N. 106
SENTENZA
15 aprile - 9 giugno 2015
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Misure di prevenzione - Provvedimenti di confisca adottati nell'ambito dei procedimenti di prevenzione - Proponibilita' del ricorso in cassazione limitatamente alla sola violazione di legge. - Legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralita'), art. 4, undicesimo comma, in combinato disposto con legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro le organizzazioni criminali di tipo mafioso, anche straniere), art. 3-ter, secondo comma. -(GU n.24 del 17-6-2015 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Alessandro CRISCUOLO;
Giudici :Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Paolo GROSSI,
Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario
MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria
de PRETIS, Nicolo' ZANON,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 4,
undicesimo comma, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (Misure di
prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e
per la pubblica moralita'); dell'art. 3-ter, secondo comma, della
legge 31 maggio 1965, n. 575, recante «Disposizioni contro le
organizzazioni criminali di tipo mafioso, anche straniere», (ora:
artt. 10, comma 3, e 27, comma 2, del decreto legislativo 6 settembre
2011, n. 159, recante «Codice delle leggi antimafia e delle misure di
prevenzione, nonche' nuove disposizioni in materia di documentazione
antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010,
n. 136»), promosso dalla Corte di cassazione, quinta sezione penale,
sul ricorso proposto da G.M., con ordinanza del 22 luglio 2014,
iscritta al n. 202 del registro ordinanze 2014 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 47, prima serie speciale,
dell'anno 2014.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nella camera di consiglio del 15 aprile 2015 il Giudice
relatore Giorgio Lattanzi.
Ritenuto in fatto
1.- La Corte di cassazione, quinta sezione penale, con ordinanza
del 22 luglio 2014 (r.o. n. 202 del 2014), ha sollevato, in
riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, una questione di
legittimita' costituzionale «del combinato disposto» dell'art. 4,
undicesimo comma, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (Misure di
prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e
per la pubblica moralita') e dell'art. 3-ter, secondo comma, della
legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro le organizzazioni
criminali di tipo mafioso, anche straniere), «ora art. 10, comma 3, e
art. 27, co. 2», del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159
(Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonche'
nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma
degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136), «nella
parte in cui limitano alla sola violazione di legge la proponibilita'
del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti di confisca
adottati nell'ambito dei procedimenti di prevenzione».
La Corte di cassazione premette di essere investita del ricorso
avverso il decreto della Corte d'appello di Reggio Calabria, sezione
delle misure di prevenzione di pubblica sicurezza, del 4 novembre
2011, che aveva confermato il decreto del Tribunale ordinario di
Reggio Calabria del 23 febbraio 2011, con il quale era stata
applicata al proposto la misura di prevenzione personale della
sorveglianza speciale di pubblica sicurezza per la durata di tre
anni, con l'obbligo di soggiorno nel Comune di residenza. Con il
medesimo provvedimento, la Corte d'appello, in seguito
all'impugnazione del pubblico ministero, aveva applicato al proposto
«la misura di prevenzione patrimoniale del sequestro e della
confisca» dei beni immobili, indicati nel decreto di sequestro emesso
dal Tribunale ordinario di Reggio Calabria il 3 maggio 2010 (n. 18),
ed oggetto di successivo dissequestro e di restituzione agli aventi
diritto con il menzionato provvedimento del 23 febbraio 2011.
La Corte di cassazione rimettente osserva che il ricorrente ha
enunciato motivi di impugnazione, in relazione sia alla misura di
prevenzione personale, sia a quella patrimoniale, deducendo il vizio
di cui all'art. 606, comma 1, lettera b), del codice di procedura
penale, per inesistenza e mera apparenza della motivazione
sull'attualita' e sulla pericolosita' sociale, che avrebbero dovuto
giustificare la misura di prevenzione personale, e inoltre il vizio
di cui all'art. 606, comma 1, lettera b), cod. proc. pen., in
relazione agli artt. 2-bis, 2-ter e 3-ter, della legge n. 575 del
1965, con riferimento all'applicazione della misura di prevenzione
patrimoniale, per quanto riguarda, sia gli indizi di appartenenza
all'associazione mafiosa, in rapporto alla produzione di proventi
illeciti, sia la ritenuta sproporzione tra le disponibilita' lecite
del proposto e il valore degli investimenti realizzati.
La Corte di cassazione, dopo aver giudicato infondati i motivi
relativi alle misure personali, ritenendo che il decreto impugnato
contenesse «una motivazione niente affatto apparente, ma
approfondita», nell'esaminare i motivi di impugnazione relativi alla
misura patrimoniale ha sollevato la questione di legittimita'
costituzionale sopraindicata.
La Corte di cassazione ricorda che l'art. 3-ter della legge n.
575 del 1965 ha esteso il sistema delle impugnazioni contro i
provvedimenti sulle misure di prevenzione personali anche al
provvedimento con cui il tribunale «dispone, tra l'altro, la confisca
dei beni sequestrati», ai sensi dell'art. 2-ter della legge n. 575
del 1965, e rileva che di conseguenza anche nei confronti del decreto
della corte d'appello che decide sull'impugnazione contro il
provvedimento del tribunale sulla misura di prevenzione patrimoniale
sarebbe ammesso solo il ricorso per cassazione per violazione di
legge, previsto dall'art. 4, undicesimo comma, della legge n. 1423
del 1956.
Anche dopo l'abrogazione delle leggi n. 1423 del 1956 e n. 575
del 1965, ad opera dell'art. 120, comma 1, lettere a) e b), del
d.lgs. n. 159 del 2011, la situazione normativa non e' cambiata.
L'art. 10, comma 3, del d.lgs. n. 159 del 2011 riproduce il contenuto
dell'art. 4, undicesimo comma, della legge n. 1423 del 1956, mentre
l'art. 27, comma 2, dello stesso decreto legislativo, nel rinviare
alle disposizioni contenute nel precedente art. 10, comma 3,
ribadisce che «avverso il decreto con cui la corte di appello decide
sulla impugnazione del provvedimento con cui il tribunale ha disposto
la confisca dei beni sequestrati, puo' essere proposto ricorso per
cassazione solo per violazione di legge».
Nella nozione di violazione di legge non rientrerebbe, secondo la
giurisprudenza della Corte di cassazione, il vizio di
«contraddittorieta' o [...] manifesta illogicita' della motivazione»,
previsto dall'art. 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen.
Il giudice rimettente ricorda che questa Corte, con la sentenza
n. 321 del 2004, ha dichiarato non fondata, in riferimento agli artt.
3 e 24 Cost., la questione di legittimita' costituzionale dell'art.
4, undicesimo comma, della legge n. 1423 del 1956, nella parte in
cui, limitando alla sola violazione di legge il ricorso contro il
decreto della corte d'appello in materia di misure di prevenzione,
esclude la ricorribilita' in cassazione per il vizio di manifesta
illogicita' della motivazione.
Nella giurisprudenza di legittimita' si sarebbe formato un
«diritto vivente», secondo cui con il ricorso per cassazione in
materia di misure di prevenzione personali o patrimoniali sarebbe
possibile far valere solo l'inesistenza della motivazione o la mera
apparenza di essa, ma non anche la sua contraddittorieta' o
illogicita' manifesta. Si e' precisato al riguardo che, oltre per la
sua mancanza, potrebbe censurarsi la motivazione solo per un difetto
dei requisiti minimi di coerenza, di completezza e di logicita', tale
da renderla soltanto apparente o assolutamente inidonea a rendere
comprensibile l'iter logico seguito dal giudice di merito, «ovvero,
ancora, quando le linee argomentative del provvedimento siano
talmente scoordinate e carenti dei necessari passaggi logici da far
risultare oscure le ragioni che hanno giustificato l'applicazione
della misura».
Il dubbio di legittimita' si rafforzerebbe per effetto degli
interventi normativi di riforma che hanno introdotto il comma 6-bis
nell'art. 2-bis della legge n. 575 del 1965 (ora riprodotto nell'art.
18, comma 1, del d.lgs. n. 159 del 2011), in base al quale «Le misure
di prevenzione personali e patrimoniali possono essere richieste e
applicate disgiuntamente e, per le misure di prevenzione
patrimoniali, indipendentemente dalla pericolosita' sociale del
soggetto proposto per la loro applicazione al momento della richiesta
della misura di prevenzione». Secondo un orientamento
giurisprudenziale, questa modificazione, facendo venire meno il
requisito dell'attualita' della pericolosita' sociale, avrebbe
accentuato la natura eminentemente sanzionatoria della confisca di
prevenzione, escludendone l'assimilabilita' alle misure di sicurezza
patrimoniali e non consentendo di derogare al principio di
irretroattivita' della legge penale di cui all'art. 11 delle
disposizioni sulla legge in generale.
Secondo un altro orientamento, invece, il venir meno del
requisito dell'attualita' della pericolosita' sociale, non avrebbe
determinato la modificazione della natura della confisca di
prevenzione, la quale non avrebbe ne' carattere sanzionatorio di
natura penale ne' quello di prevenzione, costituendo un tertium
genus, rappresentato da una sanzione amministrativa, equiparabile,
quanto al contenuto e agli effetti, alla misura di sicurezza della
confisca di cui all'art. 240, secondo comma, cod. pen., con la
conseguente applicabilita' dell'art. 200, primo comma, cod. pen. La
Corte di cassazione, a sezioni unite, avrebbe recentemente ribadito
l'equiparazione della confisca di prevenzione alle misure di
sicurezza.
Una particolare equiparazione, sempre secondo la giurisprudenza,
dovrebbe ravvisarsi tra la misura di prevenzione patrimoniale e la
confisca prevista dall'art. 12-sexies, comma 1, del decreto-legge 8
giugno 1992, n. 306 (Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura
penale e provvedimenti di contrasto alla criminalita' mafiosa),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 7
agosto 1992, n. 356, la quale, nel caso di condanna o di applicazione
della pena su richiesta delle parti per taluno dei delitti indicati
nel primo e nel secondo comma del citato articolo, prevede
obbligatoriamente «la confisca del denaro, dei beni o delle altre
utilita' di cui il condannato non puo' giustificare la provenienza e
di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta
essere titolare o avere la disponibilita' a qualsiasi titolo in
valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle
imposte sul reddito, o alla propria attivita' economica».
L'equiparazione deriverebbe dal fatto che entrambe le misure
prescindono da una valutazione sull'attuale pericolosita' sociale del
destinatario del provvedimento di confisca, richiedendo come
presupposto l'esistenza di una sproporzione tra il valore dei beni
posseduti direttamente o indirettamente dall'interessato e i redditi
risultanti dalle dichiarazioni fiscali o comunque ragionevolmente
riconducibili alle attivita' economiche esercitate. In entrambi i
casi, inoltre, attraverso l'effetto ablativo, l'ordinamento
perseguirebbe l'obiettivo di evitare che il sistema economico legale
sia funzionalmente alterato da anomali accumuli di ricchezza. Il
procedimento di applicazione di tali misure sarebbe connotato dal
«carattere giurisdizionale» concludendosi con provvedimenti
definitivi, pur suscettibili di revoca.
Un'ulteriore conferma della possibilita' di equiparare la
confisca di prevenzione alla confisca penale dell'art. 12-sexies del
d.l. n. 306 del 1992 andrebbe ravvisata nel fatto che quest'ultima
non deve essere necessariamente disposta con la sentenza di condanna,
la quale ne costituisce solo il necessario presupposto. Essa
potrebbe, infatti, essere adottata anche dal giudice dell'esecuzione,
con la procedura de plano, a norma degli artt. 676 e 667, comma 4,
cod. proc. pen., ovvero all'esito di una procedura in
contraddittorio, a norma dell'art. 666 cod. proc. pen. Il
provvedimento di applicazione in executivis della confisca prevista
dall'art. 12-sexies sarebbe ricorribile per cassazione per tutti i
motivi previsti dall'art. 606 cod. proc. pen., ivi compresi i vizi di
motivazione, previo esperimento dell'opposizione, ai sensi dell'art.
667, comma 4, cod. proc. pen.
Non sarebbe dunque giustificabile che il provvedimento relativo
alla confisca di prevenzione sia ricorribile per cassazione solo per
violazione di legge, mentre nei confronti di quello relativo alla
confisca dell'art. 12-sexies si possono dedurre anche i vizi di
motivazione previsti dall'art. 606, comma 1, lettera e), cod. proc.
pen.
L'incongruenza risulterebbe ancora piu' manifesta considerando
che la confisca di prevenzione prescinde non solo dal requisito
dell'attuale pericolosita' della persona (come nel caso dell'art.
12-sexies del d.l. n. 306 del 1992), ma anche dalla previa pronuncia
di una condanna penale (richiesta, invece, dal citato art.
12-sexies). Rispetto alla confisca di prevenzione, che e' basata su
un presupposto oggettivamente piu' debole di quello rappresentato da
una condanna penale, il diritto di difesa, secondo il giudice
rimettente, dovrebbe essere maggiormente garantito.
L'accoglimento della questione non aprirebbe il varco ad un
«dubbio di costituzionalita'» in relazione all'analoga limitazione
concernente i vizi deducibili con il ricorso per cassazione nei
confronti dei provvedimenti applicativi delle misure di prevenzione
personali. Esse, infatti, avrebbero natura ed effetti diversi da
quelli delle sanzioni penali, si' da giustificare l'attuale regime
delle impugnazioni, a differenza di quanto accade per la confisca di
prevenzione, la quale produce le medesime conseguenze negative di
quella disposta ai sensi dell'art. 12-sexies del d.l. n. 306 del
1992.
In punto di rilevanza, la Corte di cassazione osserva che «il
combinato disposto degli artt. 10, comma 3, e 27, co. 2, d.lvo 6
settembre 2011, n. 159» risulta applicabile alla fase processuale in
atto, in quanto limita al solo vizio della violazione di legge il
controllo demandato, attraverso il ricorso, alla Corte di cassazione.
L'eventuale pronuncia della Corte costituzionale sarebbe in grado
di incidere concretamente sul giudizio principale, consentendo alla
Corte di cassazione di esaminare i vizi dedotti con il ricorso «nella
loro effettiva natura di doglianze che, benche' strumentalmente
veicolate sotto le "mentite" spoglie della violazione di legge,
costituita dalla pretesa "mera apparenza" della motivazione a
sostegno del provvedimento impugnato, in realta' sono state declinate
come veri e propri vizi di motivazione, di cui non appare possibile
escludere "ictu oculi" la fondatezza, ma che, d'altra parte, in
quanto tali, renderebbero, allo stato attuale della richiamata
normativa, inammissibile il ricorso».
2.- Nel giudizio di legittimita' costituzionale e' intervenuto il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto che la questione
sia dichiarata inammissibile e, comunque, infondata.
L'Avvocatura ritiene irrilevante la questione sollevata nel
giudizio di merito, non avendo la Corte rimettente spiegato le
ragioni che l'hanno indotta a disattendere l'interpretazione della
difesa dell'imputato, secondo la quale la motivazione del decreto
cautelare impugnato sarebbe meramente apparente. Una tale
qualificazione della motivazione avrebbe infatti consentito di
ritenere ammissibile il ricorso perche' proposto sotto il profilo
della violazione di legge, senza la necessita' di una preventiva
declaratoria sulla incostituzionalita'.
Nel merito la questione sarebbe manifestamente infondata.
Dopo aver richiamato la pronuncia n. 321 del 2004, che ha
dichiarato non fondata un'uguale questione di legittimita'
costituzionale sollevata nei confronti dell'art. 4, undicesimo comma,
della legge n. 1423 del 1956, la difesa statale ritiene le censure
prive di fondamento, perche' il risultato perseguito dal rimettente
non puo' essere ritenuto costituzionalmente obbligato.
Il procedimento di prevenzione, il processo penale e il
procedimento per l'applicazione delle misure di sicurezza sarebbero
dotati di proprie peculiarita', sia sul terreno processuale che nei
presupposti sostanziali, e dunque non sarebbero comparabili.
Secondo la giurisprudenza costante della Corte costituzionale, le
forme di esercizio del diritto di difesa potrebbero essere
diversamente modulate in relazione alle caratteristiche di ciascun
procedimento, sempre che di tale diritto siano comunque assicurati lo
scopo e la funzione.
La modifica normativa, introdotta con il comma 6-bis dell'art.
2-bis della legge n. 575 del 1965, secondo cui le misure di
prevenzione patrimoniali possono essere applicate indipendentemente
dalla pericolosita' sociale del proposto al momento della richiesta
della misura in questione, non sarebbe decisiva, dato che, come
ricorda la stessa ordinanza di rimessione, la giurisprudenza
prevalente della Corte di cassazione considera la confisca di
prevenzione una sanzione amministrativa, equiparabile, quanto a
contenuto ed effetti, alla misura di sicurezza della confisca di cui
all'art. 240, secondo comma, cod. pen.
La difesa statale non ravvisa la pretesa irragionevolezza del
diverso regime processuale delle impugnazioni in cassazione esistente
tra la misura di prevenzione patrimoniale e la confisca prevista
dall'art. 12-sexies del d.l. n. 306 del 1992, rilevando che, in base
alla consolidata giurisprudenza della Corte di cassazione, citata
nell'ordinanza di rimessione, la misura di prevenzione in questione
avrebbe natura di sanzione amministrativa, mentre l'altra avrebbe
natura di sanzione penale.
Considerato in diritto
1.- Con ordinanza del 22 luglio 2014 (r.o. n. 202 del 2014), la
Corte di cassazione, quinta sezione penale, ha sollevato, in
riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, una questione di
legittimita' costituzionale «del combinato disposto» dell'art. 4,
undicesimo comma, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (Misure di
prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e
per la pubblica moralita') e dell'art. 3-ter, secondo comma, della
legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro le organizzazioni
criminali di tipo mafioso, anche straniere), «ora art. 10, comma 3, e
art. 27, co. 2», del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159
(Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonche'
nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma
degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136), «nella
parte in cui limitano alla sola violazione di legge la proponibilita'
del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti di confisca
adottati nell'ambito dei procedimenti di prevenzione».
La Corte rimettente - investita del ricorso presentato contro un
decreto con cui la Corte d'appello di Reggio Calabria aveva
confermato l'applicazione della misura di prevenzione della
sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, con obbligo di
soggiorno, e disposto il sequestro e la confisca di determinati beni
immobili - ricorda che il ricorrente ha enunciato vari motivi di
impugnazione, in relazione sia alla misura di prevenzione personale,
sia a quella patrimoniale.
In particolare, il ricorrente ha dedotto il vizio di cui all'art.
606, comma 1, lettera b), del codice di procedura penale, per
inesistenza e mera apparenza della motivazione sulla pericolosita'
sociale, e ha prospettato il medesimo vizio rispetto all'applicazione
della misura di prevenzione patrimoniale, per quanto riguarda sia gli
indizi di appartenenza all'associazione mafiosa, in rapporto alla
produzione di proventi illeciti, sia la ritenuta sproporzione tra le
disponibilita' lecite del proposto e il valore degli investimenti
realizzati.
La Corte di cassazione ha esaminato diffusamente l'asserito vizio
di motivazione riguardante la misura di prevenzione personale e lo ha
giudicato inesistente, mentre ha ritenuto che l'analogo motivo
relativo alla confisca rientrasse nella previsione dell'art. 606,
comma 1, lettera e), cod. proc. pen. e fosse quindi inammissibile,
perche' la normativa impugnata limita alla sola violazione di legge
la proponibilita' del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti
di confisca adottati nell'ambito dei procedimenti di prevenzione.
Secondo la Corte rimettente, il dubbio sulla legittimita' di
questo limite avrebbe preso maggiore consistenza in seguito agli
interventi normativi di riforma che hanno introdotto il comma 6-bis
nell'art. 2-bis della legge n. 575 del 1965 (ora riprodotto nell'art.
18, comma 1, del d.lgs. n. 159 del 2011), stabilendo che «Le misure
di prevenzione personali e patrimoniali possono essere richieste e
applicate disgiuntamente e, per le misure di prevenzione
patrimoniali, indipendentemente dalla pericolosita' sociale dal
soggetto proposto per la loro applicazione al momento della richiesta
della misura di prevenzione». Ad avviso del giudice a quo, sarebbe
violato l'art. 3 Cost., in quanto «Non appare [...] razionalmente
giustificabile» che, invece, nel caso della confisca dell'art.
12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306 (Modifiche urgenti
al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla
criminalita' mafiosa), convertito, con modificazioni, dall'art. 1,
comma 1, della legge 7 agosto 1992, n. 356, il ricorso per cassazione
possa essere proposto anche per il vizio di motivazione dell'art.
606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen., pur prevedendo i due
provvedimenti requisiti analoghi e la produzione di uguali effetti
negativi sul patrimonio dei destinatari.
Sarebbe violato anche l'art. 24 Cost., perche' «proprio con
riguardo alla confisca di prevenzione, siccome basata su un
presupposto oggettivamente piu' "debole" di quello rappresentato da
una condanna penale», richiesto dalla confisca dell'art. 12-sexies
del d.l. n. 306 del 1992, «il diritto di difesa, a parita' di
conseguenze pregiudizievoli derivanti dall'applicazione dell'una o
dell'altra delle misure in questione, dovrebbe essere maggiormente
garantito».
2.- L'Avvocatura dello Stato ha proposto un'eccezione di
inammissibilita' della questione per irrilevanza nel giudizio di
merito, in quanto la Corte di cassazione non avrebbe spiegato le
ragioni che l'hanno indotta a disattendere la prospettazione della
difesa del proposto, secondo la quale la motivazione del decreto
cautelare impugnato sarebbe meramente apparente, e a ritenere quindi
che applicando la normativa impugnata il ricorso sarebbe
inammissibile.
L'eccezione non e' fondata, perche' il giudice a quo ha
specificamente motivato sul punto. La Corte di cassazione, infatti,
ha precisato che «le doglianze» proposte con il ricorso, «veicolate
sotto le "mentite" spoglie della violazione di legge, costituita
dalla pretesa "mera apparenza" della motivazione a sostegno del
provvedimento impugnato, in realta' sono state declinate come veri e
propri vizi di motivazione, di cui non appare possibile escludere
"ictu oculi" la fondatezza», vizi che renderebbero pero'
inammissibile il ricorso.
3.- Preliminarmente va osservato che non incide
sull'ammissibilita' della questione l'avvenuta abrogazione
dell'intera legge n. 1423 del 1956 e di quella n. 575 del 1965, ad
opera dell'art. 120, comma 1, lettere a) e b), del d.lgs. n. 159 del
2011 (i cui artt. 10 e 27 riproducono, rispettivamente, peraltro,
senza significative variazioni, il testo delle norme censurate).
Le norme previgenti continuano a trovare applicazione nel
procedimento a quo in forza della disciplina transitoria dettata
dall'art. 117, comma 1, del citato decreto legislativo, giacche',
nella specie, la proposta di applicazione della misura patrimoniale
della confisca e' stata formulata in data anteriore a quella di
entrata in vigore del medesimo decreto.
4.- La questione non e' fondata.
4.1.- La misura di prevenzione patrimoniale della confisca e'
stata concepita, unitamente al sequestro, come strumento di contrasto
nei confronti delle associazioni di tipo mafioso ed e' stata
introdotta nel sistema delle misure di prevenzione con l'art. 14
della legge 13 settembre 1982, n. 646 (Disposizioni in materia di
misure di prevenzione di carattere patrimoniale ed integrazione alla
legge 27 dicembre 1956, n. 1423, alla legge 10 febbraio 1962, n. 57 e
alla legge 31 maggio 1965, n. 575. Istituzione di una commissione
parlamentare sul fenomeno della mafia), attraverso l'inserimento
delle relative disposizioni nella legge n. 575 del 1965 sulle misure
di prevenzione antimafia.
Con questo inserimento il legislatore aveva realizzato uno
stretto collegamento tra misure personali e misure patrimoniali, nel
senso che il sequestro dei beni poteva essere disposto solo
nell'ambito di un procedimento relativo alle misure personali, di cui
la confisca presupponeva l'applicazione. E' vero che, per effetto di
alcune modificazioni legislative intervenute successivamente, tale
presupposto, oggi, in alcuni casi, puo' mancare, ma non e' questa una
ragione che possa far ritenere mutata la natura della confisca, la
quale continua a costituire una misura di prevenzione e ad essere
applicata attraverso il relativo procedimento (Corte di cassazione,
sezioni unite penali, 26 giugno 2014, n. 4880/2015).
Le impugnazioni contro i provvedimenti relativi al sequestro e
alla confisca sono disciplinate con un rinvio ai commi ottavo, nono,
decimo e undicesimo dell'art. 4 della legge n. 1423 del 1956 (testo
legislativo fondamentale delle misure di prevenzione), effettuato
dall'art. 3-ter della legge n. 575 del 1965 (introdotto dalla legge
n. 646 del 1982), che regolano le impugnazioni contro i provvedimenti
relativi alle misure di prevenzione personali. Per effetto di questo
rinvio, «e' ammesso ricorso in cassazione per violazione di legge»
anche nei confronti del provvedimento della Corte d'appello relativo
alle misure di prevenzione patrimoniali, e, secondo la giurisprudenza
consolidata della Corte di cassazione, questa formula fa escludere
che il ricorrente possa dedurre il vizio di motivazione previsto
dall'art. 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen. Infatti, si
ritiene che con il ricorso per cassazione "per violazione di legge"
il ricorrente, oltre alla mancanza assoluta della motivazione, possa
denunciare solo un difetto di coerenza, di completezza o di logicita'
della stessa, tale da farla di fatto ritenere "apparente" e inidonea
a rappresentare le ragioni della decisione; ed e' appunto questa
limitazione a formare oggetto della questione di legittimita'
costituzionale sollevata dalla Corte di cassazione.
4.2.- Una questione analoga e' stata gia' decisa dalla Corte
costituzionale con la sentenza n. 321 del 2004, che, con riferimento
alle sole misure di prevenzione personali, ne ha dichiarato
l'infondatezza.
Con questa decisione la Corte, dopo avere affermato che il
risultato perseguito dal rimettente non poteva ritenersi
costituzionalmente obbligato, ha rilevato che la questione si basava
«sul confronto tra settori direttamente non comparabili, posto che il
procedimento di prevenzione, il processo penale e il procedimento per
l'applicazione delle misure di sicurezza sono dotati di proprie
peculiarita', sia sul terreno processuale che nei presupposti
sostanziali». D'altra parte - ha aggiunto la Corte - «e'
giurisprudenza costante [...] che le forme di esercizio del diritto
di difesa possano essere diversamente modulate in relazione alle
caratteristiche di ciascun procedimento, allorche' di tale diritto
siano comunque assicurati lo scopo e la funzione (v. tra molte
ordinanze n. 352 e n. 132 del 2003). Di conseguenza non puo'
ritenersi lesivo dei parametri evocati che i vizi della motivazione
siano variamente considerati a seconda del tipo di decisione a cui
ineriscono».
Occorre sottolineare che i medesimi argomenti, relativi alla
diversita' del procedimento di prevenzione e alle garanzie difensive,
sono stati piu' recentemente posti a base della sentenza n. 21 del
2012 e dell'ordinanza n. 216 del 2012, che ad altri fini hanno
ribadito la conformita' ai principi costituzionali del procedimento
di prevenzione, anche alla luce delle riforme operate nel 2008 e nel
2009.
4.3.- Il procedimento di prevenzione e il procedimento penale,
nella cui cornice viene applicata la confisca dell'art. 12-sexies del
d.l. n. 306 del 1992, sono dotati di proprie peculiarita', sia per
l'aspetto processuale, sia per quello dei presupposti sostanziali.
Con riferimento all'aspetto processuale, deve ritenersi, tra
l'altro, non concludente l'argomento dell'ordinanza impugnata, che
pone a confronto il procedimento per la confisca di prevenzione,
disgiunto da quello per la misura personale, con il procedimento di
esecuzione per la confisca ex art. 12-sexies del d.l. n. 306 del
1992, disgiunto dal processo penale, e rileva che in quest'ultimo
procedimento, con il ricorso per cassazione contro l'ordinanza che
dispone la confisca, puo' censurarsi la motivazione, a norma
dell'art. 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen., mentre nel
procedimento di prevenzione cio' non e' consentito. Il giudice
rimettente infatti non considera che, mentre nel procedimento di
prevenzione e' previsto il «ricorso alla Corte d'appello, anche per
il merito» (art. 4, decimo comma, della legge n. 1423 del 1956), in
quello di esecuzione e' previsto solo il ricorso per cassazione.
Quindi anche sotto questo aspetto emerge la differenza tra i due
sistemi e, dopo un secondo grado di merito, ben puo' giustificarsi la
limitazione del sindacato sulla motivazione.
Gli altri aspetti, richiamati dall'ordinanza di rimessione,
secondo cui entrambi i provvedimenti vengono adottati nell'ambito di
un procedimento dal carattere giurisdizionale e si concludono con
provvedimenti definitivi, anche se suscettibili di revoca, non
appaiono tali da indurre a superare le rilevanti diversita' tra i due
procedimenti, che si riferiscono a situazioni sostanziali differenti.
Al riguardo, questa Corte, nell'ordinanza n. 275 del 1996, ha gia'
avuto occasione di sottolineare «le profonde differenze, di
procedimento e di sostanza, tra le due sedi, penale e di prevenzione:
la prima ricollegata a un determinato fatto-reato oggetto di verifica
nel processo, a seguito dell'esercizio dell'azione penale; la seconda
riferita a una complessiva notazione di pericolosita', espressa
mediante condotte che non necessariamente costituiscono reato».
Ne' per sostenere la violazione dell'art. 3 Cost. puo' farsi
utilmente riferimento, come tertium comparationis, alla confisca
prevista dall'art. 12-sexies del d.l. n. 306 del 1992, dato che
recentemente la Corte di cassazione, a sezioni unite, ha negato la
possibilita' di equiparare le due forme di confisca.
Secondo le sezioni unite, infatti, «La diversa struttura
normativa delle due fattispecie, con le diverse ricadute operative,
gia' esclude che possa porsi la prospettata unita' di ratio legis».
E' chiaro, infatti, hanno aggiunto le sezioni unite, «che la
finalita' di impedire l'utilizzo per realizzare ulteriori vantaggi
(non necessariamente reati) - coerente con i profili economici della
sostanza della prevenzione - ben si distingue dalla finalita' propria
di una misura di sicurezza atipica che comunque, attraverso
l'ablazione, mira principalmente ad impedire la commissione di nuovi
reati» (Corte di cassazione, sezioni unite penali, 29 maggio 2014, n.
33451).
Al riguardo, va sottolineato che «Le peculiarita' del
procedimento di prevenzione devono [...] essere valutate alla luce
della specifica ratio della confisca in esame, una ratio che, come ha
affermato questa Corte, da un lato, "comprende ma eccede quella delle
misure di prevenzione consistendo nel sottrarre definitivamente il
bene al "circuito economico" di origine, per inserirlo in altro,
esente dai condizionamenti criminali che caratterizzano il primo" e,
dall'altro, "a differenza di quella delle misure di prevenzione in
senso proprio, va al di la' dell'esigenza di prevenzione nei
confronti di soggetti pericolosi determinati e sorregge dunque la
misura anche oltre la permanenza in vita del soggetto pericoloso"
(sentenza n. 335 del 1996)» (sentenza n. 21 del 2012).
Il sistema delle misure di prevenzione ha dunque una sua
autonomia e una sua coerenza interna, mirando ad accertare una
fattispecie di pericolosita', che ha rilievo sia per le misure di
prevenzione personali, sia per la confisca di prevenzione, della
quale costituisce «presupposto ineludibile», e, una volta giudicata
infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4,
undicesimo comma, della legge n. 1423 del 1956 (sentenza n. 321 del
2004) rispetto alle misure personali, sarebbe irrazionale il sistema
che si verrebbe a delineare ritenendo invece fondata l'analoga
questione relativa alla confisca di prevenzione. Si determinerebbe,
infatti, una diversa estensione del sindacato della Corte di
cassazione sul provvedimento impugnato, anche in relazione al
medesimo presupposto della pericolosita' del proposto, a seconda che
venga in rilievo una misura personale o una misura patrimoniale, e
l'irrazionalita' sarebbe evidente qualora le due misure fossero
adottate con lo stesso provvedimento, come appunto e' avvenuto nel
giudizio a quo.
Non vale osservare che, in taluni casi, la confisca puo' essere
disgiunta dall'applicazione della misura di prevenzione personale,
perche' non e' su questi casi particolari che puo' costruirsi un
sistema nel quale, fin dalla loro introduzione con l'inserimento
nella legge n. 575 del 1965, le misure patrimoniali sono state
collegate a quelle personali.
Se si considera che la pericolosita', sulla quale si basano le
misure di prevenzione personali, costituisce il presupposto di quelle
reali, non puo' sostenersi che, quando, come e' avvenuto nel caso in
esame, il provvedimento impugnato le riguarda entrambe, il sindacato
della Corte di cassazione sulla motivazione possa essere diverso
rispetto alle due misure. Ne' puo' pensarsi che la censura relativa
alla motivazione sulla pericolosita' debba rimanere nell'ambito della
violazione di legge, quando il provvedimento impugnato riguarda sia
la misura personale, sia quella patrimoniale, e possa invece
estendersi ai casi previsti dall'art. 606, comma 1, lettera e), cod.
proc. pen., quando il provvedimento impugnato riguarda esclusivamente
la misura patrimoniale e la pericolosita' forma oggetto, come si
ritiene possibile, solo di un accertamento incidentale.
Deve quindi concludersi che la questione di legittimita'
costituzionale sollevata dalla Corte di cassazione e' priva di
fondamento.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimita' costituzionale
del combinato disposto dell'art. 4, undicesimo comma, della legge 27
dicembre 1956, n. 1423 (Misure di prevenzione nei confronti delle
persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralita') e
dell'art. 3-ter, secondo comma, della legge 31 maggio 1965, n. 575
(Disposizioni contro le organizzazioni criminali di tipo mafioso,
anche straniere), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della
Costituzione, dalla Corte di cassazione, quinta sezione penale, con
l'ordinanza indicata in epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 15 aprile 2015.
F.to:
Alessandro CRISCUOLO, Presidente
Giorgio LATTANZI, Redattore
Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 9 giugno 2015.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella Paola MELATTI
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