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domenica 15 settembre 2013

tto Camera Risoluzione in Assemblea 6-00029 presentato da MARCON Giulio testo di Mercoledì 11 settembre 2013, seduta n. 75..vengono tagliati diversi capitoli di spesa per le assunzioni tra polizia, vigili del fuoco (erano state promesse 1.000 assunzioni per i pompieri) e forze armate. In tutto, 35 voci ministeriali ridotte per quasi un miliardo; ..



Atto Camera

Risoluzione in Assemblea 6-00029
presentato da
MARCON Giulio
testo di
Mercoledì 11 settembre 2013, seduta n. 75
La Camera,
    esaminata la Relazione del Governo sulle modifiche agli obiettivi programmatici di finanza pubblica (Doc. LVII-bis, n. 2)
   premesso che:
    il Governo non ha predisposto nei mesi scorsi la Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2013 redatta precedentemente dal Governo Monti;
    nell'introduzione al DEF 2013, l'allora Presidente del Consiglio Mario Monti scriveva con riferimento allo stesso, che «coerentemente con la fase di “prorogatio” il Governo in carica non può formulare orientamenti per il futuro che presuppongano scelte d'indirizzo politico-legislativo o l'avvio di nuove politiche di vasto respiro che non siano già state condivise dal Parlamento»;
    tale orientamento di provvisorietà del DEF presentato, veniva confermato alla conferenza stampa di presentazione dello stesso, il 10 aprile 2013, allorquando si sosteneva che «il nuovo Governo dovrà intervenire per integrare e aggiornare il DEF»;
    il Ministro dell'economia e delle finanze, nell'audizione alle Commissioni speciali riunite di Camera e Senato il 2 maggio scorso dichiarava che «il Governo si impegna a presentare ma una nota aggiuntiva nei tempi compatibili con la chiusura della procedura dei disavanzi eccessi, mediante il quale potrà assumere a pieno titolo gli obiettivi strategici recentemente espressi dal Presidente del Consiglio»;
    la presentazione di tale nota appariva un passaggio non omissibile, e sarebbe stata determinante per definire le politiche pubbliche che il Governo intendeva adottare e per comprendere quali misure concrete il Governo intendeva assumere per il conseguimento degli obiettivi di crescita intelligente, sostenibile e solidale come definiti nella strategia «Europa 2020»;
    nel discorso alle Camere, il Presidente del Consiglio, aveva dichiarato che il Governo avrebbe agito con primi interventi per dare ossigeno alle famiglie, in particolare a quelle meno abbienti, e alle imprese tramite la riduzione fiscale sul lavoro, il superamento della tassazione sulla prima casa, l'alleggerimento dell'Iva, senza tuttavia indicare ancora oggi con quali misure tali riduzioni di entrate e maggiori spese saranno compensate;
    di fatto, così facendo, l'attuale Governo ha sancito la sua continuità con l'operato dei Governi Berlusconi-Monti, operato che, unitamente agli effetti della crisi, ha ridotto il nostro Pil dal 2008 ad oggi di 230 miliardi (stima della Corte di conti), che ha portato il nostro debito dal 103 per cento del Pil, risultato raggiunto nel 2007 dal Governo Prodi, all'attuale 134 per cento, livello mai raggiunto (essenzialmente perché il Pil è crollato), e che ha penalizzato i ceti popolari, riducendo i consumi, aumentando la disoccupazione, la povertà, nonché il divario tra una minoranza dei più abbienti e la maggior parte della popolazione, mentre la ripresa economica è al di là da venire;
    infatti, anche se la Relazione al nostro esame afferma che «la situazione dell'economia comincia a migliorare, anche in conseguenza delle iniziative governative intraprese nei mesi scorsi», la realtà è ben diversa;
    d'altronde, lo ammette, contraddittoriamente, la stessa Relazione dove afferma che «la previsione di crescita annua contenuta del DEF (pari a –1,3 per cento) dovrà essere rivista verso il basso». Ancora una volta le previsioni governative, viziate dall'illusione che le politiche di austerità possano risultare espansive, sono erronee. La congiuntura favorevole significa solo un minore ritmo di contrazione dell'economia;
    nel novero delle economie europee, quella italiana presenta segni di maggiore affanno, con il Pil ancora contrassegnato dal segno meno dopo 8 trimestri consecutivi. Secondo l'ultima stima di Eurostat, nel secondo trimestre 2013 il Pil è cresciuto dello 0,3 per cento sia nell'Eurozona sia nella Unione europea-27, mentre in Italia si è avuto un –0,2 per cento. Beninteso, il dato complessivo dell'Eurozona e della Unione europea non dice che l'Europa è uscita dalla crisi in cui è piombata da più di un lustro ormai: ben altri ritmi dovrebbe avere la crescita per recuperare il terreno perduto e compensare i danni che stanno provocando le politiche di austerità. Nondimeno in un contesto che fa registrare qualche segnale di ripresa, l'Italia rimane al palo;
    ancora meno rassicuranti sono le stime che ha fornito recentemente l'Ocse: per il 2013 si prevede ulteriore contrazione della ricchezza nazionale (-1,8 per cento) in rapporto al 2012, che, come si sa, si chiuse con un vistoso calo del 2,4 per cento su base annua;
    sono preoccupanti anche i dati sull'occupazione, se è vero, come l'Istat rileva, che il tasso di disoccupazione è tornato al 12 per cento (un punto percentuale in più sulla media europea) e quello giovanile vicino al 40 per cento, in aumento del 4,3 per cento rispetto al 2012. Solo nell'ultimo anno i disoccupati sono aumentati di 325 mila unità. E in queste stime non si dà conto, in maniera disaggregata, della situazione drammatica, specifica, in cui versano tanti disoccupati con oltre 40 o 50 anni d'età, quelli che hanno perso il lavoro in età avanzata e sono ancora molto lontani dalla pensione, anche per effetto delle recenti «riforme» della previdenza che hanno sensibilmente aumentato l'età pensionabile;
    tale situazione critica del nostro apparato produttivo viene confermata anche dalla crescita del numero delle vertenze gestite dalla task force del Ministero dello sviluppo economico con circa 700 casi affrontati dall'inizio della crisi ad oggi e con altre 150 aziende in amministrazione controllata, casi che coinvolgono tutti i settori;
    colpisce anche la vera e propria epidemia che ha colpito la piccola e media impresa: le aziende che hanno chiuso battenti tra gennaio e marzo 2013 sono state ben 31 mila. Un dato, come ha fatto rilevare recentemente Il Sole 24 Ore, peggiore addirittura rispetto al 2009, l'anno più buio della crisi, quando il saldo negativo si fermò intorno alle 30mila unità;
    anche i consumi soffrono della crisi. L'ultima indagine Istat sul commercio al dettaglio mostra una diminuzione del 3 per cento a giugno rispetto all'anno precedente, la dodicesima consecutiva (si prevede un –2,2 per cento su base annua rispetto all'anno precedente). Un calo continuo, che non risparmia nemmeno i beni di primissima necessità, come gli alimenti ed i farmaci;
    una situazione così delicata che quantunque l'Italia agganciasse la flebile ripresa europea (per il 2014 è impensabile prevedere una ripresa superiore al punto di Pil), ciò sarebbe assolutamente insufficiente a mettere benzina nella sua economia. Per uscire da questa recessione prolungata, riparando pure i danni procurati dal combinato disposto di crisi e austerità, il nostro Paese dovrebbe crescere nei prossimi anni ad un tasso del 3-4 per cento almeno;
    per l'anno 2014 è del tutto illusorio ipotizzare una ripresa superiore ad un punto di Pil;
    del tutto ingiustificato, dunque, è l'ottimismo degli esponenti governativi, a seguito della chiusura dalla procedura di infrazione per deficit eccessivo, gravante sull'Italia dal 2009;
    i provvedimenti previsti dal decreto-legge n. 102 del 2013, si legge nella Relazione, «avranno un impatto favorevole sull'economia»;
    in realtà, confermando la cancellazione della prima rata dell'Imu 2013, rinviando alla legge di stabilità la decisione sulla seconda rata e spostando sulla «service tax» il compito di sostituire l'Imu nel 2014, il Governo Letta-Alfano non ha solo ribadito la sua abilità nella tattica del rinvio, ma ha operato una ridistribuzione del carico fiscale che penalizza i giovani, i più poveri, i territori più in difficoltà;
    viene cancellata la prima rata dell'Imu 2013 per le abitazioni principali (e le pertinenze). Lo stesso accade per terreni agricoli e fabbricati rurali strumentali. Dall'intervento scaturisce una sforbiciata al gettito Imu del 2013 pari a 2.396,2 milioni, di cui circa 2 miliardi ascrivibili alle abitazioni principali di proprietà individuale, circa 0,3 miliardi ai terreni e la restante quota alle unità immobiliari appartenenti alle cooperative a proprietà indivisa, all'edilizia residenziale pubblica e ai fabbricati rurali strumentali;
    dal 2014 si introduce la «service tax»: si tratta non solo dell'ennesimo cambio di nome della stessa imposta, ma anche di uno spostamento del carico fiscale: da imposta pagata dai proprietari (cioè patrimoniale) come Ici e Imu, a imposta pagata da chi vive in una casa, cioè anche dagli inquilini;
    per finanziare l'abolizione dell'Imu prima casa anche per i proprietari che non avevano bisogno di questa agevolazione, si fa pagare agli inquilini una parte della futura service tax;
    inoltre, si rinuncia ad affrontare adeguatamente il disagio abitativo di chi è colpito da sfratto per morosità, in assenza di un mercato dell'affitto a prezzo sostenibili. Anzi si riducono le risorse destinate a questo scopo:
     le risorse per il Fondo sociale per l'affitto e per il Fondo per la morosità incolpevole, partiranno solo dal 2014 e si rivelano più esigue del previsto: 60 milioni per il primo e 40 milioni per il secondo, sono da ripartire tra il 2014 e il 2015. Forse a quella data, gli inquilini interessati avranno già perso la casa;
     il Fondo sociale per l'affitto quando fu istituito 15 anni fa, aveva una dotazione statale di 300 milioni di euro ed erogava un contributo medio annuo alle famiglie modenesi che copriva 6 mensilità di affitto;
     con lo stanziamento di soli 30 milioni di euro nel 2014 (e altri 30 milioni nel 2015) unitamente all'aumento esponenziale delle famiglie in disagio economico ed abitativo, il contributo annuo alle famiglie in difficoltà non potrà che essere insignificante;
    nel frattempo si abolisce l'unica imposta patrimoniale esistente in Italia. In linea generale, i motivi per la sopravvivenza di un'imposta patrimoniale sugli immobili c'erano e ci sono tutti. Peraltro lo chiederebbe anche la Costituzione che chiede di commisurare le tasse alla capacità contributiva. E non c’è dubbio sul fatto che chi possiede una casa ha maggiore capacità contributiva di chi non ce l'ha;
    semmai è necessario discutere di come esentare una fascia di proprietari poveri, con scarso reddito: ma solo di questi, non di altri. Invece, l'Imu sulla prima casa è abolita per tutti (quest'anno la pagheranno solo i proprietari di ville e castelli);
    se si guarda alle generazioni le cose sono chiare: i giovani sono tutti inquilini o potenziali tali, salvo i figli delle famiglie con più di una casa. Tra gli under 30, la maggioranza è danneggiata dal decreto Letta-Alfano. Un'ulteriore conferma del fatto che la retorica giovanilista dispensata all'insediamento dal governo Letta era, appunto, retorica. E non basta certo, per riequilibrare i pesi, riavviare la macchina dei mutui a vita, con gli incentivi a indebitarsi per comprare casa: non tutti potranno farlo. Certo aiuterà i più grandi operatori del mercato immobiliare, che non sanno più a chi vendere gli smisurati quartieri che hanno costruito alle periferie delle nostre città;
    nel decreto è contenuto un altro regalo ai costruttori: sulle case nuove, costruite e invendute, non si pagherà l'Imu. Cioè i costruttori risparmieranno qualcosa come 35 milioni (nel complesso), a fronte di un patrimonio invenduto che si aggira sugli 1,5 miliardi (stime riportate dal Sole 24 ore, 29 agosto 2013);
    in sintesi: meno tasse sul patrimonio; più tasse sull'abitare; meno certezze sulle entrate dei comuni; qualche incerto taglio di spese per coprire il mancato incasso della prima rata dell'Imu; rinvio per le coperture della seconda rata;
    il decreto conferma poi lo stanziamento di altri 500 milioni di euro per la cassa integrazione in deroga. Confermata inoltre la tutela per altri 6.500 esodati per una spesa complessiva di 151 milioni nel 2014; 164 nel 2015; 124 nel 2016; 85 nel 2017; 47 nel 2018 e infine 12 nel 2019: ai cassaintegrati ed agli esodati sono andate le briciole che restano dopo avere trovate le coperture per l'Imu;
    con questo decreto il Governo ha praticamente azzerato il fondo per l'occupazione, che finanziava per 650 milioni l'anno la decontribuzione degli aumenti salariali previsti da accordi di secondo livello. Il fondo era già stato falcidiato dalla legge di stabilità 2013 che sottraeva 150 milioni. Altri 250 milioni sono stati tolti dal fondo dai provvedimenti del Governo sulla sospensione della prima rata Imu e sul primo rifinanziamento della cassa integrazione in deroga. Gli ultimi 250 milioni sono stati stornati ora con questo decreto e le nuove norme sulla Cig e sull'eliminazione della prima rata Imu;
    i tagli per le coperture sono al fondo per l'occupazione (meno 250 milioni), alla manutenzione della rete ferroviaria, alla lotta all'evasione fiscale, alle energie rinnovabili ed alla sicurezza;
    anche le altre coperture, alcune delle quali del tutto incerte, sono inique:
     vengono ridotti di 20 milioni i finanziamenti per assumere nuovi ispettori da impegnare nel contrasto all'evasione fiscale, riduzione che si porta dietro altri 10 milioni che erano stati stanziati per incentivare la mobilità e le trasferte del personale impiegato nel contrasto all'evasione e alle frodi fiscali, al lavoro nero, al gioco clandestino;
     altri 300 milioni vengono prelevati dai 40 conti Mps dove erano state versate le risorse della Cassa conguaglio settore elettrico per finanziare l'efficienza energetica e le rinnovabili;
     ancora: 300 milioni vengono sottratti agli investimenti e alla manutenzione straordinaria della rete ferroviaria;
     vengono tagliati diversi capitoli di spesa per le assunzioni tra polizia, vigili del fuoco (erano state promesse 1.000 assunzioni per i pompieri) e forze armate. In tutto, 35 voci ministeriali ridotte per quasi un miliardo;
     è prevista una stretta sulla detraibilità delle polizze vita, con un aggravio per i contribuenti pari a 458,5 milioni di euro per l'anno 2014, a 661 milioni di euro per l'anno 2015 e a 490 milioni di euro a decorrere dall'anno 2016;
     viceversa è prevista una sanatoria per le società che gestiscono le slot machine che dovevano pagare 98 miliardi di euro di multe e sanzioni per non avere collegate le slot al cervellone dei Monopoli di Stato, cifra che prima è stata ridotta drasticamente dalla Corte dei conti a circa 2,5 miliardi ed ora con l'attuale ulteriore mega sconto, dovranno pagare solo 600 milioni. Tra di loro anche società gestite da personaggi in odore di mafia;
    un elemento positivo è comunque la previsione di un ulteriore tranche di pagamento dei debiti degli enti locali nel corso del 2013 per ulteriori 7,2 miliardi;
    ma data l'incertezza, in particolare di questi pagamenti e dell'adesione delle società concessionarie dei giochi alla sanatoria prevista, si è dovuti ricorrere ad una clausola di salvaguardia che autorizza il Governo ad aumentare l'importo degli acconti Ires e Irap e delle accise per complessivi 1,5 miliardi di euro. A novembre, dunque, saranno possibili aumenti degli acconti Ires ed Irap e delle accise;
    il decreto ha fatto, dunque, un grosso favore ai ricchi ed alla rendita, distribuito un po’ di risorse del tutto insufficienti ai cassintegrati in deroga ed a poche migliaia di «esodati», mentre ha aumentato la pressione fiscale a carico dei ceti popolari,
impegna il Governo:
a predisporre nell'ambito dei provvedimenti della prossima sessione di bilancio:
    un insieme di misure organiche di politica economica che superino le politiche di austerity a favore di interventi ed investimenti di sostegno alla domanda, al lavoro, ai redditi, alla lotta alla povertà;
    un vero e proprio piano per il lavoro per il prossimo triennio fondato su una politica di investimenti pubblici, di sostegno alle imprese, sulla riconversione ecologica dell'economia, la promozione di un piano straordinario di «piccole opere», il sostegno al welfare;
    una diversa politica fiscale che alleggerisca la pressione sul lavoro e le imprese e colpisca maggiormente le rendite finanziarie e i grandi patrimoni e la speculazione finanziaria sulla base di una più incisiva imposta sulle transazioni finanziarie;
    una politica di contenimento della spesa pubblica, riducendo i finanziamenti per le «infrastrutture strategiche» (grandi opere), gli investimenti nei sistemi d'arma (in particolare gli F35), i sussidi alle scuole private;
    una rinnovata politica industriale fondata sugli investimenti in innovazione e ricerca, sulla green economy, sulle produzioni ed i consumi sostenibili nella direzione di un nuovo modello di sviluppo;
    una politica di investimenti nella formazione, conoscenza e nella ricerca, aumentando le risorse per la scuola e l'università, combattendo la dispersione e l'abbandono scolastico;
    prevedere obiettivi più stringenti e adeguati a quello che ci viene chiesto a livello comunitario nell'ambito della realizzazione della strategia «Europa 2020», obiettivi che nel DEF 2013 sono indicati al ribasso e che devono essere rivisti verso l'alto;
    prevedere un organico piano di investimenti nel welfare che preveda l'introduzione del reddito di cittadinanza, dei livelli essenziali di assistenza (LIVEAS) previsti dalla legge n. 328 del 2000, ed un piano straordinario per la diffusione degli asili nido pubblici su tutto il territorio.
(6-00029) «Marcon, Migliore, Di Salvo, Boccadutri, Melilla, Ragosta, Paglia, Lavagno, Airaudo, Placido, Lacquaniti, Matarrelli, Ferrara».

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