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martedì 23 giugno 2015

N. 106 SENTENZA 15 aprile - 9 giugno 2015 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Misure di prevenzione - Provvedimenti di confisca adottati nell'ambito dei procedimenti di prevenzione - Proponibilita' del ricorso in cassazione limitatamente alla sola violazione di legge. - Legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralita'), art. 4, undicesimo comma, in combinato disposto con legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro le organizzazioni criminali di tipo mafioso, anche straniere), art. 3-ter, secondo comma. - (GU n.24 del 17-6-2015 )



  N. 106 SENTENZA 15 aprile - 9 giugno 2015
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Misure  di  prevenzione  -   Provvedimenti   di   confisca   adottati
  nell'ambito dei procedimenti di prevenzione  -  Proponibilita'  del
  ricorso in cassazione limitatamente alla sola violazione di legge. 
- Legge  27  dicembre  1956,  n.  1423  (Misure  di  prevenzione  nei
  confronti delle persone  pericolose  per  la  sicurezza  e  per  la
  pubblica  moralita'),  art.  4,  undicesimo  comma,  in   combinato
  disposto con legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni  contro  le
  organizzazioni criminali di tipo mafioso,  anche  straniere),  art.
  3-ter, secondo comma. 
-   
(GU n.24 del 17-6-2015 )

  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Alessandro CRISCUOLO; 
Giudici  :Paolo  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe  FRIGO,  Paolo  GROSSI,
  Giorgio  LATTANZI,  Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario  Rosario
  MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria
  de PRETIS, Nicolo' ZANON, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel  giudizio  di  legittimita'   costituzionale   dell'art.   4,
undicesimo comma, della legge 27 dicembre 1956, n.  1423  (Misure  di
prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e
per la pubblica moralita'); dell'art.  3-ter,  secondo  comma,  della
legge 31  maggio  1965,  n.  575,  recante  «Disposizioni  contro  le
organizzazioni criminali di tipo  mafioso,  anche  straniere»,  (ora:
artt. 10, comma 3, e 27, comma 2, del decreto legislativo 6 settembre
2011, n. 159, recante «Codice delle leggi antimafia e delle misure di
prevenzione, nonche' nuove disposizioni in materia di  documentazione
antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13  agosto  2010,
n. 136»), promosso dalla Corte di cassazione, quinta sezione  penale,
sul ricorso proposto da G.M.,  con  ordinanza  del  22  luglio  2014,
iscritta al n. 202 del registro ordinanze  2014  e  pubblicata  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  47,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2014. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 15  aprile  2015  il  Giudice
relatore Giorgio Lattanzi. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- La Corte di cassazione, quinta sezione penale, con  ordinanza
del 22  luglio  2014  (r.o.  n.  202  del  2014),  ha  sollevato,  in
riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione,  una  questione  di
legittimita' costituzionale «del  combinato  disposto»  dell'art.  4,
undicesimo comma, della legge 27 dicembre 1956, n.  1423  (Misure  di
prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e
per la pubblica moralita') e dell'art. 3-ter,  secondo  comma,  della
legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro  le  organizzazioni
criminali di tipo mafioso, anche straniere), «ora art. 10, comma 3, e
art. 27, co. 2», del decreto legislativo 6  settembre  2011,  n.  159
(Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione,  nonche'
nuove disposizioni in materia di documentazione  antimafia,  a  norma
degli articoli 1 e 2 della legge 13  agosto  2010,  n.  136),  «nella
parte in cui limitano alla sola violazione di legge la proponibilita'
del ricorso  per  cassazione  avverso  i  provvedimenti  di  confisca
adottati nell'ambito dei procedimenti di prevenzione». 
    La Corte di cassazione premette di essere investita  del  ricorso
avverso il decreto della Corte d'appello di Reggio Calabria,  sezione
delle misure di prevenzione di pubblica  sicurezza,  del  4  novembre
2011, che aveva confermato il  decreto  del  Tribunale  ordinario  di
Reggio Calabria  del  23  febbraio  2011,  con  il  quale  era  stata
applicata al  proposto  la  misura  di  prevenzione  personale  della
sorveglianza speciale di pubblica sicurezza  per  la  durata  di  tre
anni, con l'obbligo di soggiorno nel  Comune  di  residenza.  Con  il
medesimo   provvedimento,   la   Corte    d'appello,    in    seguito
all'impugnazione del pubblico ministero, aveva applicato al  proposto
«la  misura  di  prevenzione  patrimoniale  del  sequestro  e   della
confisca» dei beni immobili, indicati nel decreto di sequestro emesso
dal Tribunale ordinario di Reggio Calabria il 3 maggio 2010 (n.  18),
ed oggetto di successivo dissequestro e di restituzione  agli  aventi
diritto con il menzionato provvedimento del 23 febbraio 2011. 
    La Corte di cassazione rimettente osserva che  il  ricorrente  ha
enunciato motivi di impugnazione, in relazione  sia  alla  misura  di
prevenzione personale, sia a quella patrimoniale, deducendo il  vizio
di cui all'art. 606, comma 1, lettera b),  del  codice  di  procedura
penale,  per  inesistenza  e   mera   apparenza   della   motivazione
sull'attualita' e sulla pericolosita' sociale, che  avrebbero  dovuto
giustificare la misura di prevenzione personale, e inoltre  il  vizio
di cui all'art. 606,  comma  1,  lettera  b),  cod.  proc.  pen.,  in
relazione agli artt. 2-bis, 2-ter e 3-ter, della  legge  n.  575  del
1965, con riferimento all'applicazione della  misura  di  prevenzione
patrimoniale, per quanto riguarda, sia  gli  indizi  di  appartenenza
all'associazione mafiosa, in rapporto  alla  produzione  di  proventi
illeciti, sia la ritenuta sproporzione tra le  disponibilita'  lecite
del proposto e il valore degli investimenti realizzati. 
    La Corte di cassazione, dopo aver giudicato  infondati  i  motivi
relativi alle misure personali, ritenendo che  il  decreto  impugnato
contenesse   «una   motivazione   niente   affatto   apparente,    ma
approfondita», nell'esaminare i motivi di impugnazione relativi  alla
misura  patrimoniale  ha  sollevato  la  questione  di   legittimita'
costituzionale sopraindicata. 
    La Corte di cassazione ricorda che l'art. 3-ter  della  legge  n.
575 del 1965  ha  esteso  il  sistema  delle  impugnazioni  contro  i
provvedimenti  sulle  misure  di  prevenzione  personali   anche   al
provvedimento con cui il tribunale «dispone, tra l'altro, la confisca
dei beni sequestrati», ai sensi dell'art. 2-ter della  legge  n.  575
del 1965, e rileva che di conseguenza anche nei confronti del decreto
della  corte  d'appello  che  decide  sull'impugnazione   contro   il
provvedimento del tribunale sulla misura di prevenzione  patrimoniale
sarebbe ammesso solo il ricorso  per  cassazione  per  violazione  di
legge, previsto dall'art. 4, undicesimo comma, della  legge  n.  1423
del 1956. 
    Anche dopo l'abrogazione delle leggi n. 1423 del 1956  e  n.  575
del 1965, ad opera dell'art. 120, comma  1,  lettere  a)  e  b),  del
d.lgs. n. 159 del 2011, la  situazione  normativa  non  e'  cambiata.
L'art. 10, comma 3, del d.lgs. n. 159 del 2011 riproduce il contenuto
dell'art. 4, undicesimo comma, della legge n. 1423 del  1956,  mentre
l'art. 27, comma 2, dello stesso decreto  legislativo,  nel  rinviare
alle  disposizioni  contenute  nel  precedente  art.  10,  comma   3,
ribadisce che «avverso il decreto con cui la corte di appello  decide
sulla impugnazione del provvedimento con cui il tribunale ha disposto
la confisca dei beni sequestrati, puo' essere  proposto  ricorso  per
cassazione solo per violazione di legge». 
    Nella nozione di violazione di legge non rientrerebbe, secondo la
giurisprudenza   della   Corte   di   cassazione,   il    vizio    di
«contraddittorieta' o [...] manifesta illogicita' della motivazione»,
previsto dall'art. 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen. 
    Il giudice rimettente ricorda che questa Corte, con  la  sentenza
n. 321 del 2004, ha dichiarato non fondata, in riferimento agli artt.
3 e 24 Cost., la questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.
4, undicesimo comma, della legge n. 1423 del  1956,  nella  parte  in
cui, limitando alla sola violazione di legge  il  ricorso  contro  il
decreto della corte d'appello in materia di  misure  di  prevenzione,
esclude la ricorribilita' in cassazione per  il  vizio  di  manifesta
illogicita' della motivazione. 
    Nella  giurisprudenza  di  legittimita'  si  sarebbe  formato  un
«diritto vivente», secondo cui  con  il  ricorso  per  cassazione  in
materia di misure di prevenzione  personali  o  patrimoniali  sarebbe
possibile far valere solo l'inesistenza della motivazione o  la  mera
apparenza  di  essa,  ma  non  anche  la  sua  contraddittorieta'   o
illogicita' manifesta. Si e' precisato al riguardo che, oltre per  la
sua mancanza, potrebbe censurarsi la motivazione solo per un  difetto
dei requisiti minimi di coerenza, di completezza e di logicita', tale
da renderla soltanto apparente o  assolutamente  inidonea  a  rendere
comprensibile l'iter logico seguito dal giudice di  merito,  «ovvero,
ancora,  quando  le  linee  argomentative  del  provvedimento   siano
talmente scoordinate e carenti dei necessari passaggi logici  da  far
risultare oscure le ragioni  che  hanno  giustificato  l'applicazione
della misura». 
    Il dubbio di legittimita'  si  rafforzerebbe  per  effetto  degli
interventi normativi di riforma che hanno introdotto il  comma  6-bis
nell'art. 2-bis della legge n. 575 del 1965 (ora riprodotto nell'art.
18, comma 1, del d.lgs. n. 159 del 2011), in base al quale «Le misure
di prevenzione personali e patrimoniali possono  essere  richieste  e
applicate  disgiuntamente   e,   per   le   misure   di   prevenzione
patrimoniali,  indipendentemente  dalla  pericolosita'  sociale   del
soggetto proposto per la loro applicazione al momento della richiesta
della   misura   di    prevenzione».    Secondo    un    orientamento
giurisprudenziale,  questa  modificazione,  facendo  venire  meno  il
requisito  dell'attualita'  della  pericolosita'   sociale,   avrebbe
accentuato la natura eminentemente sanzionatoria  della  confisca  di
prevenzione, escludendone l'assimilabilita' alle misure di  sicurezza
patrimoniali  e  non  consentendo  di  derogare   al   principio   di
irretroattivita'  della  legge  penale  di  cui  all'art.  11   delle
disposizioni sulla legge in generale. 
    Secondo  un  altro  orientamento,  invece,  il  venir  meno   del
requisito dell'attualita' della pericolosita'  sociale,  non  avrebbe
determinato  la  modificazione  della  natura   della   confisca   di
prevenzione, la quale non  avrebbe  ne'  carattere  sanzionatorio  di
natura penale ne'  quello  di  prevenzione,  costituendo  un  tertium
genus, rappresentato da una  sanzione  amministrativa,  equiparabile,
quanto al contenuto e agli effetti, alla misura  di  sicurezza  della
confisca di cui all'art.  240,  secondo  comma,  cod.  pen.,  con  la
conseguente applicabilita' dell'art. 200, primo comma, cod.  pen.  La
Corte di cassazione, a sezioni unite, avrebbe  recentemente  ribadito
l'equiparazione  della  confisca  di  prevenzione  alle   misure   di
sicurezza. 
    Una particolare equiparazione, sempre secondo la  giurisprudenza,
dovrebbe ravvisarsi tra la misura di prevenzione  patrimoniale  e  la
confisca prevista dall'art. 12-sexies, comma 1, del  decreto-legge  8
giugno 1992, n. 306 (Modifiche urgenti al nuovo codice  di  procedura
penale e  provvedimenti  di  contrasto  alla  criminalita'  mafiosa),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1,  della  legge  7
agosto 1992, n. 356, la quale, nel caso di condanna o di applicazione
della pena su richiesta delle parti per taluno dei  delitti  indicati
nel  primo  e  nel  secondo  comma  del  citato   articolo,   prevede
obbligatoriamente «la confisca del denaro, dei  beni  o  delle  altre
utilita' di cui il condannato non puo' giustificare la provenienza  e
di cui, anche per interposta  persona  fisica  o  giuridica,  risulta
essere titolare o avere  la  disponibilita'  a  qualsiasi  titolo  in
valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato  ai  fini  delle
imposte  sul  reddito,   o   alla   propria   attivita'   economica».
L'equiparazione  deriverebbe  dal  fatto  che  entrambe   le   misure
prescindono da una valutazione sull'attuale pericolosita' sociale del
destinatario  del  provvedimento  di   confisca,   richiedendo   come
presupposto l'esistenza di una sproporzione tra il  valore  dei  beni
posseduti direttamente o indirettamente dall'interessato e i  redditi
risultanti dalle dichiarazioni  fiscali  o  comunque  ragionevolmente
riconducibili alle attivita' economiche  esercitate.  In  entrambi  i
casi,   inoltre,   attraverso   l'effetto   ablativo,   l'ordinamento
perseguirebbe l'obiettivo di evitare che il sistema economico  legale
sia funzionalmente alterato da  anomali  accumuli  di  ricchezza.  Il
procedimento di applicazione di tali  misure  sarebbe  connotato  dal
«carattere   giurisdizionale»   concludendosi    con    provvedimenti
definitivi, pur suscettibili di revoca. 
    Un'ulteriore  conferma  della  possibilita'  di   equiparare   la
confisca di prevenzione alla confisca penale dell'art. 12-sexies  del
d.l. n. 306 del 1992 andrebbe ravvisata nel  fatto  che  quest'ultima
non deve essere necessariamente disposta con la sentenza di condanna,
la  quale  ne  costituisce  solo  il  necessario  presupposto.   Essa
potrebbe, infatti, essere adottata anche dal giudice dell'esecuzione,
con la procedura de plano, a norma degli artt. 676 e  667,  comma  4,
cod.   proc.   pen.,   ovvero   all'esito   di   una   procedura   in
contraddittorio,  a  norma  dell'art.  666   cod.   proc.   pen.   Il
provvedimento di applicazione in executivis della  confisca  prevista
dall'art. 12-sexies sarebbe ricorribile per cassazione  per  tutti  i
motivi previsti dall'art. 606 cod. proc. pen., ivi compresi i vizi di
motivazione, previo esperimento dell'opposizione, ai sensi  dell'art.
667, comma 4, cod. proc. pen. 
    Non sarebbe dunque giustificabile che il  provvedimento  relativo
alla confisca di prevenzione sia ricorribile per cassazione solo  per
violazione di legge, mentre nei confronti  di  quello  relativo  alla
confisca dell'art. 12-sexies si  possono  dedurre  anche  i  vizi  di
motivazione previsti dall'art. 606, comma 1, lettera e),  cod.  proc.
pen. 
    L'incongruenza risulterebbe ancora  piu'  manifesta  considerando
che la confisca di  prevenzione  prescinde  non  solo  dal  requisito
dell'attuale pericolosita' della persona  (come  nel  caso  dell'art.
12-sexies del d.l. n. 306 del 1992), ma anche dalla previa  pronuncia
di  una  condanna  penale  (richiesta,  invece,   dal   citato   art.
12-sexies). Rispetto alla confisca di prevenzione, che e'  basata  su
un presupposto oggettivamente piu' debole di quello rappresentato  da
una condanna  penale,  il  diritto  di  difesa,  secondo  il  giudice
rimettente, dovrebbe essere maggiormente garantito. 
    L'accoglimento della questione  non  aprirebbe  il  varco  ad  un
«dubbio di costituzionalita'» in  relazione  all'analoga  limitazione
concernente i vizi deducibili  con  il  ricorso  per  cassazione  nei
confronti dei provvedimenti applicativi delle misure  di  prevenzione
personali. Esse, infatti, avrebbero  natura  ed  effetti  diversi  da
quelli delle sanzioni penali, si' da  giustificare  l'attuale  regime
delle impugnazioni, a differenza di quanto accade per la confisca  di
prevenzione, la quale produce le  medesime  conseguenze  negative  di
quella disposta ai sensi dell'art. 12-sexies  del  d.l.  n.  306  del
1992. 
    In punto di rilevanza, la Corte di  cassazione  osserva  che  «il
combinato disposto degli artt. 10, comma 3, e  27,  co.  2,  d.lvo  6
settembre 2011, n. 159» risulta applicabile alla fase processuale  in
atto, in quanto limita al solo vizio della  violazione  di  legge  il
controllo demandato, attraverso il ricorso, alla Corte di cassazione. 
    L'eventuale pronuncia della Corte costituzionale sarebbe in grado
di incidere concretamente sul giudizio principale,  consentendo  alla
Corte di cassazione di esaminare i vizi dedotti con il ricorso «nella
loro effettiva  natura  di  doglianze  che,  benche'  strumentalmente
veicolate sotto le  "mentite"  spoglie  della  violazione  di  legge,
costituita  dalla  pretesa  "mera  apparenza"  della  motivazione   a
sostegno del provvedimento impugnato, in realta' sono state declinate
come veri e propri vizi di motivazione, di cui non  appare  possibile
escludere "ictu oculi" la  fondatezza,  ma  che,  d'altra  parte,  in
quanto  tali,  renderebbero,  allo  stato  attuale  della  richiamata
normativa, inammissibile il ricorso». 
    2.- Nel giudizio di legittimita' costituzionale e' intervenuto il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto che  la  questione
sia dichiarata inammissibile e, comunque, infondata. 
    L'Avvocatura  ritiene  irrilevante  la  questione  sollevata  nel
giudizio di merito,  non  avendo  la  Corte  rimettente  spiegato  le
ragioni che l'hanno indotta a  disattendere  l'interpretazione  della
difesa dell'imputato, secondo la quale  la  motivazione  del  decreto
cautelare   impugnato   sarebbe   meramente   apparente.   Una   tale
qualificazione  della  motivazione  avrebbe  infatti  consentito   di
ritenere ammissibile il ricorso perche'  proposto  sotto  il  profilo
della violazione di legge, senza  la  necessita'  di  una  preventiva
declaratoria sulla incostituzionalita'. 
    Nel merito la questione sarebbe manifestamente infondata. 
    Dopo aver richiamato  la  pronuncia  n.  321  del  2004,  che  ha
dichiarato  non   fondata   un'uguale   questione   di   legittimita'
costituzionale sollevata nei confronti dell'art. 4, undicesimo comma,
della legge n. 1423 del 1956, la difesa statale  ritiene  le  censure
prive di fondamento, perche' il risultato perseguito  dal  rimettente
non puo' essere ritenuto costituzionalmente obbligato. 
    Il  procedimento  di  prevenzione,  il  processo  penale   e   il
procedimento per l'applicazione delle misure di  sicurezza  sarebbero
dotati di proprie peculiarita', sia sul terreno processuale  che  nei
presupposti sostanziali, e dunque non sarebbero comparabili. 
    Secondo la giurisprudenza costante della Corte costituzionale, le
forme  di  esercizio  del  diritto  di   difesa   potrebbero   essere
diversamente modulate in relazione alle  caratteristiche  di  ciascun
procedimento, sempre che di tale diritto siano comunque assicurati lo
scopo e la funzione. 
    La modifica normativa, introdotta con il  comma  6-bis  dell'art.
2-bis della  legge  n.  575  del  1965,  secondo  cui  le  misure  di
prevenzione patrimoniali possono essere  applicate  indipendentemente
dalla pericolosita' sociale del proposto al momento  della  richiesta
della misura in questione,  non  sarebbe  decisiva,  dato  che,  come
ricorda  la  stessa  ordinanza  di  rimessione,   la   giurisprudenza
prevalente  della  Corte  di  cassazione  considera  la  confisca  di
prevenzione  una  sanzione  amministrativa,  equiparabile,  quanto  a
contenuto ed effetti, alla misura di sicurezza della confisca di  cui
all'art. 240, secondo comma, cod. pen. 
    La difesa statale non ravvisa  la  pretesa  irragionevolezza  del
diverso regime processuale delle impugnazioni in cassazione esistente
tra la misura di prevenzione  patrimoniale  e  la  confisca  prevista
dall'art. 12-sexies del d.l. n. 306 del 1992, rilevando che, in  base
alla consolidata giurisprudenza della  Corte  di  cassazione,  citata
nell'ordinanza di rimessione, la misura di prevenzione  in  questione
avrebbe natura di sanzione  amministrativa,  mentre  l'altra  avrebbe
natura di sanzione penale. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza del 22 luglio 2014 (r.o. n. 202 del  2014),  la
Corte  di  cassazione,  quinta  sezione  penale,  ha  sollevato,   in
riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione,  una  questione  di
legittimita' costituzionale «del  combinato  disposto»  dell'art.  4,
undicesimo comma, della legge 27 dicembre 1956, n.  1423  (Misure  di
prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e
per la pubblica moralita') e dell'art. 3-ter,  secondo  comma,  della
legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro  le  organizzazioni
criminali di tipo mafioso, anche straniere), «ora art. 10, comma 3, e
art. 27, co. 2», del decreto legislativo 6  settembre  2011,  n.  159
(Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione,  nonche'
nuove disposizioni in materia di documentazione  antimafia,  a  norma
degli articoli 1 e 2 della legge 13  agosto  2010,  n.  136),  «nella
parte in cui limitano alla sola violazione di legge la proponibilita'
del ricorso  per  cassazione  avverso  i  provvedimenti  di  confisca
adottati nell'ambito dei procedimenti di prevenzione». 
    La Corte rimettente - investita del ricorso presentato contro  un
decreto  con  cui  la  Corte  d'appello  di  Reggio  Calabria   aveva
confermato  l'applicazione  della   misura   di   prevenzione   della
sorveglianza  speciale  di  pubblica  sicurezza,   con   obbligo   di
soggiorno, e disposto il sequestro e la confisca di determinati  beni
immobili - ricorda che il ricorrente  ha  enunciato  vari  motivi  di
impugnazione, in relazione sia alla misura di prevenzione  personale,
sia a quella patrimoniale. 
    In particolare, il ricorrente ha dedotto il vizio di cui all'art.
606, comma 1,  lettera  b),  del  codice  di  procedura  penale,  per
inesistenza e mera apparenza della  motivazione  sulla  pericolosita'
sociale, e ha prospettato il medesimo vizio rispetto all'applicazione
della misura di prevenzione patrimoniale, per quanto riguarda sia gli
indizi di appartenenza all'associazione  mafiosa,  in  rapporto  alla
produzione di proventi illeciti, sia la ritenuta sproporzione tra  le
disponibilita' lecite del proposto e  il  valore  degli  investimenti
realizzati. 
    La Corte di cassazione ha esaminato diffusamente l'asserito vizio
di motivazione riguardante la misura di prevenzione personale e lo ha
giudicato  inesistente,  mentre  ha  ritenuto  che  l'analogo  motivo
relativo alla confisca rientrasse  nella  previsione  dell'art.  606,
comma 1, lettera e), cod. proc. pen. e  fosse  quindi  inammissibile,
perche' la normativa impugnata limita alla sola violazione  di  legge
la proponibilita' del ricorso per cassazione avverso i  provvedimenti
di confisca adottati nell'ambito dei procedimenti di prevenzione. 
    Secondo la Corte rimettente,  il  dubbio  sulla  legittimita'  di
questo limite avrebbe preso  maggiore  consistenza  in  seguito  agli
interventi normativi di riforma che hanno introdotto il  comma  6-bis
nell'art. 2-bis della legge n. 575 del 1965 (ora riprodotto nell'art.
18, comma 1, del d.lgs. n. 159 del 2011), stabilendo che  «Le  misure
di prevenzione personali e patrimoniali possono  essere  richieste  e
applicate  disgiuntamente   e,   per   le   misure   di   prevenzione
patrimoniali,  indipendentemente  dalla  pericolosita'  sociale   dal
soggetto proposto per la loro applicazione al momento della richiesta
della misura di prevenzione». Ad avviso del giudice  a  quo,  sarebbe
violato l'art. 3 Cost., in quanto  «Non  appare  [...]  razionalmente
giustificabile»  che,  invece,  nel  caso  della  confisca  dell'art.
12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306 (Modifiche  urgenti
al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla
criminalita' mafiosa), convertito, con  modificazioni,  dall'art.  1,
comma 1, della legge 7 agosto 1992, n. 356, il ricorso per cassazione
possa essere proposto anche per il  vizio  di  motivazione  dell'art.
606, comma 1, lettera e), cod.  proc.  pen.,  pur  prevedendo  i  due
provvedimenti requisiti analoghi e la produzione  di  uguali  effetti
negativi sul patrimonio dei destinatari. 
    Sarebbe violato anche  l'art.  24  Cost.,  perche'  «proprio  con
riguardo  alla  confisca  di  prevenzione,  siccome  basata   su   un
presupposto oggettivamente piu' "debole" di quello  rappresentato  da
una condanna penale», richiesto dalla  confisca  dell'art.  12-sexies
del d.l. n. 306 del  1992,  «il  diritto  di  difesa,  a  parita'  di
conseguenze pregiudizievoli derivanti  dall'applicazione  dell'una  o
dell'altra delle misure in questione,  dovrebbe  essere  maggiormente
garantito». 
    2.-  L'Avvocatura  dello  Stato  ha  proposto   un'eccezione   di
inammissibilita' della questione  per  irrilevanza  nel  giudizio  di
merito, in quanto la Corte di  cassazione  non  avrebbe  spiegato  le
ragioni che l'hanno indotta a disattendere  la  prospettazione  della
difesa del proposto, secondo la  quale  la  motivazione  del  decreto
cautelare impugnato sarebbe meramente apparente, e a ritenere  quindi
che  applicando   la   normativa   impugnata   il   ricorso   sarebbe
inammissibile. 
    L'eccezione  non  e'  fondata,  perche'  il  giudice  a  quo   ha
specificamente motivato sul punto. La Corte di  cassazione,  infatti,
ha precisato che «le doglianze» proposte con il  ricorso,  «veicolate
sotto le "mentite" spoglie  della  violazione  di  legge,  costituita
dalla pretesa "mera  apparenza"  della  motivazione  a  sostegno  del
provvedimento impugnato, in realta' sono state declinate come veri  e
propri vizi di motivazione, di cui  non  appare  possibile  escludere
"ictu  oculi"   la   fondatezza»,   vizi   che   renderebbero   pero'
inammissibile il ricorso. 
    3.-    Preliminarmente    va    osservato    che    non    incide
sull'ammissibilita'   della    questione    l'avvenuta    abrogazione
dell'intera legge n. 1423 del 1956 e di quella n. 575  del  1965,  ad
opera dell'art. 120, comma 1, lettere a) e b), del d.lgs. n. 159  del
2011 (i cui artt. 10 e  27  riproducono,  rispettivamente,  peraltro,
senza significative variazioni, il testo delle norme censurate). 
    Le  norme  previgenti  continuano  a  trovare  applicazione   nel
procedimento a quo in  forza  della  disciplina  transitoria  dettata
dall'art. 117, comma 1, del  citato  decreto  legislativo,  giacche',
nella specie, la proposta di applicazione della  misura  patrimoniale
della confisca e' stata formulata  in  data  anteriore  a  quella  di
entrata in vigore del medesimo decreto. 
    4.- La questione non e' fondata. 
    4.1.- La misura di prevenzione  patrimoniale  della  confisca  e'
stata concepita, unitamente al sequestro, come strumento di contrasto
nei  confronti  delle  associazioni  di  tipo  mafioso  ed  e'  stata
introdotta nel sistema delle misure  di  prevenzione  con  l'art.  14
della legge 13 settembre 1982, n. 646  (Disposizioni  in  materia  di
misure di prevenzione di carattere patrimoniale ed integrazione  alla
legge 27 dicembre 1956, n. 1423, alla legge 10 febbraio 1962, n. 57 e
alla legge 31 maggio 1965, n. 575.  Istituzione  di  una  commissione
parlamentare sul  fenomeno  della  mafia),  attraverso  l'inserimento
delle relative disposizioni nella legge n. 575 del 1965 sulle  misure
di prevenzione antimafia. 
    Con  questo  inserimento  il  legislatore  aveva  realizzato  uno
stretto collegamento tra misure personali e misure patrimoniali,  nel
senso  che  il  sequestro  dei  beni  poteva  essere  disposto   solo
nell'ambito di un procedimento relativo alle misure personali, di cui
la confisca presupponeva l'applicazione. E' vero che, per effetto  di
alcune modificazioni legislative  intervenute  successivamente,  tale
presupposto, oggi, in alcuni casi, puo' mancare, ma non e' questa una
ragione che possa far ritenere mutata la natura  della  confisca,  la
quale continua a costituire una misura di  prevenzione  e  ad  essere
applicata attraverso il relativo procedimento (Corte  di  cassazione,
sezioni unite penali, 26 giugno 2014, n. 4880/2015). 
    Le impugnazioni contro i provvedimenti relativi  al  sequestro  e
alla confisca sono disciplinate con un rinvio ai commi ottavo,  nono,
decimo e undicesimo dell'art. 4 della legge n. 1423 del  1956  (testo
legislativo fondamentale delle  misure  di  prevenzione),  effettuato
dall'art. 3-ter della legge n. 575 del 1965 (introdotto  dalla  legge
n. 646 del 1982), che regolano le impugnazioni contro i provvedimenti
relativi alle misure di prevenzione personali. Per effetto di  questo
rinvio, «e' ammesso ricorso in cassazione per  violazione  di  legge»
anche nei confronti del provvedimento della Corte d'appello  relativo
alle misure di prevenzione patrimoniali, e, secondo la giurisprudenza
consolidata della Corte di cassazione, questa  formula  fa  escludere
che il ricorrente possa dedurre  il  vizio  di  motivazione  previsto
dall'art. 606, comma 1, lettera  e),  cod.  proc.  pen.  Infatti,  si
ritiene che con il ricorso per cassazione "per violazione  di  legge"
il ricorrente, oltre alla mancanza assoluta della motivazione,  possa
denunciare solo un difetto di coerenza, di completezza o di logicita'
della stessa, tale da farla di fatto ritenere "apparente" e  inidonea
a rappresentare le ragioni della  decisione;  ed  e'  appunto  questa
limitazione  a  formare  oggetto  della  questione  di   legittimita'
costituzionale sollevata dalla Corte di cassazione. 
    4.2.- Una questione analoga e'  stata  gia'  decisa  dalla  Corte
costituzionale con la sentenza n. 321 del 2004, che, con  riferimento
alle  sole  misure  di  prevenzione  personali,  ne   ha   dichiarato
l'infondatezza. 
    Con questa decisione  la  Corte,  dopo  avere  affermato  che  il
risultato   perseguito   dal   rimettente   non   poteva    ritenersi
costituzionalmente obbligato, ha rilevato che la questione si  basava
«sul confronto tra settori direttamente non comparabili, posto che il
procedimento di prevenzione, il processo penale e il procedimento per
l'applicazione delle misure  di  sicurezza  sono  dotati  di  proprie
peculiarita',  sia  sul  terreno  processuale  che  nei   presupposti
sostanziali».  D'altra  parte  -  ha  aggiunto   la   Corte   -   «e'
giurisprudenza costante [...] che le forme di esercizio  del  diritto
di difesa possano essere  diversamente  modulate  in  relazione  alle
caratteristiche di ciascun procedimento, allorche'  di  tale  diritto
siano comunque assicurati lo  scopo  e  la  funzione  (v.  tra  molte
ordinanze n. 352  e  n.  132  del  2003).  Di  conseguenza  non  puo'
ritenersi lesivo dei parametri evocati che i vizi  della  motivazione
siano variamente considerati a seconda del tipo di  decisione  a  cui
ineriscono». 
    Occorre sottolineare che  i  medesimi  argomenti,  relativi  alla
diversita' del procedimento di prevenzione e alle garanzie difensive,
sono stati piu' recentemente posti a base della sentenza  n.  21  del
2012 e dell'ordinanza n. 216  del  2012,  che  ad  altri  fini  hanno
ribadito la conformita' ai principi costituzionali  del  procedimento
di prevenzione, anche alla luce delle riforme operate nel 2008 e  nel
2009. 
    4.3.- Il procedimento di prevenzione e  il  procedimento  penale,
nella cui cornice viene applicata la confisca dell'art. 12-sexies del
d.l. n. 306 del 1992, sono dotati di proprie  peculiarita',  sia  per
l'aspetto processuale, sia per quello dei presupposti sostanziali. 
    Con riferimento  all'aspetto  processuale,  deve  ritenersi,  tra
l'altro, non concludente l'argomento  dell'ordinanza  impugnata,  che
pone a confronto il procedimento  per  la  confisca  di  prevenzione,
disgiunto da quello per la misura personale, con il  procedimento  di
esecuzione per la confisca ex art. 12-sexies  del  d.l.  n.  306  del
1992, disgiunto dal processo penale, e  rileva  che  in  quest'ultimo
procedimento, con il ricorso per cassazione  contro  l'ordinanza  che
dispone  la  confisca,  puo'  censurarsi  la  motivazione,  a   norma
dell'art. 606, comma 1, lettera  e),  cod.  proc.  pen.,  mentre  nel
procedimento di  prevenzione  cio'  non  e'  consentito.  Il  giudice
rimettente infatti non considera  che,  mentre  nel  procedimento  di
prevenzione e' previsto il «ricorso alla Corte d'appello,  anche  per
il merito» (art. 4, decimo comma, della legge n. 1423 del  1956),  in
quello di esecuzione e' previsto  solo  il  ricorso  per  cassazione.
Quindi anche sotto questo aspetto emerge  la  differenza  tra  i  due
sistemi e, dopo un secondo grado di merito, ben puo' giustificarsi la
limitazione del sindacato sulla motivazione. 
    Gli  altri  aspetti,  richiamati  dall'ordinanza  di  rimessione,
secondo cui entrambi i provvedimenti vengono adottati nell'ambito  di
un procedimento dal carattere giurisdizionale  e  si  concludono  con
provvedimenti  definitivi,  anche  se  suscettibili  di  revoca,  non
appaiono tali da indurre a superare le rilevanti diversita' tra i due
procedimenti, che si riferiscono a situazioni sostanziali differenti.
Al riguardo, questa Corte, nell'ordinanza n. 275 del  1996,  ha  gia'
avuto  occasione  di  sottolineare  «le   profonde   differenze,   di
procedimento e di sostanza, tra le due sedi, penale e di prevenzione:
la prima ricollegata a un determinato fatto-reato oggetto di verifica
nel processo, a seguito dell'esercizio dell'azione penale; la seconda
riferita a  una  complessiva  notazione  di  pericolosita',  espressa
mediante condotte che non necessariamente costituiscono reato». 
    Ne' per sostenere la violazione  dell'art.  3  Cost.  puo'  farsi
utilmente riferimento,  come  tertium  comparationis,  alla  confisca
prevista dall'art. 12-sexies del d.l.  n.  306  del  1992,  dato  che
recentemente la Corte di cassazione, a sezioni unite,  ha  negato  la
possibilita' di equiparare le due forme di confisca. 
    Secondo  le  sezioni  unite,  infatti,  «La   diversa   struttura
normativa delle due fattispecie, con le diverse  ricadute  operative,
gia' esclude che possa porsi la prospettata unita' di  ratio  legis».
E'  chiaro,  infatti,  hanno  aggiunto  le  sezioni  unite,  «che  la
finalita' di impedire l'utilizzo per  realizzare  ulteriori  vantaggi
(non necessariamente reati) - coerente con i profili economici  della
sostanza della prevenzione - ben si distingue dalla finalita' propria
di  una  misura  di  sicurezza  atipica  che   comunque,   attraverso
l'ablazione, mira principalmente ad impedire la commissione di  nuovi
reati» (Corte di cassazione, sezioni unite penali, 29 maggio 2014, n.
33451). 
    Al  riguardo,  va   sottolineato   che   «Le   peculiarita'   del
procedimento di prevenzione devono [...] essere  valutate  alla  luce
della specifica ratio della confisca in esame, una ratio che, come ha
affermato questa Corte, da un lato, "comprende ma eccede quella delle
misure di prevenzione consistendo nel  sottrarre  definitivamente  il
bene al "circuito economico" di  origine,  per  inserirlo  in  altro,
esente dai condizionamenti criminali che caratterizzano il primo"  e,
dall'altro, "a differenza di quella delle misure  di  prevenzione  in
senso  proprio,  va  al  di  la'  dell'esigenza  di  prevenzione  nei
confronti di soggetti pericolosi determinati  e  sorregge  dunque  la
misura anche oltre la permanenza in  vita  del  soggetto  pericoloso"
(sentenza n. 335 del 1996)» (sentenza n. 21 del 2012). 
    Il  sistema  delle  misure  di  prevenzione  ha  dunque  una  sua
autonomia e una  sua  coerenza  interna,  mirando  ad  accertare  una
fattispecie di pericolosita', che ha rilievo sia  per  le  misure  di
prevenzione personali, sia per  la  confisca  di  prevenzione,  della
quale costituisce «presupposto ineludibile», e, una  volta  giudicata
infondata la questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  4,
undicesimo comma, della legge n. 1423 del 1956 (sentenza n.  321  del
2004) rispetto alle misure personali, sarebbe irrazionale il  sistema
che si  verrebbe  a  delineare  ritenendo  invece  fondata  l'analoga
questione relativa alla confisca di prevenzione.  Si  determinerebbe,
infatti,  una  diversa  estensione  del  sindacato  della  Corte   di
cassazione  sul  provvedimento  impugnato,  anche  in  relazione   al
medesimo presupposto della pericolosita' del proposto, a seconda  che
venga in rilievo una misura personale o una  misura  patrimoniale,  e
l'irrazionalita' sarebbe  evidente  qualora  le  due  misure  fossero
adottate con lo stesso provvedimento, come appunto  e'  avvenuto  nel
giudizio a quo. 
    Non vale osservare che, in taluni casi, la confisca  puo'  essere
disgiunta dall'applicazione della misura  di  prevenzione  personale,
perche' non e' su questi casi  particolari  che  puo'  costruirsi  un
sistema nel quale, fin  dalla  loro  introduzione  con  l'inserimento
nella legge n. 575  del  1965,  le  misure  patrimoniali  sono  state
collegate a quelle personali. 
    Se si considera che la pericolosita', sulla quale  si  basano  le
misure di prevenzione personali, costituisce il presupposto di quelle
reali, non puo' sostenersi che, quando, come e' avvenuto nel caso  in
esame, il provvedimento impugnato le riguarda entrambe, il  sindacato
della Corte di cassazione  sulla  motivazione  possa  essere  diverso
rispetto alle due misure. Ne' puo' pensarsi che la  censura  relativa
alla motivazione sulla pericolosita' debba rimanere nell'ambito della
violazione di legge, quando il provvedimento impugnato  riguarda  sia
la  misura  personale,  sia  quella  patrimoniale,  e  possa   invece
estendersi ai casi previsti dall'art. 606, comma 1, lettera e),  cod.
proc. pen., quando il provvedimento impugnato riguarda esclusivamente
la misura patrimoniale e la  pericolosita'  forma  oggetto,  come  si
ritiene possibile, solo di un accertamento incidentale. 
    Deve  quindi  concludersi  che  la  questione   di   legittimita'
costituzionale sollevata  dalla  Corte  di  cassazione  e'  priva  di
fondamento. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara non fondata la questione di legittimita'  costituzionale
del combinato disposto dell'art. 4, undicesimo comma, della legge  27
dicembre 1956, n. 1423 (Misure di  prevenzione  nei  confronti  delle
persone pericolose per la sicurezza e per la  pubblica  moralita')  e
dell'art. 3-ter, secondo comma, della legge 31 maggio  1965,  n.  575
(Disposizioni contro le organizzazioni  criminali  di  tipo  mafioso,
anche straniere), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e  24  della
Costituzione, dalla Corte di cassazione, quinta sezione  penale,  con
l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 15 aprile 2015. 
 
                                F.to: 
                  Alessandro CRISCUOLO, Presidente 
                     Giorgio LATTANZI, Redattore 
                Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 9 giugno 2015. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                    F.to: Gabriella Paola MELATTI 
 

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