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lunedì 27 giugno 2011

Cassazione "...Va poi ritenuto che le espressioni, che il ricorrente ha invitato pubblicamente ad usare, quali "celerino pezzo di merda", "poliziotto pezzo di merda" e "poliziotto primo nemico" anche nel presente momento storico siano parole percepite dalla generalità dei consociati come idonee ad arrecare offesa al patrimonio di rispettabilità e di onorabilità, cui ha diritto qualsiasi categoria professionale, ivi compresa quella della polizia di stato;  ciò poi in maggior misura nella specie in esame, nella quale tali espressioni offensive hanno formato oggetto di pubblico incitamento ad una denigrazione della polizia di stato e dei suoi singoli comportamenti del tutto gratuita ed immotivata...."


CASSAZIONE PENALE
Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 07-01-2010) 01-02-2010, n. 4081
Fatto - Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
Con  sentenza del 16.12.07 il G.U.P. del Tribunale di Crotone, col rito abbreviato di cui agli artt. 438 e segg. c.p.p., ha mandato assolto S.G.  dal reato di cui all'art. 414 c.p., comma 1, n. 1 (istigazione a commettere delitti) con la formula "perchè il fatto non sussiste".
Il  fatto era avvenuto in (OMISSIS), nel corso di un incontro di calcio fra  le squadre del (OMISSIS); in tale frangente l'imputato, quale capo e guida del raggruppamento di tifosi della squadra di calcio del (OMISSIS), denominato "vecchio stampo", servendosi di un microfono, aveva sollecitato gli altri tifosi ad intonare e ripetere gli slogans offensivi nei confronti dell'Arma dei Carabinieri e della Polizia di Stato, meglio in rubrica specificati.
Il  G.U.P. di Crotone ha ritenuto che non sussistesse il reato ascritto allo S., in quanto l'istigazione da lui commessa poteva avere ad oggetto  due reati, di cui uno, quello previsto dall'art. 342 c.p. (oltraggio a corpo politico, amministrativo o giudiziario) non era ipotizzabile nella specie, in quanto trattavasi di offese non pronunciate al cospetto dell'organo, cui erano rivolte.
Neppure era ipotizzabile il delitto di cui all'art. 594 c.p. (ingiuria), in quanto sarebbe stato offeso il prestigio di un'intera categoria e non il decoro di una singola persona. Detta sentenza è stata  impugnata innanzi alla Corte d'Appello di Catanzaro dal Procuratore Generale presso la Corte d'Appello di Catanzaro, il quale ha chiesto la condanna dello S. alla pena di giustizia per il reato contestatogli, ritenendone la sussistenza in quanto, anche se il reato di oltraggio a p.u., di cui all'art. 341 c.p., era stato abrogato, permaneva pur sempre il delitto di ingiuria di cui all'art. 594 c.p.,  da ritenere come reato alla cui commissione l'imputato aveva istigato i  suoi compagni e che poteva formare oggetto dell'istigazione a delinquere, di cui all'art. 414 c.p., pur essendo perseguibile solo a querela, essendo quest'ultima una mera condizione di procedibilità.
In  accoglimento dell'appello proposto dal P.G. di Catanzaro, la Corte d'Appello di Catanzaro ha ritenuto S.G. penalmente responsabile del reato ascrittogli e, con le attenuanti generiche, l'ha condannato alla pena di mesi 5 e giorni 10 di reclusione, con i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione.
La  Corte territoriale ha ritenuto che il reato di istigazione a delinquere  contestato allo S. avesse ad oggetto reati di ingiuria continuata, di cui all'art. 595 c.p.; ed era irrilevante che, in ordine al reato istigato, non fosse stata promossa azione penale.
Avverso  tale sentenza della Corte d'Appello di Catanzaro ricorre per cassazione  S.G. sia personalmente che per il tramite dei suoi difensori di fiducia, deducendo i seguenti motivi di ricorso:
L'UNICO MOTIVO DI RICORSO PROPOSTO DAL RICORRENTE DI PERSONA:
- violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione agli artt. 414 e 594 c.p.:
la  Corte territoriale, nel ritenere che il delitto istigato dal suo comportamento fosse consistito dal reato di ingiuria, nel senso che esso  ricorrente avesse incitato i tifosi della locale squadra di calcio a pronunciare frasi offensive all'indirizzo di un non meglio identificato "celerino", aveva violato la legge penale, in assenza di qualsiasi prova  circa la presenza nello stadio di soggetti appartenenti al reparto "celere" della Polizia di Stato;  inoltre la Corte territoriale aveva violato la legge penale anche perchè aveva ritenuto che sussisteva il delitto di ingiuria anche quando  l'espressione giudicata ingiuriosa fosse indirizzata a soggetti non individuabili appartenenti ad un gruppo molto vasto e tendenzialmente indefinito.
Nel reato di ingiuria era invece necessario che l'offesa fosse rivolta ad una persona presente;
I DUE MOTIVI DI RICORSO PROPOSTI DAI DIFENSORI DEL RICORRENTE:
1)-violazione art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) in relazione agli artt. 414 e 594 c.p.; motivazione illogica ed insufficiente:
posto  che il fatto storico era stato pacificamente ricostruito sia dalla sentenza del G.U.P. di Crotone che dalla Corte d'Appello di Catanzaro, occorreva stabilire se nelle frasi pronunciate da esso ricorrente fossero ravvisabili profili di rilevanza penale, anche perchè il capo di  imputazione aveva omesso di specificare quale sarebbe stato il reato oggetto dell'istigazione commessa; ed al riguardo la Corte territoriale aveva ritenuto che la condotta di esso ricorrente integrasse gli estremi  del delitto di cui all'art. 414 c.p., in quanto in essa era ravvisabile l'istigazione a commettere il delitto di ingiuria.
La  sentenza assolutoria di primo grado, partita dalla constatazione della genericità del capo d'imputazione, il quale non conteneva alcun riferimento al reato oggetto dell'istigazione, aveva escluso che detto reato potesse essere quello di cui all'art. 342 c.p.,  in quanto esso presupponeva che l'offesa venisse fatta al cospetto dell'organo e cioè di fronte ad una rappresentanza di esso riunita in forma propria e solenne; il che non era avvenuto nella specie, in quanto  nella stadio vi erano solo alcuni appartenenti alla polizia di stato, sparsi fra la folla; aveva altresì escluso che potesse trattarsi del reato di cui all'art. 341 c.p., trattandosi di reato ormai abrogato; e neppure poteva essere contestato il delitto di ingiuria, di cui all'art. 594 c.p.,  presupponendo esso un'offesa diretta al decoro della persona offesa, si  che esso non poteva essere ritenuto sussistente quando
veniva offeso il  prestigio della categoria. La Corte territoriale non aveva adeguatamente contestato la sentenza del G.U.P., nella parte in cui aveva escluso che il delitto istigato potesse essere quello di cui all'art. 594 c.p..
Secondo  la giurisprudenza di legittimità la lesione dell'onore andava ancorata ad una media convenzionale, che tenesse conto della personalità dell'offeso e dell'offensore, trattandosi di concetto per sua natura variabile secondo l'ambito storico e sociale;
pertanto,  tenuto conto del fatto che negli stadi tale genere di comportamento era  molto diffuso, le espressioni usate dal ricorrente, seppure di per sè volgari, non potevano considerarsi offensive del bene giuridico tutelato  dalla norma;
3)-violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) in relazione all'art. 417 c.p.p.:  il capo d'imputazione era stato formulato in modo generico, si che sarebbe stato onere dell'accusa precisare quale fosse stato il reato istigato; e l'accusa non aveva proceduto a tale integrazione, in tal modo ponendo in essere una palese violazione del contraddittorio e del suo diritto di difesa. La sentenza impugnata andava quindi annullata senza rinvio.
1. Va esaminato per evidenti motivi di priorità logico giuridica il motivo di ricorso proposto sub 3)  dal difensore del ricorrente.
Con esso è stata ipotizzata una violazione del contraddittorio e del diritto di difesa del ricorrente, per essere stato il capo d'imputazione troppo generico, non avendo esso indicato con precisione quale fosse stato il reato, che il ricorrente avrebbe pubblicamente istigato a commettere la tifoseria di appartenenza. Il motivo di ricorso in esame è infondato.
Il  capo d'imputazione contiene invero una precisa descrizione fattuale del  reato contestato anche con riferimento al tipo di reato istigato, essendo stato specificato che il comportamento tenuto dal ricorrente era  consistito nell'aver sollecitato ripetutamente con un megafono gli altri tifosi a ripetere slogan offensivi nei confronti degli appartenenti all'Arma dei Carabinieri ed alla Polizia di Stato, indicando poi espressamente fra virgolette le sei espressioni che il ricorrente aveva invitato a ripetere in coro.
Il  fatto contestato al ricorrente è stato pertanto esattamente e precisamente individuato, ed è noto che, ai sensi dell'art. 521, spetta al giudice, nel pieno rispetto del contraddittorio fra le parti, dare eventualmente al fatto contestato una diversa, più appropriata definizione giuridica.
2. Sono altresì infondati sia l'unico motivo di ricorso proposto personalmente dal ricorrente, sia i primi due motivi di ricorso proposti dal difensore del  ricorrente, motivi da trattare congiuntamente, siccome strettamente correlati fra di loro. Con detti motivi il ricorrente censura l'errore in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale nel qualificare come ingiuria continuata, di cui all'art. 595 c.p., il delitto, oggetto dell'istigazione pubblicamente da lui commessa; e ciò non perchè sarebbe mancata la querela, di cui all'art. 597 c.p., essendo quest'ultima una mera condizione di procedibilità del reato di ingiuria, che invece viene in considerazione, nell'art. 414 c.p.,  quale delitto istigato nella sua materialità, ma perchè il delitto di ingiuria presuppone l'offesa all'onere ed al decoro di una singola persona presente, intesa quale diretta lesione della sfera personale
del  soggetto nella sua individualità; il che non si sarebbe verificato nella specie in quanto l'istigazione avrebbe riguardato non i singoli appartenenti alle forze di polizia, ma l'intera categoria della polizia di stato.
Non si condivide tale interpretazione.
Non può revocarsi in dubbio che agenti della polizia di stato erano presenti nello stadio ai fini della tutela dell'ordine pubblico, si da ben aver potuto percepire il contenuto ingiurioso e denigratorio degli slogans, che il ricorrente ha invitato i tifosi a ripetere; e le offese arrecate alla categoria di appartenenza non potevano non riverberarsi anche sui singoli agenti, che di tale categoria facevano parte e che ben potevano ritenersi personalmente ed ingiustamente denigrati come appartenenti alla stessa.
Non si ritiene invero di poter avallare un'artificiosa distinzione fra i singoli soggetti appartenenti ad una categoria e la categoria stessa, atteso che anche l'appartenenza ad una categoria costituisce parte integrante del patrimonio di onore e di rispettabilità che occorre riconoscere anche ai singoli soggetti-persone fisiche, i quali hanno diritto a essere tutelati anche quali singoli appartenenti ad una categoria, si che le offese alla categoria non possono non ripercuotersi  anche sui singoli appartenenti ad essa.
Va poi ritenuto che le espressioni, che il ricorrente ha invitato pubblicamente ad usare, quali "celerino pezzo di merda", "poliziotto pezzo di merda" e "poliziotto primo nemico" anche nel presente momento storico siano parole percepite dalla generalità dei consociati come idonee ad arrecare offesa al patrimonio di rispettabilità e di onorabilità, cui ha diritto qualsiasi categoria professionale, ivi compresa quella della polizia di stato;  ciò poi in maggior misura nella specie in esame, nella quale tali espressioni offensive hanno formato oggetto di pubblico incitamento ad una denigrazione della polizia di stato e dei suoi singoli comportamenti del tutto gratuita ed immotivata.
3. Da quanto sopra consegue il rigetto del ricorso proposto da S.G., con sua condanna, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 7 gennaio 2010.
Depositato in Cancelleria il 1 febbraio 2010



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