agenzia italiana del farmaco, AIFA"; dal "direttore generale della prevenzione sanitaria del Ministero della salute"; da un "esperto informatico analisi previsionali"; da un "esperto epidemiologico" e dal direttore del "Covid Crisis Lab" dell'Università Bocconi”

 Corte di giustizia tributaria 2023-“ Inoltre, "al fine di fornire il necessario supporto ai soggetti preposti a fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19", veniva istituito, presso il Dipartimento della protezione civile, un Comitato tecnico-scientifico (CTS) costituito, in considerazione del ruolo istituzionale ricoperto, da vari componenti ed esperti, e segnatamente: dal "presidente del Consiglio superiore di sanità del Ministero della salute con funzioni di coordinatore del comitato"; dal "presidente dell'Istituto superiore di sanità - con funzioni di portavoce del comitato"; da un "avvocato dello Stato, Capo del Dipartimento per il coordinamento amministrativo della Presidenza del Consiglio dei ministri, con funzioni di segretario verbalizzante"; da un "rappresentante indicato dalla Conferenza delle regioni e province autonome"; dal "presidente del Comitato etico dell'Istituto nazionale per le malattie infettive "Lazzaro Spallanzani""; dal "dirigente medico della Polizia di Stato, esperto di medicina delle catastrofi in rappresentanza del Dipartimento della protezione civile"; dal "direttore scientifico dell'Istituto nazionale per le malattie infettive "Lazzaro Spallanzani""; dal "presidente dell'Agenzia italiana del farmaco, AIFA"; dal "direttore generale della prevenzione sanitaria del Ministero della salute"; da un "esperto informatico analisi previsionali"; da un "esperto epidemiologico" e dal direttore del "Covid Crisis Lab" dell'Università Bocconi”



Corte di giustizia tributaria di primo grado Trentino-Alto Adige Bolzano Sez. I, Sent., (ud. 13-02-2023) 24-10-2023

Fatto Diritto P.Q.M. 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA DI PRIMO GRADO DI BOLZANO

PRIMA SEZIONE

riunita in udienza il 10/10/2022 alle ore 09:00 con la seguente composizione collegiale:

MEYER CHRISTIAN, - Presidente

SCHUELMERS VON PERNWERTH ROBERT, - Relatore

DEFANT ANNA ROSA, - Giudice

in data 13/02/2023 ha pronunciato la seguente

SENTENZA

- sul ricorso n. 194/2021 depositato il 09/12/2021

proposto da

AZIENDA S.P.A. DI B. - (...)

difeso da

Sara Armella - (...)

Rappresentato da F.Z. - (...)

ed elettivamente domiciliato presso sara.armella@ordineavvgenova.it

contro

AG. DOGANE E MONOPOLI UFFICIO DELLE DOGANE DI BOLZANO

elettivamente domiciliato presso dogane.bolzano@pec.adm.gov.it

Avente ad oggetto l'impugnazione di:

- AVVISO DI ACCERTAMENTO n. (...) DOGANE DAZI 2020

- AVVISO DI ACCERTAMENTO n. (...) DOGANE IVA IMPORTAZIONE 2020

- PROVVEDIMENTO IRROGAZIONE SANZIONI n. (...) DOGANE-ALTRO 2020

a seguito di discussione in pubblica udienza.


Svolgimento del processo


Con ricorso notificato in data 15 novembre 2021 l'A.S.A., con sede in B., via C. di R. 4, in persona del direttore generale e legale rappresentante pro tempore dott. F.Z., ha impugnato l'avviso di accertamento suppletivo e di rettifica, prot. n. (...) del 15/09/2021, relativo a dazi e IVA, e l'atto di contestazione di sanzione amministrativa n. 34100-10-2021, prot. n. (...) del 16/09/2021, entrambi notificati in data 21/09/2021 dall'AGENZIA DELLE ACCISE, DOGANE E MONOPOLI.

A fondamento della propria domanda la ricorrente ha premesso di essere un ente pubblico della Provincia autonoma di Bolzano con generali competenze in ordine alla gestione della sanità altoatesina e a cui fanno capo sette ospedali, tra loro collegati. In tale veste, a causa dell'emergenza epidemiologica da Covid-19 e in assenza di dispositivi di protezione individuale (DPI) forniti dalle autorità governative e sanitarie, anche l'A. si era vista costretta a ricercare autonomamente i DPI necessari per fronteggiare l'emergenza epidemiologica.

Tuttavia, l'approvvigionamento di tali beni essenziali, le cui forniture dipendevano integralmente da mercati extra-Ue, si era rilevato estremamente complesso sia per il Governo nazionale che per le A. durante i primi mesi dell'emergenza pandemica anche a causa del blocco alle esportazioni disposto da numerosi Paesi terzi. Di conseguenza, il Presidente della Provincia Autonoma di Bolzano con ordinanza contingibile e urgente 4 marzo 2020, n. 4, incaricava la ricorrente di provvedere a effettuare acquisti di beni e servizi necessari a far fronte all'emergenza.

In tale contesto in data 13 marzo 2020 la ricorrente concludeva un accordo di fornitura con la impresa O.A. spa di B. avente a oggetto DPI, prevedendo nello specifico l'importazione di 1 milione di mascherine chirurgiche, di 250.000 mascherine FFP2, di 250.000 mascherine FFP3, nonché di 500.000 camici a manica lunga e 20.000 tute protettive, a fronte di un prezzo concordato di Euro 6.003.450,00.

Inoltre, trattandosi di beni salva-vita indispensabili per la protezione del personale medico e sanitario, il Commissario Straordinario per l'attuazione e il coordinamento delle misure di contenimento e contrasto dell'emergenza epidemiologica da Covid-19 con l'ordinanza 18 marzo 2020, n. 6/2020, escludeva dazi e Iva all'importazione dei DPI da parte di enti ospedalieri come A.B..

Sulla scorta di tali esplicite indicazioni la ricorrente, essendo del tutto priva di dotazioni indispensabili per l'attività medica e sanitaria nelle strutture da essa gestite, al fine di reperire con celerità i DPI necessari in data 23 marzo 2021 richiedeva all'Agenzia delle Dogane di Bolzano l'autorizzazione all'importazione "di mascherine chirurgiche da utilizzare come DPI, mascherine KN95, tute protettive e tute protettive asettiche, in franchigia doganale". Tutto ciò, al precipuo fine di "dotare gli operatori sanitari degli strumenti indispensabili per fornire la propria assistenza ai pazienti durante le prime drammatiche fasi della crisi pandemica da Covid-19".

Nello specifico, con tre diverse dichiarazioni doganali datate 24, 27 e 31 marzo 2020, l'A. importava dal fornitore O.A. spa diversi DPI originari della Cina. In pari data l'Ufficio delle dogane di Bolzano autorizzava tali importazioni in franchigia d'imposta con la sola riserva che l'operatività di tale franchigia doganale venisse in seguito confermata da una decisione della Commissione europea. A sua volta, in data 3 aprile 2020, la Commissione europea con la decisione n. 2020/491 esplicitamente stabiliva l'esenzione dai dazi e dall'Iva per qualsiasi operazione di importazione effettuata da tutti gli enti ospedalieri dell'Unione europea per fronteggiare la pandemia.

Con successivi provvedimenti il Legislatore nazionale "introduceva una nuova e distinta franchigia doganale a favore degli operatori economici privati, diversi quindi dagli enti pubblici, per le importazioni di DPI; questa distinta franchigia veniva subordinata all'approvazione dell'Inail (art. 15 D.L. 17 marzo 2020, n. 18)". Nel caso specie, dunque, trattandosi di importazioni effettuate da un ente pubblico (A.) ai fini delle necessarie dotazioni ospedaliere e non da un soggetto privato e per scopo commerciale tale approvazione non era necessaria. La ricorrente, tuttavia, "per mero scrupolo e in un'ottica di massima trasparenza, richiedeva comunque ... l'attestazione di conformità dell'Inail".

In data 23 aprile 2020 "l'INAIL ... approvava l'importazione delle mascherine chirurgiche, sorprendentemente negando l'autorizzazione per tutti gli altri DPI importati dalla A.". In data 29 giugno 2020 l'esponente impugnava formalmente tale diniego parziale con apposito ricorso amministrativo davanti il competente TAR del Lazio. Inoltre, ad avviso della ricorrente andrebbe "rimarcato che ben 328.415 DPI (nello specifico, mascherine KN95) sono stati oggetto di sequestro preventivo, ex art. 321 del Codice di procedura penale, disposto dal Gip del Tribunale di Bolzano, essendo stato contestato, ai legali rappresentanti del fornitore O.A. spa di B. e della A., i reati di importazione di DPI non conformi ai requisiti essenziali di sicurezza".

A distanza di oltre un anno dai fatti sopra descritti, "l'Agenzia delle dogane, Ufficio di Bolzano, con il processo verbale di constatazione (PVC) ai fini della revisione dell'accertamento 28 giugno 2021, ha erroneamente ritenuto che a una parte dei DPI importati dall'esponente non potesse applicarsi il regime di franchigia doganale". Avverso tale PVC la ricorrente ha prodotto motivate osservazioni in data 27 luglio 2021, "rilevando come l'accertamento dei fatti alla base della contestazione dell'Ufficio sia ancora sub judice presso il TAR del Lazio e come, in ogni caso, l'approvazione dell'Inail non sia per l'ente pubblico A. un requisito indispensabile per la franchigia dai dazi e dall'Iva all'importazione. Come già rilevato in sede di osservazioni, inoltre, è certamente errato anche assumere come base imponibile il valore originariamente pattuito della merce, pari a Euro 6.003.450,00, considerato il provvedimento di sequestro penale della merce del valore originario di Euro 3.308.631,85".

L'Ufficio, tuttavia, non accoglieva le difese dell'Ente e, in data 21 settembre 2021, con i provvedimenti impugnati con l'odierno ricorso contestava maggiori dazi per Euro 744.432,92, Iva per Euro 1.695.242,45 e interessi per Euro 122.350,22, oltre a irrogare una sanzione amministrativa di Euro 90.000, per una pretesa complessiva di Euro 2.439.675,37.

Tutto ciò premesso in punto di fatto la ricorrente ha sottoposto a diverse censure gli impugnati provvedimenti.

Con un primo motivo di ricorso l'A. ha eccepito la "violazione della decisione n. 2020/491 della Commissione europea, nonché dell'art. 74, Reg. Ue 16 novembre 2009, n. 1186 e dell'art. 51, Direttiva 19 ottobre 2009, n. 2009/132/CE".

In particolare, la ricorrente ha rimarcato come l'art. 74 del Reg. Ue 16 novembre 2009, n. 1186/2009, abbia previsto l'ammissione in franchigia dai dazi all'importazione delle merci importate da enti statali o da altri enti a carattere caritativo o filantropico autorizzati dalle autorità competenti, per essere distribuite gratuitamente o messe gratuitamente a disposizione delle vittime di catastrofi che colpiscono il territorio di uno o più Stati membri. Allo stesso modo sarebbero state ammesse al beneficio della franchigia le merci importate per la libera pratica dalle unità di pronto soccorso per far fronte alle proprie necessità per tutta la durata del loro intervento.

Il successivo art. 76 del Reg. Ue 16 novembre 2009, n. 1186/2009 ha poi disposto che "La concessione della franchigia è subordinata a una decisione della Commissione, che delibera su domanda dello Stato membro o degli Stati membri interessati con procedura d'urgenza comportante la consultazione degli altri Stati membri".

Analoghe previsioni sarebbero contenute negli articoli 51 e 53 della Direttiva 19 ottobre 2009, n. 2009/132/CE in materia di IVA, che riprenderebbero, anche nella formulazione del testo normativo, esattamente gli articoli 75 e 76 del Reg Ue n. 1186/2009.

Orbene, ad avviso della ricorrente nel caso di specie la franchigia sarebbe stata espressamente disposta dalla Commissione europea con la decisione n. 2020/491, prevedendo l'esenzione dai dazi doganali e dall'Iva per le importazioni di dispositivi idonei a contrastare gli effetti della pandemia da Covid-19, effettuate a decorrere dal 30 gennaio 2020, e senza condizionare in alcun modo tale beneficio alla necessaria approvazione da parte di un ente pubblico avente le caratteristiche dell'INAIL. Sarebbe pertanto di ogni evidenza che le importazioni di dispositivi di protezione individuale da parte di una Azienda S. locale rientrerebbero perfettamente nel regime di franchigia, doganale e Iva, disposto dalla decisione della Commissione europea per fronteggiare l'emergenza Covid-19.

Di conseguenza sarebbe errata la tesi dell'Ufficio secondo cui i dispositivi medici importati dall'A. non potrebbero fruire dell'esenzione dei dazi e dell'Iva all'importazione sul semplice fondamento della mancanza della validazione dell'INAIL. Tale condizione, come già rilevato, non sarebbe assolutamente prevista dalla decisione della Commissione europea n. 2020/491, di talché la pretesa doganale sarebbe chiaramente illegittima.

Inoltre, l'Ufficio non avrebbe considerato come la validazione dell'INAIL "è una condizione introdotta dall'art. 15, D.L. 17 marzo 2020, n. 18 (convertito in L. 24 aprile 2020, n. 27) unicamente per gli importatori privati che intendevano commercializzare dispositivi medici, volendo assicurarsi che immettessero sul mercato prodotti conformi a tutti gli standard richiesti dalla normativa vigente unionale in tema di sicurezza", di talché essa non sarebbe stata necessaria per le importazioni effettuata dall'A..

Giusta il secondo motivo di ricorso, poi, la pretesa dell'Autorità doganale, contraddicendo le suddette disposizioni comunitarie, si porrebbe in chiaro contrasto anche con il principio di legalità, "di cui all'art. 23 della Costituzione, il quale impone che l'Agenzia si attenga ai criteri espressamente previsti dalla legge e da fonti normative di efficacia equivalente quali i regolamenti e le decisioni dell'Unione europea".

Con un terzo motivo di impugnazione la ricorrente ha lamentato, in via subordinata, la presunta violazione degli artt. 120 e 119 del Codice doganale unionale (CDU) e del principio del legittimo affidamento.

In particolare, l'art. 120 del CDU integrerebbe una clausola generale di equità a norma della quale il debitore avrebbe diritto allo sgravio dei dazi, purché siano soddisfatte due condizioni: l'esistenza di una "situazione particolare" e la mancanza di negligenza.

Nel caso di specie, l'esistenza della situazione particolare, nel mese di marzo 2020, sarebbe rappresentata dall'eccezionale e imprevista fase emergenziale dovuta alla pandemia, durante la quale mancavano totalmente i dispositivi di protezione individuale necessari per il personale medico e sanitario e per gli addetti al pronto soccorso. Circa il secondo requisito, si sarebbe illustrato e provato che l'A. avrebbe agito in assoluta buona fede, su espresso mandato anche dell'Amministrazione prefettizia che, con ordinanza contingibile e urgente 4 marzo 2020, n. 4, aveva incaricato l'esponente di provvedere a effettuare acquisti di beni e servizi necessari a far fronte all'emergenza.

Parimenti e per le medesime ragioni, ad avviso della ricorrente ricorrerebbero le condizioni per uno sgravio dei dazi ai sensi dell'art. 119 CDU.

Con un quarto motivo di impugnazione la ricorrente ha lamentato, sempre in via subordinata, la violazione degli artt. 77 e 124 CDU, in quanto, essendo i dazi doganali "dovuti soltanto ove i prodotti importati possano rappresentare oggetto di immissione in libera pratica nel territorio europeo", una tale condizione difetterebbe nel caso di specie atteso che le merci in questione risulterebbero inutilizzabili in seguito al parere negativo dell'INAIL e al sequestro penale che ha sottratto la disponibilità all'A. di ben 328.415 DPI (nello specifico, mascherine KN95).

Al riguardo, sarebbe la stessa normativa doganale a disporre l'estinzione dell'obbligazione doganale "quando le merci soggette ai dazi all'importazione o all'esportazione vengono confiscate o sequestrate e contemporaneamente o successivamente confiscate" (art. 124, par. 1, lett. e, CDU).

Una tale conclusione varrebbe anche in materia di IVA, "posto che la normativa europea esclude la tassazione ove non vi sia la reale immissione in consumo dei prodotti esteri: e invero, se un prodotto non è stato ancora immesso sul mercato certamente non sussistono i presupposti di applicazione dell'Iva".

In via di estremo subordine, con un quinto motivo di ricorso è stata eccepita la violazione dell'art. 70 CDU e dell'art. 69, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633.

In particolare, la determinazione del valore doganale sul quale l'Ufficio ha operato la liquidazione della pretesa impositiva sarebbe errata, avendo assunto il prezzo della fornitura originariamente concordato tra le parti. Viceversa, la giurisprudenza della Corte di Giustizia avrebbe chiaramente espresso il principio secondo cui occorre avere riguardo al prezzo reale per la determinazione del valore in dogane delle merci importate, soprattutto nel caso in cui sia sorta contestazione tra il fornitore e l'acquirente circa le caratteristiche essenziali dei beni oggetto della compravendita (come sarebbe avvenuto nel caso di specie).

Con un sesto motivo di impugnazione l'A. ha lamentato la presunta violazione dell'art. 232 del Reg. (CEE) 12/10/1992, n. 2913/92, istitutivo di un "codice doganale comunitario" (CDC), atteso che - come chiarito dalla giurisprudenza europea e di legittimità - non potrebbero essere addebitati al contribuente interessi compensativi in relazione al periodo intercorso tra il momento dell'originaria dichiarazione doganale e quello della contabilizzazione a posteriori di tale obbligazione, come invece avvenuto nel caso di specie.

Con gli ultimi quattro motivi di ricorso, invece, la ricorrente ha eccepito la presunta illegittimità dei provvedimenti impugnati sotto il profilo sanzionatorio.

In particolare, con il settimo motivo di impugnazione, dopo avere rammentato come l'Ufficio abbia irrogato una sanzione amministrativa pari a Euro 90.000,00, ritenendo di applicare l'art. 303, terzo comma, lett. e), D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 (TULD), la ricorrente ha rilevato la presunta violazione dell'art. 5, primo comma, D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, che prevede come suo presupposto essenziale l'imputabilità all'agente di un comportamento quanto meno negligente, di dolo o di colpa.

Invero, nel caso di specie la condotta dell'A. sarebbe stata certamente rispettosa di tutte le più rigorose regole di diligenza e correttezza, avendo tra l'altro maturato, per le ragioni già espresse, un legittimo affidamento circa la correttezza del proprio operato.

Con l'ottavo motivo di impugnazione la ricorrente ha eccepito la violazione dell'art. 10 dello Statuto dei diritti del contribuente, secondo cui "Le sanzioni non sono comunque irrogate quando la violazione dipende da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull'ambito di applicazione della norma tributaria (...)". In particolare, nel caso di specie sarebbe evidente il sussistere di quei "fatti indice" che l'orientamento giurisprudenziale avrebbe riconosciuto come espressione del fenomeno dell'incertezza oggettiva.

Il nono motivo di impugnazione ha evocato, invece, la presunta lesione dell'art. 6, comma 5, D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, in forza del quale non sarebbe punibile con sanzioni tributarie chi ha commesso il fatto per forza maggiore. Nel caso di specie, "le importazioni sono avvenute nel mese di marzo 2020, proprio durante il picco iniziale dell'emergenza che ha colto impreparate tutte le strutture S.N., pubbliche e private. L'impossibilità di approvvigionamento interno dei dispositivi di protezione necessari, ha costretto la A. a organizzare l'importazione dei DPI dalla Cina in tempi molto rapidi, con il rischio di non riuscire a garantire la sicura prosecuzione dell'attività degli ospedali e dei pronto soccorso gestiti dall'esponente".

Con il decimo e ultimo motivo di impugnazione la ricorrente ha lamentato la violazione del principio di specialità, di cui all'art. 9, L. n. 689 del 1991, secondo cui, quando uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, si applica la disposizione speciale. Sul punto, la Corte europea dei diritti dell'Uomo avrebbe chiarito con nettezza che una stessa fattispecie non può essere sanzionata due volte, dapprima nel procedimento amministrativo, caratterizzato da una sanzione fortemente afflittiva, e in un procedimento penale sorto sugli stessi fatti.

Di qui, in conclusione, la richiesta rivolta a questa Corte di annullare integralmente l'avviso di accertamento suppletivo e di rettifica dell'accertamento e il relativo atto di contestazione e di irrogazione sanzioni impugnati.

Con controdeduzioni d.d. 12/01/2022 si è ritualmente costituita in giudizio l'AGENZIA DELLE ACCISE, DOGANE E MONOPOLI, UFFICIO DELLE DOGANE DI BOLZANO, concludendo per il rigetto del ricorso e la condanna della ricorrente alle spese del giudizio.

Nelle proprie difese l'Amministrazione resistente ha innanzitutto fornito un breve quadro riassuntivo della pertinente normativa, ricordando come il Regolamento (CE) n. 1186/2009 del 16/11/2009, nel fissare il regime comunitario delle franchigie doganali, avesse individuato talune circostanze in cui le importazioni delle merci "non richiedono l'applicazione delle misure abituali di protezione dell'economia"; tra queste, al titolo II, capo XVII, Sez. C, artt. 74-80, erano state indicate le importazioni di merci "a favore delle vittime di catastrofi" (art. 74, paragrafo 1), nonché "alle stesse condizioni, le merci importate per la libera pratica dalle unità di pronto soccorso per far fronte alle proprie necessità per tutta la durata del loro intervento" (art. 74, paragrafo 2).

Di conseguenza, con Decisione (UE) 2020/491 del 03/04/2021 la Commissione Europea aveva ritenuto che ai sensi della suddetta disposizione "la pandemia da Covid-19 e le difficilissime sfide che comporta costituiscono una catastrofe" e che pertanto si rendeva opportuno concedere l'esenzione dai dazi doganali all'importazione - ai sensi del citato Reg.to (CE) n. 1186/2009 - e dall'IVA - in base alle analoghe disposizioni previste dalla Direttiva n. 2009/132/CE del Consiglio UE - alle merci necessarie a fronteggiare tele evento catastrofico.

Poco prima, vale a dire il 13 marzo 2020, era peraltro stata adottata la Raccomandazione UE 2020/403 con la quale la Commissione aveva sollecitato gli Stati membri a mettere in atto tutte le misure necessarie a garantire che l'offerta di DPI (dispositivi di protezione individuale) e dispositivi medici (DM) soddisfacesse la crescente domanda, nel contesto della minaccia rappresentata dalla pandemia da COVID-19, invitando contestualmente gli stessi a vigilare affinché qualsiasi DPI o DM immesso sul mercato dell'UE continuasse a garantire un livello adeguato di protezione della salute e della sicurezza degli utilizzatori.

In altre parole, "dalle disposizioni comunitarie emergeva chiaramente che l'Unione Europea era disposta a rinunciare alle risorse proprie (dazi doganali) per agevolare l'approvvigionamento di DPI e dispositivi medici, ma non certamente al rispetto dei requisiti essenziali di sicurezza che tali dispositivi devono garantire per essere efficacemente utilizzati nel fronteggiare la pandemia da Covid-19".

Muovendosi nell'ambito degli spazi di manovra consentiti dalle citate disposizioni comunitarie per il periodo dell'emergenza, il Governo italiano, per far fronte alla pandemia da Covid-19, con il D.L. n. 18 del 2020, all'art. 15, aveva consentito l'importazione di mascherine e dispositivi di protezione individuali (DPI) "in deroga alle diposizioni vigenti" (quindi anche privi di marcatura CE), ma con l'onere per gli importatori (oltre che per i produttori e i distributori commerciali) di produrre un'autocertificazione sotto la propria esclusiva responsabilità, con la quale attestare le caratteristiche tecniche di mascherine e DPI e dichiarare che questi rispettavano tutti i requisiti di sicurezza di cui alla vigente normativa.

Parimenti, per ciò che qui interessa, gli importatori avrebbero dovuto inviare all'Istituto Superiore di Sanità (per le mascherine) e all'INAIL (per i DPI) ogni elemento utile alla validazione, affinché tali enti si pronunciassero circa la rispondenza alle norme vigenti, con la conseguenza che l'eventuale pronuncia negativa ne precludeva la possibilità di immissione in consumo.

Tale essendo il quadro normativo di riferimento l'Amministrazione resistente ha quindi esposto i principali fatti di causa, rammentando come l'A., al fine di approvvigionarsi del materiale necessario per fronteggiare l'emergenza Covid-19, in data 23/03/2020, tramite il rappresentante diretto, E.T. SRL C., avesse richiesto l'autorizzazione all'importazione di mascherine e camici con l'applicazione delle franchigie di dazio e IVA ai sensi, rispettivamente, dall'art. 74 del Reg. CE 1186/2009 e della Direttiva n. 2009/132/CE del Consiglio UE, e di come nell'istanza - riguardante vari tipi di DPI, in particolare mascherine chirurgiche da utilizzare come DPI, mascherine KN95 equiparate alle FFP2, tute protettive e tute protettive asettiche - fosse stato dichiarato che la merce era provvista della marchiatura CE in quanto conforme alle normative vigenti in materia di dispositivi medici e DPI.

Nella medesima data del 23/03/2020 l'Ufficio delle Dogane di Bolzano, in accoglimento dell'istanza e ritenuta l'urgenza, emetteva l'autorizzazione e nei giorni successivi venivano effettuate le operazioni di importazione con la presentazione di tre dichiarazioni doganali in data 24, 27 e 31 marzo 2020. Pochi giorni dopo, in data 03/04/2020, veniva adottata la decisione UE 2020/491 che autorizzava gli Stati membri a concedere tale franchigia in favore di taluni soggetti pubblici impegnati nella lotta alla pandemia.

A monte di tali operazioni esisteva un accordo commerciale, tra O.A. SPA e A. per la fornitura del materiale interessato nei quantitativi prestabiliti, in relazione al quale già in data 22/03/2020 risultava emessa la fattura numero (...), per l'importo di Euro 9.289.724,00. Tale fattura era stata presentata in allegato alle tre dichiarazioni di importazione in argomento ai fini della determinazione del "valore in dogana", necessario per l'applicazione dei dazi e degli altri diritti doganali eventualmente dovuti. Non tutta la merce fatturata da O.A. SPA era stata poi effettivamente importata dall'A.. Come emergeva dalla distinta degli scarichi parziali allegati alla fattura n. (...) risultava non importata una rimanenza di 177.860 pezzi (tute protettive) per un valore fatturato di Euro 3.286.274.

Ciò posto, l'Amministrazione resistente ha lamentato il fatto che, successivamente alle già menzionate operazioni doganali, l'A. non avesse fatto pervenire all'Ufficio doganale alcuna comunicazione "riguardo all'esito negativo delle valutazioni effettuate dall'INAIL in merito alla conformità alla normativa CE dei DPI importati, nonostante che risultasse di tutta evidenza che tali valutazioni negative incidevano sulla sussistenza del diritto alla fruizione della franchigia dai dazi e dall'IVA e, per converso, fossero in grado di far sorgere l'obbligazione doganale all'importazione per gli importi corrispondenti ai dazi ed all'IVA non versati".

Soltanto in data 8 ottobre 2020 l'Ufficio delle Dogane di Bolzano riceveva dalla superiore Direzione Territoriale la documentazione proveniente dal Comando Carabinieri per la Tutela della Salute - N.A.S. di T. - dalla quale, oltre all'esito negativo delle valutazione dell'INAIL, si apprendeva anche del sequestro preventivo di gran parte del materiale importato con le tre dichiarazioni doganali e dell'avvio da parte della Procura della Repubblica di Bolzano di un procedimento penale, a carico del rappresentante legale dell'Azienda S.P.A. di B., per reati di carattere non tributario.

Da tali documenti, come rappresentato dallo stesso Comando dei Carabinieri, si evinceva che, ad eccezione delle mascherine chirurgiche (validate dal Comitato Tecnico Scientifico della Protezione Civile Nazionale), tutto il restante materiale (mascherine KN95, tute protettive e tute protettive asettiche) era risultato non conforme alla normativa CE, nonché escluso dall'INAIL dalla validazione in deroga ex art. 15, comma 3, del D.L. 17 marzo 2020, n. 18.

A seguito della formale trasmissione degli atti da parte del PM l'Ufficio procedeva, quindi, alla revisione dell'accertamento delle tre dichiarazioni doganali, "poiché i DPI importati dall'Azienda S.P.A. di B. non avevano ottenuto una pronuncia favorevole da parte dell'INAIL sulla conformità alle citate disposizioni unionali (all. 9) e, di conseguenza, non erano oggettivamente utilizzabili per fronteggiare la pandemia da Covid-19, a causa della quale in data 31/01/2020 il Consiglio dei Ministri aveva dichiarato lo stato di emergenza nazionale, e pertanto non potevano beneficiare della franchigia dal dazio e dall'IVA".

Ciò anche in considerazione del fatto che le disposizioni generali in materia di franchigie doganali prevedevano che le merci immesse in libera pratica col beneficio della franchigia, a causa dell'uso che il destinatario doveva farne, "non potevano essere utilizzate per altri fini senza che fossero corrisposti i relativi dazi all'importazione (art. 124, Reg. CE 1186/2009), e che se la concessione della franchigia era subordinata al rispetto di talune condizioni, l'interessato doveva fornire alle autorità competenti una prova soddisfacente del rispetto di tali condizioni (art. 126, Reg. CE 1186/2009)".

Inoltre, riguardo alla merce sequestrata a seguito del decreto ex art. 321 c.p.p. del GIP del Tribunale di Bolzano, qualunque fosse stata la destinazione che l'Autorità giudiziaria avesse voluto darle "non avrebbe mai potuto essere conforme all'uso per il quale ne era stata fatta l'importazione dall'Azienda S., stante l'inidoneità all'utilizzo da parte degli operatori sanitari, già acclarata dalle ripetute valutazioni negative dell'INAIL".

Per tali motivi l'Ufficio delle Dogane di Bolzano provvedeva a redigere apposito processo verbale di constatazione, notificato in data 28/06/2021 alla ricorrente, che in data 28/07/2021 faceva pervenire proprie osservazioni e richieste, alle quali l'Ufficio dava puntuali e complete risposte nel contesto dell'avviso di accertamento suppletivo e di rettifica prot. n. (...) del 15/09/2021, ora impugnato unitamente all'atto di contestazione di sanzione amministrativa n. 34100-10-2021, prot. n. (...) del 16/09/2021.

Tuttavia, in accoglimento dell'istanza di sospensione dell'avviso di accertamento, pervenuta dalla ricorrente in data 04/11/2021, l'Ufficio disponeva la sospensione amministrativa dell'avviso di accertamento suppletivo e di rettifica, con efficacia immediata già dal 01/12/2021, ma con l'onere di prestare entro i successivi trenta giorni idonea garanzia fideiussoria con riguardo alle risorse proprie comunitarie (dazi doganali) e relativi interessi.

Delineata in tal modo la cornice fattuale e normativa della presente controversia, l'Amministrazione resistente ha preso puntuale posizione in ordine a tutti i motivi di impugnazione.

In particolare, quanto al primo motivo di impugnazione (presunta violazione della decisione UE 2020/491, nonché degli artt. 74 Reg. UE n. 1186/2009 e 51 Direttiva CE n. 132/2009), l'Ufficio doganale ha osservato, "in primo luogo, che in nessuna parte degli atti impugnati l'Ufficio ha mai sostenuto la mancanza dei due presupposti della franchigia.

Non vi può essere certamente dubbio sul fatto che l'Azienda S. della Provincia di Bolzano rientri nel novero degli enti pubblici aventi titolo a beneficiare della franchigia doganale, né che la destinazione della merce importata era la distribuzione alle unità di pronto soccorso o al personale sanitario impegnato nel fronteggiare la pandemia da Covid-19".

Ciò che invece starebbe alla base dell'accertamento sarebbe il fatto che le merci non erano idonee a realizzare il fine o il risultato che giustificava la rinuncia da parte dell'UE alle risorse proprie e, di conseguenza, per tale motivo non potevano beneficiare della franchigia.

Risulterebbe, invece, priva di pregio l'osservazione della ricorrente che la previsione unionale non indica "la necessaria approvazione da parte di un ente pubblico avente le caratteristiche dell'Inail".

Invero, ciò che avrebbe fatto "venir meno il diritto alla franchigia non è la mancata validazione da parte dell'Inail, ma l'oggettiva mancanza dei requisiti di sicurezza acclarata da quest'ultima. Infatti, in mancanza di tale procedura, introdotta dall'art. 15 del D.L. n. 18 del 2020, l'inidoneità della merce importata ad essere utilizzata per fronteggiare la pandemia avrebbe potuto comunque essere accertata attraverso l'uso degli ordinari poteri e strumenti che consentono agli uffici doganali di prelevare campioni di merci da sottoporre a controlli ed analisi di laboratorio al fine di verificarne le qualità e le caratteristiche dichiarate, in special modo quando da queste ultime deriva la possibile esenzione dal versamento dei dazi e degli altri diritti riscossi in dogana".

Né potrebbe essere condivisibile, ad avviso dell'Amministrazione resistente, la tesi della ricorrente secondo cui, in forza della decisione UE n. 491/2020, la franchigia doganale per le importazioni effettuate da enti ospedalieri nella già menzionata situazione emergenziale sarebbe stata automaticamente riconosciuta, mentre per le importazioni da parte di soggetti privati sarebbe stata necessaria l'approvazione dell'INAIL per i DPI sprovvisti della marchiatura CE. Una tale conclusione, infatti, non sarebbe per nulla ricavabile dalla lettura della citata Decisione, né, tanto meno, dall'art. 15 del D.L. n. 18 del 2020. In particolare, "nessuna differenza avrebbe posto tale ultima norma tra produttori, importatori per uso proprio e importatori per fini di distribuzione commerciale. Basta leggere l'incipit dei commi 2 e 3 che si esprime disgiuntivamente riferendosi a "I produttori, gli importatori dei dispositivi... e coloro che li immettono in commercio...", dal quale risulta evidente che la disposizione si applica anche agli enti ospedalieri in quanto da ricomprendere negli importatori per uso proprio".

D'altro canto, una diversa interpretazione sarebbe incomprensibile, oltre che palesemente incostituzionale. Non si capirebbe, infatti, per quale motivo i DPI importati dalla Cina e destinati al personale sanitario di enti ospedalieri pubblici non dovrebbero essere sottoposti ad alcun controllo di sicurezza, diversamente da quelli importati e destinati ad una clinica privata.

Quanto al secondo motivo di impugnazione (inerente alla presunta violazione del principio di legalità), quest'ultimo non sarebbe altro "che una riproposizione del primo motivo d'impugnazione".

In ordina al terzo motivo di impugnazione (presunta violazione degli artt. 120 e 119 CDU), invece, l'Ufficio ha preliminarmente osservato che lo sgravio per motivi di equità, di cui all'art. 120 del CDU, richiede la cumulativa sussistenza di due requisiti: l'assenza di frode o di manifesta negligenza da parte del debitore e la sussistenza di "circostanze particolari" dalle quali sorge l'obbligazione doganale.

Per cui, "pur volendo concedere la sussistenza del primo requisito, atteso che, almeno per quanto riguarda il comportamento dell'operatore fino al momento dello svincolo doganale della merce importata in franchigia, nessuna negligenza a suo carico è stata rilevata dall'Ufficio, si esprimono invece forti dubbi in merito alla sussistenza del secondo requisito". Invero, le richieste "circostanze particolari" sussisterebbero solo quando risulta chiaramente che "il debitore si trova in una situazione eccezionale rispetto agli altri operatori che esercitano la stessa attività"; situazione in assenza della quale "non avrebbe subito il pregiudizio della riscossione dell'importo del dazio all'importazione...".

Viceversa, nel caso di specie, tale presunta "situazione particolare" - individuata dalla ricorrente nella fase emergenziale dovuta alla pandemia, durante la quale mancavano totalmente i dispositivi di protezione individuale, - non sarebbe stata tale, atteso che la stessa avrebbe riguardato indistintamente tutti gli "operatori che esercitano la stessa attività" e non sarebbe stata di per sé idonea a differenziare l'Azienda S. della Provincia di Bolzano dalle altre Aziende S.N..

Quanto, invece, allo sgravio per i motivi di cui all'art. 119 del CDU questo avrebbe richiesto l'individuazione da parte della ricorrente di un "errore delle autorità competenti" nella contabilizzazione iniziale dell'importo dei dazi doganali ad un livello inferiore a quello dovuto (errore neppure ipotizzato nel ricorso).

Passando ad esaminare il quarto motivo di impugnazione (presunta violazione degli artt. 77 e 124 CDU), l'Ufficio ha precisato che la sua posizione, quale risulterebbe anche dagli atti impugnati, sarebbe quella secondo cui "i beni importati possono senz'altro essere immessi in consumo ed anche in commercio, ma non certamente per essere destinati a far fronte alla pandemia da Covid-19, in quanto privi dei requisiti di sicurezza previsti per i dispositivi medici e per i DPI". Di conseguenza, "l'esenzione dai dazi non spetta, proprio in virtù delle disposizioni generali in materia di franchigie doganali che prevedono che le merci immesse in libera pratica col beneficio della franchigia a causa dell'uso che il destinatario deve farne, non possono essere utilizzate per altri fini senza che siano corrisposti i relativi dazi all'importazione (art. 124, Reg. CE 1186/2009)".

Riguardo, invece, all'asserita estinzione dell'obbligazione doganale, a norma dell'art. 124, par. 1, lett. e) del CDU, a seguito dell'intervenuto sequestro da parte dell'Autorità Giudiziaria, "si osserva che l'effetto estintivo previsto dalla norma unionale si realizza soltanto se il sequestro o la confisca sono effettuati dall'autorità doganale prima che la merce sia stata da essa rilasciata".

Infatti, la funzione di tale disposizione sarebbe quella di evitare l'imposizione del dazio quando la merce non può più essere immessa in consumo, proprio perché la dogana l'ha bloccata al confine unionale. Ipotesi del tutto diversa dal caso oggetto del giudizio, dove il sequestro è intervenuto su iniziativa dell'AG, con Decreto del 26/08/2020, ben cinque mesi dopo l'importazione e lo svincolo doganale della merce.

Quanto al quinto motivo di ricorso (presunta violazione dell'art. 70 CDU e dell'art. 69, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633), poi, l'Autorità doganale resistente ha osservato che le disposizioni unionali in materia di determinazione del valore in dogana delle merci importate non lascerebbero adito a dubbi circa il fatto che il valore di transazione delle merci vendute per l'esportazione verso il territorio doganale dell'Unione debba essere fissato al momento dell'accettazione della dichiarazione doganale sulla base della vendita avvenuta immediatamente prima che le merci venissero introdotte in tale territorio doganale.

Nel caso di specie il valore della transazione non potrebbe che essere quello costituito dall'importo indicato nella fattura n. (...) del 22/03/2020. Questo sarebbe, nel caso concreto, il prezzo "pagato o da pagare" per le merci importate, fissato al momento dell'accettazione della dichiarazione doganale, e a nulla rileverebbe il fatto che non sia stato ancora pagato o che sia oggetto di contestazione tra le parti.

In ordine al sesto motivo di ricorso (presunta violazione dell'art. 232 CDC) l'Amministrazione ha rilevato come la disposizione richiamata "non era più vigente già diversi anni prima dell'effettuazione delle operazioni doganali interessate, in quanto sostituita con effetto dal 1 giugno 2016 dall'art. 114 del nuovo Codice Doganale dell'Unione (Reg.to UE 952/2013)".

Infine, relativamente agli ultimi quattro motivi di ricorso inerenti all'applicazione delle sanzioni, l'Ufficio ha replicato che (a) la condotta dell'Azienda S. fosse viziata da negligenza e, quindi da colpa, atteso che quest'ultima, dopo aver ricevuto l'esito negativo delle valutazioni di conformità da parte dell'INAIL, "avrebbe dovuto informare la Dogana per le valutazioni del caso"; (b) contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente non sussisterebbe alcuna incertezza sulla portata e sull'ambito applicativo della disposizione sanzionatoria applicata dall'ufficio, ovverossia l'art. 303, comma 3, del TULD; (c) la forza maggiore derivante dalla situazione di emergenza causata dalla pandemia avrebbe potuto giustificare un acquisto affrettato e incauto, ma non certamente l'omessa comunicazione alla dogana di fatti rilevanti ai fini della (non) spettanza della franchigia dai dazi all'importazione; (d) i fatti sanzionati in via amministrativa e penale sarebbero ben diversi, così come diversi sarebbero anche i soggetti di essi responsabili.

Di qui, in conclusione, la richiesta rivolta a questa Corte di respingere il ricorso e condannare la ricorrente alle spese del presente giudizio.

Con memoria illustrativa d.d. 18/09/2022 e depositata in prossimità dell'udienza la ricorrente ha ribadito tutte le proprie precedenti argomentazioni, osservando, in particolare, come dirimente ai fini del presente giudizio sia la circostanza che l'approvazione dell'INAIL costituiva "una condizione introdotta dall'art. 15, D.L. 17 marzo 2020, n. 18 (convertito in L. 24 aprile 2020, n. 27) unicamente per gli importatori privati e non per gli enti pubblici. Nel caso di specie, dunque, trattandosi di importazioni effettuate non da un soggetto privato e per scopo commerciale ma da un ente pubblico (la A.), ai fini di dotarsi di beni salvavita destinati agli ospedali durante le prime cruciali fasi della pandemia da Covid-19, tale approvazione non era necessaria".

Inoltre, l'Ufficio non avrebbe tenuto conto del fatto che l'art. 74, Reg Ue 1186/2009 escludeva la tassazione doganale, in caso di situazioni emergenziali, per "le merci importate per la libera pratica dalle unità di pronto soccorso per far fronte alle proprie necessità per tutta la durata del loro intervento", senza tuttavia prevedere eccezioni o subordinare l'approvvigionamento degli ospedali e delle strutture di pronto soccorso a una preliminare valutazione di un Ente terzo come l'INAIL.

Al termine dell'udienza di discussione, in cui le parti hanno sinteticamente ribadito le proprie argomentazioni, il Collegio, stante la novità e complessità delle questioni trattate, si è riservato la decisione poi assunta nel corso della camera di consiglio del 13 febbraio 2023.


Motivi della decisione


(A) Con il presente ricorso l'AZIENDA S. DELL'ALTO ADIGE (A.) ha impugnato l'avviso di accertamento suppletivo e di rettifica, prot. n. (...) del 15/09/2021, relativo a dazi e IVA, e l'atto di contestazione di sanzione amministrativa n. (...), prot. n. (...) del 16/09/2021, entrambi notificati in data 21/09/2021 dall'AGENZIA DELLE ACCISE, DOGANE E MONOPOLI, a mezzo dei quali la ricorrente è stata invitata: (a) a corrispondere entro il termine di 10 giorni dalla notifica le maggiori somme dovute per diritti doganali (dazio e Iva) pari ad Euro 2.439.675,37, oltre all'importo di Euro 122.350,22, a titolo di interessi maturati, e a Euro 8,75 per spese postali; (b) a pagare la entro 60 giorni ed in forma agevolata la sanzione di Euro 30.000,00, rispetto ad un importo effettivo della sanzione determinato in Euro 90.000,00.

(B) Il ricorso è fondato per le ragioni che seguono.

(B.1) In via preliminare, stante la particolarità della vicenda, appare quanto mai opportuno definire il quadro storico-normativo in cui devono essere contestualizzati i fatti di causa.

(B.1.1) In seguito alla comparsa in Cina dell'epidemia (successivamente classificata come pandemia dall'OMS nel marzo 2020) da virus SARS-CoV-2 (chiamato anche COVID-19) e ai "rischi per la pubblica e privata incolumità connessi ad agenti virali trasmissibili, che stavano interessando anche l'Italia", con Delib. del Consiglio dei Ministri 31 gennaio 2020 (v. G.U. n. 26 dell'1/02/2020) veniva dichiarato per sei mesi (termine poi via via prorogato) lo stato di emergenza di rilievo nazionale, situazione che legittimava il Presidente del Consiglio dei ministri, anche per il tramite del Capo del Dipartimento della protezione civile (CDPC), ad adottare ordinanze, da emanarsi eventualmente in deroga a ogni disposizione vigente e nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico, per l'attuazione degli interventi indicati dal D.Lgs. 2 gennaio 2018, n. 1 (Codice della protezione civile), tra cui anche quelli diretti "all'organizzazione ed all'effettuazione degli interventi di soccorso e assistenza alla popolazione interessata dall'evento" (v. art. 25, comma 1, lett. a).

Così, mentre il Ministero della salute poneva in essere una prima serie di misure profilattiche presso i maggiori aeroporti nazionali (v. ordinanza 25 gennaio 2020 in G.U. n. 21 del 27 gennaio 2020), arrivando ad interdire il traffico aereo dalla Cina (v. ordinanza 30 gennaio 2020 in G.U. n. 26 del 1 febbraio 2020), il CDPC emanava l'ordinanza n. 630 del 3 febbraio 2020 (v. G.U. n. 32 dell'8 febbraio 2020), recante "primi interventi urgenti di protezione civile in relazione all'emergenza relativa al rischio sanitario connesso all'insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili".

Con il menzionato provvedimento il CDPC si attribuiva "il coordinamento degli interventi necessari, avvalendosi del medesimo Dipartimento, delle componenti e delle strutture operative del Servizio nazionale della protezione civile, nonché di soggetti attuatori, individuati anche tra gli enti pubblici economici e non economici e soggetti privati, che avrebbero dovuto agire sulla base di specifiche direttive, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica" (art. 1, comma 1, ord. n. 630/2020).

In particolare, il CDPC, "per il tramite dei soggetti di cui al comma 1", avrebbe avuto il compito di coordinare la realizzazione degli interventi finalizzati, tra le altre cose, "all'acquisizione di ... dispositivi medici, di protezione individuale, ... anche per il tramite dei soggetti attuatori di cui al comma 1, alla requisizione di beni mobili, mobili registrati e immobili, anche avvalendosi dei prefetti territorialmente competenti, nonché alla gestione degli stessi assicurando ogni forma di assistenza alla popolazione interessata" (art. 1 ord. n. 630/2020).

Al fine di realizzare, snellendole, le attività di cui alla predetta ordinanza, "il Capo del Dipartimento della protezione civile e gli eventuali soggetti attuatori dal medesimo individuati" venivano autorizzati a "provvedere, sulla base di apposita motivazione, in deroga" a numerose disposizioni di legge, specificamente individuate, tra cui anche diverse norme dettate in materia di contratti pubblici (art. 3 ord. n. 630/2020).

Inoltre, "al fine di fornire il necessario supporto ai soggetti preposti a fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19", veniva istituito, presso il Dipartimento della protezione civile, un Comitato tecnico-scientifico (CTS) costituito, in considerazione del ruolo istituzionale ricoperto, da vari componenti ed esperti, e segnatamente: dal "presidente del Consiglio superiore di sanità del Ministero della salute con funzioni di coordinatore del comitato"; dal "presidente dell'Istituto superiore di sanità - con funzioni di portavoce del comitato"; da un "avvocato dello Stato, Capo del Dipartimento per il coordinamento amministrativo della Presidenza del Consiglio dei ministri, con funzioni di segretario verbalizzante"; da un "rappresentante indicato dalla Conferenza delle regioni e province autonome"; dal "presidente del Comitato etico dell'Istituto nazionale per le malattie infettive "Lazzaro Spallanzani""; dal "dirigente medico della Polizia di Stato, esperto di medicina delle catastrofi in rappresentanza del Dipartimento della protezione civile"; dal "direttore scientifico dell'Istituto nazionale per le malattie infettive "Lazzaro Spallanzani""; dal "presidente dell'Agenzia italiana del farmaco, AIFA"; dal "direttore generale della prevenzione sanitaria del Ministero della salute"; da un "esperto informatico analisi previsionali"; da un "esperto epidemiologico" e dal direttore del "Covid Crisis Lab" dell'Università Bocconi (art. 2 ord. n. 630/2020).

A tale riguardo, costituisce fatto notorio come, soprattutto nel primo anno dell'emergenza, il CTS, attraverso i suoi pareri tecnici (i cui verbali sono pubblicati sul sito istituzionale del Dipartimento della protezione civile in virtù del D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33), abbia svolto un imprescindibile ruolo di supporto per il Presidente del Consiglio dei ministri, il Dipartimento della protezione civile e tutti i numerosi soggetti attuatori coinvolti nella lotta alla pandemia.

Ad ogni modo, in questa primissima fase dell'emergenza (il che spiega, in parte, il perché il successivo evolversi degli eventi abbia colto molti operatori impreparati ad affrontarla) una convinzione diffusa era quella che le misure di contenimento nel frattempo adottate presso le frontiere (interdizione del traffico aereo con la Cina e controllo sanitario dei passeggeri) potessero sortire l'effetto di evitare il diffondersi del virus nel Paese. Tanto più, occorre aggiungere, che lo stesso giorno in cui il CDPC adottava l'ordinanza n. 630/2020 il Ministero della salute, nel fornire indicazioni per gli operatori dei servizi/esercizi a contatto con il pubblico, diffondeva una circolare (inviata, tra l'altro, anche agli assessorati alla sanità delle Province autonome di T. e di Bolzano) in cui si affermava che, "come riportato dal Centro Europeo per il Controllo delle Malattie, la probabilità di osservare casi a seguito di trasmissione interumana all'interno dell'Unione Europea è stimata da molto bassa a bassa, se i casi vengono identificati tempestivamente e gestiti in maniera appropriata", aggiungendo che "le misure devono tener conto della situazione di rischio che, come si evince dalle informazioni sopra riportate, nel caso in esame è attualmente caratterizzata in Italia dall'assenza di circolazione del virus enfasi aggiunta" (cfr. circolare del Ministero della salute, Direzione Generale della prevenzione sanitaria, n. prot. (...) del 3 febbraio 2020, pubblicata ai sensi dell'art. 12, comma 1, D.Lgs. n. 33 del 2013 sul sito istituzionale del Ministero della salute).

Tuttavia, come noto, la situazione in Italia era destinata a precipitare improvvisamente tra il 21 e 22 febbraio 2020, con la scoperta dei primi focolai del virus in alcune zone della Lombardia e del Veneto, tanto che, con D.L. 23 febbraio 2020, n. 6 (Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19), venivano poste le prime basi normative per il c.d. lockdown (declinato, con varie sfumature, nella progressiva chiusura e interdizione di tutte le attività economiche e sociali e nel confinamento delle persone all'interno di aree ben determinate), affidandosi ad una sequenza normativa e amministrativa che muoveva dall'introduzione, da parte di atti aventi forza di legge, di misure di quarantena e restrittive, per culminare nel dosaggio di queste ultime, nel tempo e nello spazio, e a seconda dell'andamento della pandemia, da parte di decreti del Presidente del Consiglio dei ministri (cfr. artt. 1, 2 e 3 del D.L. n. 6 del 2020, poi abrogato e sostituito dal D.L. n. 19 del 2020 e dal D.L. n. 33 del 2020, con i quali tale sequenza ha trovato ulteriore specificazione; cfr., sul punto, Corte costituzionale, sentenze n. 37 del 2021 e n. 198 del 2021).

A fronte dell'improvviso peggioramento della situazione e della contestuale crescente penuria dei necessari dispositivi medici e di protezione individuale necessari ad affrontarla il CDPC emanava dapprima l'ordinanza n. 638 del 22 febbraio 2020 (Gazz. Uff. 26 febbraio 2020, n. 48), con cui, "ai fini dell'acquisizione di lavori, servizi e forniture, strettamente connessi alle attività di cui all'ordinanza n. 630", si autorizzava l'affidamento di tali forniture senza previa pubblicazione del bando, "senza previa consultazione di operatori economici e con la procedura di cui all'art. 63, comma 2, lettera c) in deroga al comma 6 del medesimo art. 63, effettuando le verifiche circa il possesso dei requisiti, secondo le modalità descritte all'art. 163, comma 7, del D.Lgs. n. 50 del 2016 e determinando il corrispettivo delle prestazioni ai sensi dei commi 3 e 9 del medesimo art. 163".

Successivamente, con ordinanza n. 639 del 25 febbraio 2020 (Gazz. Uff. 26 febbraio 2020, n. 48), il CDPC conferiva la massima priorità all'acquisto di dispositivi di protezione individuale (art. 1), autorizzando il Dipartimento della protezione civile e i soggetti attuatori a "corrispondere al fornitore l'anticipazione del prezzo fino alla misura del cinquanta per cento del valore del contratto anche in assenza della costituzione di garanzia fidejussoria bancaria o assicurativa ivi prevista, ovvero anche in misura superiore al cinquanta per cento ove necessario previa adeguata motivazione" (art. 3). A tale riguardo, poi, il CDPC precisava con ordinanza n. 641 del 28 febbraio 2020 (Gazz. Uff. 28 febbraio 2020, n. 50) che "i dispositivi di protezione individuale acquistati ai sensi dell'ordinanza del Capo del Dipartimento della protezione civile n. 639 del 25 febbraio 2020 avrebbero dovuto essere destinati, in via prioritaria, al personale sanitario" (art. 2). In pratica, con l'ordinanza n. 630 del 2020, come successivamente modificata con le successive ordinanze n. 639 e n. 641 del 2020, il CDPC, tra le altre cose, adottava provvedimenti idonei a rendere quanto più snelle e veloci le procedure di approvvigionamento dei dispositivi medici e di protezione individuale necessari - soprattutto sul versante del sistema sanitario - a fronteggiare l'epidemia da COVID-19.

Peraltro, la piena corrispondenza di tali provvedimenti con l'ordinamento comunitario sarebbe stata successivamente certificata dalla comunicazione 2020/C 108 I/01 del 1 aprile 2020 della stessa Commissione europea, recante "Orientamenti della Commissione europea sull'utilizzo del quadro in materia di appalti pubblici nella situazione di emergenza connessa alla crisi della Covid-19" e pubblicata sulla Gazzetta ufficiale dell'Unione europea dell'1/04/2020.

Invero, in tale comunicazione la Commissione europea, preso atto che "la crisi sanitaria causata dalla Covid-19 richiedeva soluzioni rapide e intelligenti, come pure agilità nella gestione dell'enorme aumento della domanda di beni e servizi simili, che si verificava proprio nel momento in cui determinate catene di approvvigionamento erano interrotte", riconosceva espressamente come "gli acquirenti pubblici degli Stati membri si trovassero in prima linea per quanto riguardava la maggior parte di questi beni e servizi, dovendo essi garantire la disponibilità dei dispositivi di protezione individuale quali mascherine e guanti protettivi, dispositivi medici, in particolare ventilatori polmonari, altre forniture mediche, ma anche di infrastrutture ospedaliere e informatiche, solo per fare alcuni esempi.". Per tale ragione essa forniva una serie di utili indicazioni, sottolineando in particolare come "la procedura negoziata senza previa pubblicazione consentisse agli acquirenti pubblici di acquistare forniture e servizi entro il termine più breve possibile. Come stabilito all'articolo 32 della direttiva 2014/24/UE ("la direttiva"), tale procedura consentiva agli acquirenti pubblici di negoziare direttamente con i potenziali contraenti e non erano previsti obblighi di pubblicazione, termini, numero minimo di candidati da consultare o altri obblighi procedurali. Nessuna fase della procedura era disciplinata a livello dell'UE. Questo significava, nella pratica, che le autorità potevano agire il più rapidamente possibile, nei limiti di quanto tecnicamente/fisicamente realizzabile, e la procedura poteva costituire, di fatto, un'aggiudicazione diretta, soggetta unicamente ai vincoli fisici/tecnici connessi all'effettiva disponibilità e rapidità di consegna.".

Ad ogni modo, dopo avere predisposto la cornice normativa all'interno della quale operare con la necessaria speditezza, con una serie di decreti emanati in data 27 febbraio 2020 il CDPC, di intesa con questi ultimi, deliberava di coinvolgere i Presidenti delle Regioni e Province autonome direttamente nella catena di approvvigionamento delle merci necessarie ad affrontare l'emergenza COVID-19 nominandoli "soggetti attuatori".

In tal modo, il Presidente della Provincia autonoma di Bolzano, "al fine di assicurare il più efficace coordinamento delle attività poste in essere dalle strutture della Provincia autonoma di Bolzano competenti nei settori della protezione civile e della sanità per la gestione dell'emergenza indicata in premessa", veniva "nominato soggetto attuatore ai sensi dell'articolo 1, comma 1, dell'ordinanza del Capo del Dipartimento della protezione civile n. 630 del 3 febbraio 2020." (v. decreto CDPC d.d. 27/02/2020, pubblicato sul sito istituzionale del Dipartimento della Protezione civile). In tale veste il Presidente della Provincia autonoma/Soggetto attuatore avrebbe potuto/dovuto operare "in stretto raccordo con la struttura di coordinamento del Dipartimento della Protezione civile attivata per la gestione dell'emergenza", nonché "avvalersi delle deroghe di cui all'articolo 3 dell'ordinanza del Capo del Dipartimento della protezione civile n. 630 del 3 febbraio 2020 e successive ordinanze al fine di assicurare la più tempestiva conclusione dei procedimenti".

Come mossa successiva, alla luce dell'oggettiva impossibilità per la produzione nazionale di soddisfare la crescente domanda interna di dispositivi di protezione individuale (tra cui le mascherine filtranti FFP2 e FFP3) e di dispositivi medici (tra cui le mascherine chirurgiche) il Governo, consapevole che la necessità di approvvigionamento del settore sanitario avrebbe costretto ad operare massicci acquisti da Paesi extraeuropei (in primis dalla Cina), con l'art. 34 del D.L. 2 marzo 2020, n. 9 (Misure urgenti di sostegno per famiglie, lavoratori e imprese connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19), rubricato "Disposizioni finalizzate a facilitare l'acquisizione di dispositivi di protezione e medicali", emetteva le seguenti tre norme di carattere eccezionale:

"1. Il Dipartimento della protezione civile e i soggetti attuatori individuati dal Capo del dipartimento della protezione civile fra quelli di cui all'ordinanza del medesimo in data 3 febbraio 2020 n. 630, sono autorizzati, nell'ambito delle risorse disponibili per la gestione dell'emergenza, fino al termine dello stato di emergenza di cui alla Delib. del Consiglio dei ministri in data 31 gennaio 2020, ad acquisire dispositivi di protezione individuali (DPI) come individuati dalla circolare del Ministero della salute n. 4373 del 12 febbraio 2020 e altri dispositivi medicali, nonché a disporre pagamenti anticipati dell'intera fornitura, in deroga al D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50.

2. In relazione all'emergenza di cui al presente decreto, fino al termine dello stato di emergenza di cui alla Delib. del Consiglio dei ministri in data 31 gennaio 2020, è consentito l'utilizzo di dispositivi di protezione individuali di efficacia protettiva analoga a quella prevista per i dispositivi di protezione individuale previsti dalla normativa vigente. L'efficacia di tali dispositivi è valutata preventivamente dal Comitato tecnico scientifico di cui all'articolo 2 dell'ordinanza del Capo del Dipartimento della protezione civile del 3 febbraio 2020, n. 630.

3. In relazione all'emergenza di cui al presente decreto, in coerenza con le linee guida dell'Organizzazione Mondiale della Sanità e in conformità alle attuali evidenze scientifiche, è consentito fare ricorso alle mascherine chirurgiche, quale dispositivo idoneo a proteggere gli operatori sanitari; sono utilizzabili anche mascherine prive del marchio CE previa valutazione da parte dell'Istituto Superiore di Sanità.".

Passando ad esaminare nel dettaglio il significato e il peso specifico delle novità introdotte con tale disposizione, con la prima delle suddette tre norme (art. 34, comma 1) il Governo autorizzava in via eccezionale il Dipartimento della Protezione civile e i soggetti attuatori (tra i quali dal 27/02/2020 era annoverabile anche il Presidente della Provincia autonoma di Bolzano) ad acquistare DPI e dispositivi medicali agendo in totale deroga rispetto alle regole dettate in materia di contratti pubblici dal D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (una situazione, come visto, comunque compatibile con l'ordinamento comunitario) e a disporre pagamenti anticipati dell'intera fornitura.

In particolare, tale ultima eccezionale previsione (possibilità di disporre pagamenti anticipati di tutta la fornitura), pur esponendo i soggetti pubblici acquirenti ad un elevato rischio di truffe o di frodi (in pratica si era costretti a pagare merce proveniente dall'estero senza garanzie bancarie o fideiussorie sul punto v. anche ordinanza CDPC n. 639/2020, sotto la pressione dello stato di necessità e a scatola chiusa) si spiegava con il fatto che, alla luce dell'agguerrita competizione internazionale tra Paesi, i fornitori esteri pretendevano il pagamento anticipato dell'intera merce prima di dare il via libera alla spedizione.

Sotto quest'ultimo profilo giova altresì richiamare quanto disposto pochi giorni dopo con l'art. 11 del D.L. 9 marzo 2020, n. 14 (Disposizioni urgenti per il potenziamento del Servizio sanitario nazionale in relazione all'emergenza COVID-19), rubricato "Misure di semplificazione per l'acquisto di dispositivi medici", in cui si stabiliva che, "al fine di conseguire la tempestiva acquisizione dei dispositivi di protezione individuale e medicali necessari per fronteggiare l'emergenza epidemiologica COVID-19 di cui alla delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020, il Dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei ministri era autorizzato all'apertura di apposito conto corrente bancario per consentire la celere regolazione delle transazioni che richiedono il pagamento immediato o anticipato delle forniture" (comma 1).

Inoltre, con la medesima disposizione di legge, alla luce degli ineliminabili rischi di truffe o frodi o comunque di scelte amministrative che potevano esporre la pubblica amministrazione a possibili nocumenti finanziari (ed esempio, per l'acquisto di merci rivelatisi poi diverse da quelle promesse o comunque inadatte allo scopo) il Legislatore - impregiudicata restando ogni azione civile (per inadempimento contrattuale) o penale (per truffa o frode nelle pubbliche forniture) a tutela delle ragioni dell'Erario - adottava una norma di garanzia per chi era chiamato ad operare in una tale situazione emergenziale, disponendo che "in relazione ai contratti relativi all'acquisto dei dispositivi di cui al comma 1, nonché per ogni altro atto negoziale conseguente alla urgente necessità di far fronte all'emergenza di cui allo stesso comma 1, posto in essere dal Dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei ministri e dai soggetti attuatori ... la responsabilità contabile e amministrativa è comunque limitata ai soli casi in cui sia stato accertato il dolo del funzionario o dell'agente che li ha posti in essere o che vi ha dato esecuzione. Gli atti di cui al presente comma sono immediatamente e definitivamente efficaci, esecutivi ed esecutori, non appena posti in essere" (comma 3) N.B.: le norme contenute nell'art. 11 del D.L. n. 14 del 2020, rimaste in vigore dal 10/03/2020 al 29/04/2020, sono successivamente confluite, con la medesima formulazione, nell'art. 5-quater del D.L. n. 18 del 2020, inserito dalla legge di conversione 24 aprile 2020, n. 27, ed entrato in vigore a partire dal 30/04/2020.

Tornando ora all'art. 34 sopra citato, con la seconda delle norme in esso contenute (art. 34, comma 2) il Governo autorizzava, in via eccezionale e in ragione dell'emergenza sanitaria, l'impiego (soprattutto in ambito ospedaliero v. sul punto anche ordinanza CDPC n. 641/2020) di DPI aventi efficacia protettiva analoga a quella prevista per i dispositivi di protezione individuale previsti dalla normativa vigente. Tuttavia, "l'efficacia di tali dispositivi avrebbe dovuto essere valutata preventivamente" dal CTS di cui all'articolo 2 dell'ordinanza del Capo del Dipartimento della protezione civile del 3 febbraio 2020, n. 630.

In altre parole, consapevoli che i DPI prodotti in Europa o comunque conformi alle normative europee rischiavano di diventare introvabili, il Governo - su evidente input della Protezione civile - decideva di ammettere l'acquisto e la distribuzione (da parte del Dipartimento della Protezione civile e dei Soggetti attuatori) di DPI confezionati in altre parti del mondo seguendo standard tecnici ovviamente diversi da quelli concepiti dalle competenti Autorità dell'Unione europea. Così, ad esempio, se il riferimento tecnico-normativo per le c.d. mascherine filtranti facciali ("Filtering Face Piece" o FFP) prodotte e/o distribuite in Europa era necessariamente la EN149-2001, aggiornata nel 2009, la normativa di riferimento per le analoghe mascherine N95 americane era la NIOSH-42CFR84, mentre le mascherine filtranti facciali KN95 venivano prodotte e certificate nella Repubblica Popolare Cinese in base agli standard imposti dal regolamento GB2626-2006.

L'unica condizione imposta dalla norma per l'utilizzo di tali tipologie di DPI era costituita dalla previa valutazione di una loro "efficacia protettiva analoga" (rispetto ai DPI prodotti secondo le normative europee) da parte del CTS, istituito dal CDPC ed operante presso lo stesso Dipartimento di protezione civile.

Ovviamente, trattandosi - nel caso del CTS - di un organismo tecnico composto per lo più da dirigenti di vari istituti statali o parastatali (tra i quali, ad esempio un Avvocato dello Stato) e dovendo i predetti pareri essere rilasciati nel più breve tempo possibile (cfr. verbale CTS d.d. 10/03/2020, in cui tale organismo, dopo essersi strutturato in gruppi di lavoro "al fine di ottimizzare e rendere più celeri le procedure relative alle richieste di pareri su dispositivi di protezione e medicali, previste ex art. 34 del D.L. 02 marzo 2020, n. 9", disponeva che "per l'urgenza con cui risulta necessario diffondere sul territorio le decisioni del CTS, i Gruppi di Lavoro risponderanno nel più breve tempo possibile, di norma, entro le 24 ore successive"), appare evidente a chiunque che il nulla osta tecnico rilasciato dal CTS nulla aveva a che vedere con complesse o approfondite indagini di laboratorio sui DPI da distribuire, ma si limitava ad un rapido controllo formale della documentazione tecnica prodotta dal fornitore al momento dell'acquisto.

Di qui, dunque, non solo l'ineliminabile sussistenza di un considerevole rischio di errore da parte del CTS (che non a caso pretendeva dal Governo l'adozione "di una norma di salvaguardia che tutelasse l'operato dei membri del CTS medesimo" v. verbale CTS d.d. 14/03/2020, preoccupazione tradottasi nella espressa previsione della limitazione della responsabilità amministrativa e contabile ai soli casi di dolo "per gli atti, i pareri e le valutazioni tecnico scientifiche resi dal Comitato tecnico scientifico" v. art. 122, comma 8, D.L. 17 marzo 2020, n. 18), ma altresì l'assenza di qualsivoglia ragionevole garanzia che tutti i DPI di "efficacia protettiva analoga" distribuiti dalla Protezione civile e dai Soggetti attuatori fossero privi di difetti o imperfezioni, con conseguente accresciuta necessità di una loro previa verifica de visu da parte degli operatori al momento del loro utilizzo onde scartare quelli manifestamente difettosi (precauzione, peraltro, opportuna prima dell'impiego di qualsiasi DPI).

Ad ogni modo, ciò che preme evidenziare in questa sede, è che il CTS, in data 15 marzo 2020, anche in questo caso su verosimile sollecitazione del Dipartimento della protezione civile (sul punto v. anche infra, sub B.2), rilasciava un parere in cui si affermava che "il CTS, analogamente a quanto stabilito in una precedente riunione per la certificazione non europea delle mascherine N95, sentito l'ISS, ritiene accettabile l'analogia tra la le mascherine FFP2, N95 e KN95" (v. verbale CTS d.d. 15/03/2020). In tal modo l'organismo tecnico istituito a supporto del Dipartimento della protezione civile e dei soggetti attuatori altro non faceva che recepire le indicazioni dell'Organizzazione Mondiale della sanità (OMS), che, in una sua raccomandazione del 27 febbraio 2020 circa la razionalizzazione dell'uso DPI (sempre più difficili da reperire sul mercato internazionale), partiva dalla premessa di una sostanziale equiparazione tra le FFP2, le N95 e le altre mascherine ad esse equivalenti ("N95, FFP2 or equivalent standard", in Interim Guidance d.d. 27/02/2020 relativa a "Rational use of personal protective equipment for coronavirus disease 2019 (COVID-19)")

Tornando a questo punto all'esame dell'art. 34 del D.L. n. 9 del 2020, la terza delle norme in esso contenuta (art. 34, comma 3), adottata "in coerenza con le linee guida dell'Organizzazione Mondiale della Sanità e in conformità alle attuali evidenze scientifiche", apriva di fatto alla possibilità di "fare ricorso alle mascherine chirurgiche, quale dispositivo idoneo a proteggere gli operatori sanitari", precisando, inoltre, che a tal fine potevano essere impiegate anche "mascherine prive del marchio CE previa valutazione da parte dell'Istituto Superiore di Sanità".

Per comprendere il significato di tale norma, figlia dello stato di necessità in cui versava in quel preciso momento storico il sistema sanitario nazionale, occorre sottolineare come la sua adozione fosse diretta a dirimere i dubbi etico-giuridici sollevati pochi giorni prima dalla Regione Lombardia, in cui gli ospedali erano sempre più spesso costretti a distribuire agli operatori sanitari mascherine chirurgiche in luogo dei prescritti DPI (cfr. verbale CTS d.d. 29/02/2020, in cui si legge che "Il CTS prende atto della richiesta della Regione Lombardia pervenuta all'ISS e trasmessa in data odierna al CTS stesso (e-mail in Allegato 1), tesa a valutare l'appropriatezza dell'uso delle mascherine chirurgiche per gli operatori sanitari, oltre che per i pazienti, in mancanza di modelli FFP3 e FFP2. In proposito il CTS, presa visione del documento dell'OMS "Rational use of personal protective equipment for coronavirus disease (COVID-19): interim guidance" del 27 febbraio 2020, osserva che tale documento indica diverse tipologie di dispositivi di protezione in diverse procedure e per diverse tipologie di operatori sanitari.").

In particolare, la portata dirompente di tale prescrizione normativa era costituita dal fatto che in tal modo il Legislatore - con il chiaro intento di legittimare condotte altrimenti vietate dall'ordinamento e limitatamente alle impellenti e non rinviabili necessità del sistema sanitario nazionale - elevava al rango delle FFP2 o FFP3 delle assai più semplici mascherine chirurgiche, aventi finalità e disciplina assai diverse rispetto ai predetti DPI.

Invero, mentre le mascherine chirurgiche avevano la funzione di evitare che chi le indossava contaminasse l'ambiente, limitando la trasmissione di agenti infettivi, e ricadevano nell'ambito dei dispositivi medici (DM) di cui al D.Lgs. 24 febbraio 1997, n. 46 (con cui era stata recepita in Italia la Direttiva 90/385/CEE), le mascherine FFP2 e FFP3, dette anche "facciali filtranti", perseguivano la diversa funzione di proteggere chi le indossava dagli agenti esterni e rientravano nel novero dei DPI, di cui al D.Lgs. 4 dicembre 1992, n. 475 e al regolamento (UE) 2016/42 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016.

Peraltro, al fine di meglio cogliere lo stato di grave emergenza in cui versava il Paese in quella precisa fase storica, appare opportuno evidenziare come in data 16 marzo 2020 il CDPC fosse giunto persino a chiedere al CTS se fosse possibile autorizzare il "riuso dei dispositivi FFP2 e FFP3", notoriamente utilizzabili di regola solo una volta e per un limitato numero di ore (cfr. verbale CTS d.d. 16/03/2020, in cui si legge: "Il Capo Dipartimento Borrelli e il Commissario Arcuri comunicano al CTS che, per la grave carenza di approvvigionamento dell'offerta delle mascherine FFP2 e FFP3 sul mercato mondiale, si rende necessario esplorare la ricerca di meccanismi o procedure di "risanitizzazione" delle mascherine FFP2 e FFP3 monouso ad uso medico, nelle more di una celere riconversione industriale nazionale, ovvero di un approvvigionamento congruo bastevole per le necessità attuali.

Viene messa in evidenza la perplessità circa il "riuso" delle mascherine già usate dagli operatori sanitari dal punto di vista della sicurezza e delle implicazioni pratiche ed etiche per le possibili conseguenze sugli operatori; nella contingenza epidemiologica attuale, il CTS non suggerisce, al momento, il ricorso a tali potenziali procedure, rimandando, comunque, al costituendo gruppo di lavoro sui "dispositivi di protezione" ogni possibile approfondimento in tal senso.").

Esaurita la disamina dell'art. 34 del D.L. n. 9 del 2020 N.B.: le norme contenute nell'art. 34 del D.L. n. 9 del 2020, rimaste in vigore dal 02/03/2020 al 29/04/2020, sono successivamente confluite, con la medesima formulazione, nell'art. 5-bis del D.L. n. 18 del 2020, inserito dalla legge di conversione 24 aprile 2020, n. 27, ed entrato in vigore a partire dal 30/04/2020, occorre a questo punto aggiungere che nel sopra descritto contesto emergenziale, caratterizzato dalla volontà del Legislatore di rendere quanto più rapido possibile l'approvvigionamento di DPI e DM in favore degli operatori sanitari, le Autorità italiane - riaperto il traffico aereo con la Cina per consentire l'atterraggio dei soli cargo contenenti le merci donate o acquistate (v. ordinanza del Ministero della salute 14 marzo 2020 in G.U. n. 74 del 21 marzo 2020) - attuavano ulteriori misure volte ad accelerare le procedure doganali.

In particolare, una prima misura di carattere immediato veniva adottata dal Ministro della salute con l'ordinanza 15 marzo 2020, pubblicata nella Gazz. Uff. 21 marzo 2020, n. 74, e recante "Disposizioni urgenti per l'importazione di strumenti e apparecchi sanitari, dispositivi medici e dispositivi di protezione individuale", in cui, all'articolo 1, si disponeva che "per la durata dello stato di emergenza, indicato in premessa, ai fini dell'importazione di strumenti e apparecchi sanitari, nonché di dispositivi medici e dispositivi di protezione individuale, non aventi alcun intento di carattere commerciale, destinati, in ragione dell'emergenza epidemiologica, ad enti sanitari, servizi ospedalieri ed istituti di ricerca medica, donati o acquistati dallo Stato, dalle Regioni o dagli enti del Servizio sanitario nazionale, le operazioni di controllo sono effettuate anche nelle more del versamento previsto per il rilascio del nulla osta sanitario da parte del competente USMAF".

Contemporaneamente, sempre nell'ottica di un'accelerazione delle pratiche doganali, veniva dato avvio alle necessarie interlocuzioni con le Autorità comunitarie al fine di ottenere il riconoscimento di un'esenzione dai dazi e dall'IVA di tutte le merci importate al fine di fronteggiare la pandemia da COVID-19. Invero, per aiutare le vittime di catastrofi, la vigente legislazione dell'UE disponeva di strumenti eccezionali che potevano essere impiegati per far fronte alla crisi sanitaria senza precedenti causata dal coronavirus.

In particolare, la legislazione doganale dell'UE, e segnatamente il regolamento (CE) n. 1186/2009 del Consiglio relativo alla fissazione del regime comunitario delle franchigie doganali, contemplava la possibilità di concedere un'esenzione dai dazi "a favore delle vittime di catastrofi". Tale esenzione poteva essere applicata alle importazioni da parte di organizzazioni pubbliche o di organizzazioni di beneficienza autorizzate.

Nel dettaglio, l'art. 74 del Regolamento n. 1186/2009 disponeva come segue:

"1. Fatti salvi gli articoli da 75 a 80, sono ammesse in franchigia dai dazi all'importazione le merci importate da enti statali o da altri enti a carattere caritativo o filantropico autorizzati dalle autorità competenti

a) per essere distribuite gratuitamente alle vittime di catastrofi che colpiscono il territorio di uno o più Stati membri;

b) per essere messe gratuitamente a disposizione delle vittime di dette catastrofi pur restando proprietà degli enti considerati.

2. Sono anche ammesse al beneficio della franchigia di cui al paragrafo 1, alle stesse condizioni, le merci importate per la libera pratica dalle unità di pronto soccorso per far fronte alle proprie necessità per tutta la durata del loro intervento."

A sua volta l'art. 76 del Regolamento n. 1186/2009 precisava:

"La concessione della franchigia è subordinata a una decisione della Commissione, che delibera su domanda dello Stato membro o degli Stati membri interessati con procedura d'urgenza comportante la consultazione degli altri Stati membri. Se necessario, tale decisione fissa la portata e le condizioni di applicazione della franchigia.

In attesa che la decisione della Commissione sia loro notificata, gli Stati membri colpiti da una catastrofe possono autorizzare l'importazione delle merci per gli scopi previsti dall'articolo 74 sospendendo i relativi dazi all'importazione, con l'impegno dell'ente importatore di pagarli qualora la franchigia non fosse concessa".

Parimenti, la legislazione dell'UE in materia di IVA, e segnatamente la direttiva 2009/132/CE del Consiglio, contemplava anch'essa disposizioni analoghe relative all'esenzione dall'IVA di talune importazioni definitive di beni.

In particolare, l'art. 51 della direttiva 2009/132/CE - con disposizione di carattere adeguatamente dettagliato e quindi direttamente applicabile (cfr. su punto l'autorizzazione doganale d.d. 23/03/2020, sub all. 4 al ricorso) - disponeva quanto segue:

"Fatti salvi gli articoli da 52 a 57, sono ammessi in esenzione i beni importati da enti statali o da altri enti a carattere caritativo o filantropico, autorizzati dalle autorità competenti, per essere:

a) distribuiti gratuitamente alle vittime di catastrofi che colpiscano il territorio di uno o più Stati membri;

b) messi gratuitamente a disposizione delle vittime di dette catastrofi pur restando proprietà degli enti considerati.

Sono parimenti ammessi al beneficio dell'esenzione, alle stesse condizioni, i beni importati dalle unità di pronto soccorso per far fronte alle loro necessità per tutta la durata del loro intervento.".

A sua volta l'art. 53 della direttiva 2009/132/CE precisava:

"La concessione dell'esenzione è subordinata a una decisione della Commissione che delibera, su domanda dello Stato membro o degli Stati membri interessati, con procedura d'urgenza comportante la consultazione degli altri Stati membri. Se necessario, tale decisione fissa la portata e le condizioni di applicazione dell'esenzione.

In attesa che la decisione della Commissione sia loro notificata, gli Stati membri colpiti da una catastrofe possono autorizzare l'importazione delle merci per gli scopi previsti all'articolo 51 sospendendo la relativa IVA, con l'impegno dell'ente importatore di pagarla qualora l'esenzione non fosse concessa".

Di conseguenza, alla luce delle sopra menzionate disposizioni comunitarie e nelle more di una decisione della Commissione, l'Agenzia delle Dogane (ADM) autorizzava in via provvisoria l'importazione in esenzione dai dazi e dall'IVA delle merci atte a fronteggiare la pandemia dapprima con la Direttiva direttoriale d.d. 17/03/2020 e successivamente con Determinazione direttoriale 27 marzo 2020, n. 101115/RU, pubblicata nel sito internet dell'Agenzia delle dogane e dei Monopoli il 27 marzo 2020, ai sensi del comma 361 dell'art. 1, L. 24 dicembre 2007, n. 244.

In particolare, con il primo dei summenzionati provvedimenti, l'ADM "richiamava l'attenzione di tutte le strutture sulle disposizioni previste dalla normativa unionale ai fini dell'applicazione del regime delle franchigie doganali che potrebbero trovare attuazione nella situazione emergenziale in atto.

... In relazione alle importazioni di altre merci introdotte nel territorio nazionale, per fronteggiare la situazione emergenziale, da Enti statali o altri Enti a carattere caritativo o filantropico autorizzati dalle Autorità doganali, potrà darsi corso all'applicazione della franchigia dai dazi doganali in attuazione dell'art. 74 del sopra citato Regolamento. In proposito, considerato che la concessione della franchigia è subordinata all'emanazione di un'apposita Decisione della Commissione, in base al successivo articolo 76 del suddetto Regolamento, l'Ente autorizzato dall'Autorità doganale effettuerà le importazioni in sospensione dal pagamento del dazio, producendo una lettera d'impegno a corrispondere i tributi eventualmente dovuti qualora le competenti Autorità Unionali non dovessero emettere la favorevole Decisione di cui sopra e a comunicare i destinatari delle merci importate.

Con riferimento al trattamento IVA da applicarsi all'ipotesi in esame, per i casi in cui ne venga richiesta l'esenzione, sono state già attivate le competenti Amministrazioni nazionali che, nelle more della decisione di autorizzazione all'applicazione dell'esenzione IVA, ai sensi degli artt. 51 e seguenti della Direttiva 2009/132/CE, hanno chiesto a questa Agenzia di applicare la misura agevolativa in via provvisoria.

... Al fine di velocizzare le operazioni doganali dovrà essere data evidenza in dichiarazione doganale della specifica finalità della merce, indicando il codice 17YY nel campo 44 del DAU. Attraverso tale codice verrà attestato dall'operatore che trattasi di "importazione di strumenti e apparecchi sanitari, nonché di dispositivi medici e dispositivi di protezione individuale, non aventi alcun intento di carattere commerciale, destinati, in ragione dell'emergenza epidemiologica, ad enti sanitari, servizi ospedalieri ed istituti di ricerca medica, donati o acquistati dallo Stato, dalle Regioni o dagli Enti del Servizio Sanitario Nazionale (Ordinanza Ministero Salute del 15/03/2020)".

In modo ancor più incisivo, con la successiva Determinazione direttoriale 27 marzo 2020, n. 101115/RU, "fino all'emanazione della decisione della Commissione europea" l'ADM disponeva espressamente "la sospensione del dazio e dell'IVA all'importazione gravanti sulle merci, necessarie a fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19, importate da Enti o Organizzazioni di diritto pubblico e da altri Enti a carattere caritativo o filantropico, nonché sui beni importati per la libera pratica dalle Unità di pronto soccorso per far fronte alle proprie necessità per tutta la durata del loro intervento".

A sua volta, agendo nella medesima direzione, il "Commissario straordinario per l'attuazione e il coordinamento delle misure di contenimento e contrasto dell'emergenza epidemiologica COVID-19", organo istituito dall'art. 122 del D.L. 17 marzo 2020, n. 18, al fine di "attuare e sovrintendere a ogni intervento utile a fronteggiare l'emergenza sanitaria, organizzando, acquisendo e sostenendo la produzione di ogni genere di bene strumentale utile a contenere e contrastare l'emergenza stessa", adottava l'ordinanza n. 6 del 28/03/2020 (pubblicata nella Gazz. Uff. 11 maggio 2020, n. 120), in cui stabiliva che "l'Agenzia delle dogane e dei monopoli (di seguito "ADM"), nello svolgimento delle attività di propria competenza doveva provvedere, senza differimento, a porre in essere ogni azione utile al fine di consentire la celere sdoganalizzazione di tutti i dispositivi di protezione individuale (di seguito "DPI") ed in particolare i DPI di protezione via aeree FFP2, FFP3, N95, KN95 indicati nella circolare del Ministero della salute prot. 4373 del 12 febbraio 2020, nonché di beni mobili di qualsiasi genere occorrenti per fronteggiare l'emergenza COVID-19, compresi gli strumenti ed i dispositivi di ventilazioni invasivi e non invasivi" (articolo 1), precisando, altresì, che "ADM avrebbe dovuto procedere allo svincolo diretto dei DPI, con esenzione delle imposte doganali e dell'IVA, esclusivamente nei confronti delle regioni, province autonome, enti territoriali locali, pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, commi 2 e 3 del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni ed integrazioni, strutture ospedaliere pubbliche ovvero private accreditate ed inserite nella rete regionale dell'emergenza, soggetti che esercitano servizi pubblici essenziali." (articolo 2).

Quindi, su richiesta degli Stati Membri e con Decisione del 03/04/2020, n. 2020/491/UE, relativa all'esenzione dai dazi doganali all'importazione e dall'IVA concesse all'importazione delle merci necessarie a contrastare gli effetti della pandemia di Covid-19 e pubblicata nella G.U.U.E. 3 aprile 2020, n. L 103 I, la Commissione europea, dopo avere riconosciuto che "la pandemia di Covid-19 e le difficilissime sfide che comportava costituivano una catastrofe ai sensi del capo XVII, sezione C, del regolamento (CE) n. 1186/2009 e del capo 4, titolo VIII, della direttiva 2009/132/CE e che era pertanto opportuno concedere un'esenzione dai dazi doganali all'importazione applicabili alle merci importate ai fini di cui all'articolo 74 del regolamento (CE) n. 1186/2009 e un'esenzione dall'imposta sul valore aggiunto (IVA) applicabile alle merci importate ai fini di cui all'articolo 51 della direttiva 2009/132/CE" (v. considerando n. 3), stabiliva quanto segue:

"1. Le merci sono ammesse in esenzione dai dazi doganali all'importazione ai sensi dell'articolo 2, paragrafo 1, lettera a), del regolamento (CE) n. 1186/2009 e in esenzione dall'imposta sul valore aggiunto (IVA) sulle importazioni ai sensi dell'articolo 2, paragrafo 1, lettera a) della direttiva 2009/132/CE, se sono soddisfatte le seguenti condizioni:

(a) le merci sono destinate ad uno dei seguenti usi:

(i) distribuzione gratuita da parte degli enti e delle organizzazioni di cui alla lettera c) alle persone colpite o a rischio di contrarre la Covid-19 oppure impegnate nella lotta contro la pandemia di Covid-19;

(ii) messa a disposizione gratuita alle persone colpite o a rischio di contrarre la Covid-19 oppure impegnate nella lotta contro la pandemia di Covid-19, laddove le merci restano di proprietà degli enti e delle organizzazioni di cui alla lettera c);

(b) le merci soddisfano i requisiti di cui agli articoli 75, 78, 79 e 80 del regolamento (CE) n. 1186/2009 e agli articoli 52, 55, 56 e 57 della direttiva 2009/132/CE;

(c) le merci sono importate per l'immissione in libera pratica da o per conto di organizzazioni pubbliche, compresi gli enti statali, gli organismi pubblici e altri organismi di diritto pubblico oppure da o per conto di organizzazioni autorizzate dalle autorità competenti degli Stati membri.

2. Le merci sono inoltre ammesse in esenzione dai dazi doganali all'importazione ai sensi dell'articolo 2, paragrafo 1, lettera a), del regolamento (CE) n. 1186/2009 e in esenzione dall'IVA sull'importazione ai sensi dell'articolo 2, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2009/132/CE, se sono importate per l'immissione in libera pratica da o per conto delle unità di pronto soccorso per far fronte alle proprie necessità per tutta la durata del loro intervento in soccorso delle persone colpite o a rischio di contrarre la Covid-19 oppure impegnate nella lotta contro la pandemia di Covid-19." (articolo 1).

In altre parole, con la decisione della Commissione europea n. 491/2020 veniva definitivamente ammessa l'importazione in esenzione dai dazi doganali e dall'IVA "delle merci necessarie a contrastare gli effetti della pandemia di Covid-19" (una definizione volutamente ampia e idonea ad ricomprendere ogni genere di merce necessaria ad affrontare l'emergenza sanitaria) purché ricorressero le seguenti tre condizioni: (a) le merci dovevano essere importate o comunque destinate ad enti o organismi pubblici o da questi autorizzati (c.d. soggetti legittimati); (b) l'importazione non doveva perseguire alcuna finalità commerciale (le merci, infatti, dovevano essere distribuite o messe a disposizione a titolo gratuito); (c) le merci avrebbero potuto essere destinate solo agli usi consentiti (c.d. specificità dello scopo; ossia le merci dovevano essere destinate a persone colpite o a rischio di contrarre la Covid-19, ovvero essere impiegate per le necessità delle unità di pronto soccorso in prima linea nella lotta alla pandemia).

Nella stessa data l'ADM, preso atto della decisione resa dalla Commissione europea, adottava la Determinazione direttoriale 3 aprile 2020, n. 107042/RU, per mezzo della quale, confermata l'esenzione già accordata in via provvisoria con i provvedimenti sopra indicati, precisava che "le esenzioni ... si applicano alle merci destinate alla distribuzione gratuita nei confronti delle persone colpite dal contagio da COVID-19 ovvero esposte al rischio di contrarre la COVID-19 oppure impegnate nella lotta contro la pandemia, anche laddove le merci suddette restino nella proprietà dei soggetti che le mettono gratuitamente a disposizione, aggiungendo che tali merci, dovendo soddisfare i requisiti di cui agli articoli 75, 78, 79 e 80 del Regolamento (CE) n. 1186/2009 e agli articoli 52, 55, 56 e 57 della Direttiva 2009/132/CE, non possono essere prestate, cedute o vendute a soggetti non aventi titolo all'esenzione o non coinvolti nelle finalità di cui sopra e non possono essere destinate ad usi diversi da quelli sopra menzionati." (v. punto 2 della determinazione dir. n. 107042/RU).

Poste dunque le premesse per assicurare quanto prima al sistema sanitario nazionale i DPI e i DM necessari a fronteggiare l'immane sfida rappresentata dal COVID-19 (ulteriori norme in tale direzione avevano previsto anche il divieto di esportazione v. art. 1, comma 1, ordinanza del CDPC del 25 febbraio 2020, n. 639 e la requisizione delle merci necessarie a fronteggiare la pandemia v. art. 6 del D.L. n. 18 del 2020), un secondo obiettivo perseguito dalle Autorità nazionali era anche quello creare le condizioni per un rapido aumento della disponibilità sul mercato di DPI e DM conformi alle normative vigenti.

Tanto più che, mentre i pochi DPI e DM (anche non conformi alle normative comunitarie; v. art. 34, commi 2 e 3, D.L. n. 9 del 2020) acquisitati o requisiti dal CDPC e dai Soggetti attuatori nella primavera del 2020 erano stati necessariamente convogliati verso il sistema sanitario nazionale, principale consumatore di tali prodotti, per la restante parte della popolazione tali dispositivi risultavano di fatto difficilmente reperibili sul mercato.

Una tangibile testimonianza in tal senso era rappresentata dall'art. 16 del D.L. 17 marzo 2020, n. 18, rubricato "Ulteriori misure di protezione a favore dei lavoratori e della collettività", che, mentre al primo comma stabiliva che "per contenere il diffondersi del virus COVID-19, fino al termine dello stato di emergenza di cui alla Delib. del Consiglio dei ministri in data 31 gennaio 2020, sull'intero territorio nazionale, per i lavoratori che nello svolgimento della loro attività sono oggettivamente impossibilitati a mantenere la distanza interpersonale di un metro, sono considerati dispositivi di protezione individuale (DPI), di cui all'articolo 74, comma 1, del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, le mascherine chirurgiche reperibili in commercio, il cui uso è disciplinato dall'articolo 34, comma 3, del D.L. 2 marzo 2020, n. 9", al suo secondo comma statuiva che "ai fini del comma 1, fino al termine dello stato di emergenza di cui alla Delib. del Consiglio dei ministri in data 31 gennaio 2020, gli individui presenti sull'intero territorio nazionale sono autorizzati all'utilizzo di mascherine filtranti prive del marchio CE e prodotte in deroga alle vigenti norme sull'immissione in commercio".

In altre parole, mentre per i lavoratori del settore pubblico e privato avveniva la stessa cosa già sperimentata per gli operatori sanitari (ex art. 34, comma 3, D.L. n. 9 del 2020), ossia l'elevazione ope legis (e a dispetto delle loro reali caratteristiche) delle "mascherine chirurgiche" (semplici DM) al rango di DPI, per quanto riguarda la restante parte della popolazione si autorizzava l'utilizzo delle cosiddette "mascherine generiche", ossia di presìdi che non erano né DPI, né DM, ma che cionondimeno potevano contribuire - in quella fase di vera e propria emergenza nazionale - a "contenere il diffondersi del virus COVID-19".

Di qui l'esigenza, particolarmente avvertita dallo Stato, di adottare idonee misure volte ad assicurare al settore produttivo e imprenditoriale gli strumenti necessari per aumentare rapidamente la produzione e/o importazione, a fini commerciali, di DPI e DM conformi alle normative vigenti.

Di conseguenza, se da un lato venivano predisposti incentivi economici diretti a favorire l'ampliamento della capacità produttiva delle unità esistenti già adibite alla produzione di DM e di DPI o la riconversione di altre unità produttive (v. art. 5 D.L. n. 18 del 2020, rubricato "Incentivi per la produzione e la fornitura di dispositivi medici", e l'ord. 23/03/2020, n. 4, del Commissario straordinario per l'emergenza, recante "Agevolazioni alle imprese Emergenza COVID-19"), dall'altro lato si decideva di derogare, in via eccezionale e temporanea, al normale iter burocratico funzionale all'apposizione della marchiatura CE ai DPI e DM da immettere sul mercato, preservandone tuttavia i requisiti di sicurezza previsti dagli standard europei di riferimento per ogni singolo prodotto (standard segnatamente riconducibili al sistema di certificazione europeo EN 149-2001, aggiornato nel 2009, per le FFP2 e UNI EN 14683:2019 + AC:2019 per le mascherine chirurgiche).

Al precipuo scopo di perseguire tale finalità veniva dunque emanato l'art. 15 del D.L. 17 marzo 2020, n. 18, rubricato "Disposizioni straordinarie per la produzione di mascherine chirurgiche e dispositivi di protezione individuale", che disponeva quanto segue:

"1. Fermo quanto previsto dall'articolo 34 del D.L. 2 marzo 2020, n. 9, per la gestione dell'emergenza COVID-19, e fino al termine dello stato di emergenza di cui alla Delib. del Consiglio dei ministri in data 31 gennaio 2020, è consentito produrre, importare e immettere in commercio mascherine chirurgiche e dispositivi di protezione individuale in deroga alle vigenti disposizioni.

2. I produttori e gli importatori delle mascherine chirurgiche di cui al comma 1, e coloro che li immettono in commercio i quali intendono avvalersi della deroga ivi prevista, inviano all'Istituto superiore di sanità una autocertificazione nella quale, sotto la propria esclusiva responsabilità, attestano le caratteristiche tecniche delle mascherine e dichiarano che le stesse rispettano tutti i requisiti di sicurezza di cui alla vigente normativa. Entro e non oltre 3 giorni dalla citata autocertificazione le aziende produttrici e gli importatori devono altresì trasmettere all'Istituto superiore di sanità ogni elemento utile alla validazione delle mascherine chirurgiche oggetto della stessa. L'Istituto superiore di sanità, nel termine di 3 giorni dalla ricezione di quanto indicato nel presente comma, si pronuncia circa la rispondenza delle mascherine chirurgiche alle norme vigenti.

3. I produttori, gli importatori dei dispositivi di protezione individuale di cui al comma 1 e coloro che li immettono in commercio, i quali intendono avvalersi della deroga ivi prevista, inviano all'INAIL una autocertificazione nella quale, sotto la propria esclusiva responsabilità, attestano le caratteristiche tecniche dei citati dispositivi e dichiarano che gli stessi rispettano tutti i requisiti di sicurezza di cui alla vigente normativa. Entro e non oltre 3 giorni dalla citata autocertificazione le aziende produttrici e gli importatori devono altresì trasmettere all'INAIL ogni elemento utile alla validazione dei dispositivi di protezione individuale oggetto della stessa. L'INAIL, nel termine di 3 giorni dalla ricezione di quanto indicato nel presente comma, si pronuncia circa la rispondenza dei dispositivi di protezione individuale alle norme vigenti.

4. Qualora all'esito della valutazione di cui ai commi 2 e 3 i prodotti risultino non conformi alle vigenti norme, impregiudicata l'applicazione delle disposizioni in materia di autocertificazione, il produttore ne cessa immediatamente la produzione e all'importatore è fatto divieto di immissione in commercio.".

In tal modo, dunque, chi intendeva produrre, importare e immettere in commercio mascherine chirurgiche e DPI in deroga alle disposizioni vigenti poteva inviare all'ISS (per le mascherine chirurgiche) e all'INAIL (per i DPI) un'autocertificazione nella quale, sotto la propria esclusiva responsabilità, attestava le caratteristiche tecniche delle mascherine e che le stesse rispettavano tutti i requisiti di sicurezza di cui alla vigente normativa. Entro 3 giorni dall'invio dell'autocertificazione, l'ISS e l'INAIL si sarebbero dovuti pronunciare circa la rispondenza delle mascherine chirurgiche alle norme vigenti.

Si trattava, in sostanza, di una procedura di validazione straordinaria finalizzata a facilitare il reperimento in tempi brevi di questi beni e che in ogni caso non comportava una deroga agli standard di qualità e sicurezza imposti dalla normativa di riferimento, quali le norme UNI EN ISO 14683-2019 per i dispositivi medici e quelle UNI EN 149:2009 per i DPI.

Peraltro, anche in questo caso (come già visto per il CTS in relazione al controllo di cui all'art. 34, comma 2, D.L. n. 9 del 2020) tale procedura non implicava alcuna complessa indagine di laboratorio, ma solo una rapida verifica cartolare (da definire nel termine di tre giorni) della documentazione comprovante le caratteristiche di progettazione, costruzione e i metodi di prova utilizzati per garantire l'efficacia standardizzata dei DM e DPI che si intendeva produrre, importare e mettere in commercio (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, Sez. V, sent. n. 2263 del 25/02/2022, secondo cui "l'INAIL non svolge prove di laboratorio sui prodotti presentati e ... la procedura di validazione viene quindi condotta sulla base dell'autocertificazione presentata e della documentazione prodotta a corredo della stessa sotto la responsabilità del produttore e/o dell'importatore").

In ogni caso, come ben chiarito dall'incipit della disposizione in esame ("Fermo quanto previsto dall'articolo 34 del D.L. 2 marzo 2020, n. 9"), la procedura di validazione straordinaria di cui all'art. 15 D.L. n. 18 del 2020 non era destinata a sostituire, ma ad affiancarsi a quella di cui all'art. 34 D.L. n. 9 del 2020, trattandosi, nei due casi, di situazioni diverse regolate conseguentemente in modo differente sia sotto il profilo dei criteri di validazione, sia sotto quello trattamento doganale e fiscale dei DPI e DM oggetto delle due disposizioni di legge.

In particolare, per quanto riguarda l'art. 34 del D.L. n. 9 del 2020, tale disposizione perseguiva lo scopo di approvvigionare di DPI e DM il sistema sanitario nazionale nel più breve tempo possibile e in una fase in cui lo stesso risultava drammaticamente sfornito di quantitativi adeguati a fronteggiare le conseguenze della pandemia in corso (tanto che agli operatori sanitari potevano essere legittimamente distribuite mascherine chirurgiche in luogo dei prescritti DPI ex art. 34, comma 3, D.L. n. 9 del 2020). Per tale ragione il Legislatore aveva aperto alla possibilità di acquistare e conseguentemente importare e distribuire agli operatori sanitari DPI prodotti secondo sistemi di certificazione diversi da quelli vigenti nell'Unione europea (come, per esempio, nel caso delle mascherine N95 statunitensi e delle KN95 cinesi); l'unica condizione posta dalla norma (art. 34, comma 2) per l'utilizzo di tali DPI era costituita dalla necessità di una previa valutazione di una "efficacia protettiva analoga a quella prevista per i dispositivi di protezione individuale previsti dalla normativa vigente", accertamento da compiersi ad opera del CTS istituito presso il Dipartimento della Protezione civile.

Ovviamente, trattandosi di dispositivi aventi caratteristiche di progettazione, costruzione e metodi di prova diversi da quelli europei (si pensi, ad esempio, che le KN95 cinesi per corrispondere ai requisiti posti dal regolamento GB2626-2006 non dovevano essere sottoposte a test anche con olio di paraffina, un inquinante liquido impiegato invece per testare le FFP2 e FFP3 prodotti secondo standard europei), la norma in questione non aveva preteso che tali DPI rispondessero alle norme vigenti in Europa (pretesa che sarebbe stata del tutto illogica e contraddittoria), ma si era limitata a richiedere una più blanda "efficacia protettiva analoga" il cui accertamento era stato rimesso - per le cennate ragioni di urgenza e speditezza - al CTS, un organismo interno al Dipartimento della Protezione civile.

Inoltre, sotto il profilo doganale e fiscale, trattandosi di dispositivi acquistati e importati dal CDPC o da Soggetti attuatori (e quindi da soggetti pubblici) ed essendo tali merci destinate alla distribuzione gratuita in favore di persone colpite o a rischio di contrarre il Covid-19, ovvero essere ad impiegate per le necessità delle unità di pronto soccorso impegnate nella lotta alla pandemia, i DPI e i DM acquistati ai sensi dell'art. 34 D.L. n. 9 del 2020 rientravano a pieno titolo nel campo di applicazione della Decisione del 03/04/2020, n. 2020/491/UE, potendo quindi essere importati in regime di esenzione totale dai dazi e dall'IVA.

Al contrario, i DPI e i DM importati ai sensi dell'art. 15 D.L. n. 18 del 2020, essendo destinati ad essere immessi nel mercato comunitario, non solo dovevano rispondere alle norme vigenti (e dunque a conformarsi ai requisiti imposti dagli standard di certificazione europei), ma, sotto il profilo doganale e fiscale, non fruivano di alcuna agevolazione, essendo pienamente assoggettati ai dazi doganali e non fruendo, almeno sino al 19 maggio 2020, di alcuna esenzione IVA.

Invero, solamente con il D.L. 19 maggio 2020, n. 34, veniva introdotta con l'articolo 124 una disciplina IVA agevolata per l'acquisto e l'importazione dei beni considerati necessari per il contenimento e la gestione dell'emergenza epidemiologica da Covid-19, tra cui le "mascherine chirurgiche e le mascherine Ffp2 e Ffp3".

In particolare, con tale disposizione normativa veniva modificata la Tabella A, Parte II-bis allegata al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, con l'aggiunta del 1-ter.1, ai sensi del quale erano soggette all'aliquota IVA del 5 per cento le cessioni dei beni elencati dal primo comma dell'articolo 124 effettuate a decorrere dal 1 gennaio 2021. Il successivo comma 2 del medesimo articolo 124 prevedeva poi, in via transitoria e sino al 31 dicembre 2020, il riconoscimento a dette cessioni di un regime di maggior favore consistente nell'introduzione di un regime di esenzione da IVA che non pregiudicava il diritto alla detrazione in capo al soggetto passivo.

In conclusione, tirando le somme dell'intero discorso, può dunque affermarsi che nella primavera del 2020, in seguito all'improvviso scoppio della pandemia da COVID-19 e alla conseguente emergenza che gravò pesantemente sul sistema sanitario nazionale, lo Stato italiano, posto dinanzi al problema del rapido esaurimento delle scorte dei DPI e dei DM necessari a fronteggiare la situazione, si mosse in una duplice direzione:

(a) da un lato, in via immediata e con decisioni improcrastinabili, pose in essere tutte le misure possibili - attraverso divieti all'esportazione, requisizioni di materiali e acquisti effettuati in deroga alle normative vigenti - per rifornire gli operatori sanitari e coloro che si trovavano in prima linea nella lotta alla pandemia con tutti i DPI e DM reperibili sul mercato nazionale e internazionale, anche ammettendo l'utilizzo di dispositivi privi di marchiatura CE in quanto prodotti e testati secondo criteri diversi da quelli europei (in questo contesto si inseriva l'art. 34 D.L. n. 9 del 2020);

(b) da un altro lato, in una prospettiva di medio-lungo termine, pose in essere misure idonee a velocizzare e incrementare la produzione, l'importazione e la conseguente immissione sul mercato di DPI e DMI conformi agli standard europei attraverso il riconoscimento di incentivi economici per la rapida riconversione dei processi produttivi e la temporanea accelerazione dell'iter di validazione dei dispositivi in parola rispetto ai tempi assai più lunghi previsti dalla pertinente disciplina comunitaria (in questo contesto si inseriva l'art. 15 D.L. n. 18 del 2020).

Peraltro, si trattava, a ben vedere, di provvedimenti normativi comunque rispettosi della Raccomandazione della Commissione europea del 13/03/2020, n. 2020/403/UE, relativa alle procedure di valutazione della conformità e di vigilanza del mercato nel contesto della minaccia rappresentata dalla COVID-19.

Invero, con tale provvedimento, richiamato con grande enfasi dall'Amministrazione resistente nonostante il suo carattere non vincolante (cfr. art. 288, comma quinto, TFUE, secondo cui "Le raccomandazioni e i pareri non sono vincolanti"), la Commissione europea, preoccupata che nel predetto contesto emergenziale venissero messe in atto tutte le misure "per sostenere gli sforzi volti a garantire che l'offerta di DPI e di dispositivi medici in tutto il mercato dell'UE soddisfasse la domanda in continuo aumento" senza "tuttavia avere un effetto negativo sul livello generale di salute e di sicurezza e tutti i soggetti interessati", rivolgeva un appello agli Stati Membri affinché "provvedessero affinché qualsiasi DPI o dispositivo medico immesso sul mercato dell'UE enfasi aggiunta continuasse a garantire un livello adeguato di protezione della salute e della sicurezza degli utilizzatori".

A tal fine si concludeva raccomandando:

(a) che "qualora le autorità di vigilanza del mercato constatino che i DPI o i dispositivi medici garantiscono un adeguato livello di salute e di sicurezza conformemente ai requisiti essenziali stabiliti dal regolamento (UE) 2016/425 o ai requisiti di cui alla direttiva 93/42/CEE o al regolamento (UE) 2017/745, anche se le procedure di valutazione della conformità (compresa l'apposizione della marcatura CE) non sono state interamente finalizzate in conformità alle norme armonizzate, le autorità di vigilanza del mercato possono autorizzare la messa a disposizione di tali prodotti sul mercato dell'Unione per un periodo di tempo limitato mentre vengono completate le necessarie procedure" (raccomandazione non vincolante cui lo Stato italiano si conformava con l'art. 15 D.L. n. 18 del 2020);

(b) che "anche i DPI o i dispositivi medici privi della marcatura CE potrebbero essere valutati e far parte di acquisti organizzati dalle autorità competenti degli Stati membri, purché sia garantito che tali prodotti siano resi disponibili unicamente agli operatori sanitari per la durata dell'attuale crisi sanitaria e che non siano introdotti nei circuiti di distribuzione regolari e messi a disposizione di altri utilizzatori" (raccomandazione non vincolante cui lo Stato italiano si era di fatto già conformato con l'art. 34 D.L. n. 9 del 2020).

(B.1.2) Per completare il sopra descritto contesto storico-normativo in cui inserire gli eventi di causa, appare a questo punto necessario fare un rapido accenno alla particolare cornice giuridico-costituzionale, che, in provincia di Bolzano e all'epoca dei fatti, faceva da sfondo agli atti normativi statali e ai provvedimenti emergenziali sopra richiamati, condizionandone di fatto modi e tempi di attuazione.

Come noto, infatti, la Provincia autonoma di Bolzano, sulla base di alcune competenze riconosciutele dallo Statuto speciale di autonomia - v. art. 8, comma 1, n. 13 (in materia di "opere di prevenzione e di pronto soccorso per calamità pubbliche"), n. 19 (in materia di "assunzione diretta di servizi pubblici e loro gestione a mezzo di aziende speciali"), n. 25 (in materia di "assistenza e beneficenza pubblica"); art. 9, comma 1, punto 10 (in materia di "igiene e sanità, ivi compresa l'assistenza sanitaria e ospedaliera"); art. 52, comma 2 (nella parte in cui stabilisce che il Presidente della Provincia "adotta i provvedimenti contingibili ed urgenti in materia di sicurezza e di igiene pubblica nell'interesse delle popolazioni di due o più comuni"), del D.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, recante Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige - e di alcune norme di attuazione statutaria (artt. 33, 34 e 35 del D.P.R. 22 marzo 1974, n. 381) si era ritagliata un ruolo in materia di protezione civile, rispetto alle calamità che interessavano il proprio territorio, culminato nell'adozione della L. provinciale 18 dicembre 2002, n. 15, recante il "Testo unico dell'ordinamento dei servizi antincendi e per la protezione civile".

A tale riguardo, chiamata ad esprimersi a proposito della legittimità costituzionale di alcune disposizioni di tale legge provinciale, la stessa Corte costituzionale aveva riconosciuto la possibile coesistenza di una attività di protezione civile di matrice provinciale, in aggiunta a quella statale, anche all'insorgere di situazioni di danno o di pericolo che, per la loro natura ed estensione, non avrebbero potuto essere fronteggiate con l'esercizio delle competenze proprie o delegate delle province e con l'impiego delle organizzazioni di uomini e di mezzi di cui disponevano (v. CORTE COST., SENTENZA N. 321 DEL 2005).

Per tale ragione, dunque, nessuno si era sorpreso del fatto che, all'insorgere della pandemia da COVID-19, in provincia di Bolzano i cittadini fossero rimasti esposti ad un profluvio di provvedimenti emergenziali sia da parte dello Stato (a mezzo di decreti-legge e di ordinanze contingibili ed urgenti), sia da parte della Provincia, che, a soprattutto a mezzo di ordinanze contingibili ed urgenti emesse dal Presidente della Provincia, calibrava le misure da adottare in provincia di Bolzano recependo, integrando o adattando le misure statali già contenute nei vari decreti del Presidente del Consiglio dei ministri (DPCM) emessi nel corso dell'emergenza.

Del resto, a corroborare la diffusa convinzione che una tale situazione fosse compatibile con la Costituzione, contribuivano altresì le numerose clausole di salvaguardia contenute nella stessa normativa emergenziale emanata dallo Stato, in cui si disponeva l'applicazione delle regole statali anche alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di T. e di Bolzano se compatibili con le peculiarità dei rispettivi ordinamenti e ove non diversamente previsto (cfr., ex multis, art. 6 Ord. CDPC 03/02/2020, n. 630; art. 16 D.L. 9 marzo 2020, n. 14; art. 125-ter D.L. 17 marzo 2020, n. 18; art. 5, comma 2, D.L. 25 marzo 2020, n. 19).

In tale contesto, poi, in ragione della contrarietà della Provincia autonoma di Bolzano "alla proroga indifferenziata del lockdown su tutto il territorio nazionale, in quanto non adatta a tenere conto delle diverse condizioni ed esigenze di ciascun contesto regionale" (v. relazione accompagnatoria del disegno di L. provinciale n. 52 del 2020-XVI di iniziativa giuntale) si arrivava persino all'adozione della L.P. 8 maggio 2020, n. 4, recante "Misure di contenimento della diffusione del virus SARS-COV-2 nella fase di ripresa delle attività", enfaticamente pubblicizzata sui media come "la via altoatesina contro il Covid".

Tuttavia, quanto una tale situazione, caratterizzata dalla continua e incessante sovrapposizione di fonti normative di matrice statale e provinciale, fosse incompatibile con la Carta costituzionale sarebbe emerso con evidenza nel corso del 2021, alla luce di due giudizi costituzionali in occasione dei quali la Corte costituzionale aveva occasione di confrontarsi non solo con una crisi pandemica che non aveva precedenti nella storia repubblicana, ma anche sui suoi riflessi sul piano del riparto di competenze tra Stato e Regioni (anche ad autonomia differenziata).

Invero, chiamata ad esaminare la legittimità costituzionale di varie disposizioni della L.R. Valle d'Aosta 9 dicembre 2020, n. 11 (Misure di contenimento della diffusione del virus SARS-COV-2 nelle attività sociali ed economiche della Regione autonoma Valle d'Aosta in relazione allo stato d'emergenza), ispirata dai medesimi propositi perseguiti in provincia di Bolzano con la L.P. 8 maggio 2020, n. 4 (non impugnata, però, dal Governo), la Consulta aveva occasione di affermare alcuni principi importanti, ad iniziare da quello secondo il quale tutte le misure volte alla prevenzione e contenimento della crisi pandemica in corso dovevano considerarsi di competenza esclusiva statale, rientrando nell'ambito materiale della "profilassi internazionale" di cui all'art. 117, comma 2, lett. q), della Costituzione (v. CORTE COST., SENTENZA N. 37 DEL 2021).

In particolare, in tale fondamentale pronuncia il Giudice delle Leggi ricordava, innanzitutto, come la "malattia da COVID-19 fosse notoriamente presente in tutto il mondo, al punto che fin dal 30 gennaio 2020 l'Organizzazione mondiale della sanità aveva dichiarato l'emergenza di sanità pubblica di rilievo internazionale, profondendo in seguito raccomandazioni dirette alle autorità politiche e sanitarie degli Stati."

Quindi, dopo avere sottolineato come fin dagli artt. 6 e 7 della L. n. 833 del 1978, la profilassi internazionale e la "profilassi delle malattie infettive e diffusive, per le quali siano imposte la vaccinazione obbligatoria o misure quarantenarie", fossero state qualificate quali materie tra loro strettamente legate, affidate alla competenza dello Stato, la Consulta proseguiva affermando che "il nuovo art. 117, secondo comma, Cost. aveva perciò confermato, con la menzionata norma di cui alla lettera q), nella sfera della competenza legislativa esclusiva dello Stato la cura degli interessi che emergono innanzi ad una malattia pandemica di larga distribuzione geografica, ovvero tale da dover essere reputata "internazionale", sulla base della diffusività che la connota.

Né tale competenza avrebbe potuto avere tratti di trasversalità, come obiettava la difesa regionale, per inferirne che essa si limitava a sovrapporsi alla disciplina legislativa regionale altrimenti competente. La materia della profilassi internazionale aveva infatti un oggetto ben distinto, che includeva la prevenzione o il contrasto delle malattie pandemiche, tale da assorbire ogni profilo della disciplina.

... A fronte di malattie altamente contagiose in grado di diffondersi a livello globale, "ragioni logiche, prima che giuridiche" (sentenza n. 5 del 2018) radicavano nell'ordinamento costituzionale l'esigenza di una disciplina unitaria, di carattere nazionale, idonea a preservare l'uguaglianza delle persone nell'esercizio del fondamentale diritto alla salute e a tutelare contemporaneamente l'interesse della collettività (sentenze n. 169 del 2017, n. 338 del 2003 e n. 282 del 2002).

Accadeva, infatti, che ogni decisione in tale materia, per quanto di efficacia circoscritta all'ambito di competenza locale, avesse un effetto a cascata, potenzialmente anche significativo, sulla trasmissibilità internazionale della malattia, e comunque sulla capacità di contenerla. Omettere, in particolare, di spezzare la catena del contagio su scala territoriale minore, mancando di dispiegare le misure a ciò necessarie, equivaleva a permettere che la malattia dilagasse ben oltre i confini locali e nazionali.

... Tale conclusione poteva dunque concernere non soltanto le misure di quarantena e le ulteriori restrizioni imposte alle attività quotidiane, in quanto potenzialmente fonti di diffusione del contagio, ma anche l'approccio terapeutico; i criteri e le modalità di rilevamento del contagio tra la popolazione; le modalità di raccolta e di elaborazione dei dati; l'approvvigionamento di farmaci e vaccini, nonché i piani per la somministrazione di questi ultimi, e così via. In particolare, i piani di vaccinazione, eventualmente affidati a presidi regionali, dovevano svolgersi secondo i criteri nazionali che la normativa statale abbia fissato per contrastare la pandemia in corso.

... Se, dunque, erano le strutture sanitarie regionali ad adoperarsi a fini profilattici, restava fermo che, innanzi a malattie contagiose di livello pandemico, ben poteva il legislatore statale imporre loro criteri vincolanti di azione, e modalità di conseguimento di obiettivi che la medesima legge statale, e gli atti adottati sulla base di essa, fissavano, quando coessenziali al disegno di contrasto di una crisi epidemica.

In definitiva, per quanto fondamentale fosse l'apporto dell'organizzazione sanitaria regionale, a mezzo della quale lo Stato stesso poteva perseguire i propri scopi, il legislatore statale era titolato a prefigurare tutte le misure occorrenti.".

Di conseguenza, la Corte concludeva rilevando che era, "invece, da affermare il divieto per le Regioni, anche ad autonomia speciale, di interferire legislativamente con la disciplina fissata dal competente legislatore statale. Difatti, "ciò che era implicitamente escluso dal sistema costituzionale era che il legislatore regionale (così come il legislatore statale rispetto alle leggi regionali) utilizzasse la potestà legislativa allo scopo di rendere inapplicabile nel proprio territorio una legge dello Stato che riteneva costituzionalmente illegittima, se non addirittura solo dannosa o inopportuna.

... Per tale verso, era infatti pacifico che la competenza statale esclusiva in materia di "profilassi internazionale" si imponesse anche alla Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste, atteso che essa non poteva vantare alcuna attribuzione statutaria avente simile oggetto. Il titolo per normare attivato dal legislatore statale in forza dell'art. 117, secondo comma, lettera q), Cost. corrispondva, infatti, ad una sfera di competenza che lo Stato già deteneva, nei confronti della Regione, prima ancora dell'entrata in vigore del nuovo Titolo V della Parte II della Costituzione.

... Pertanto, la clausola di salvaguardia delle competenze statutarie, enunciata dall'art. 5, comma 2, del D.L. n. 19 del 2020 e dall'art. 3, comma 2, del D.L. n. 33 del 2020, richiamata dalla difesa regionale, non aveva alcuna ragione di operare in tale ambito, atteso che la Regione resistente non poteva opporre alla competenza legislativa esclusiva statale alcuna attribuzione fondata sullo statuto o sulle norme di attuazione statutaria.

Non vi poteva essere in definitiva alcuno spazio di adattamento della normativa statale alla realtà regionale, che non fosse stato preventivamente stabilito dalla legislazione statale; unica competente sia a normare, la materia in via legislativa e regolamentare, sia ad allocare la relativa funzione ammnistrativa, anche in forza, quanto alle autonomie speciali, del perdurante principio del parallelismo (sentenze n. 179, n. 215 e n. 129 del 2019, n. 22 del 2014, n. 278 del 2010, n. 236 e n. 43 del 2004).".

Pochi mesi dopo, in una pronuncia volta a definire un conflitto di attribuzione tra lo Stato e la stessa Provincia autonoma di Bolzano in relazione a chi spettasse la competenza a regolamentare l'impiego, nel territorio provinciale, delle certificazioni verdi (c.d. green pass) configurate dall'art. 9 del D.L. 22 aprile 2021, n. 52, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 164 del 2021, ribadiva che andava ricondotta alla "competenza esclusiva statale in tema di profilassi internazionale (art. 117, secondo comma, lettera q, Cost.), "ogni misura atta a contrastare una pandemia sanitaria in corso, ovvero a prevenirla", poiché non vi può essere in definitiva alcuno spazio di adattamento della normativa statale alla realtà regionale, che non sia stato preventivamente stabilito dalla legislazione statale; unica competente sia a normare, la materia in via legislativa e regolamentare, sia ad esercitare la relativa funzione ammnistrativa, anche in forza, quanto alle autonomie speciali, del perdurante principio del parallelismo (sentenza n. 37 del 2021).".

Ciò posto, ad avviso della Consulta non "vi era dubbio che la certificazione verde avesse la finalità di limitare la diffusione del contagio, consentendo l'interazione tra persone in luoghi pubblici o aperti al pubblico solo se quest'ultime, in quanto vaccinate, guarite, o testate con esito negativo al COVID-19, si offrivano a vettori della malattia con un minor tasso di probabilità.

A fronte di tale obiettivo, la competenza provinciale in tema di tutela della salute era recessiva (sentenza n. 37 del 2021).

... Entro tali coordinate, era meramente indiretto l'effetto di compressione che il green pass poteva produrre, quanto alle ulteriori competenze statutarie dedotte con il ricorso; e ciò nel senso che la certificazione verde non aveva per oggetto queste ultime, ma le condizioni di profilassi internazionale che imponevano, per ragioni sanitarie, limitazioni all'accesso ad attività e servizi normati dalla legislazione provinciale.

La sentenza n. 37 del 2021 aveva aggiunto che tali conclusioni dovessero valere anche con riguardo all'esercizio del potere di adottare ordinanze contingibili e urgenti in materia sanitaria. Del resto, l'art. 52, secondo comma, dello statuto di autonomia, attribuendo al Presidente della Giunta un potere emergenziale "nell'interesse delle popolazioni di due o più Comuni", confermava, in accordo con il limite territoriale, che si trattava di un'attribuzione calibrata su crisi sanitarie di carattere non pandemico o comunque i cui effetti potessero ancora reputarsi circoscritti a tale ambito limitato; mentre, nel caso del nuovo coronavirus, era palese il carattere globale della pandemia, e, quindi, la necessità di interventi assunti dalla competente autorità centrale.".

In conclusione, riassumendo sul punto, può dunque affermarsi che all'epoca dei fatti (primavera 2020) in provincia di Bolzano sussistesse la ragionevole convinzione che la pandemia in corso, qualificata dalle stesse Autorità comunitarie come una calamità, giustificasse e rendesse anzi necessario l'intervento, a fianco dell'Autorità statale, anche dell'Autorità provinciale competente in materia di protezione civile.

Di qui non solo l'adozione di numerose ordinanze contingibili ed urgenti da parte del Presidente della Provincia, spesso ripetitive di prescrizioni già dettate a livello statale dai DPCM emanati dal Governo, ma altresì la L. provinciale n. 4 del 2020 emanata dal Consiglio provinciale nella convinzione di poter seguire un percorso differenziato, a livello locale, nella scelta delle misure da adottare per uscire dallo stato di emergenza.

Atti e provvedimenti che, alla luce dei successivi sviluppi della giurisprudenza costituzionale maturati nel 2021, sarebbero stati verosimilmente dichiarati illegittimi, se impugnati dinanzi al Giudice amministrativo e alla Corte costituzionale da chi di competenza, perché non solo lesivi di competenze statali (segnatamente quella in materia di "profilassi internazionale" di cui all'art. 117, comma 2, lett. q, Cost.), ma altresì perché posti in essere in uno stato di carenza di potere, non potendo tali misure (dirette a fronteggiare la pandemia da COVID-19) essere ricondotte ad alcun ambito materiale di competenza provinciale.

(B.2) Delineato in tal modo il contesto storico-normativo in cui devono essere inseriti i fatti di causa (v. supra sub (...) e (...)), appare a questo punto possibile accertare se - ed eventualmente in quale misura - i comportamenti della ricorrente si siano conformati alla normativa di riferimento, salvo poi esaminare, nel dettaglio, le specifiche ragioni che depongono per l'illegittimità dei provvedimenti impugnati (v. infra sub (...)).

Orbene, come emerge dal contenuto degli atti di parte e dai documenti dalle stesse prodotti, si evince che nel contesto emergenziale sopra esaminato il Presidente della Provincia autonoma di Bolzano, con ordinanza contingibile e urgente 4 marzo 2020, n. 4, incaricava la (rectius: ordinava alla) ricorrente A. di provvedere, unitamente all'Agenzia per la protezione civile e agendo anche "in deroga alle ordinarie procedure, a effettuare acquisti di beni e servizi ... in misura strettamente necessaria a far fronte all'emergenza sanitaria ed esclusivamente per il periodo a cui si riferisce lo stato di emergenza".

A tale proposito, ciò che non si evinceva con immediatezza dal tenore dell'ordinanza provinciale, che pur richiamava l'art. 6 dell'ordinanza "del Presidente del Consiglio dei Ministri" (rectius: del CDPC) n. 630 del 3 febbraio 2020 (secondo cui "per i territori delle Province di Bolzano e T., le misure previste dalla presente ordinanza sono disposte, d'intesa con il Capo del Dipartimento della protezione civile, dalla provincia autonoma competente nel rispetto degli statuti e delle relative norme di attuazione"), era che il Presidente della Provincia agiva non solo nella veste di Autorità della protezione civile provinciale (veste che, come successivamente acclarato dalla Corte costituzionale, non lo avrebbe legittimato ad adottare misure di "profilassi internazionale"), ma anche e soprattutto in qualità di Autorità prefettizia, atteso che "il Decreto del Capo del Dipartimento della Protezione Civile del 27 febbraio 2020 aveva nominato come Soggetto Attuatore per la Provincia autonoma di Bolzano ai sensi dell'articolo 1, comma 1, dell'ordinanza del Capo del Dipartimento della protezione civile n. 630 del 3 febbraio 2020, il Presidente della Provincia Autonoma di Bolzano" (v. osservazioni A. d.d. 27.07.2021, sub all. 8 al ricorso).

Tuttavia, dagli stessi atti di causa emerge altresì con evidenza che l'ordinanza del Presidente della Provincia/Soggetto attuatore, facendo verosimilmente implicito affidamento sulle strutture provinciali competenti anche in materia di protezione civile, ometteva di fornire all'A. - quale longa manus del soggetto attuatore - non solo direttive specifiche su come agire, ma altresì e soprattutto un adeguato supporto amministrativo e giuridico in una situazione emergenziale senza precedenti, costellata di norme eccezionali e che verosimilmente superava le ordinarie competenze e capacità degli uffici preposti agli acquisti (v., sul punto, quanto invece disposto, nella loro qualità di soggetti attuatori, dal Presidente della Regione Veneto e dal Presidente della Regione Campania rispettivamente con D.P.G.R. 02/03/2020, n. 1, pubblicato nel B.U. Veneto 13 marzo 2020, n. 32, e con D.P.G.R. 10/03/2020, n. 46, pubblicato nel B.U. Campania 16 marzo 2020, n. 42).

Inoltre, nel caso di specie tale supporto appariva tanto più necessario dovendo il soggetto attuatore, e per esso l'A., operare in stretto raccordo con la struttura di coordinamento del Dipartimento della Protezione civile attivata per la gestione dell'emergenza e potendo la stessa, per il tramite del CDPC, avvalersi delle componenti e delle strutture operative del Servizio nazionale della Protezione civile, nonché del Comitato tecnico scientifico, di cui all'ordinanza del Capo del dipartimento della protezione civile del 3 febbraio 2020, n. 630.

Ciò premesso, l'A., dopo avere concluso con la impresa O.A. spa di Bolzano un accordo di fornitura di un ingente quantitativo di DPI e DM dalla Cina, in data 23 marzo 2020 richiedeva alla competente Direzione Interprovinciale di Bolzano e T. dell'ADM, per il tramite della ditta E.T. SRL, l'autorizzazione ad importare in franchigia doganale ed esenzione IVA, ai sensi dell'art. 74 Reg. UE 1186/2009 e dell'art. 51 e segg. della Direttiva 2009/132/CE, 1.000.000 di mascherine chirurgiche, 500.000 mascherine KN95 e 429.560 camici per un valore doganale complessivo pari ad Euro 9.302.000,00 (cfr. doc. 4 all. controdeduzioni); autorizzazione che veniva concessa in pari data "nel presupposto che il materiale venga destinato a strutture di pronto soccorso ospedaliero e con lo scopo di fronteggiare le calamità correlata al Covid - 19 IVA" (cfr. doc. 4 all. ricorso).

A tale proposito, che nel caso di specie si trattasse, tra le altre cose, dell'importazione di 500.000 mascherine KN95 appare comprovato sia dalle fatture dimesse in atti dalla resistente (sub. all. (...)), sia dalla relazione del CTP della Procura penale, prodotta in atti dalla resistente (sub. all. (...)), in cui si dava atto che "le mascherine oggetto del sequestro sono di produzione cinese e riportano sulle confezioni la dicitura KN95, cioè che le mascherine sono conformi alla normativa cinese KN95. Tale normativa è recepita dalla GB2626-2006.".

Ciò premesso, alla luce di quanto osservato in precedenza circa gli acquisti di DPI e DM effettuati dal Dipartimento della Protezione civile e dai soggetti attuatori ai sensi dell'art. 34 D.L. n. 9 del 2020 (v. supra sub (...)), a questo punto l'A. avrebbe dovuto richiedere, per il tramite del CDPC, al CTS l'accertamento della c.d. "efficacia protettiva analoga" dei DPI importati dalla Cina (KN95 e camici), nonché il nulla osta dell'ISS per quanto invece riguardava le mascherine chirurgiche, trattandosi, invero, di DPI e DM prodotti secondo standard diversi da quelli europei e dunque privi della marchiatura CE (cfr. nota dell'INAIL d.d. 06/04/2020, sub all. (...) alle controdeduzioni, in cui si precisava che "le certificazioni prodotte non risultano valutabili positivamente poiché sono tutte emesse da enti non accreditati per la valutazione di DPI. In nessun caso viene prodotto un certificato di attribuzione marcatura CE").

Peraltro, come sopra osservato (v. supra sub (...)), una settimana prima il CTS aveva rilasciato un parere di carattere generale in cui si affermava che "il CTS, analogamente a quanto stabilito in una precedente riunione per la certificazione non europea delle mascherine N95, sentito l'ISS, ritiene accettabile l'analogia tra la le mascherine FFP2, N95 e KN95" (v. verbale CTS d.d. 15/03/2020), tanto che il Dipartimento della protezione civile, sulla base di detto parere, in quegli stessi giorni provvedeva a distribuire ben 414.530 mascherine KN95, "attesa l'emergenza in atto, alla luce del contenuto del verbale n. 28 del Comitato Tecnico Scientifico del 15 marzo 2020 (che ha ritenuto le maschere KN95 equivalenti alle FFP2)", e quindi senza neppure attendere il rilascio di un parere ad hoc sulla relativa fornitura (parere che avrebbe richiesto successivamente e con esito in parte negativo; cfr. DELIB. DELL'ANAC N. 739 DEL 9 SETTEMBRE 2020).

In altre parole, se in data 23 marzo 2020 (o nei giorni immediatamente successivi) l'A. avesse provveduto, "attesa l'emergenza in atto", a distribuire immediatamente le 500.000 mascherine KN95 importate dalla Cina senza neppure attendere un parere ad hoc del CTS sull'efficacia protettiva analoga di tali DPI, agendo quindi solo sulla base del parere di carattere generale rilasciato dal CTS in data 15 marzo 2020 "(che ha ritenuto le maschere KN95 equivalenti alle FFP2)", la stessa si sarebbe comportata in maniera non difforme da quanto fatto in quegli stessi giorni dallo stesso Dipartimento di protezione civile.

Al contrario, ciò che invece l'A. non avrebbe dovuto in alcun caso fare - e che invece faceva a causa, evidentemente, di un non adeguato supporto giuridico e amministrativo - era di richiedere all'INAIL la validazione straordinaria dei DPI ai sensi dell'art. 15, comma 3, D.L. n. 18 del 2020, trattandosi, nel caso di specie, di un'importazione di DPI necessaria a soddisfare, con carattere di urgenza, esigenze sanitarie delle unità di pronto soccorso e non già effettuata per finalità commerciali (fatto del tutto pacifico) e di dispositivi prodotti secondo standard diversi da quelli europei e di cui, dunque, non occorreva appurare la corrispondenza alle norme vigenti, ma solo una loro "efficacia protettiva analoga" rispetto alle FFP2 prodotte secondo gli standard europei (v. supra sub (...)).

A tale riguardo non può non destare perplessità il fatto che la stessa INAIL non si sia avveduta dell'evidente errore in cui era incorsa l'A., atteso che quest'ultima, essendosi avvalsa del modulo predisposto dall'INAIL per i soggetti richiedenti la validazione straordinaria di cui all'art. 15, comma 3, D.L. n. 18 del 2020, era stata costretta a dichiarare - contrariamente non solo al vero ma anche a quanto doveva suggerire il buon senso (il sistema sanitario nazionale aveva in quel momento storico un drammatico bisogno di DPI) - che "intendeva mettere in commercio dispositivi di protezione individuale, ai sensi dell'art. 15 comma 3 del DL 17 marzo 2020, n. 18".

Tanto più - si aggiunga - che i DPI per i quali l'A. richiedeva inopinatamente all'INAIL la validazione straordinaria ex art. 15, comma 3, D.L. n. 18 del 2020 erano stati appena sdoganati in franchigia dai dazi e in esenzione dall'IVA proprio su presupposto che tali beni sarebbero serviti per le esigenze del servizio sanitario nazionale o comunque per essere distribuite gratuitamente ai soggetti impegnati nella lotta alla pandemia, e non già per scopi commerciali.

Sta di fatto che tale validazione straordinaria veniva invece richiesta dall'A. innescando la catena di eventi meglio descritti nella parte in fatto della presente decisione (mancata validazione da parte dell'INAIL, avvio di un procedimento penale e sequestro preventivo dei DPI non ancora utilizzati), che a loro volta inducevano l'Amministrazione resistente ad emettere i provvedimenti impugnati nell'odierno giudizio.

(B.3) Passando a questo punto all'esame dei motivi di ricorso formulati dall'A., il primo motivo - secondo il quale i provvedimenti impugnati sarebbero stati emessi in "violazione della decisione n. 2020/491 della Commissione europea, nonché dell'art. 74, Reg. Ue 16 novembre 2009, n. 1186 e dell'art. 51, Direttiva 19 ottobre 2009, n. 2009/132/CE" - è fondato.

In particolare, ad avviso della ricorrente, nel caso di specie la franchigia sarebbe stata espressamente disposta dalla Commissione europea con la decisione n. 491/2020, prevedendo l'esenzione dai dazi doganali e dall'Iva per le importazioni di dispositivi idonei a contrastare gli effetti della pandemia da Covid-19, effettuate a decorrere dal 30 gennaio 2020, e senza condizionare in alcun modo tale beneficio alla necessaria approvazione da parte di un ente pubblico avente le caratteristiche dell'INAIL. Sarebbe pertanto di ogni evidenza che le importazioni di dispositivi di protezione individuale da parte di una Azienda S. locale rientrerebbero perfettamente nel regime di franchigia, doganale e Iva, disposto dalla decisione della Commissione europea per fronteggiare l'emergenza Covid-19.

Ciò premesso, deve essere subito chiarito che, come riconosciuto dall'Amministrazione resistente, "in nessuna parte degli atti impugnati l'Ufficio ha mai sostenuto la mancanza dei due presupposti della franchigia. Non vi può essere certamente dubbio sul fatto che l'Azienda S. della Provincia di Bolzano rientri nel novero degli enti pubblici aventi titolo a beneficiare della franchigia doganale, né che la destinazione della merce importata era la distribuzione alle unità di pronto soccorso o al personale sanitario impegnato nel fronteggiare la pandemia da Covid-19".

In altre parole, l'ADM ha espressamente ammesso che le agevolazioni doganali e fiscali riconosciute in via provvisoria alla ricorrente con l'autorizzazione doganale d.d. 23/03/2020 (v. all. 4 al ricorso) e poi vidimate ex post con la decisione n. 491/2020 della Commissione europea, ai sensi dell'art. 76 del Regolamento n. 1186/2009 e dell'art. 53 della direttiva 2009/132/CE, rientravano a pieno - sotto il profilo soggettivo dei c.d. soggetti legittimati e quello finalistico delle destinazione della merce in favore del personale impegnato a fronteggiare la pandemia da Covid-19 - nell'ambito di applicazione della franchigia doganale di cui all'art. 74 del Regolamento n. 1186/2009 e dell'esenzione IVA di cui all'art. 51 della direttiva 2009/132/CE.

Ciò che invece l'Ufficio contesta (e di qui l'emanazione dei due provvedimenti impugnati) è che i DPI importati dall'A. (in merito alle mascherine chirurgiche non è stata sollevata alcuna obiezione) non avrebbero potuto rientrare nel novero dei prodotti che potevano beneficiare delle agevolazioni doganali (franchigia dai dazi) e fiscali (esenzione IVA) in parola, non potendo essere qualificati come "merci necessarie a contrastare gli effetti della pandemia di Covid-19" ai sensi e per gli effetti della Decisione del 03/04/2020, n. 2020/491/UE.

In particolare, ciò che ad avviso dell'Ufficio avrebbe fatto "venir meno il diritto alla franchigia non è la mancata validazione da parte dell'Inail, ma l'oggettiva mancanza dei requisiti di sicurezza acclarata da quest'ultima". In altre parole, ciò che starebbe alla base dell'accertamento sarebbe il fatto che le merci non erano idonee a realizzare il fine o il risultato che giustificava la rinuncia da parte dell'UE alle risorse proprie e, di conseguenza, per tale motivo non potevano beneficiare della franchigia.

Inoltre, sempre ad avviso dell'Ufficio, le disposizioni generali in materia di franchigie doganali prevedevano che le merci immesse in libera pratica col beneficio della franchigia, a causa dell'uso che il destinatario doveva farne, "non potevano essere utilizzate per altri fini senza che fossero corrisposti i relativi dazi all'importazione (art. 124, Reg. CE 1186/2009), e che se la concessione della franchigia era subordinata al rispetto di talune condizioni, l'interessato doveva fornire alle autorità competenti una prova soddisfacente del rispetto di tali condizioni (art. 126, Reg. CE 1186/2009)".

A tale riguardo, poi, con specifico riferimento alla merce sequestrata a seguito del decreto ex art. 321 c.p.p. del GIP del Tribunale di Bolzano, l'Ufficio ha aggiunto che qualunque fosse stata la destinazione che l'Autorità giudiziaria avesse voluto darle questa "non avrebbe mai potuto essere conforme all'uso per il quale ne era stata fatta l'importazione dall'Azienda S., stante l'inidoneità all'utilizzo da parte degli operatori sanitari, già acclarata dalle ripetute valutazioni negative dell'INAIL".

In conclusione, volendo riassumere le argomentazioni sviluppate dall'Ufficio a sostegno della legittimità dei provvedimenti impugnati, le stesse si lasciano sussumere nei seguenti due assunti:

(a) la scoperta (avvenuta in seguito al diniego della validazione straordinaria da parte dell'INAIL) dell'inidoneità dei DPI a realizzare lo scopo per il quale erano stati importati dall'A., ossia essere utilizzati dagli operatori sanitari nella lotta alla pandemia, renderebbe di fatto ingiustificate le agevolazioni doganali e fiscali concesse in forza della decisione della Commissione europea n. 491/2020;

(b) inoltre, atteso che a questo punto sarebbe impossibile per l'A. utilizzare i DPI importati - in quanto privi dei necessari requisiti di sicurezza - per lo scopo previsto dalla decisione n. 491/2020, lo Stato italiano sarebbe parimenti tenuto a recuperare le agevolazioni in parola atteso che un tale obbligo sorgerebbe quando le merci importate vengono utilizzate per fini diversi da quelli che hanno giustificato la concessione delle agevolazioni doganali e fiscali de quo.

Orbene, ad avviso del Collegio entrambe le tesi sostenute dall'Amministrazione resistente non possono essere condivise sia in fatto che diritto.

In particolare, quanto alla prima delle due argomentazioni (sopravvenuta scoperta dell'inidoneità dei DPI a soddisfare lo scopo per il quale era stata concessa l'agevolazione), volendosi prescindere dal fatto che l'INAIL non era neppure competente a validare i DPI importati dall'A. (essendo ogni valutazione al riguardo rimessa al CTS ai sensi dell'art. 34, comma 2, D.L. n. 9 del 2020), nel caso di specie l'Ufficio non considera, in primo luogo, come l'ampia formulazione della decisione n. 491/2020 - al ricorrere della altre due condizioni in essa previste (requisito soggettivo e finalistico che erano comunque ricorrenti nel caso dell'A.) - aveva espressamente esteso le agevolazioni doganali e fiscali in parola a tutte le "merci necessarie a contrastare gli effetti della pandemia di Covid-19", senza rinviare o richiamarsi ad alcun elenco tassativo di merci che potessero considerarsi tali.

In altre parole, l'unico requisito qualitativo previsto dalla decisione n. 491/2020 era quello che le merci importate fossero comunque "necessarie a contrastare gli effetti della pandemia di Covid-19".

Di conseguenza, se da un lato non può essere revocato in dubbio che i DPI privi della valutazione di conformità da parte del CTS non avrebbero potuto essere distribuiti agli operatori sanitari ex art. 34, comma 2, D.L. n. 9 del 2020, dall'altro lato non è meno vero che le mascherine filtranti (N95 o KN95) che non avessero passato lo scoglio rappresentato dal parere del CTS avrebbero potuto, se del caso, una volta declassate al rango di mascherine generiche e al ricorrere delle condizioni prescritte dalla circolare MISE 107886 del 23 aprile 2020 (non dovevano recare la marchiatura CE e le confezioni dovevano indicare espressamente che non si trattava di DPI o DM), essere utilmente impiegate nella lotta alla pandemia da parte di altri operatori (non sanitari) dell'A. o di altri soggetti legittimati ai sensi della decisione n. 491/2020 (ad esempio protezione civile o altri soggetti pubblici impegnati nella lotta alla pandemia).

Invero, quanto alla idoneità anche delle c.d. mascherine generiche (di cui al sopra citato art. 16 D.L. n. 18 del 2020) ad essere considerate come merci utilmente impiegabili a contrastare gli effetti della pandemia da Covid-19, soprattutto nella situazione di grave emergenza in cui versava il nostro Paese nei primi mesi del 2020, appare utile richiamarsi a quanto osservato dalla TERZA SEZIONE DEL CONSIGLIO DI STATO NELLA SENTENZA N. 7504 DEL 10/11/2021.

In tale occasione, infatti, il Giudice amministrativo era chiamato ad applicare l'art. 6, comma 1, D.L. n. 18 del 2020, secondo cui "fino al termine dello stato di emergenza, dichiarato con delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020, il Capo del Dipartimento della protezione civile può disporre, nel limite delle risorse disponibili di cui al comma 10, anche su richiesta del Commissario straordinario di cui all'articolo 122, con proprio decreto, la requisizione in uso o in proprietà, da ogni soggetto pubblico o privato, di presidi sanitari e medico-chirurgici, nonché di beni mobili di qualsiasi genere, occorrenti per fronteggiare la predetta emergenza sanitaria, anche per assicurare la fornitura delle strutture e degli equipaggiamenti alle aziende sanitarie o ospedaliere ubicate sul territorio nazionale, nonché per implementare il numero di posti letto specializzati nei reparti di ricovero dei pazienti affetti da detta patologia".

Ebbene, nel caso di specie proprio l'Agenzia delle dogane e dei monopoli, in qualità di soggetto attuatore del Commissario straordinario, aveva proceduto alla requisizione di 700.000 pacchi, da due pezzi ciascuno, di mascherine filtranti tre veli c.d. generiche "al fine di garantire l'approvvigionamento delle aziende sanitarie o ospedaliere e delle strutture territoriali impegnate sul territorio nazionale, anche al fine di implementare il numero di posti letto specializzati nei reparti di ricovero dei pazienti affetti da detta patologia".

Di conseguenza la società privata ricorrente aveva adito la Giustizia amministrativa lamentando che le mascherine a tre veli generiche non costituivano dispositivi di protezione individuali, né dispositivi medici ed erano, quindi, inidonee ad essere utilizzare in ambiente ospedaliero, essendo invece utilizzabili solamente ai sensi dell'art. 16, comma 2, del D.L. n. 18 del 2020.

Il Consiglio di Stato, nel confermare la sentenza n. 2722 del 4 marzo 2021 del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, sez. I, ha viceversa confermato la validità del provvedimento ablatorio dell'ADM, affermando che la destinazione non era, esclusivamente e contraddittoriamente rispetto alla loro natura, quella ospedaliera, "ma anche quella, parimenti rilevante, dell'utilizzo da parte delle strutture territoriali della Protezione impegnate sul territorio nazionale anche nell'allestimento dei posti letto destinati ai soggetti affetti dal virus Sars-CoV-2.

... Del resto è ben noto che, proprio nella prima fase dell'emergenza epidemiologica del 2020, la Protezione civile sia intervenuta ad allestire numerosi posti letto aggiuntivi rispetto a quelli, rivelatisi insufficienti, utilizzati nei reparti ospedalieri, su tutto il territorio nazionale e, in particolar modo, nelle Regioni più colpite (la Lombardia, ad esempio), per i pazienti affetti da Sars-CoV-2 a fronte della - almeno in principio - incontrollabile diffusione della malattia, con numero di ricoveri e, purtroppo, decessi elevatissimo proprio nei mesi di aprile e maggio 2020.

... Benché il provvedimento di requisizione non si connoti per una esemplare chiarezza espressiva, stanti probabilmente le complesse e impellenti ragioni emergenziali che ne stanno a fondamento, si arguisce dalla sua lettura, come ha pure ritenuto la sentenza impugnata, che l'utilizzo delle mascherine sia finalizzato anche alle strutture territoriali della Protezione civile operanti sul territorio nazionale ... e impegnate pure esse primariamente nel contrasto all'emergenza epidemiologica, "anche" al fine di allestire nuovi posti letto per fronteggiare il numero crescente di ricoveri nei reparti di terapia intensiva o subintensiva.

... Il che, evidentemente, è pienamente rispettoso delle previsioni degli artt. 16 e 122 del D.L. n. 18 del 2020 e del potere straordinario di requisizione di beni, anche mobili, previsto da tali disposizioni in capo al Commissario al fine di fronteggiare l'emergenza epidemiologia da COVID-19 e, in particolare, al fine di arginare con tutti gli strumenti disponibili, e in misura pur minima, l'insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili per via aerea anche mediante l'utilizzo di mascherine generiche, nella prima fase dell'epidemia anche esse difficilmente reperibili, per quanto non rientranti - come ricorda lo stesso provvedimento di requisizione - tra i DPI e i DM e, dunque, non utilizzabili in ambito ospedaliero".

Di qui la teorica possibilità di considerare, nel rispetto dei limiti di cui all'art. 16 D.L. n. 18 del 2020, anche le mascherine generiche come merci "necessarie a contrastare gli effetti della pandemia di Covid-19".

Peraltro, giova sottolineare come l'A., impregiudicata ogni eventuale azione civile di inadempimento contrattuale esperibile contro il proprio dante causa per avere fornito merce avente caratteristiche diverse da quelle pattuite, ben avrebbe potuto cedere ad altri soggetti pubblici legittimati ai sensi della decisione n. 491/2020 i DPI (eventualmente declassati a mascherine generiche) da essa importati (ad esempio Protezione civile) senza incorrere nel rischio di vedersi revocare la franchigia doganale e l'esenzione IVA concessa con l'autorizzazione d.d. 23/03/2020.

In tal senso deponevano, infatti, sia l'articolo 78, comma 2, del Regolamento CE n. 1186/2009 ("In caso di prestito, locazione o cessione a un ente legittimato a beneficiare della franchigia in applicazione dell'articolo 74, la franchigia resta acquisita se tale ente utilizza le merci per fini che danno diritto alla concessione di tale franchigia") sia l'art. 55, comma 2, della Direttiva 2009/132/CE ("In caso di prestito, locazione o cessione a un ente legittimato a beneficiare dell'esenzione in applicazione dell'articolo 51, l'esenzione resta acquisita se tale ente utilizza le merci in questione per fini che danno diritto alla concessione di tale esenzione"), disposizioni entrambe richiamate dall'art. 1 della decisione n. 491/2020.

Le medesime considerazioni appena svolte, del resto, avrebbero potuto essere riformulate, mutatis mutandis, anche in riferimento agli altri DPI importati dall'A. (camici a manica lunga) e poi non validati dall'INAIL.

Invero, come chiarito dal Centro Europeo per il Controllo delle Malattie nel suo technical report del 7 febbraio 2020, "Personal protective equipment (PPE) needs in healthcare settings for the care of patients with suspected or confirmed novel coronavirus (2019-nCoV)", rivolto alle Autorità sanitarie che si trovavano in prima linea nella lotta alla pandemia, i camici ed i grembiuli chirurgici o gli indumenti protettivi contro agenti chimici o biologici costituivano un'altra forma di equipaggiamento protettivo che si consigliava di utilizzare in ambito sanitario nell'assistenza diretta ai pazienti COVID-19. A tal fine si raccomandava di indossare indumenti impermeabili almeno a maniche lunghe per prevenire la contaminazione del corpo; protezioni per il corpo da considerare certamente come DPI.

Ciò nondimeno, nel caso (purtroppo non infrequente nei primi mesi del 2020) in cui non fossero stati disponibili indumenti conformi alla normativa EN-13795-2 oppure alla EN-14126 (ossia dispositivi medicali o dispositivi di protezione individuale), l'EEDC raccomandava anche l'utilizzo di più semplici grembiuli resistenti, impermeabili in plastica monouso, da indossare sopra un camice non resistente all'acqua ("If water-resistant gowns are not available, single-use plastic aprons can be used on top of the non-water-resistant gowns to prevent body contamination").

In altre parole, l'affermazione secondo cui dalla mancata validazione dell'INAIL sarebbe inevitabilmente derivata l'assoluta impossibilità di utilizzare per la lotta alla pandemia i DPI importati dall'A. appare quantomeno opinabile.

Del resto, in tale ottica, si muoveva altresì il Presidente della Provincia autonoma di Bolzano/Soggetto attuatore, che con ordinanza contingibile ed urgente n. 22 del 21/04/2020, preso atto della mancata validazione dei DPI importati dall'A. da parte dell'INAIL, disponeva l'immediato insediamento di una commissione di esperti (con competenza in materia di malattie infettive e sicurezza sul lavoro) al fine di esaminare il materiale e valutarne comunque l'utilizzabilità "fino a quando non sarà disponibile materiale certificato o sarà dichiarato idoneo da parte di un istituto accreditato".

Ciò posto in punto di fatto, la prima argomentazione formulata dall'Ufficio per sostenere la legittimità dei provvedimenti impugnati (vale a dire: la sopravvenuta scoperta dell'inidoneità dei DPI importati dall'A. a soddisfare lo scopo per il quale era stata concessa l'agevolazione ne aveva resa necessaria la revoca) non appare condivisibile neppure in punto di diritto.

In particolare, quand'anche si volesse condividere la tesi dell'Amministrazione resistente, secondo cui i DPI importati dall'A. e non validati dall'INAIL non potevano in alcun modo essere considerati "necessari a combattere la pandemia" ai sensi e per gli effetti della decisione n. 491/2020, la revoca dell'agevolazione doganale non avrebbe comunque potuto essere disposta in mancanza di frode da parte dell'A..

Invero, come noto, se di regola "l'obbligazione doganale sorge al momento dell'accettazione della dichiarazione in dogana" (art. 77, comma 2, CDU), quest'ultima, in caso di concessione di una franchigia, può essere accertata anche a posteriori in seguito a inosservanza di "una condizione fissata ... per la concessione ... di un'esenzione dai dazi" (art. 79, comma 1, lett. c, CDU).

Tuttavia, "quando la normativa doganale prevede un trattamento tariffario favorevole delle merci o l'esenzione totale o parziale dai dazi all'importazione ... ai sensi del regolamento (CE) n. 1186/2009 del Consiglio, del 16 novembre 2009, relativo alla fissazione del regime comunitario delle franchigie doganali, tale trattamento tariffario favorevole, agevolazione o esenzione si applica anche nei casi in cui un'obbligazione doganale sorge a norma degli articoli 79 ... del presente regolamento, purché l'inadempienza che ha dato luogo all'obbligazione doganale non costituisse un tentativo di frode." (art. 86, comma 6, CDU).

Orbene, nel caso di specie è la stessa Amministrazione resistente a negare in radice l'ipotizzabilità di una frode in capo all'A. nel momento in cui ammette che, "almeno per quanto riguarda il comportamento dell'operatore fino al momento dello svincolo doganale della merce importata in franchigia, nessuna negligenza a suo carico è stata rilevata dall'Ufficio".

Passando adesso in rassegna la seconda argomentazione spesa dall'Ufficio per sostenere la legittimità dei provvedimenti impugnati (vale a dire: i DPI importati dall'A., una volta dissequestrati, potrebbero essere utilizzati solamente per scopi diversi da quelli per i quali era stata accordata l'agevolazione per cui se ne impone la revoca), l'infondatezza di tale tesi appare evidente alla luce dell'art. 80, comma 3, del Regolamento CE n. 1186/2009 del Consiglio, a mente del quale "le merci utilizzate dall'ente beneficiario della franchigia a fini diversi da quelli previsti all'articolo 74 sono sottoposte all'applicazione dei dazi all'importazione loro propri, secondo l'aliquota in vigore alla data alla quale sono adibite a un altro uso, in funzione della specie e del valore in dogana riconosciuti o ammessi a tale data dalle autorità competenti.".

Alla luce di tale disposizione comunitaria, dunque, appare innegabile che il c.d. "uso diverso" delle merci che hanno fruito della franchigia ai sensi dell'art. 74 del Regolamento - e che giustifica l'applicazione dei dazi loro propri - è da intendersi come l'uso effettivo di tali merci per finalità diverse da quelle previste e non già anche quello meramente potenziale, come invece erroneamente ventilato dall'Amministrazione resistente.

Allo stesso modo, peraltro, dispone altresì l'art. 57, comma 3, della Direttiva 2009/132/CE del Consiglio, in forza del quale "i beni utilizzati dall'ente beneficiario dell'esenzione a fini diversi da quelli previsti dal presente capo sono sottoposti all'applicazione dell'IVA all'importazione loro propria, secondo l'aliquota in vigore alla data nela quale sono adibiti ad un altro uso, in funzione della specie e del valore riconosciuti o ammessi a tale data dalle autorità competenti.".

Del resto, in conformità a tali disposizioni anche la Det. direttoriale dell'ADM 3 aprile 2020, n. 107042/RU precisava che "le esenzioni ... si applicano alle merci destinate alla distribuzione gratuita nei confronti delle persone colpite dal contagio da COVID-19 ovvero esposte al rischio di contrarre la COVID-19 oppure impegnate nella lotta contro la pandemia, anche laddove le merci suddette restino nella proprietà dei soggetti che le mettono gratuitamente a disposizione, aggiungendo che tali merci, dovendo soddisfare i requisiti di cui agli articoli 75, 78, 79 e 80 del Regolamento (CE) n. 1186/2009 e agli articoli 52, 55, 56 e 57 della Direttiva 2009/132/CE, non possono essere prestate, cedute o vendute a soggetti non aventi titolo all'esenzione o non coinvolti nelle finalità di cui sopra e non possono essere destinate ad usi diversi da quelli sopra menzionati." (v. punto 2 della determinazione dir. n. 107042/RU).

Tuttavia, l'Ufficio non ha in alcun modo dedotto a sostegno delle proprie tesi che l'A. avesse effettivamente contravvenuto a tali disposizioni, cedendo a terzi i DPI da essa importati e non validati dall'INAIL (DPI che peraltro erano sottoposti a sequestro preventivo), per cui appare chiaro che entrambi i provvedimenti impugnati contravvengono alle citate norme comunitarie.

In conseguenza di ciò, poiché la violazione dei sopra menzionati articoli 80 del Regolamento (CE) n. 1186/2009 e 57 della Direttiva 2009/132/CE ridonda in una violazione della stessa decisione n. 491/2020 (in quanto in essa espressamente richiamati), appare altresì evidente come il primo motivo di ricorso debba essere accolto con conseguente annullamento di entrambi i provvedimenti impugnati e assorbimento degli ulteriori motivi di ricorso.

(C) La novità e complessità delle questioni trattate giustifica l'integrale compensazione delle spese tra le parti del giudizio.


P.Q.M.


la Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Bolzano, prima sezione,

ACCOGLIE

il ricorso e di conseguenza annulla gli atti impugnati;

DISPONE

la compensazione delle spese.

Così deciso in Bolzano il 13 febbraio 2023.


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