Translate

martedì 16 aprile 2013

Cassazione: Armi ed esplosivi - ..ritenuto colpevole dei reati di cui all L. n. 895 del 1967, art. 1, L. n. 185 del 1990, art. 25, comma 2, nonchè del reato di cui all'art. 416 c.p., comma 2 del gup del Tribunale di Perugia..


ARMI ED ESPLOSIVI
Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 12-02-2013) 27-02-2013, n. 9399
ARMI ED ESPLOSIVI
Fabbricazione e commercio non autorizzati


Fatto Diritto P.Q.M.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GIORDANO Umberto - Presidente -
Dott. CAVALLO Aldo - Consigliere -
Dott. CAPOZZI Raffaele - Consigliere -
Dott. CAPRIOGLIO Piera M. - rel. Consigliere -
Dott. ROCCHI Giacomo - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
(Lpd) N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 1105/2010 CORTE APPELLO di PERUGIA, del 18/05/2011;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 12/02/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. PIERA MARIA SEVERINA CAPRIOGLIO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. D'Angelo Giovanni, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore avv. Perticaro Pasquale.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza della Corte d'appello di Perugia in data 18.5.2011 è stata riformata la pronuncia di condanna di (Lpd) alla pena di anni due di reclusione ed Euro 1500 di multa, perchè ritenuto colpevole dei reati di cui all L. n. 895 del 1967, art. 1, L. n. 185 del 1990, art. 25, comma 2, nonchè del reato di cui all'art. 416 c.p., comma 2 del gup del Tribunale di Perugia 16.9.2009, nel senso che la Corte territoriale lo aveva assolto dal reato di cui alla L. n. 185 del 1990, art. 25 perchè il fatto non sussiste ed aveva rideterminato la pena in anni uno e mesi undici di reclusione ed Euro 933 di multa per i restanti reati.
Nell'ambito di una lunga indagine, condotta anche con il mezzo delle intercettazioni telefoniche e telematiche, era risultato che tali (Lpd) e (Lpd), con il diretto ausilio di (Lpd), operavano nel settore delle armi raccogliendo offerte di acquisto di armamenti, unitamente a (Lpd), a sua volta coadiuvato dal (Lpd) in particolare fu ritenuto prezioso per i tre menzionati per coltivare il progetto in Libia, sfruttando le sue capacità operative ed il R. in particolare ebbe ad offrire un contributo significativo all'operatività del sodalizio, soprattutto in momenti nevralgici. Era emerso infatti che costoro avevano ciascuno nel proprio ruolo condotto trattative con militari del governo libico, offrendo in vendita armamenti ed in particolare kalashnikov provenienti dall'industria cinese, cedendo loro dei campioni, organizzando la vendita estero su estero, senza che le armi transitassero sul territorio nazionale e che avevano condotto trattative per la vendita a soggetti iracheni di fucili mitragliatori di fabbricazione russa. Dal materiale acquisito era affiorato che l'imputato svolse un ruolo di intermediazione, tra il duo M. - B. ed il D., presentandosi quale referente di quest'ultimo, dispensatore di consigli, ben consapevole del contesto di traffico di armamenti in cui andava a collocarsi la sua opera. Venivano valorizzati una frase detta dal medesimo al telefono "tutti sappiano tutto" con valore dimostrativo della sua piena consapevolezza, nonchè il fatto che il medesimo si era incontrato in Svizzera con militari libici e si era prestato ad interloquire con interlocutori iracheni. Tale condotta veniva ritenuta inquadrabile nell'ipotesi prevista e punita dalla L. n. 895 del 1967, art. 1, atteso che sulla scia di un consolidato orientamento di questa Corte veniva ritenuto che per integrare il reato di traffico di armi, sia sufficiente l'intervenuta trattativa, non occorrendo che siano occorsi atti traslativi; veniva ritenuto sussistente anche il sodalizio criminoso, considerata la struttura stabile del gruppo, diretta ad operare nell'intermediazione nel commercio delle armi da guerra, con carattere di continuità, a cui il R. avrebbe aderito fornendo un contributo esterno, avendo prestato il proprio ausilio quale fiancheggiatore, nei momenti di particolare emergenza. Il quadro accusatolo non era neppure più di tanto contestato dall'imputato, anche in sede di appello, dove il gravame si incentrava sul profilo del difetto di giurisdizione. Sul punto, la corte territoriale rilevava che le condotte contestate al R. furono poste in essere in Italia, il che giustificava la giurisdizione del giudice italiano; in secondo luogo veniva rilevato che tutte le operazioni relative alle trattative sulle commesse delle armi alla Libia ed all'Iraq furono condotte in Libia, Cina ed altri stati esteri interessati alla compravendita in questione, ma in Italia furono organizzate e coordinate e dall'Italia partirono le direttive ai soggetti che si trovavano all'estero a prendere decisioni, a contattare i soggetti fornitori, acquirenti ed intermediari nel traffico delle armi. Inoltre, sempre dall'Italia partirono gran parte delle offerte delle armi , offerte a cui seguirono le cessioni dei campioni di arma, di talchè doveva ritenersi che l'offerta delle armi era partita dall'Italia. Senza poi contare che nel nostro paese aveva sede il sodalizio criminoso che organizzava le attività illecite concernenti le armi e che coinvolgeva le persone menzionate.
Non veniva ritenuto sussistente il reato di cui alla L. n. 185 del 1990, art. 25 in quanto detta normativa configura un reato proprio, atteso che la citata Legge, art. 9 si riferisce ai soli soggetti iscritti al registro nazionale di impresa in materia di armamento, il cui obbligo è quello connesso proprio alle trattative di comunicarne l'inizio al ministero degli affari esteri ed al ministro della difesa, onde ottenere autorizzazione e che il comma 2, pur parlando di chiunque si riferisce alla platea indicata dal comma 1, disciplina il controllo, le esportazioni, le importazioni ed il transito di armi sul territorio, nell'ottica di assicurare che l'esportazione, l'importazione ed il transito dei materiali di armamento siano rispondenti alle linee della politica estera italiana. La norma è stata ritenuta dal diritto vivente non estensibile a situazioni realizzate integralmente all'estero da chi non essendo iscritto nell'apposito registro abbia effettuato esportazioni di materiali di armamento da uno stato estero ad uno stato estero , senza alcun transito nel territorio italiano e senza che in Italia siano compiute attività di qualsiasi genere finalizzate al movimento delle armi estero su estero.
2. Avverso tale pronuncia, ha proposto in ricorso per Cassazione la difesa del prevenuto per dedurre:
2.1 difetto di giurisdizione, in quanto nella fattispecie le attività dirette alla conclusione degli affari avvenivano direttamente ed interamente all'estero, basti pensare ai viaggi compiuti in Libia e Cina, nonchè al fatto che le operazioni vennero compiute estero su estero, tra la società import export China Jing An, produttrice di armi, ed il governo libico. Trattandosi di soggetti che operavano all'estero, il controllo connesso alla trattativa ed alla vendita previsto dalla normativa nazionale e sovranazionale doveva essere esercitato dal governo cinese e libico, unici paesi interessati alla rispondenza dell'operazione alle prescrizioni di legge.
Di talchè non sarebbe neppure ipotizzabile che la cessione di armi compiuta da una società straniera ad uno stato estero, senza che sia interessato il territorio italiano, debba essere sottoposta ad autorizzazioni delle autorità del nostro paese per poter essere ritenuta lecita. Senza contare che le condotte giuridicamente rilevanti, aventi ad oggetto le trattative ed il successivo invio di campioni, erano lecite negli stati esteri interessati. Non sarebbe di rilievo che l'imputato ed i suoi correi abbiano operato in Italia via telefono, fax o e-mail, poichè tali condotte non assumevano alcuna importanza ai fini dell'elusione del controllo previsto dalla normativa e quindi della tutela dei beni, tanto più che era presente l'End User Certificate che viene registrato presso gli uffici dell'ONU, che garantiva la liceità internazionale della compravendita dei campioni.
2.2 Violazione di legge, inosservanza o erronea applicazione della legge, con conseguente vizio di motivazione: per integrare il reato ritenuto è necessario che il soggetto ponga in essere un'attività concreta per fare acquistare armi a terzi, laddove nella specie il R. non ebbe a concorrere in nessun modo alla realizzazione del reato ipotizzato, essendosi limitato ad avere contatti con il duo B. - M., per conto del D.. Non si poteva dimenticare che R. non aveva contatti con funzionari libici o produttori cinesi, non risultava titolare di alcuna impresa, non aveva diritto ad alcun compenso, non partecipò alla fase esecutiva delle trattative e dell'invio dei campioni e il suo apporto nel sodalizio era stato insignificante e facilmente sostituibile. A tal proposito vengono richiamati un passo delle intercettazioni in cui si dice che il R. non sapeva niente, la consulenza del dr. Ma., nonchè il dato secondo cui il R. operava per conto del D. il quale a sua volta era titolare di società, la Gold Rock Trading LTD, che aveva come oggetto sociale la vendita di ogni tipo di armamento, il che starebbe a dimostrare che egli confidò di agire nel rispetto della legalità.
Quanto all'Intervenuto incontro con sedicente emissario del governo iracheno, la difesa fa rilevare che si trattò di una proposizione generica di intenti, priva di qualsiasi fatto concretizzabile in una vera e propria proposta contrattuale: l'indeterminatezza del soggetto richiedente la commessa, per il quantitativo ed i contorni della vicenda, non poteva integrare una seria trattativa.
Quanto poi all'art. 416 c.p. la difesa obietta che il contributo offerto dal R. sarebbe insignificante, atteso che non partecipò al sodalizio, non risultò inserito stabilmente nel tessuto organizzativo, con il che non sarebbe stato dato conto di come il suo apporto avrebbe contribuito al rafforzamento criminoso. L'imputato avrebbe operato quale mediatore-intermediario, ex art. 1754 c.p., ovvero come colui che mette in relazione due o più parti, per la conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di esse che secondo la normativa vigente sarebbe consentita e non sanzionata penalmente.
La difesa rileva infine che le condotte teoriche in materia di armi, sono tre: 1) trattativa-vendita di armi di provenienza lecita tra stati con intermediari privati iscritti, ma che non hanno chiesto l'autorizzazione alla trattativa ex L. n. 185 del 1990, art. 9; 2) trattativa-vendita o cessione di armi di provenienza e destinazione lecita tra stati con intermediari privati, non iscritti nel registro e privi di autorizzazione ex L. n. 185 del 1990; 3) vendita o cessioni di armi di provenienza e destinazione illecita con intermediari non iscritti e privi di autorizzazione. Dette condotte non possono essere punite con le medesime disposizioni-sanzione poichè nei primi due casi la vendita è lecita e solo nel terzo caso si avrebbe un traffico illegale. La legge nazionale richiede che alla domanda sia allegato un certificato di uso finale (CUF) rilasciato dalle autorità governative del paese destinatario che attesti che il materiale sarà esportato per proprio uso e che non verrà riesportato senza preventiva autorizzazione delle autorità italiane, certificato questo previsto dalla legislazione internazionale, proprio al fine di individuare l'utilizzatore finale ed escludere che paesi belligeranti o stati sottoposti ad embargo possano ricevere armi. Viene quindi rilevato che ai primi due casi si deve applicare la disciplina della L. n. 185 del 1990, art. 25, mentre alla terza (esportazioni clandestine) si applicherebbe la normativa ex L. n. 695 del 1967. Del resto la citata Legge, art. 25 contiene la riserva "salvo che il fatto costituisca reato più grave", ragion per cui tra le due normative si configurerebbe un concorso apparente di norme da risolversi con l'applicazione del principio di sussidiarietà. Se così non fosse, ci si troverebbe di fronte ad una grava anomalia, nel senso che condotte diverse per gravità e per messa in pericolo dei beni tutelati verrebbero puniti con la stessa pena. Pertanto, ad opinione della difesa, le condotte prenegoziali e negoziali giuridicamente rilevanti poste in essere dal ricorrente rientrerebbero, se del caso, solo nella fattispecie di cui alla L. n. 185 del 1990, art. 25 e non in quella più grave dell'art. 1 L. n. 895 del 1967.
Motivi della decisione
Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
In primis, deve essere riaffermata la giurisdizione dello stato italiano: come correttamente ritenuto dal gip, nella analitica sentenza 16.9.2009 richiamata per quanto riguarda la ricostruzione dei fatti dalla corte territoriale, l'imputato emergeva dall'insieme di dati raccolti tramite intercettazioni telefoniche ed inequivoci messaggi via e-mail come un collaboratore del trio B. - M. - S., operativi sul fronte del commercio delle armi, su larga scala (considerato il contenuto dei documenti acquisiti, attestanti le richieste del tipo e del numero di armi), potendo contare sull'appoggio del D., a sua volta stabilmente inserito nel traffico di armi. Il trio risultò operare dalle rispettive dimore, sulla base di disponibilità telematiche, ponendo in vendita armi e materiale di armamento. Veniva in particolare segnalata a titolo esemplificativo, le operazioni con cui vennero venduti kalashnikov attraverso un'operazione di triangolazione che partiva dalla Cina, paese fornitore, per giungere alla Libia, ovvero ad un sedicente rappresentante del governo irakeno. La Corte ha quindi correttamente ritenuto che una parte delle condotte fu commessa in Italia da soggetti italiani e per ciò solo si doveva ritenere radicata la giurisdizione del nostro Stato per le condotte di rilievo penale, consistite nelle lunghe trattative per la commessa delle armi in Libia ed in Iraq, nell'offerta in vendita delle armi, nella spedizione dei campioni, oltre che nell'attività di costituzione e promozione della cellula criminosa, creata proprio per operare il traffico internazionale di armi.
Il fatto che la trattativa sia avvenuta "estero su estero" non poteva spostare i termini della questione, poichè come ripetuta mente affermato da questa Corte l'espressione "pone in vendita" di cui alla L. n. 497 del 1974, art. 9 è comprensiva anche della trattativa, in quanto non può farsi alcuna distinzione tra il carattere negoziale e prenegoziale dell'attività del privato, oppure tra effetti reali od obbligatori, oppure tra titolo oneroso e titolo gratuito, poichè integra il reato anche la semplice offerta in vendita, ragion per cui non è necessario che alla condotta dell'agente facciano seguito effetti traslativi della proprietà, o addirittura la traditio. Dal che consegue che va ritenuto del tutto indifferente che l'imputato disponesse o meno delle armi, in quanto una volta accertato che ebbe parte alle trattative con persone interessate all'affare, deve ritenersi integrata la fattispecie incriminatrice dell'offerta in vendita, per la cui sussistenza è sufficiente la semplice proposta di vendita, senza la necessità della conclusione effettiva di una compravendita (Sez. 1, 10.11.1997, n. 3736, Maio; Sez. 1, 14.1.2008, n. 5619, Abou Zeid; il principio è stato in diversa fattispecie ribadito di recente in Sez. 1, 11.11.2011, n. 5570, Tanda). Dunque correttamente il fatto che le operazioni siano state compiute estero su estero non può comportare alcuna limitazione all'interesse del nostro Stato al perseguimento del reato, poichè la mancanza di effettivo transito delle armi sul suolo nazionale non toglie rilevanza alle trattative che sul nostro territorio furono condotte e che costituirono il primo segmento di una condotta criminosa, a fronte della quale lo Stato non può mantenersi indifferente, sol perchè le armi erano destinate in terra straniera (Sez. 1, 28.7.2002, n. Milivoj, rv 238861). Nè poteva portare ad opinare diversamente il semplice dato che venne rilasciato dall'autorità libica del c.d. "end user certificate" che aveva la funzione di attestare la destinazione delle armi e dunque a giustificare il trasferimento delle armi dalla Cina alla Libia, poichè detto documento non era comunque idoneo a legalizzare l'operazione per l'ordinamento italiano.
Anche il secondo motivo va disatteso. Come anticipato, la sentenza di primo grado ha elencato i numerosi interventi del R. cristallizzati con la registrazione delle conversazioni telefoniche che ebbero a dare conto del contributo offerto per il buon esito dell'affare riguardante la Libia e l'Iraq, onde propiziare una movimentazioni di materiale di armamento, operando a fianco di B. e M., fornendo consigli e procurando il contatto con D., che risultò prezioso per la trattativa con l'Iraq, nella piena consapevolezza di offrire un aiuto in un momento di grave difficoltà alla compagine criminosa, appositamente creata per operare il commercio illecito delle armi nel mondo, così che correttamente la sua condotta è stata ritenuta integrare gli estremi del concorso esterno nel sodalizio. La valutazione operata è in linea con le emergenze disponibili che seppure possono delineare il R. come un mediatore, lo collocano in un'area che non poteva essere considerata lecita, poichè riguardante un ben preciso tipo di merce e dunque lo delineano come un mediatore si, ma nel traffico illecito di armi, in perfetta sintonia con la cellula criminogena composta dal trio suindicato a cui prestò ampia e preziosa collaborazione in un momento di stallo, dovuta al fatto che venivano richieste armi di produzione russa, laddove vi era disponibilità solo di quelle cinese, stallo che venne superato grazie all'intervento sulla scena del D., propiziato dal R. (basta leggere le conversazioni trascritte a pagg. 93, 100,101, 162 della sentenza di primo grado, per avere contezza del suo pieno coinvolgimento; fu infatti il R. che alla richiesta di 155.000 fucili automatici ripose che "la roba" c'era e che i prezzi erano quelli già indicati l'ultima volta).
Altrettanto correttamente i giudici del merito hanno risolto il problema del rapporto tra la L. n. 185 del 1990, art. 25 e la L. n. 695 del 1967, art. 9, sull'onda dei precedenti arresti di questa Corte che non ha mancato di sottolineare come il reato previsto dalla legge citata sia un reato proprio, che tutela l'ordine pubblico internazionale, al fine di assicurare che l'importazione ed il transito dei materiali di armamento siano rispondenti alle linee della politica estera italiana (Sez. 1, 17.9.2002, n. 38401).
In sostanza, la previsione normativa in questione è riferita solo a quei soggetti che essendo iscritti nel registro nazionale delle imprese operanti nel settore delle armi pongano in essere trattative in violazione della L. n. 185 del 1990, art. 9, che prevede l'obbligo di comunicazione dell'inizio delle trattative e l'obbligo di condurle secondo le direttive della autorità politica italiana. Il R., così come i correi, non era iscritto al registro delle imprese operanti nel settore delle armi e dunque la sua condotta non poteva integrare il reato proprio di cui sopra.
Al rigetto del ricorso deve seguire la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 12 febbraio 2013.
Depositato in Cancelleria il 27 febbraio 2013

Nessun commento: