N. 96
SENTENZA
14 maggio - 5 giugno 2015
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Procreazione medicalmente assistita - Accesso alle tecniche circoscritto ai soli casi di sterilita' o infertilita' - Conseguente impossibilita' per le coppie fertili ma portatrici di patologie geneticamente trasmissibili di valersi della diagnosi preimpianto. - Legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), artt. 1, commi 1 e 2, e 4, comma 1. -(GU n.23 del 10-6-2015 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Alessandro CRISCUOLO;
Giudici :Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Paolo GROSSI,
Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario
MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS,
Nicolo' ZANON,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 1, commi 1
e 2, e 4, comma 1, della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in
materia di procreazione medicalmente assistita), promossi dal
Tribunale ordinario di Roma con ordinanze del 15 gennaio e del 28
febbraio 2014, iscritte ai nn. 69 e 86 del registro ordinanze 2014 e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 21 e 24,
prima serie speciale, dell'anno 2014.
Visti gli atti di costituzione di P.M.C. ed altro, di M.V. ed
altro, della "Associazione Luca Coscioni, per la liberta' di ricerca
scientifica" ed altri;
udito nell'udienza pubblica del 14 aprile 2015 il Giudice
relatore Mario Rosario Morelli;
uditi gli avvocati Filomena Gallo e Gianni Baldini per P.M.C. ed
altro, per M.V. ed altro e per l'"Associazione Luca Coscioni, per la
liberta' di ricerca scientifica" ed altri.
Ritenuto in fatto
1.- Nel corso di due procedimenti civili "ante causam" ex art.
700 cod. proc. civ. - promossi (nei confronti della Azienda USL Roma
A e del "Centro per la Tutela della Salute della Donna e del Bambino
S. Anna") da altrettante coppie di coniugi, che chiedevano di essere
ammesse a procedure di procreazione medicalmente assistita, con
diagnosi preimpianto, al fine di evitare il rischio di trasmettere,
ai rispettivi figli, la malattia genetica da cui, in entrambi i casi,
uno dei componenti della coppia era risultato affetto in occasione di
precedente gravidanza spontanea, interrotta con aborto terapeutico -
l'adito Tribunale ordinario di Roma, con due ordinanze di identico
contenuto motivazionale, premesso che la richiesta dei ricorrenti
trovava insuperabile ostacolo nel disposto degli artt. 1, commi 1 e
2, e 4, comma 1, della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in
materia di procreazione medicalmente assistita), che consente alle
sole coppie sterili o infertili l'accesso alle tecniche di
procreazione assistita, ed escluso che detta normativa sia
suscettibile di interpretazione adeguatrice (in senso ampliativo
della platea dei suoi destinatari) o di diretta "non applicazione",
per contrasto con gli artt. 8 e 14 della Convenzione per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali,
firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con
legge 4 agosto 1955, n. 848 (CEDU), ha ritenuto, di conseguenza,
rilevante e non manifestamente infondata, ed ha, quindi, sollevato
(come, a suo avviso, consentito anche nei procedimenti cautelari
"ante causam") questione di legittimita' costituzionale dei predetti
artt. 1, commi 1 e 2, e 4 della legge n. 40 del 2004, per contrasto
con gli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione, oltre che con l'art. 117,
primo comma, Cost., in relazione agli artt. 8 e 14 della CEDU.
Secondo il rimettente, la normativa censurata - non consentendo
l'accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita anche
alle coppie (come quelle innanzi a se' ricorrenti) che, pur non
sterili od infertili, rischierebbero, comunque, di procreare figli
affetti da gravi malattie genetiche trasmissibili, di cui uno od
entrambi i componenti della stessa risultano portatori -
contrasterebbe, infatti, con il diritto inviolabile della coppia ad
avere un figlio "sano" e con il diritto ad autodeterminarsi nella
scelta procreativa; violerebbe, inoltre, il diritto alla salute
(fisica e psichica) della donna (costretta a subire l'interruzione
volontaria della gravidanza nel caso di accertata trasmissione al
feto di patologie genetiche); contrasterebbe, ancora, con il
principio di ragionevolezza, con riferimento al quadro normativo
risultante dalla combinazione di detta legge n. 40 del 2004 con la
legge 22 maggio 1978, n. 194 (Norme per la tutela sociale della
maternita' e sull'interruzione volontaria della gravidanza);
comporterebbe, infine, una indebita e non proporzionata ingerenza
nella vita privata e familiare delle coppie suddette, in violazione
anche dei citati artt. 8 e 14 della CEDU e, quindi, per
interposizione, dell'art. 117, primo comma, Cost.
2.- In entrambi i giudizi innanzi a questa Corte si sono
costituiti i coniugi ricorrenti e le associazioni "Luca Coscioni, per
la liberta' della ricerca scientifica", "Amica Cicogna Onlus", "Cerco
un Bimbo" e "L'altra Cicogna", intervenienti nei procedimenti a
quibus, per sostenere la fondatezza delle questioni sollevate dal
Tribunale rimettente, con argomentazioni illustrate anche con
rispettive successive memorie.
Non si sono costituiti, invece, l'Azienda USL Roma A ed il
"Centro per la Tutela della Salute della Donna e del Bambino S.
Anna", resistenti, e non ha spiegato intervento il Presidente del
Consiglio dei ministri.
3.- Stante l'identita' della questione sollevata nei due riferiti
giudizi, gli stessi vanno riuniti per essere congiuntamente decisi.
Considerato in diritto
1.- Gli artt. 1, commi 1 e 2, e 4, comma 1, della legge 19
febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente
assistita), rispettivamente, dispongono che «Al fine di favorire la
soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilita' o
dalla infertilita' umana e' consentito il ricorso alla procreazione
medicalmente assistita, alle condizioni e secondo le modalita'
previste dalla presente legge, che assicura i diritti di tutti i
soggetti coinvolti, compreso il concepito»; «Il ricorso alla
procreazione medicalmente assistita e' consentito, qualora non vi
siano altri metodi terapeutici efficaci per rimuovere le cause di
sterilita' o infertilita'»; «Il ricorso alle tecniche di procreazione
medicalmente assistita e' consentito solo quando sia accertata
l'impossibilita' di rimuovere altrimenti le cause impeditive della
procreazione ed e' comunque circoscritto ai casi di sterilita' o di
infertilita' inspiegate documentate da atto medico nonche' ai casi di
sterilita' o di infertilita' da causa accertata e certificata da atto
medico».
2.- Il Tribunale ordinario di Roma dubita che le riferite
disposizioni - nella parte in cui non consentono che anche le coppie
fertili portatrici di patologie geneticamente trasmissibili possano
fare ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita (da
ora in avanti, PMA) - violino gli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione,
nonche' l'art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 8 e
14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e
delle liberta' fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950,
ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 (CEDU).
3.- La questione e' sollevata con due ordinanze, di identico
contenuto, relative ad altrettanti procedimenti cautelari promossi da
due coppie (fertili) di coniugi, che avevano interrotto, con aborti
terapeutici, precedenti spontanee gravidanze, per il rischio di
trasmettere al figlio una patologia genetica ereditaria
(rispettivamente, la distrofia muscolare di Becker, nel primo caso,
ed una alterazione cromosomica, nel secondo caso), e che chiedevano,
pertanto, di essere in via d'urgenza ammesse a procedura di PMA, con
diagnosi preimpianto, finalizzata esclusivamente alla scelta
dell'embrione non affetto da quella specifica patologia.
4.- Esclusa, in premessa, la possibilita' della disapplicazione
delle norme sospettate di incostituzionalita' per contrasto con la
CEDU (anche malgrado la sopravvenuta decisione della Corte di
Strasburgo del 28 agosto 2012 che, nell'omologo caso Costa e Pavan
contro Italia «ha denunciato l'incoerenza del sistema legislativo
italiano che [...] non consente alle coppie portatrici di patologie
geneticamente trasmissibili di accedere alla "P.M.A."») e considerata
la non praticabilita' di una interpretazione costituzionalmente
orientata delle norme stesse, nel senso auspicato dai ricorrenti, il
Tribunale a quo ha ritenuto, appunto, per cio', rilevante al fine del
decidere la verifica di compatibilita' con i parametri evocati, del
limite, all'accesso alle tecniche di PMA, imposto dal legislatore del
2004 in ragione della prescritta condizione di sterilita' od
infertilita' della coppia.
5.- Secondo il rimettente, la normativa denunciata
contrasterebbe, infatti:
- con l'art. 2 Cost., per il vulnus ai diritti inviolabili della
persona, quali «il diritto della coppia a un figlio "sano" e il
diritto di autodeterminazione nelle scelte procreative », che
irrimediabilmente deriverebbe, dal censurato divieto di accesso alle
procedure di PMA, alle coppie non sterili o infertili, ma portatrici
di malattie genetiche trasmissibili;
- con l'art. 3 Cost., «inteso come principio di ragionevolezza,
quale corollario del principio di uguaglianza, in quanto comporta la
conseguenza paradossale, irragionevole e incoerente di costringere
queste coppie, desiderose di avere un figlio non affetto dalla
patologia, di cui ben conoscono gli effetti, di avere una gravidanza
naturale e ricorrere alla scelta tragica dell'aborto terapeutico del
feto, consentita dalla legge 22 maggio 1978, n. 194»;
- con lo stesso art. 3 Cost., sul presupposto che il suddetto
divieto determinerebbe una discriminazione tra la condizione delle
coppie fertili, portatrici di malattie genetiche trasmissibili, e
quella delle coppie in cui l'uomo risulti affetto da malattie virali
contagiose per via sessuale, alle quali e', invece, riconosciuto, dal
decreto del Ministero della salute 11 aprile 2008 (Linee guida in
materia di procreazione medicalmente assistita), il diritto di
ricorrere alle tecniche di PMA;
- con l'art. 32 Cost., risultando leso il diritto alla salute
della donna, sotto il profilo che la stessa, nell'esercitare la
scelta di procreare un figlio non affetto da una patologia
trasmissibile ereditariamente, sarebbe costretta a dover affrontare
una gravidanza naturale per poi dover, eventualmente, ricorrere ad un
aborto terapeutico (nel caso di accertata trasmissione della malattia
genetica), con la configurazione di un concreto aumento dei rischi
per la sua salute fisica e per la sua integrita' psichica, «in
assenza di un adeguato bilanciamento della tutela della salute della
donna con quella dell'embrione»;
- con l'art. 117, primo comma, Cost., in relazione alle norme
interposte di cui agli artt. 8 (sul diritto al rispetto della vita
familiare) e 14 (sul divieto di discriminazione) della CEDU: quanto
alla prima, perche' la "irragionevolezza" del divieto di accesso alla
PMA imposto alle coppie sterili portatrici di malattie ereditarie,
«che di fatto si risolve nell'incoraggiamento del ricorso all'aborto
del feto», comporterebbe, appunto, una indebita ingerenza nella vita
familiare di dette coppie; e, quanto alla seconda, in ragione della
discriminazione gia' evidenziata per il profilo di violazione
dell'art. 3 Cost.
6.- La questione cosi' prospettata e' ammissibile, ancorche'
sollevata nel contesto di procedimenti d'urgenza "ante causam", non
avendo il Tribunale a quo provveduto in via definitiva sulla istanza
cautelare dei ricorrenti, e non avendo, per cio', consumato la sua
potestas iudicandi (ex plurimis, sentenze n. 200 e n. 162 del 2014,
n. 172 del 2012, n. 151 del 2009).
7.- In ragione del sospettato contrasto dei su citati artt. 1,
commi 1 e 2, e 4, comma 1, della legge n. 40 del 2004 con gli artt. 8
e 14 della CEDU, correttamente ha poi il rimettente adito questa
Corte, non essendogli consentito un'applicazione in via diretta delle
norme convenzionali in luogo di quelle nazionali, in tesi con esse
non compatibili, atteso che, diversamente dal diritto comunitario, la
Convenzione europea dei diritti dell'uomo non crea un ordinamento
giuridico sovranazionale ma costituisce un modello di diritto
internazionale pattizio, idoneo a vincolare lo Stato, ma improduttivo
di effetti diretti nell'ordinamento interno (sentenze n. 349 e n. 348
del 2007, e successive conformi). Collocazione, questa, delle
disposizioni della CEDU che, nel sistema delle fonti, resta immutata
anche dopo il richiamo operatone dall'art. 6, paragrafo 3, del
Trattato sull'Unione europea (TUE), come modificato dal Trattato di
Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007, ratificato e reso esecutivo con
legge 2 agosto 2008 n. 130, ed entrato in vigore il 1° dicembre 2009.
Questa Corte ha gia' avuto, infatti, occasione di chiarire che
«dalla qualificazione dei diritti fondamentali oggetto di
disposizioni della CEDU come principi generali del diritto
comunitario non puo' farsi discendere la riferibilita' alla CEDU del
parametro di cui all'art. 11 Cost., ne', correlativamente, la
spettanza al giudice comune del potere-dovere di non applicare le
norme interne contrastanti con la predetta Convenzione» (sentenze n.
303 del 2011 e n. 349 del 2007). Ragione per cui «i principi in
questione rilevano unicamente in rapporto alle fattispecie cui il
diritto comunitario (oggi, il diritto dell'Unione) e' applicabile»
(sentenze n. 210 del 2013, n. 303 e n. 80 del 2011) e, poiche' le
fattispecie, oggetto dei giudizi a quibus, non sono riconducibili al
diritto comunitario, non vi era, dunque, effettivamente, spazio per
un'eventuale disapplicazione della normativa nazionale da parte del
Tribunale rimettente, da ritenersi oltretutto limitata ai casi in cui
il diritto comunitario rilevante sia dotato di effetti diretti.
8.- Altrettanto correttamente lo stesso Tribunale ha anche
escluso la praticabilita' di una esegesi correttiva delle
disposizioni censurate, in senso estensivo dell'accesso alle tecniche
di PMA, anche in favore delle coppie ricorrenti, atteso l'univoco e
non superabile tenore letterale della prescrizione per cui il ricorso
a dette tecniche «e' comunque circoscritto ai casi di sterilita' o
infertilita'».
Dal che la rilevanza della questione sollevata, la cui soluzione
condiziona, quindi, l'accoglimento o meno della domanda dei
ricorrenti nei procedimenti cautelari a quibus.
9.- Nel merito, la questione e' fondata, in relazione al profilo
- assorbente di ogni altra censura - che attiene al vulnus
effettivamente arrecato, dalla normativa denunciata, agli artt. 3 e
32 Cost.
Sussiste, in primo luogo, un insuperabile aspetto di
irragionevolezza dell'indiscriminato divieto, che le denunciate
disposizioni oppongono, all'accesso alla PMA, con diagnosi
preimpianto, da parte di coppie fertili affette (anche come
portatrici sane) da gravi patologie genetiche ereditarie,
suscettibili (secondo le evidenze scientifiche) di trasmettere al
nascituro rilevanti anomalie o malformazioni. E cio' in quanto, con
palese antinomia normativa (sottolineata anche dalla Corte di
Strasburgo nella richiamata sentenza Costa e Pavan contro Italia), il
nostro ordinamento consente, comunque, a tali coppie di perseguire
l'obiettivo di procreare un figlio non affetto dalla specifica
patologia ereditaria di cui sono portatrici, attraverso la,
innegabilmente piu' traumatica, modalita' della interruzione
volontaria (anche reiterata) di gravidanze naturali - quale
consentita dall'art. 6, comma 1, lettera b), della legge 22 maggio
1978, n. 194 (Norme per la tutela sociale della maternita' e
sull'interruzione volontaria della gravidanza) - quando, dalle ormai
normali indagini prenatali, siano, appunto «accertati processi
patologici [...] relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del
nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o
psichica della donna».
Vale a dire che il sistema normativo, cui danno luogo le
disposizioni censurate, non consente (pur essendo scientificamente
possibile) di far acquisire "prima" alla donna una informazione che
le permetterebbe di evitare di assumere "dopo" una decisione ben piu'
pregiudizievole per la sua salute.
Dal che, quindi, la violazione anche dell'art. 32 Cost., in cui
incorre la normativa in esame, per il mancato rispetto del diritto
alla salute della donna. Senza peraltro che il vulnus, cosi' arrecato
a tale diritto, possa trovare un positivo contrappeso, in termini di
bilanciamento, in una esigenza di tutela del nascituro, il quale
sarebbe comunque esposto all'aborto.
La normativa denunciata costituisce, pertanto, il risultato di un
irragionevole bilanciamento degli interessi in gioco, in violazione
anche del canone di razionalita' dell'ordinamento - ed e' lesiva del
diritto alla salute della donna fertile portatrice (ella o l'altro
soggetto della coppia) di grave malattia genetica ereditaria - nella
parte in cui non consente, e dunque esclude, che, nel quadro di
disciplina della legge in esame, possano ricorrere alla PMA le coppie
affette da patologie siffatte, adeguatamente accertate, per esigenza
di cautela, da apposita struttura pubblica specializzata. Cio' al
fine esclusivo della previa individuazione di embrioni cui non
risulti trasmessa la malattia del genitore comportante il pericolo di
rilevanti anomalie o malformazioni (se non la morte precoce) del
nascituro, alla stregua del medesimo "criterio normativo di gravita'"
gia' stabilito dall'art. 6, comma 1, lettera b), della legge n. 194
del 1978.
10.- Una volta accertato che, in ragione dell'assolutezza della
riferita esclusione, le disposizioni in questione si pongono in
contrasto con parametri costituzionali «questa Corte non puo',
dunque, sottrarsi al proprio potere-dovere di porvi rimedio e deve
dichiararne l'illegittimita'» (sentenza n. 162 del 2014), essendo poi
compito del legislatore introdurre apposite disposizioni al fine
della auspicabile individuazione (anche periodica, sulla base della
evoluzione tecnico-scientifica) delle patologie che possano
giustificare l'accesso alla PMA di coppie fertili e delle correlative
procedure di accertamento (anche agli effetti della preliminare
sottoposizione alla diagnosi preimpianto) e di una opportuna
previsione di forme di autorizzazione e di controllo delle strutture
abilitate ad effettuarle (anche valorizzando, eventualmente, le
discipline gia' appositamente individuate dalla maggioranza degli
ordinamenti giuridici europei in cui tale forma di pratica medica e'
ammessa). Cio' non essendo, evidentemente, in potere di questa Corte,
per essere riservato alla discrezionalita' delle scelte, appunto, del
legislatore.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara l'illegittimita' costituzionale degli artt. 1, commi 1 e
2, e 4, comma 1, della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in
materia di procreazione medicalmente assistita), nella parte in cui
non consentono il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente
assistita alle coppie fertili portatrici di malattie genetiche
trasmissibili, rispondenti ai criteri di gravita' di cui all'art. 6,
comma 1, lettera b), della legge 22 maggio 1978, n. 194 (Norme per la
tutela sociale della maternita' e sull'interruzione volontaria della
gravidanza), accertate da apposite strutture pubbliche.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 14 maggio 2015.
F.to:
Alessandro CRISCUOLO, Presidente
Mario Rosario MORELLI, Redattore
Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 5 giugno 2015.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella Paola MELATTI
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