Il reddito di Renzi e gli idioti del neoliberismo
La simbiosi politica-merce è un elemento essenziale di un sistema che prevede l’intercambiabilità tra ruoli di produzione di ideologia, ruoli di gestioni di potere e interessi privati
Alcuni giornali recentemente hanno parlato della crescita vertiginosa dei redditi di Matteo Renzi, crescita che fa dell’ex segretario del Pd il più ricco contribuente tra i membri del senato. I redditi in questione sono il frutto di una creazione di valore del tutto intrinseco alla sua attività politica.
Si tratta di un indicatore estremamente importante per riflettere in generale su un aspetto della politica nel tempo del capitale totale, e in particolare sul ruolo avuto dalla sinistra per simmetria nella scomparsa dell’antitesi. I modi dell’arricchimento di Renzi sono un un fenomeno del tutto normale in un paese divenuto finalmente normale, come aveva auspicato D’Alema già nel 1995. In quegli anni D’Alema, Blair, gli ulivisti mondiali, hanno dato un contributo rilevantissimo a plasmare la società neoliberista. Si sono impegnati a fare il deserto degli elementi strutturali e di quelli culturali dell’antitesi, e quel deserto lo hanno chiamato normalità.
Non esiste un’economia neoliberista, bensì una società neoliberista definita da una politica neoliberista. È la politica, in senso fortissimo, che costruisce l’insieme sociale in modo che sia messa al riparo, «protetta» l’economia, con la sua specifica di funzionamento, dagli impulsi irrazionali provenienti dal «miraggio della giustizia sociale» Per Hayek, dunque, è dalla democrazia che bisogna proteggersi.
Una volta che i politici siano riusciti a costruire un solido contenimento protettivo della sfera economica, e che abbiano dimostrato le capacità di conservarlo nel tempo, la politica ha esaurito il suo compito essenziale. I politici, ormai liberati, possono dedicarsi a quella gestione del potere e a quella prassi di governo che privilegiano l’ambito della lotta per l’affermazione personale e per i segni materiali in grado di confermarla. Un ambito che è un vero e proprio brodo di coltura per «idioti», nel senso dell’etimo greco, che designa il «proprio» (idios), cioè la ristretta particolarità del «privato» contrapposta alla generalità del «pubblico». Un idios che comporta la necessaria separazione tra gli stili di vita di chi è interno e chi è esterno al ristretto circolo di coloro che partecipano al livello politico della lotta per l’affermazione di sé. E per garantire uno stile di vita adeguato agli «idioti» è indispensabile che essi considerino la politica, la fonte della propria accumulazione, come una componente dell’«immensa raccolta di merci».
D’altra parte, Antony Giddens, il teorico principale del blairismo, non ha forse considerato i «cambiamenti dello stile di vita» l’indice più sicuro del simultaneo cambiamento dell’agenda politica?
La simbiosi politica-merce, in forme varie, è elemento essenziale per comprendere la caratteristica di fondo della attuale dominante neoliberista. Una dominante strutturata anche mediante l’intercambiabilità continua tra ruoli di produzione di ideologia, ruoli di gestioni di potere ed interessi privati. Il meccanismo delle porte girevoli, com’è stato chiamato, consente il passaggio da una posizione dirigente in ambito finanziario a una poltrona di banchiere centrale o di regolatore delle attività della finanza globalizzata, con stili di vita all’altezza del ruolo.
I dirigenti del Pci, anche i più alti, avevano uno stile di vita sobrio determinato da un reddito che restava modesto. Nei volumi a carattere autobiografico di Giorgio Amendola si possono trovare episodi di scontro tra operai e l’importante dirigente del partito, risolti con il confronto tra le rispettive buste paga, un confronto che dimostrava la dimensione esigua, e dunque accettabile anche per un comunista, della disuguaglianza.
Dopo
la fine della cosiddetta «prima Repubblica» le cose sono cambiate ed
anche gli stili di vita degli alti dirigenti politici. I confronti sulle
buste paga narrati da Amendola sarebbero oggi assai imbarazzanti, e non
a caso non se ne fanno più.
Nella
nuova normalità mostrare un qualche stupore ed anche una qualche
riprovazione perché il senatore Matteo Renzi è stato capace di
utilizzare il valore di scambio posseduto nel mercato, nel luogo
deputato alla prova degli esiti del processo di valorizzazione di ciò
che si è scambiato, è del tutto fuori contesto.
Lo stesso teorizzatore del «paese normale», d’altronde, oggi non disdegna di aver assunto anche la funzione di mediatore (lobbista?) in affari concernenti la vendita di armi
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