N. 98
SENTENZA
29 aprile - 5 giugno 2015
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Impiego pubblico - Soggetti privati o enti pubblici diversi da quelli di appartenenza che conferiscono incarichi a pubblici dipendenti - Sanzioni amministrative per l'omessa tempestiva comunicazione dei compensi all'amministrazione di appartenenza dell'incaricato. - Decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), art. 53, comma 15. -(GU n.23 del 10-6-2015 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Alessandro CRISCUOLO;
Giudici :Giuseppe FRIGO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI,
Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano
AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 53, comma
15, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali
sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni
pubbliche), promosso dal Tribunale ordinario di Ancona nel
procedimento vertente tra R.G. ed altre e l'Agenzia delle entrate -
Direzione provinciale di Ancona, con ordinanza del 20 febbraio 2014,
iscritta al n. 152 del registro ordinanze 2014 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale,
dell'anno 2014.
Visti l'atto di costituzione di R.G. ed altre, nonche' l'atto di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 28 aprile 2015 il Giudice
relatore Paolo Grossi;
uditi l'avvocato Giovanni Paolo Businello per R.G. ed altre e
l'avvocato dello Stato Barbara Tidore per il Presidente del Consiglio
dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.- Il Tribunale ordinario di Ancona, in funzione di giudice del
lavoro, solleva - in riferimento agli artt. 3, 24, 76 e 77 della
Costituzione, e in relazione alla legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega
al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed
enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la
semplificazione amministrativa) nonche' alla legge 23 ottobre 1992,
n. 421 (Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione
delle discipline in materia di sanita', di pubblico impiego, di
previdenza e di finanza territoriale) - questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 53, comma 15, del decreto legislativo 30
marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle
dipendenze delle amministrazioni pubbliche), «nella versione
introdotta» dall'art. 26 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80
(Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di
lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle
controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in
attuazione dell'articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n.
59), nella parte in cui dispone che «I soggetti di cui al comma 9 che
omettono le comunicazioni di cui al comma 11 incorrono nella sanzione
di cui allo stesso comma 9».
Premette il Tribunale di essere chiamato a decidere
sull'opposizione proposta da alcuni soggetti privati avverso una
serie di ordinanze-ingiunzione emesse dall'Agenzia delle entrate per
sanzioni amministrative pecuniarie irrogate, a norma dell'art. 6 del
decreto-legge 28 marzo 1997, n. 79 (Misure urgenti per il
riequilibrio della finanza pubblica), convertito, con modificazioni,
dalla legge 28 maggio 1997, n. 140, per avere conferito a due
dipendenti della Marina militare incarico di attivita' professionale
senza la preventiva autorizzazione dell'amministrazione di
appartenenza, negli anni 2008 e 2009, e per non aver comunicato alla
stessa amministrazione i compensi erogati nei medesimi anni.
Risulta pacifico - sottolinea il giudice a quo - che i ricorrenti
non abbiano adempiuto agli obblighi di comunicazione prescritti per
chi conferisca incarichi a pubblici dipendenti, a norma dell'art. 53
del d.lgs. n. 165 del 2001; cosi' come risulta pacifico che essa
medesima fosse a conoscenza del fatto che i propri collaboratori
erano dipendenti pubblici militari.
Dopo aver riprodotto il testo di diversi commi dell'art. 53 in
discorso e in contrasto alla tesi degli opponenti (secondo cui «non
dovrebbe ricevere sanzione, per i militari, l'omessa comunicazione
all'amministrazione di appartenenza dei compensi erogati imposta dal
comma 11 del citato art. 53, in quanto il comma 6, che regola
l'ambito di applicazione della norma, fa riferimento ai commi da 7 a
13, escludendo, dunque, il comma 15, contenente l'apparato
sanzionatorio, differentemente da quanto disposto nella versione
precedente del predetto comma 6 che richiamava, al contrario, anche i
commi fino al 16»), il Tribunale reputa che l'eliminazione, dal comma
6 dell'articolo impugnato, del riferimento al comma 15 si giustifichi
per il fatto che la sanzione per l'omessa comunicazione «non viene
irrogata ai dipendenti pubblici, ma soltanto ai soggetti che si
avvalgono della loro opera»; con la conseguente piena applicabilita'
nei confronti di questi ultimi delle sanzioni previste - in caso di
omessa comunicazione, da parte dell'ente conferente, dei compensi
erogati ogni anno - dall'art. 6 del d.l. n. 79 del 1997 in relazione
ai dipendenti destinatari di incarichi retribuiti. Troverebbe,
quindi, applicazione, nel caso di specie, la normativa di cui al
comma 15 dell'art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001.
Ripercorsa la disciplina delle leggi-delega n. 59 del 1997 e n.
421 del 1992, dalla prima richiamata, il giudice rimettente osserva
come l'art. 26 del d.lgs. n. 80 del 1998, nell'introdurre importanti
modifiche all'art. 58 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29
(Razionalizzazione dell'organizzazione delle amministrazioni
pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico
impiego, a norma dell'articolo 2 della L. 23 ottobre 1992, n. 421),
abbia, da un lato, sostituito «l'obbligo della mera comunicazione
dell'incarico con l'obbligo di ottenere la previa autorizzazione»
dell'amministrazione, prevedendo, correlativamente, che la sanzione
amministrativa si applichi «all'inadempimento all'obbligo di
autorizzazione»; dall'altro lato, introdotto «un'altra identica
[sanzione] anche in caso di inottemperanza all'obbligo di
comunicazione dei compensi erogati».
Dalla riportata normativa emergerebbe come «la legge delega non
contenesse alcun riferimento alla possibilita' di introduzione di
sanzioni amministrative in caso di inottemperanza agli obblighi di
pubblicita' degli incarichi conferiti ai pubblici dipendenti»,
malgrado anche le sanzioni amministrative rispondano al principio di
legalita' e richiedano, percio', se disposte in base a una legge di
delega, l'enunciazione di precisi criteri direttivi. D'altra parte,
pur ricorrendo «ad un apprezzamento in precedenza espresso dallo
stesso legislatore», si ricaverebbe che l'ipotesi di un illecito
amministrativo, gia' introdotta dal legislatore nella precipua
materia, era stata limitata «espressamente alla condotta relativa
alla mancata comunicazione dell'incarico, con esclusione, invece,
della diversa ma conseguente condotta della mancata comunicazione di
compensi».
D'altra parte, dovendo le disposizioni della delega essere
interpretate secondo il criterio della ragionevolezza, questo non
sarebbe stato, nella specie, rispettato: sia per la previsione di una
doppia sanzione, «peraltro particolarmente afflittiva nel quantum»,
sia perche' «le esigenze di buon andamento della p.a., di trasparenza
e di compatibilita' dell'incarico privato con l'impiego pubblico»
sarebbero garantite gia' «dalla necessita' di ottenere la previa
autorizzazione», «ponendosi l'obbligo aggiuntivo della comunicazione
dei compensi come un mero adempimento accessorio».
La doppia sanzione, d'altra parte, porrebbe «il soggetto che, per
ignoranza o negligenza, non abbia chiesto la previa autorizzazione
all'incarico nell'alternativa di perseguire nell'illecito, con
rischio di comminazione della doppia sanzione, laddove scoperto, o di
autodenunciarsi, provvedendo alla comunicazione del compenso», «con
conseguente violazione del diritto di difesa ex art. 24 Cost.».
2.- Si sono costituiti in giudizio i soggetti ricorrenti nel
giudizio principale, chiedendo una declaratoria di illegittimita'
costituzionale della norma denunciata.
Dopo la rievocazione dei fatti di causa e delle difese ivi
dispiegate, viene dedotto il vizio di difetto di delega,
sottolineando come la giurisprudenza costituzionale non abbia mancato
di puntualizzare che, anche per le sanzioni amministrative, i criteri
della delega «devono essere precisi e vanno rigorosamente
interpretati», dovendosi, nella specie, escludere che la valutazione
della necessita' di una sanzione possa trarsi da un apprezzamento in
precedenza espresso dal legislatore, in ragione del principio della
successione delle leggi nel tempo.
Richiamato il contenuto dell'ordinanza di rimessione, si chiede
l'accoglimento della questione anche in riferimento al dedotto
profilo di violazione del criterio di ragionevolezza.
3.- E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha
chiesto di dichiarare inammissibile e comunque di respingere la
proposta questione.
Osserva l'Avvocatura generale che l'introduzione di una
fattispecie di illecito e' un ordinario strumento di normazione per
rafforzare la tutela dei beni protetti, sicche' tali fattispecie
rappresenterebbero un coerente sviluppo delle indicazioni fornite dal
legislatore delegante.
Quanto alla pretesa violazione del principio di ragionevolezza,
il giudice rimettente avrebbe trascurato di considerare la distinta
offensivita' delle due condotte sanzionate: mentre, infatti,
l'acquisizione del preventivo consenso mirerebbe ad evitare possibili
conflitti di interesse, l'obbligo della comunicazione dei compensi
risponderebbe alla finalita' «di aggiornamento costante della banca
dati presso il Dipartimento della Funzione Pubblica, utilizzata per
il monitoraggio degli incarichi extraistituzionali».
Gli aspetti relativi all'esercizio del diritto di difesa, infine,
sarebbero irrilevanti - la societa' opponente era a conoscenza della
qualita' di dipendenti pubblici delle persone occupate - e comunque
infondati, posto che, se l'ignoranza inescusabile della norma
regolativa dell'illecito non e' esimente, a maggior ragione non
potrebbe parlarsi di una violazione del diritto di difesa.
4.- In prossimita' dell'udienza, le parti private costituite
hanno depositato una "memoria illustrativa" per contrastare gli
argomenti svolti dall'Avvocatura generale, ribadendo richieste e
conclusioni gia' rassegnate nell'atto di costituzione.
Considerato in diritto
1.- Il Tribunale ordinario di Ancona, in funzione di giudice del
lavoro, solleva, in riferimento agli artt. 3, 24, 76 e 77 della
Costituzione, e in relazione alla legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega
al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed
enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la
semplificazione amministrativa) nonche' alla legge 23 ottobre 1992,
n. 421 (Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione
delle discipline in materia di sanita', di pubblico impiego, di
previdenza e di finanza territoriale), questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 53, comma 15, del decreto legislativo 30
marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle
dipendenze delle amministrazioni pubbliche), «nella versione
introdotta» dall'art. 26 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80
(Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di
lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle
controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in
attuazione dell'articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n.
59).
Secondo il giudice rimettente, la legge di delegazione, sulla cui
base e' stata adottata la disciplina di cui alla disposizione
denunciata, non conteneva alcuna indicazione relativa alla
possibilita' di introdurre sanzioni amministrative pecuniarie per
l'inosservanza dei previsti obblighi di pubblicita' degli incarichi
conferiti ai pubblici dipendenti e di comunicazione dei relativi
compensi.
Le disposizioni della delega, d'altra parte, non sarebbero state
interpretate secondo il criterio della ragionevolezza: sia per la
previsione di una doppia sanzione, «peraltro particolarmente
afflittiva nel quantum», sia perche' «le esigenze di buon andamento
della p.a., di trasparenza e di compatibilita' dell'incarico privato
con l'impiego pubblico» sarebbero garantite gia' «dalla necessita' di
ottenere la previa autorizzazione», «ponendosi l'obbligo aggiuntivo
della comunicazione dei compensi come un mero adempimento
accessorio».
Costituendosi in giudizio, i soggetti ricorrenti nel giudizio
principale hanno chiesto una declaratoria di illegittimita'
costituzionale.
Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, ha chiesto, invece, di
dichiarare inammissibile e comunque di respingere la proposta
questione.
2.- La questione e' fondata.
2.1.- Come si e' accennato in parte narrativa, il Tribunale
rimettente censura la previsione di cui all'art. 53, comma 15, del
d.lgs. n. 165 del 2001, nella parte in cui e' stabilito che i
soggetti di cui al comma 9 - vale a dire gli enti pubblici economici
e i privati che conferiscono incarichi retribuiti a dipendenti
pubblici senza la previa autorizzazione della amministrazione di
appartenenza, e che omettano le comunicazioni di cui al comma 11 (a
norma del quale «entro quindici giorni dalla erogazione del compenso
per gli incarichi di cui al comma 6, i soggetti pubblici o privati
comunicano all'amministrazione di appartenenza l'ammontare dei
compensi erogati ai dipendenti pubblici») - sono assoggettati alle
sanzioni di cui allo stesso comma 9; il quale, a sua volta, prevede
l'applicazione dell'art. 6, comma 1, del decreto-legge 28 marzo 1997,
n. 79 (Misure urgenti per il riequilibrio della finanza pubblica),
convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 1997, n. 140 e
successive modificazioni ed integrazioni, che stabilisce una
«sanzione pecuniaria pari al doppio degli emolumenti corrisposti
sotto qualsiasi forma a dipendenti pubblici».
Nella prospettazione del giudice rimettente, le censure fanno
essenzialmente leva sulla circostanza che, nei confronti degli enti o
dei privati che conferiscano incarichi retribuiti a dipendenti
pubblici senza la previa autorizzazione, si applicherebbe una doppia
sanzione, di eguale ammontare: una prima sanzione per il conferimento
dell'incarico senza autorizzazione ed una seconda sanzione per
l'omessa tempestiva comunicazione dell'ammontare dei compensi, per la
quale ultima si profilerebbe, fra l'altro, una sorta di obbligo di
"autodenuncia" da parte del terzo datore di lavoro, non sintonica con
il diritto di difesa.
Il nucleo della doglianza ruota intorno al dedotto vizio di
carenza di "copertura" della disposizione impugnata rispetto alle
direttive della legge di delega, la quale non conterrebbe indicazioni
tali da legittimare la previsione del contestato meccanismo
sanzionatorio - in se', particolarmente afflittivo - specie se
interpretate alla luce del principio di ragionevolezza, alla stregua
del quale deve essere apprezzata la coerenza della normativa delegata
rispetto ai corrispondenti criteri direttivi.
2.2.- Lo specifico quadro normativo di riferimento appare,
peraltro, particolarmente complesso, data la significativa
stratificazione delle varie disposizioni succedutesi nel tempo e
l'innesto di discipline di varia fonte, definitivamente confluite in
quella di cui al d.lgs. n. 165 del 2001, destinato a svolgere una
funzione, in parte, meramente ricognitiva e riepilogativa: a norma,
infatti, dell'art. 1, comma 8, della legge 24 novembre 2000, n. 340
(Disposizioni per la delegificazione di norme e per la
semplificazione di procedimenti amministrativi - Legge di
semplificazione 1999), richiamato nel preambolo del predetto decreto
legislativo, il Governo era stato delegato «ad emanare un testo unico
per il riordino delle norme, diverse da quelle del codice civile e
delle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa, che
regolano i rapporti di lavoro dei dipendenti di cui all'articolo 2,
comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, secondo
quanto disposto dall'articolo 7 della legge 8 marzo 1999, n. 50,
apportando le modifiche necessarie per il migliore coordinamento
delle diverse disposizioni».
Il medesimo preambolo fa poi riferimento all'art. 2 della legge
n. 421 del 1992, con il quale il Governo aveva ottenuto (comma 1) la
delega ad emanare, entro la data ivi fissata, «uno o piu' decreti
legislativi, diretti al contenimento, alla razionalizzazione e al
controllo della spesa per il settore del pubblico impiego, al
miglioramento dell'efficienza e della produttivita', nonche' alla sua
riorganizzazione», sulla base di una serie di criteri direttivi, fra
i quali viene in questa sede in particolare evidenza quello sancito
alla lettera p): che il Governo potesse «prevedere che qualunque tipo
di incarico a dipendenti della pubblica amministrazione possa essere
conferito in casi rigorosamente predeterminati» e che, tuttavia,
«l'amministrazione, ente, societa' o persona fisica che hanno
conferito al personale dipendente da una pubblica amministrazione
incarichi previsti dall'articolo 24 della legge 30 dicembre 1991, n.
412, entro sei mesi dall'emanazione dei decreti legislativi di cui al
presente articolo, siano tenuti a comunicare alle amministrazioni di
appartenenza del personale medesimo gli emolumenti corrisposti in
relazione ai predetti incarichi, allo scopo di favorire la completa
attuazione dell'anagrafe delle prestazioni prevista dallo stesso
articolo 24».
In attuazione della richiamata delega legislativa era stato
emanato il decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29
(Razionalizzazione dell'organizzazione delle amministrazioni
pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico
impiego, a norma dell'art. 2 della L. 23 ottobre 1992, n. 421), il
quale sotto l'art. 58 - divenuto, poi, l'art. 53 del d.lgs. n. 165
del 2001 - prevedeva (comma 6) l'obbligo di comunicazione degli
incarichi conferiti da privati o enti pubblici a dipendenti delle
pubbliche amministrazioni, in attuazione dell'anagrafe delle
prestazioni, di cui al gia' richiamato art. 24 della legge n. 412 del
1991; nonche' (comma 7) l'obbligo di comunicazione dei relativi
compensi, senza, tuttavia, la previsione di alcun genere di sanzioni.
Veniva successivamente emanata la legge-delega n. 59 del 1997,
anch'essa espressamente richiamata nel preambolo del d.lgs. n. 165
del 2001, la quale, peraltro, non conteneva alcun principio o
criterio direttivo avente attinenza o interferenza specifica con il
tema qui in discorso.
Subito dopo la promulgazione di quest'ultima legge di delega,
veniva emanato il d.l. n. 79 del 1997, come convertito dalla legge n.
140 del 1997, il cui art. 6 introduceva nel sistema, per la prima
volta, la previsione di una sanzione amministrativa nei confronti dei
soggetti pubblici o privati che non avessero ottemperato all'obbligo
di cui all'art. 58, comma 6, del gia' citato d.lgs. n. 29 del 1993:
vale a dire l'obbligo di comunicazione alle amministrazioni di
appartenenza degli incarichi conferiti, da privati o enti pubblici,
ad appartenenti alle pubbliche amministrazioni.
Dunque, come esattamente messo in luce dal Tribunale rimettente,
al momento della approvazione del decreto legislativo n. 80 del 1998,
adottato in esercizio della delega di cui alla predetta legge n. 59
del 1997, il quadro normativo vigente prevedeva l'applicazione di
sanzioni amministrative nei confronti di coloro che avessero omesso
di comunicare alle amministrazioni di appartenenza gli incarichi
conferiti a pubblici dipendenti, ma non sanzionava in alcun modo la
mancata comunicazione dei compensi erogati.
L'art. 26 del predetto d.lgs. n. 80 del 1998, nell'introdurre
rilevanti modificazioni all'art. 58 del d.lgs. n. 29 del 1993,
sostituiva l'obbligo della mera comunicazione dell'incarico con
quello della previa autorizzazione da parte della amministrazione di
appartenenza e, correlativamente, stabiliva l'applicazione della
sanzione amministrativa per l'inadempimento di tale obbligo (comma
9).
Ma - ed e' questo il dato qui di maggior interesse - con il
medesimo art. 26 il legislatore delegato ha ritenuto di introdurre,
per la prima volta, una identica sanzione anche per l'ipotesi in cui
i soggetti conferenti incarichi non autorizzati avessero omesso di
comunicare alle amministrazioni stesse, «entro il 30 aprile di
ciascun anno», l'ammontare dei «compensi erogati nell'anno
precedente» (commi 11 e 15).
Tale ultima disciplina - recepita, al pari dell'altra, nel nuovo
decreto delegato e oggetto della attuale denuncia - risulta, dunque,
non riconducibile a principi o criteri direttivi enunciati nelle
leggi di delega succedutesi nel tempo: cio' in contrasto con gli
orientamenti della giurisprudenza di questa Corte in tema di rapporti
tra disciplina delegante, di competenza del Parlamento, e disciplina
delegata, affidata alle scelte - a discrezionalita' "circoscritta" -
del Governo.
2.3.- Puo', infatti, rammentarsi come si sia, in piu' occasioni,
puntualizzato che i vincoli derivanti dall'art. 76 Cost., per
l'esercizio della funzione legislativa da parte del Governo, non
inibiscano a quest'ultimo l'emanazione di norme che rappresentino un
coerente sviluppo o un completamento delle scelte espresse dal
legislatore delegante, dovendosi escludere che la funzione del
legislatore delegato sia limitata ad una mera scansione linguistica
di previsioni stabilite dal primo (tra le tante pronunce, piu' di
recente, la sentenza n. 229 del 2014). Ove cosi' non fosse, del
resto, al legislatore delegato verrebbe riservata una funzione di
rango quasi regolamentare, priva di autonomia precettiva, in aperto
contrasto con il carattere, pur sempre primario, del provvedimento
legislativo delegato.
La delega legislativa, in altri termini, non esclude qualsiasi
discrezionalita' del legislatore delegato, destinata a risultare piu'
o meno ampia in relazione al grado di specificita' dei criteri
fissati dalla legge di delega: sicche' la valutazione dell'eccesso, o
del difetto, nell'esercizio della delega, va compiuta in rapporto
proprio alla ratio della delega medesima, onde stabilire se la norma
delegata sia coerente (sentenza n. 119 del 2013) o compatibile con
quella delegante.
E', tuttavia, del pari evidente che, ove - come nella situazione
di specie - si discuta della predisposizione, da parte del
legislatore delegato, di un meccanismo di tipo sanzionatorio privo di
espressa indicazione nell'ambito della delega, lo scrutinio di
"conformita'" tra le discipline appare particolarmente delicato. Non
puo', infatti, presupporsi che, in una direttiva intesa a conferire
al legislatore delegato il compito di prevedere come obbligatoria una
determinata condotta, sia necessariamente ricompresa - sempre e
comunque - anche la facolta' di stabilire eventuali correlative
sanzioni per l'inosservanza di quest'obbligo, posto che, in linea di
principio, la sanzione non rappresenta affatto l'indispensabile
corollario di una prescrizione e che quest'ultima puo' naturalmente
svolgere, di per se', una propria autosufficiente funzione,
richiedendo e ottenendo un'esauriente ed efficace osservanza.
Ne' potranno risultare trascurabili, nella vicenda normativa in
esame, alcuni ulteriori rilievi. La previsione della sanzione per
l'omessa comunicazione dei compensi corrisposti a dipendenti delle
pubbliche amministrazioni per incarichi non previamente autorizzati
finisce per risultare particolarmente vessatoria, atteso che la
sanzione si duplica rispetto a quella gia' prevista - nella stessa,
grave misura - per il conferimento degli incarichi senza
autorizzazione, con un effetto moltiplicativo raccordato ad un
inadempimento di carattere formale.
La sanzione, in altri termini, per la violazione di un obbligo
che appare del tutto "servente" rispetto a quello relativo alla
comunicazione del conferimento di un incarico - previsto in funzione
delle esigenze conoscitive della pubblica amministrazione, connesse,
come si e' piu' volte sottolineato, al funzionamento della anagrafe
delle prestazioni, tenuto anche conto delle modifiche apportate
all'art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001 ad opera dell'art. 1, comma
42, della legge 6 novembre 2012, n. 190 (Disposizioni per la
prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalita'
nella pubblica amministrazione) - viene a sovrapporsi
irragionevolmente - perequando fra loro situazioni del tutto
differenziate, per gravita' e natura - a quella prevista per la
violazione di un obbligo di carattere sostanziale.
Il che, fra l'altro, conferisce alla sanzione "accessoria" di cui
qui si discute - posta a carico, per di piu', di un soggetto comunque
terzo rispetto al rapporto di servizio tra pubblica amministrazione e
dipendente - un carattere di automatismo e di non graduabilita' non
poco contrastante con i principi di proporzionalita' ed adeguatezza
che devono, in linea generale, essere osservati anche nella
disciplina delle sanzioni amministrative.
In quanto adottata in contrasto con gli artt. 3 e 76 Cost., la
disposizione censurata deve, pertanto, essere dichiarata
costituzionalmente illegittima, restando assorbiti i profili di
censura relativi agli altri parametri evocati.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 53, comma 15,
del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali
sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni
pubbliche), nella parte in cui prevede che «I soggetti di cui al
comma 9 che omettono le comunicazioni di cui al comma 11 incorrono
nella sanzione di cui allo stesso comma 9».
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 29 aprile 2015.
F.to:
Alessandro CRISCUOLO, Presidente
Paolo GROSSI, Redattore
Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 5 giugno 2015.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella Paola MELATTI
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