TAR maggio 2018:
“per il risarcimento dei danni da attività vessatoria e ritorsiva
posta in essere dai superiori gerarchici (mobbing).”
Pubblicato il
05/05/2018
N. 05031/2018
REG.PROV.COLL.
N. 06222/2007
REG.RIC.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO
ITALIANO
Il Tribunale
Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Bis)
ha pronunciato la
presente
SENTENZA
sul ricorso numero
di registro generale 6222 del 2007, proposto da
-OMISSIS-,
rappresentato e difeso dall'avv. Roberto Mandolesi, con domicilio
eletto presso il suo studio in Roma, via Paolo Emilio, 34;
contro
Ministero della
Difesa, in persona del Ministro in carica, e Comando Generale Arma
dei Carabinieri, in persona del legale rappresentante pro tempore,
rappresentati e difeso dall'Avvocatura dello Stato, domiciliata ex
lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti
-OMISSIS-, non
costituito in giudizio;
per il risarcimento
dei danni da
attività vessatoria e ritorsiva posta in essere dai superiori
gerarchici (mobbing).
Visti il ricorso e i
relativi allegati;
Visto l’atto di
costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;
Visti tutti gli atti
della causa;
Relatrice la
dott.ssa Laura Marzano;
Uditi, nell'udienza
straordinaria del giorno 13 aprile 2018, i difensori come specificato
nel verbale;
Ritenuto e
considerato in fatto e in diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con il ricorso in
epigrafe il sig. -OMISSIS-, Appuntato Scelto dell'Arma dei
Carabinieri, in congedo, agisce in giudizio per ottenere la condanna
delle parti intimate al risarcimento di tutti i danni, ammontanti a
complessivi € 439.082,87, oltre rivalutazione e interessi, subiti a
causa degli atti e provvedimenti posti in essere nei suoi confronti
dall'intimata amministrazione, danni specificati come segue:
€ 99.082,87 per
danno biologico e morale per la lesione all'integrità psico-fisica e
per il grave patimento d'animo;
€ 30.000,00 per
danno esistenziale e all'identità personale per il notevole
peggioramento della qualità della propria vita e per la forzosa
rinuncia ad attività realizzatrici della propria personalità;
€ 35.000,00 per
danno derivante dalla lesione di valori costituzionalmente garantiti
quali l'onore, il decoro, la reputazione personale, professionale e
quella di militare;
€ 275.000,00 per
danno patrimoniale, compreso quello alla professionalità oggettiva,
considerata l'età del ricorrente, la sua capacità lavorativa, le
sue aspettative di carriera e quelle, di riflesso, pensionistiche ed
assistenziali, da calcolarsi con riferimento al danno emergente ed al
lucro cessante.
Chiede, altresì, la
condanna della parte convenuta alle spese del giudizio e la
pubblicazione della sentenza.
2. Il ricorrente
riferisce i fatti come segue.
Il sig. -OMISSIS-,
dovendo partecipare all'11° corso trimestrale allievi vicebrigadieri
dell'Arma dei Carabinieri, in svolgimento a Roma il 23 ottobre 2005,
due giorni prima (il 21 giugno), tentò di far presente ai suoi
superiori: a) che, il giorno prima di partire per Roma (il 22 giugno,
con orario fissato per le ore 05:00), dove sarebbe dovuto arrivare
entro e non oltre le ore 13:00 (del 23 giugno), avrebbe dovuto
svolgere servizio di vigilanza con turno di 14 ore (08:00-20:00) -
con partenza alle ore 07:00 e rientro alle ore 21:00; b) che il
giorno successivo al suo rientro da Roma (primissime ore della
mattina del 24 giugno), avrebbe poi dovuto svolgere servizio
06:30-12:30; c) che, essendo stato indetto uno sciopero dei treni
dalle ore 20:00 del 23 giugno alle ore 20:00 del 24 giugno, avrebbe
dovuto necessariamente viaggiare con l'auto privata.
Chiamato a rapporto
alle ore 10:30 del 21 giugno 2005, il -OMISSIS-, in presenza del
-OMISSIS-, ebbe a dirgli "che non si sarebbe dovuto arrendere
così facilmente; che avrebbe dovuto necessariamente partecipare a
quel concorso perché ne avrebbe giovato la sua carriera; e che, in
caso contrario, avrebbe dimostrato di non avere carattere"; che
il servizio previsto per il giorno prima della partenza e per quello
dopo il rientro non potevano essere cambiati o modificati; che al
bisogno avrebbe potuto noleggiare un'auto; e che aveva giusto un'ora
di tempo per prendere una decisione sul da farsi.
Egli decise di
partire anche a quelle condizioni e, rientrato in sede da Roma solo
alle ore 01:00 del 24 giugno, dovette prestare servizio la mattina
dello stesso giorno alle ore 06:30.
In seguito,
intendendo presentare un'istanza per acquisire copia della Circolare
del Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri - Direzione di
Amministrazione del 20 dicembre 1996, avente ad oggetto il
trattamento economico di missione, onde verificare la legittimità di
quanto disposto in occasione della sua partecipazione al corso di cui
sopra, il 7 luglio 2005 si recò presso l'ufficio del -OMISSIS-e,
stante l'assenza dello stesso, consegnò l'istanza al -OMISSIS-che
non si mostrò felice di riceverla: in tono alterato costui disse che
lui non faceva vedere nulla e che il loro operato era immune da vizi.
Il giorno dopo,
anche grazie all'interessamento del -OMISSIS-, del Comando CC di xxx,
al quale il ricorrente si era nel frattempo rivolto per avere ausilio
sul da farsi, il -OMISSIS-consegnò la circolare richiesta ed il
ricorrente ne fece copia; nell'occasione i due ebbero anche un
colloquio privato durante il quale gli fu spiegato che aveva ragione
a lamentarsi dell'accaduto poiché sarebbe dovuto partire molto
prima; che era oggetto di particolari attenzioni poiché in passato
aveva presentato varie richieste per la concessione di medaglie e
rivolto quesiti per le turnazioni esterne; e che il turno non venne
cambiato perché non era particolarmente simpatico al -OMISSIS-.
Il 26 luglio 2005,
alle ore 07:10 circa, mentre era in servizio presso il sito "T"
in località xxx, il ricorrente venne contattato dal -OMISSIS-che,
inizialmente, mostrò sarcasticamente interesse al suo stato di
salute e, subito dopo, disse che finito il servizio sarebbe dovuto
passare da lui per essere poi accompagnato a rapporto dal magg.
-OMISSIS-.
Non volle discutere
sul fatto che il ricorrente, smontando dal servizio, fosse
comprensibilmente stanco, ma disse invece che "gli ordini non si
discutono".
Arrivato in caserma
alle ore 09:20, il ricorrente si presentò al -OMISSIS-e, subito
dopo, si recarono insieme dal -OMISSIS-, dove il comandante contestò
che la richiesta di accesso presentata per ottenere copia della
circolare non era corretta, nella forma e nel contenuto, che così
facendo egli aveva messo in dubbio l'operato dei superiori
gerarchici; disse inoltre che tale mancanza lui non gliel'avrebbe
perdonata.
Il
-OMISSIS-intervenne dicendo che era stato il ricorrente a voler
partire per Roma in quelle condizioni, ma, al suo far presente che
non era vero, dal momento che aveva chiesto il cambio turno, fu
apostrofato come bugiardo e il -OMISSIS- disse che non lo avrebbe più
voluto al suo reparto, che avrebbe aperto una pratica disciplinare
nei suoi confronti e avrebbe formalmente chiesto un suo
allontanamento per intervenuta incompatibilità ambientale.
A quel punto il
ricorrente svenne per tre volte consecutive.
Rinvenuto, si
accorse che era stato chiamato il -OMISSIS-, ufficiale medico della
Caserma "-OMISSIS-", il quale gli versò una bottiglietta
d'acqua in testa, ordinando, nel frattempo, che fosse trasportato con
l'autoambulanza militare, senza sirena, al Pronto Soccorso
dell'Ospedale di xxx, ove rimase ricoverato per circa 13 giorni.
Nonostante avesse
chiesto più volte, nell'ufficio del comandante, che fosse subito
avvisata sua moglie, la comunicazione avvenne soltanto dopo due ore.
Il rapporto
nell'ufficio del -OMISSIS- durò quasi 40 minuti.
Una volta dimesso,
nella mattinata dell’8 agosto 2005, si recò presso gli uffici
della Caserma "xxx" di xxx per consegnare la lettera delle
sue dimissioni temporanee.
Nell'occasione, il
brig. xxx gli consegnò due buste chiuse lasciate lì dal -OMISSIS-:
la prima, conteneva la comunicazione di apertura di un procedimento
disciplinare nei suoi confronti; la seconda, concerneva la
compilazione del foglio di servizio del viaggio a Roma.
La mattina dopo, il
9 agosto 2005, recatosi alla sede del suo reparto, dopo aver ricevuto
una licenza di convalescenza di trenta giorni, incontrò il
-OMISSIS-che, con tono sarcastico, gli chiese, in presenza di
personale del reparto, come stesse e se avesse bisogno di una
poltrona, con il sorriso sulle labbra, gli consegnò una busta
contenente il suo registratore, trattenuto, unitamente ad altri
oggetti personali e di servizio, dopo i fatti occorsi il 26 luglio
2005 e, infine, gli consegnò una ulteriore lettera contenente un
rilievo disciplinare per avere portato addosso il predetto
registratore, durante il rapporto nell’ufficio del -OMISSIS-.
Tutte le volte che
il ricorrente si recava presso il proprio reparto, per avere
delucidazioni o presentare istanze riguardanti il suo stato di
salute, egli incontrava sempre resistenza da parte del personale ivi
addetto il quale, sempre facendo riferimento ad ordini ricevuti dal
-OMISSIS-, non si mostrava disponibile ad agevolare le suddette
richieste frapponendo, il più delle volte, rifiuti pretestuosi ed
ingiustificati che, prontamente evidenziati, anche attraverso il
ricorso a direttive e circolari vigenti, si risolvevano poi in
formali accoglimenti ovvero in conferme orali di quanto
legittimamente richiesto.
Riferisce, inoltre,
che per poter accedere al reparto ove prestava servizio doveva
presentare un documento e ricevere il pass, come se fosse un
estraneo; il che accentuava il suo stato di prostrazione e di stress.
Tali circostanze di
fatto venivano denunciati all'ufficiale medico ten. med. -OMISSIS-,
che, come tutti gli altri sanitari che hanno avuto in esame il suo
caso, li hanno posti in stretta e diretta relazione con la patologia
riscontratagli (doc. 11).
Inoltre, il 19
aprile 2006 fu lo stesso -OMISSIS-, dopo aver contattato
telefonicamente il ricorrente, a chiedergli, con tono alterato, cosa
significassero le tre lettere che egli poco prima aveva inviato via
fax al reparto, dato che, a suo avviso erano prive di senso logico, e
che, quindi, avrebbe potuto anche informare la competente Procura
Militare.
Il ricorrente
rispose che le missive inviate erano pienamente legittime e che, se
non avesse provveduto alla loro evasione come per legge, sarebbe
stato lui stesso ad informare la Procura Militare; a quel punto il
comandante lo pregò di non farlo e, con tono decisamente più
pacato, lo invitò, qualora invece fosse di passaggio in città, a
passare nel suo ufficio per chiarimenti.
Tuttavia, al di là
delle buone intenzioni manifestate oralmente dalla scala gerarchica,
il ricorrente registrava costantemente una totale indisponibilità ad
accogliere i suoi diritti.
Tanto che dovette
intervenire il legale del ricorrente, Avv. -OMISSIS-, con nota dell'8
maggio 2006, per insistere perché fosse consentito al ricorrente
l’accesso a quanto richiesto (docc. 5, 6 e 7).
Inoltre, con nota
prot. n. 1850/38 del 31 luglio 2006, indirizzata alla Motorizzazione
Civile di xxx, il -OMISSIS- segnalava una presunta grave patologia,
"sindrome depressiva con crisi sincopali", sofferta dal
ricorrente, "per i provvedimenti di competenza che si riterrà
opportuno adottare" (doc. 8); per effetto di tale segnalazione
la patente del ricorrente fu rinnovata per un solo anno.
Tale patologia,
tuttavia, non troverebbe riscontro né nei certificati medici
acquisiti al procedimento conclusosi con la messa in congedo per
"forma disautonomica di tipo vasopressorio" del ricorrente,
ove si parla solo di "stato ansioso reattivo in trattamento"
ovvero di "episodio lipotinico e pregressa tachicardia"
(doc. 11), né in altro certificato medico di parte, come attestato
anche dal Comando Regione CC "xxx" con nota prot.
5598/62-1¬1986 datata 8 gennaio 2007 (doc. n. 9), inviata su
specifica richiesta dell'interessato (doc. 10).
Sulle descritte
circostanze e sulle reali intenzioni che hanno spinto il -OMISSIS- a
fare la suesposta segnalazione, si è instaurato un procedimento
penale presso la Procura della Repubblica di xxx (proc. pen.
07/002655 R.G.N.R.), tuttora pendente.
Nel frattempo il
ricorrente si sottopose a diverse visite medico-legali: dal dott.
-OMISSIS-il 2 novembre 2005 (doc. 4), dalla dr.ssa -OMISSIS-, il 3
novembre 2005 (doc. 3), e dal -OMISSIS-in data 19 dicembre 2005, al
fine di accertare "eventuali condizioni di disturbo di
significato psicopatologico" e, in caso positivo, per valutarne
"la possibile riconducibilità a infermità dipendente da causa
di servizio" (doc. 2), i quali tutti posero i fatti descritti in
stretta correlazione col suo stato di malessere.
3. Ai fatti fin qui
narrati il ricorrente attribuisce la valenza di complessiva attività
vessatoria e ritorsiva posta in essere nei suoi confronti dai tre
convenuti, culminata con l'insorgenza di una grave patologia che lo
ha posto in congedo, come da documentazione sanitaria e relazioni
medico legali.
Nella loro relazione
i periti medico-legali di parte, il dr. -OMISSIS-, nonché il prof.
-OMISSIS-, mettono in evidenzia il nesso causale esistente tra gli
eventi subiti dal ricorrente in ambito lavorativo dal giugno del 1995
e l'insorgenza della patologia invalidante che ha portato alla messa
in congedo dello stesso, affermano la sintomatologia ansiosa
riscontrata in capo al ricorrente viene dallo stesso evocata "dal
ricordo dei fatti che gli sono accaduti nell'ambito lavorativo, per
le situazioni conflittuali che sono state provocate dai suoi
superiori".
La complessiva
attività (di mobbing e/o bossing) attuata da parte di colleghi e
superiori gerarchici, secondo il ricorrente è legata da un disegno
unitario finalizzato a vessarlo e a distruggerne la personalità e la
figura professionale, che determinerebbe la responsabilità solidale
dell'Amministrazione della Difesa dal momento che il convenuto magg.
CC -OMISSIS- ha agito nella sua qualità di -OMISSIS-, reparto ove
prestava servizio il ricorrente, ossia quale organo decentrato della
predetta amministrazione, esercitando poteri propriamente
amministrativi, consistiti nel compimento o nell'omissione di atti,
ovvero nell'espletamento di attività, anche per il tramite di
militari appartenenti al suo ufficio e sottordinati, ai quali
preventivamente furono impartite precise istruzioni, riconducibili al
perseguimento di finalità comunque attinenti al servizio di istituto
proprio dell'Arma dei Carabinieri.
4. L’amministrazione
intimata si è costituita in giudizio solo formalmente.
All’udienza
pubblica straordinaria del 13 aprile 2018, in vista della quale il
ricorrente ha prodotto memoria conclusiva, la causa è stata
trattenuta in decisione.
5. In premessa
devono richiamarsi i principi elaborati in tema di mobbing dalla
giurisprudenza (ex multis: Cons. Stato, Sez. VI, n. 284/2016; T.A.R.
Lazio, Roma, Sez. I Quater, n. 7494/2016), che qui integralmente si
riportano.
“Innanzitutto,
deve accertarsi il rispetto del principio generale sancito dal
combinato disposto degli artt. 2697 c.c. (secondo cui chi agisce in
giudizio deve fornire la prova dei fatti costitutivi della domanda) e
63, comma 1 e 64, comma 1, c.p.a. (secondo cui l'onere della prova
grava sulle parti che devono fornire i relativi elementi di fatto di
cui hanno la piena disponibilità), non potendosi, di contro, dare
ingresso al c.d. metodo acquisitivo tipico del processo impugnatorio;
da tanto consegue che il ricorrente che chiede il risarcimento del
danno da cattivo (o omesso) esercizio della funzione pubblica, deve
fornire la prova dei fatti costitutivi della domanda.
Ancora, la prova
dell'esistenza del danno deve intervenire all'esito di una verifica
del caso concreto che faccia concludere per la sua certezza, la quale
a sua volta presuppone: l'esistenza di una posizione giuridica
sostanziale; l'esistenza di una lesione, che è configurabile
(oltreché nell'ovvia evidenza fattuale) anche allorquando vi sia una
rilevante probabilità di risultato utile frustrata dall'agire (o
dall'inerzia) illegittima della p.a.; nondimeno, i doveri di
solidarietà sociale, che traggono fondamento dall'art. 2 Cost.,
impongono di valutare complessivamente la condotta tenuta anche dalle
parti private nei confronti della p.a. in funzione dell'obbligo di
prevenire o attenuare quanto più possibile le conseguenze negative
scaturenti dall'esercizio della funzione pubblica o da condotte ad
essa ricollegabili in via immediata e diretta; l’esame di tale
profilo si riconnette direttamente all'individuazione, in concreto,
dei presupposti per l'esercizio dell'azione risarcitoria, onde
evitare che situazioni pregiudizievoli prevenibili o evitabili con
l'esercizio della normale diligenza si scarichino in modo improprio
sulla collettività in generale e sulla finanza pubblica in
particolare.
Esaminando, più da
vicino, il fenomeno del mobbing nel rapporto di impiego pubblico
questo deve sostanziarsi in una condotta del datore di lavoro o del
superiore gerarchico, complessa, continuata e protratta nel tempo,
tenuta nei confronti del dipendente nell'ambiente di lavoro, che si
manifesta con comportamenti intenzionalmente ostili, reiterati e
sistematici, esorbitanti od incongrui rispetto all'ordinaria gestione
del rapporto, espressivi di un disegno in realtà finalizzato alla
persecuzione o alla vessazione del medesimo dipendente, tale da
provocare un effetto lesivo della sua salute psicofisica (Cons.
Stato, Sez. VI, 12 marzo 2015 n. 1282).
Pertanto, ai fini
della configurabilità della condotta lesiva da mobbing, va accertata
la presenza di una pluralità di elementi costitutivi, dati in
particolare: a) dalla molteplicità e globalità di comportamenti a
carattere persecutorio, illeciti o anche di per sé leciti, posti in
essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il
dipendente secondo un disegno vessatorio; b) dall'evento lesivo della
salute psicofisica del dipendente; c) dal nesso eziologico tra la
condotta del datore o del superiore gerarchico e la lesione
dell'integrità psicofisica del lavoratore; d) dalla prova
dell'elemento soggettivo, cioè dell'intento persecutorio.
E’ stato quindi,
ritenuto che la sussistenza di condotte mobbizzanti deve essere
qualificata dall'accertamento di precipue finalità persecutorie o
discriminatorie, poiché proprio l'elemento soggettivo finalistico
consente di cogliere in uno o più provvedimenti e comportamenti, o
anche in una sequenza frammista di provvedimenti e comportamenti,
quel disegno unitario teso alla dequalificazione, svalutazione od
emarginazione del lavoratore pubblico dal contesto organizzativo nel
quale è inserito che è imprescindibile ai fini dell'enucleazione
del mobbing (Cons. Stato, Sez. III, 14 maggio 2015, n. 2412).
Conseguentemente un
singolo atto illegittimo o anche più atti illegittimi di gestione
del rapporto in danno del lavoratore, non sono, di per sé soli,
sintomatici della presenza di un comportamento mobbizzante (Cons.
Stato Sez. VI, 16 aprile 2015, n. 1945).”
6. Alla luce dei
principi sopra delineati, il Collegio ritiene che la situazione
denunciata dal ricorrente non configuri un’ipotesi di mobbing, non
potendo ritenersi provata, dal complesso degli elementi forniti, la
finalità persecutoria o discriminatoria sottesa agli episodi
narrati.
Il ricorrente,
infatti, ha ripercorso gli avvenimenti succedutisi tra l’ottobre
2005 e il settembre 2006 (epoca del collocamento in congedo) che, a
suo dire, costituiscono gli elementi probanti la situazione di
mobbing patita, incidenti a tal punto sul suo stato di salute da
essere posto in congedo assoluto perché non più idoneo al servizio
permanente.
Dalla documentazione
versata in atti dal ricorrente emerge certamente un quadro sanitario
caratterizzato da frequenti e incalzanti disturbi di tipo ansioso
depressivo ma non si evincono dati fattuali in grado di dimostrare e
sostenere ragionevolmente che il suddetto quadro patologico sia
direttamente ed esclusivamente riconducibile ad un disegno unitario
del suo Superiore e dei suoi sottoposti, finalizzato a vessarlo e a
distruggerne la personalità e la figura professionale.
L’episodio che, a
dire del ricorrente, rappresenterebbe l’incipit di tutta la
vicenda, ossia quello della partenza per partecipare all'11° corso
trimestrale allievi vicebrigadieri dell'Arma dei Carabinieri, in
svolgimento a Roma il 23 ottobre 2005, e dei turni di servizio troppo
stringati, fissati a ridosso della partenza e del rientro, non
presenta tratti né di particolare eccezionalità per la vita
militare né di gravità tali da poterne inferire una sottesa volontà
vessatoria o persecutoria da parte del Superiore.
Semmai dalla stessa
narrazione fatta dal ricorrente risulta un atteggiamento complessivo
dello stesso se non poco avvezzo e comunque non consono ai rigori
della vita militare, di sicuro prevenuto e diffidente nei confronti
dei Superiori, tenuto conto del fatto che si era presentato al
rapporto del 26 luglio 2005 con un registratore.
Inoltre egli stesso
riferisce in ricorso che, secondo altro militare, egli “era oggetto
di particolari attenzioni poiché in passato aveva presentato varie
richieste per la concessione di medaglie e rivolto quesiti per le
turnazioni esterne; e che il turno non venne cambiato perché non era
particolarmente simpatico al -OMISSIS-”.
Osserva il Collegio
che, pur con tutta la cautela con cui vanno valutate affermazioni de
relato totalmente sfornite di prova, è certo che un simile
atteggiamento per così dire pretensivo, soprattutto nell’ambito di
un ordinamento fortemente gerarchico quale quello militare,
certamente non facilita i rapporti e le simpatie.
Dalla documentazione
versata in atti risultano istanze di accesso agli atti e una
intimazione a firma dell’avv. -OMISSIS- per conto del ricorrente.
In particolare,
nell’istanza del 5 maggio 2006 si precisa che la documentazione ivi
richiesta, ossia il rapporto di servizio relativo all’episodio del
26 luglio 2005, “verrà utilizzata dallo scrivente per la tutela
dei propri interessi e per documentare la causa di servizio tenendo
conto che la causa scatenante la patologia a me riscontrata è da
mettere in relazione alla pressione subita nel colloquio di cui
sopra”.
Osserva il Collegio
che, sebbene un’istanza di accesso agli atti sia senz’altro
legittima, a prescindere dalla sua accoglibilità o meno, nel caso di
specie l’esposizione delle ragioni per le quali detta istanza
veniva formulata denota un atteggiamento litigioso e un tono
piuttosto ostile da parte del ricorrente nei confronti del suo
Superiore e, più in generale, dell’amministrazione.
Quanto precede,
secondo le coordinate ermeneutiche declinate dalla giurisprudenza
innanzi richiamata, impone di attribuire particolare valore anche
alla condotta tenuta dal ricorrente nei confronti
dell’amministrazione e, per essa, dei suoi Superiori, al fine di
valutare le lamentate condotte ricollegabili in via immediata e
diretta all'esercizio della funzione pubblica.
A ciò si aggiunga
che, di tutti i fatti narrati, non vi è prova.
Invero, le perizie
dei tre consulenti medico legali depositate e l’ulteriore
documentazione nulla dicono sui presunti comportamenti mobbizzanti,
trattandosi di certificazioni mediche riguardanti l’insorgenza e il
decorso di una patologia di tipo ansioso depressivo che non
necessariamente è da ricondursi al fenomeno del mobbing, anzi stando
alla totale assenza di prova sui fatti narrati, è più verosimile
debba escludersi qualunque nesso eziologico tra le descritte condotte
ed il pregiudizio subito dallo stesso nella propria integrità
psicofisica.
D’altra parte,
attesa la gravità delle condotte denunciate, il lamentato intento
persecutorio e la dedotta reiterazione e sistematicità nel tempo
delle condotte asseritamente vessatorie non possono ritenersi
provate, sic et simpliciter, in base al principio di non
contestazione, dal momento che il ricorrente non ha neanche fornito
un principio di prova, non avendo prodotto deposizioni scritte dei
soggetti indicati quali testimoni: attività probatoria questa che
sarebbe stata nella sua piena disponibilità.
Mancano, dunque, a
parere del Collegio, tutti gli elementi costitutivi del mobbing,
innanzi declinati.
Gli eventi sopra
analizzati, che per il ricorrente hanno forse rappresentato
accadimenti poco piacevoli e, dunque, possono essere stati dallo
stesso percepiti e interiorizzati come tasselli di un progressivo
quadro persecutorio e di ostilità nei propri confronti, non
denotano, invero, quel carattere mirato, prolungato e sistematico,
che deve necessariamente sussistere affinché possa correttamente
parlarsi di mobbing.
Conclusivamente, per
quanto precede, il ricorso deve essere respinto.
7. Le spese del
giudizio possono tuttavia compensarsi atteso che l’amministrazione
si è limitata ad una costituzione formale.
P.Q.M.
Il Tribunale
Amministrativo Regionale per il Lazio, Roma, Sezione Prima Bis,
definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la
presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che
sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1 D.Lgs. 30 giugno
2003 n. 196, a tutela dei diritti della parte interessata, manda alla
Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità del
ricorrente.
Così deciso in Roma
nella camera di consiglio del giorno 13 aprile 2018 con l'intervento
dei magistrati:
Germana
Panzironi, Presidente
Laura
Marzano, Consigliere, Estensore
Giovanni
Ricchiuto, Primo Referendario
L'ESTENSORE IL
PRESIDENTE
Laura
Marzano Germana Panzironi
IL SEGRETARIO
In caso di
diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi
dei soggetti interessati nei termini indicati.
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