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martedì 23 giugno 2015

N. 96 SENTENZA 14 maggio - 5 giugno 2015 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Procreazione medicalmente assistita - Accesso alle tecniche circoscritto ai soli casi di sterilita' o infertilita' - Conseguente impossibilita' per le coppie fertili ma portatrici di patologie geneticamente trasmissibili di valersi della diagnosi preimpianto. - Legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), artt. 1, commi 1 e 2, e 4, comma 1. - (GU n.23 del 10-6-2015



  N. 96 SENTENZA 14 maggio - 5 giugno 2015
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Procreazione  medicalmente  assistita   -   Accesso   alle   tecniche
  circoscritto  ai  soli  casi  di  sterilita'   o   infertilita'   -
  Conseguente impossibilita' per le coppie fertili ma  portatrici  di
  patologie geneticamente trasmissibili  di  valersi  della  diagnosi
  preimpianto. 
- Legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme  in  materia  di  procreazione
  medicalmente assistita), artt. 1, commi 1 e 2, e 4, comma 1. 
-   
(GU n.23 del 10-6-2015 )

  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Alessandro CRISCUOLO; 
Giudici  :Paolo  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe  FRIGO,  Paolo  GROSSI,
  Giorgio  LATTANZI,  Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario  Rosario
  MORELLI, Giancarlo CORAGGIO,  Silvana  SCIARRA,  Daria  de  PRETIS,
  Nicolo' ZANON, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 1, commi 1
e 2, e 4, comma 1, della legge 19 febbraio  2004,  n.  40  (Norme  in
materia  di  procreazione  medicalmente  assistita),   promossi   dal
Tribunale ordinario di Roma con ordinanze del 15  gennaio  e  del  28
febbraio 2014, iscritte ai nn. 69 e 86 del registro ordinanze 2014  e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica  nn.  21  e  24,
prima serie speciale, dell'anno 2014. 
    Visti gli atti di costituzione di P.M.C. ed  altro,  di  M.V.  ed
altro, della "Associazione Luca Coscioni, per la liberta' di  ricerca
scientifica" ed altri; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  14  aprile  2015  il  Giudice
relatore Mario Rosario Morelli; 
    uditi gli avvocati Filomena Gallo e Gianni Baldini per P.M.C.  ed
altro, per M.V. ed altro e per l'"Associazione Luca Coscioni, per  la
liberta' di ricerca scientifica" ed altri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Nel corso di due procedimenti civili "ante  causam"  ex  art.
700 cod. proc. civ. - promossi (nei confronti della Azienda USL  Roma
A e del "Centro per la Tutela della Salute della Donna e del  Bambino
S. Anna") da altrettante coppie di coniugi, che chiedevano di  essere
ammesse a  procedure  di  procreazione  medicalmente  assistita,  con
diagnosi preimpianto, al fine di evitare il rischio  di  trasmettere,
ai rispettivi figli, la malattia genetica da cui, in entrambi i casi,
uno dei componenti della coppia era risultato affetto in occasione di
precedente gravidanza spontanea, interrotta con aborto terapeutico  -
l'adito Tribunale ordinario di Roma, con due  ordinanze  di  identico
contenuto motivazionale, premesso che  la  richiesta  dei  ricorrenti
trovava insuperabile ostacolo nel disposto degli artt. 1, commi  1  e
2, e 4, comma 1, della legge  19  febbraio  2004,  n.  40  (Norme  in
materia di procreazione medicalmente assistita),  che  consente  alle
sole  coppie  sterili  o  infertili  l'accesso   alle   tecniche   di
procreazione  assistita,  ed  escluso   che   detta   normativa   sia
suscettibile di  interpretazione  adeguatrice  (in  senso  ampliativo
della platea dei suoi destinatari) o di diretta  "non  applicazione",
per contrasto  con  gli  artt.  8  e  14  della  Convenzione  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali,
firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e  resa  esecutiva  con
legge 4 agosto 1955, n. 848  (CEDU),  ha  ritenuto,  di  conseguenza,
rilevante e non manifestamente infondata, ed  ha,  quindi,  sollevato
(come, a suo avviso,  consentito  anche  nei  procedimenti  cautelari
"ante causam") questione di legittimita' costituzionale dei  predetti
artt. 1, commi 1 e 2, e 4 della legge n. 40 del 2004,  per  contrasto
con gli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione, oltre che con l'art. 117,
primo comma, Cost., in relazione agli artt. 8 e 14 della CEDU. 
    Secondo il rimettente, la normativa censurata -  non  consentendo
l'accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita  anche
alle coppie (come quelle innanzi  a  se'  ricorrenti)  che,  pur  non
sterili od infertili, rischierebbero, comunque,  di  procreare  figli
affetti da gravi malattie genetiche  trasmissibili,  di  cui  uno  od
entrambi  i   componenti   della   stessa   risultano   portatori   -
contrasterebbe, infatti, con il diritto inviolabile della  coppia  ad
avere un figlio "sano" e con il  diritto  ad  autodeterminarsi  nella
scelta procreativa;  violerebbe,  inoltre,  il  diritto  alla  salute
(fisica e psichica) della donna (costretta  a  subire  l'interruzione
volontaria della gravidanza nel caso  di  accertata  trasmissione  al
feto  di  patologie  genetiche);  contrasterebbe,  ancora,   con   il
principio di ragionevolezza,  con  riferimento  al  quadro  normativo
risultante dalla combinazione di detta legge n. 40 del  2004  con  la
legge 22 maggio 1978, n. 194  (Norme  per  la  tutela  sociale  della
maternita'  e   sull'interruzione   volontaria   della   gravidanza);
comporterebbe, infine, una indebita  e  non  proporzionata  ingerenza
nella vita privata e familiare delle coppie suddette,  in  violazione
anche  dei  citati  artt.  8  e  14  della  CEDU   e,   quindi,   per
interposizione, dell'art. 117, primo comma, Cost. 
    2.- In  entrambi  i  giudizi  innanzi  a  questa  Corte  si  sono
costituiti i coniugi ricorrenti e le associazioni "Luca Coscioni, per
la liberta' della ricerca scientifica", "Amica Cicogna Onlus", "Cerco
un Bimbo" e  "L'altra  Cicogna",  intervenienti  nei  procedimenti  a
quibus, per sostenere la fondatezza  delle  questioni  sollevate  dal
Tribunale  rimettente,  con  argomentazioni  illustrate   anche   con
rispettive successive memorie. 
    Non si sono costituiti,  invece,  l'Azienda  USL  Roma  A  ed  il
"Centro per la Tutela della Salute  della  Donna  e  del  Bambino  S.
Anna", resistenti, e non ha spiegato  intervento  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri. 
    3.- Stante l'identita' della questione sollevata nei due riferiti
giudizi, gli stessi vanno riuniti per essere congiuntamente decisi. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Gli artt. 1, commi 1 e 2,  e  4,  comma  1,  della  legge  19
febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di  procreazione  medicalmente
assistita), rispettivamente, dispongono che «Al fine di  favorire  la
soluzione dei problemi  riproduttivi  derivanti  dalla  sterilita'  o
dalla infertilita' umana e' consentito il ricorso  alla  procreazione
medicalmente  assistita,  alle  condizioni  e  secondo  le  modalita'
previste dalla presente legge, che assicura  i  diritti  di  tutti  i
soggetti  coinvolti,  compreso  il  concepito»;  «Il   ricorso   alla
procreazione medicalmente assistita e'  consentito,  qualora  non  vi
siano altri metodi terapeutici efficaci per  rimuovere  le  cause  di
sterilita' o infertilita'»; «Il ricorso alle tecniche di procreazione
medicalmente  assistita  e'  consentito  solo  quando  sia  accertata
l'impossibilita' di rimuovere altrimenti le  cause  impeditive  della
procreazione ed e' comunque circoscritto ai casi di sterilita'  o  di
infertilita' inspiegate documentate da atto medico nonche' ai casi di
sterilita' o di infertilita' da causa accertata e certificata da atto
medico». 
    2.- Il  Tribunale  ordinario  di  Roma  dubita  che  le  riferite
disposizioni - nella parte in cui non consentono che anche le  coppie
fertili portatrici di patologie geneticamente  trasmissibili  possano
fare ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita (da
ora in avanti, PMA) - violino gli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione,
nonche' l'art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt.  8  e
14 della Convenzione per la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e
delle liberta' fondamentali  firmata  a  Roma  il  4  novembre  1950,
ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 (CEDU). 
    3.- La questione e' sollevata  con  due  ordinanze,  di  identico
contenuto, relative ad altrettanti procedimenti cautelari promossi da
due coppie (fertili) di coniugi, che avevano interrotto,  con  aborti
terapeutici, precedenti  spontanee  gravidanze,  per  il  rischio  di
trasmettere   al   figlio   una   patologia    genetica    ereditaria
(rispettivamente, la distrofia muscolare di Becker, nel  primo  caso,
ed una alterazione cromosomica, nel secondo caso), e che  chiedevano,
pertanto, di essere in via d'urgenza ammesse a procedura di PMA,  con
diagnosi  preimpianto,   finalizzata   esclusivamente   alla   scelta
dell'embrione non affetto da quella specifica patologia. 
    4.- Esclusa, in premessa, la possibilita'  della  disapplicazione
delle norme sospettate di incostituzionalita' per  contrasto  con  la
CEDU  (anche  malgrado  la  sopravvenuta  decisione  della  Corte  di
Strasburgo del 28 agosto 2012 che, nell'omologo caso  Costa  e  Pavan
contro Italia «ha denunciato  l'incoerenza  del  sistema  legislativo
italiano che [...] non consente alle coppie portatrici  di  patologie
geneticamente trasmissibili di accedere alla "P.M.A."») e considerata
la  non  praticabilita'  di  una  interpretazione  costituzionalmente
orientata delle norme stesse, nel senso auspicato dai ricorrenti,  il
Tribunale a quo ha ritenuto, appunto, per cio', rilevante al fine del
decidere la verifica di compatibilita' con i parametri  evocati,  del
limite, all'accesso alle tecniche di PMA, imposto dal legislatore del
2004  in  ragione  della  prescritta  condizione  di  sterilita'   od
infertilita' della coppia. 
    5.-   Secondo   il   rimettente,    la    normativa    denunciata
contrasterebbe, infatti: 
    - con l'art. 2 Cost., per il vulnus ai diritti inviolabili  della
persona, quali «il diritto della coppia  a  un  figlio  "sano"  e  il
diritto  di  autodeterminazione  nelle  scelte  procreative  »,   che
irrimediabilmente deriverebbe, dal censurato divieto di accesso  alle
procedure di PMA, alle coppie non sterili o infertili, ma  portatrici
di malattie genetiche trasmissibili; 
    - con l'art. 3 Cost., «inteso come principio  di  ragionevolezza,
quale corollario del principio di uguaglianza, in quanto comporta  la
conseguenza paradossale, irragionevole e  incoerente  di  costringere
queste coppie, desiderose  di  avere  un  figlio  non  affetto  dalla
patologia, di cui ben conoscono gli effetti, di avere una  gravidanza
naturale e ricorrere alla scelta tragica dell'aborto terapeutico  del
feto, consentita dalla legge 22 maggio 1978, n. 194»; 
    - con lo stesso art. 3 Cost., sul  presupposto  che  il  suddetto
divieto determinerebbe una discriminazione tra  la  condizione  delle
coppie fertili, portatrici di  malattie  genetiche  trasmissibili,  e
quella delle coppie in cui l'uomo risulti affetto da malattie  virali
contagiose per via sessuale, alle quali e', invece, riconosciuto, dal
decreto del Ministero della salute 11 aprile  2008  (Linee  guida  in
materia  di  procreazione  medicalmente  assistita),  il  diritto  di
ricorrere alle tecniche di PMA; 
    - con l'art. 32 Cost., risultando leso  il  diritto  alla  salute
della donna, sotto il  profilo  che  la  stessa,  nell'esercitare  la
scelta  di  procreare  un  figlio  non  affetto  da   una   patologia
trasmissibile ereditariamente, sarebbe costretta a  dover  affrontare
una gravidanza naturale per poi dover, eventualmente, ricorrere ad un
aborto terapeutico (nel caso di accertata trasmissione della malattia
genetica), con la configurazione di un concreto  aumento  dei  rischi
per la sua salute fisica  e  per  la  sua  integrita'  psichica,  «in
assenza di un adeguato bilanciamento della tutela della salute  della
donna con quella dell'embrione»; 
    - con l'art. 117, primo comma, Cost.,  in  relazione  alle  norme
interposte di cui agli artt. 8 (sul diritto al  rispetto  della  vita
familiare) e 14 (sul divieto di discriminazione) della  CEDU:  quanto
alla prima, perche' la "irragionevolezza" del divieto di accesso alla
PMA imposto alle coppie sterili portatrici  di  malattie  ereditarie,
«che di fatto si risolve nell'incoraggiamento del ricorso  all'aborto
del feto», comporterebbe, appunto, una indebita ingerenza nella  vita
familiare di dette coppie; e, quanto alla seconda, in  ragione  della
discriminazione  gia'  evidenziata  per  il  profilo  di   violazione
dell'art. 3 Cost. 
    6.- La questione  cosi'  prospettata  e'  ammissibile,  ancorche'
sollevata nel contesto di procedimenti d'urgenza "ante  causam",  non
avendo il Tribunale a quo provveduto in via definitiva sulla  istanza
cautelare dei ricorrenti, e non avendo, per cio',  consumato  la  sua
potestas iudicandi (ex plurimis, sentenze n. 200 e n. 162  del  2014,
n. 172 del 2012, n. 151 del 2009). 
    7.- In ragione del sospettato contrasto dei su  citati  artt.  1,
commi 1 e 2, e 4, comma 1, della legge n. 40 del 2004 con gli artt. 8
e 14 della CEDU, correttamente ha  poi  il  rimettente  adito  questa
Corte, non essendogli consentito un'applicazione in via diretta delle
norme convenzionali in luogo di quelle nazionali, in  tesi  con  esse
non compatibili, atteso che, diversamente dal diritto comunitario, la
Convenzione europea dei diritti dell'uomo  non  crea  un  ordinamento
giuridico  sovranazionale  ma  costituisce  un  modello  di   diritto
internazionale pattizio, idoneo a vincolare lo Stato, ma improduttivo
di effetti diretti nell'ordinamento interno (sentenze n. 349 e n. 348
del  2007,  e  successive  conformi).  Collocazione,  questa,   delle
disposizioni della CEDU che, nel sistema delle fonti, resta  immutata
anche dopo il  richiamo  operatone  dall'art.  6,  paragrafo  3,  del
Trattato sull'Unione europea (TUE), come modificato dal  Trattato  di
Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007, ratificato e reso esecutivo con
legge 2 agosto 2008 n. 130, ed entrato in vigore il 1° dicembre 2009. 
    Questa Corte ha gia' avuto, infatti, occasione  di  chiarire  che
«dalla   qualificazione   dei   diritti   fondamentali   oggetto   di
disposizioni  della  CEDU  come   principi   generali   del   diritto
comunitario non puo' farsi discendere la riferibilita' alla CEDU  del
parametro  di  cui  all'art.  11  Cost.,  ne',  correlativamente,  la
spettanza al giudice comune del potere-dovere  di  non  applicare  le
norme interne contrastanti con la predetta Convenzione» (sentenze  n.
303 del 2011 e n. 349 del 2007).  Ragione  per  cui  «i  principi  in
questione rilevano unicamente in rapporto  alle  fattispecie  cui  il
diritto comunitario (oggi, il diritto  dell'Unione)  e'  applicabile»
(sentenze n. 210 del 2013, n. 303 e n. 80 del  2011)  e,  poiche'  le
fattispecie, oggetto dei giudizi a quibus, non sono riconducibili  al
diritto comunitario, non vi era, dunque, effettivamente,  spazio  per
un'eventuale disapplicazione della normativa nazionale da  parte  del
Tribunale rimettente, da ritenersi oltretutto limitata ai casi in cui
il diritto comunitario rilevante sia dotato di effetti diretti. 
    8.-  Altrettanto  correttamente  lo  stesso  Tribunale  ha  anche
escluso  la  praticabilita'   di   una   esegesi   correttiva   delle
disposizioni censurate, in senso estensivo dell'accesso alle tecniche
di PMA, anche in favore delle coppie ricorrenti, atteso  l'univoco  e
non superabile tenore letterale della prescrizione per cui il ricorso
a dette tecniche «e' comunque circoscritto ai casi  di  sterilita'  o
infertilita'». 
    Dal che la rilevanza della questione sollevata, la cui  soluzione
condiziona,  quindi,  l'accoglimento  o  meno   della   domanda   dei
ricorrenti nei procedimenti cautelari a quibus. 
    9.- Nel merito, la questione e' fondata, in relazione al  profilo
-  assorbente  di  ogni  altra  censura  -  che  attiene  al   vulnus
effettivamente arrecato, dalla normativa denunciata, agli artt.  3  e
32 Cost. 
    Sussiste,  in   primo   luogo,   un   insuperabile   aspetto   di
irragionevolezza  dell'indiscriminato  divieto,  che  le   denunciate
disposizioni  oppongono,   all'accesso   alla   PMA,   con   diagnosi
preimpianto,  da  parte  di  coppie  fertili  affette   (anche   come
portatrici   sane)   da   gravi   patologie   genetiche   ereditarie,
suscettibili (secondo le evidenze  scientifiche)  di  trasmettere  al
nascituro rilevanti anomalie o malformazioni. E cio' in  quanto,  con
palese  antinomia  normativa  (sottolineata  anche  dalla  Corte   di
Strasburgo nella richiamata sentenza Costa e Pavan contro Italia), il
nostro ordinamento consente, comunque, a tali  coppie  di  perseguire
l'obiettivo di  procreare  un  figlio  non  affetto  dalla  specifica
patologia  ereditaria  di  cui  sono   portatrici,   attraverso   la,
innegabilmente  piu'   traumatica,   modalita'   della   interruzione
volontaria  (anche  reiterata)  di  gravidanze   naturali   -   quale
consentita dall'art. 6, comma 1, lettera b), della  legge  22  maggio
1978, n.  194  (Norme  per  la  tutela  sociale  della  maternita'  e
sull'interruzione volontaria della gravidanza) - quando, dalle  ormai
normali  indagini  prenatali,  siano,  appunto  «accertati   processi
patologici [...] relativi a rilevanti anomalie  o  malformazioni  del
nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute  fisica  o
psichica della donna». 
    Vale a  dire  che  il  sistema  normativo,  cui  danno  luogo  le
disposizioni censurate, non consente  (pur  essendo  scientificamente
possibile) di far acquisire "prima" alla donna una  informazione  che
le permetterebbe di evitare di assumere "dopo" una decisione ben piu'
pregiudizievole per la sua salute. 
    Dal che, quindi, la violazione anche dell'art. 32 Cost.,  in  cui
incorre la normativa in esame, per il mancato  rispetto  del  diritto
alla salute della donna. Senza peraltro che il vulnus, cosi' arrecato
a tale diritto, possa trovare un positivo contrappeso, in termini  di
bilanciamento, in una esigenza di  tutela  del  nascituro,  il  quale
sarebbe comunque esposto all'aborto. 
    La normativa denunciata costituisce, pertanto, il risultato di un
irragionevole bilanciamento degli interessi in gioco,  in  violazione
anche del canone di razionalita' dell'ordinamento - ed e' lesiva  del
diritto alla salute della donna fertile portatrice  (ella  o  l'altro
soggetto della coppia) di grave malattia genetica ereditaria -  nella
parte in cui non consente, e  dunque  esclude,  che,  nel  quadro  di
disciplina della legge in esame, possano ricorrere alla PMA le coppie
affette da patologie siffatte, adeguatamente accertate, per  esigenza
di cautela, da apposita struttura  pubblica  specializzata.  Cio'  al
fine esclusivo  della  previa  individuazione  di  embrioni  cui  non
risulti trasmessa la malattia del genitore comportante il pericolo di
rilevanti anomalie o malformazioni (se  non  la  morte  precoce)  del
nascituro, alla stregua del medesimo "criterio normativo di gravita'"
gia' stabilito dall'art. 6, comma 1, lettera b), della legge  n.  194
del 1978. 
    10.- Una volta accertato che, in ragione  dell'assolutezza  della
riferita esclusione, le  disposizioni  in  questione  si  pongono  in
contrasto  con  parametri  costituzionali  «questa  Corte  non  puo',
dunque, sottrarsi al proprio potere-dovere di porvi  rimedio  e  deve
dichiararne l'illegittimita'» (sentenza n. 162 del 2014), essendo poi
compito del legislatore  introdurre  apposite  disposizioni  al  fine
della auspicabile individuazione (anche periodica, sulla  base  della
evoluzione   tecnico-scientifica)   delle   patologie   che   possano
giustificare l'accesso alla PMA di coppie fertili e delle correlative
procedure di  accertamento  (anche  agli  effetti  della  preliminare
sottoposizione  alla  diagnosi  preimpianto)  e  di   una   opportuna
previsione di forme di autorizzazione e di controllo delle  strutture
abilitate  ad  effettuarle  (anche  valorizzando,  eventualmente,  le
discipline gia' appositamente  individuate  dalla  maggioranza  degli
ordinamenti giuridici europei in cui tale forma di pratica medica  e'
ammessa). Cio' non essendo, evidentemente, in potere di questa Corte,
per essere riservato alla discrezionalita' delle scelte, appunto, del
legislatore. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    riuniti i giudizi, 
    dichiara l'illegittimita' costituzionale degli artt. 1, commi 1 e
2, e 4, comma 1, della legge  19  febbraio  2004,  n.  40  (Norme  in
materia di procreazione medicalmente assistita), nella parte  in  cui
non consentono il ricorso alle tecniche di procreazione  medicalmente
assistita  alle  coppie  fertili  portatrici  di  malattie  genetiche
trasmissibili, rispondenti ai criteri di gravita' di cui all'art.  6,
comma 1, lettera b), della legge 22 maggio 1978, n. 194 (Norme per la
tutela sociale della maternita' e sull'interruzione volontaria  della
gravidanza), accertate da apposite strutture pubbliche. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 14 maggio 2015. 
 
                                F.to: 
                  Alessandro CRISCUOLO, Presidente 
                  Mario Rosario MORELLI, Redattore 
                Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 5 giugno 2015. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                    F.to: Gabriella Paola MELATTI 
 

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