N. 198 SENTENZA 19 giugno - 14 novembre 2018
Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale.
Ambiente - Delega legislativa per l'attuazione di direttive
comunitarie - Modifiche alla disciplina delle procedure di
valutazione di impatto ambientale (VIA) e di verifica di
assoggettabilita' a VIA contenuta nel codice dell'ambiente,
introdotte con d.lgs. 104 del 2017.
- Decreto legislativo 16 giugno 2017, n. 104 (Attuazione della
direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16
aprile 2014, che modifica la direttiva 2011/92/UE, concernente la
valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti
pubblici e privati, ai sensi degli articoli 1 e 14 della legge 9
luglio 2015, n. 114), intero testo, nonche' artt. 3, comma 1,
lettere g) e h); 4; 5; 8; 9; 12; 13, comma 1; 14; 16, commi 1 e 2;
17; 18, comma 3; 21; 22, commi 1, 2, 3 e 4; 23, commi 1, 2, 3 e 4;
24; 26, comma 1, lettera a), e 27.
-
(GU n.46 del 21-11-2018 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Giorgio LATTANZI;
Giudici :Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI,
Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de
PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA,
Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO',
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'intero testo e
degli artt. 3, comma 1, lettere g) e h); 4; 5; 8; 9; 12; 13, comma 1;
14; 16, commi 1 e 2; 17; 18, comma 3; 21; 22, commi 1, 2, 3 e 4; 23,
commi 1, 2, 3 e 4; 24; 26, comma 1, lettera a), e 27 del decreto
legislativo 16 giugno 2017, n. 104 (Attuazione della direttiva
2014/52/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile
2014, che modifica la direttiva 2011/92/UE, concernente la
valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici
e privati, ai sensi degli articoli 1 e 14 della legge 9 luglio 2015,
n. 114), promossi dalla Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallee
d'Aoste, dalla Regione Lombardia, dalla Regione Puglia, dalla Regione
Abruzzo, dalla Regione Veneto, dalla Provincia autonoma di Trento,
dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, dalla Regione autonoma
Sardegna, dalla Regione Calabria e dalla Provincia autonoma di
Bolzano, con ricorsi, il primo, spedito per la notifica il 1°
settembre, gli altri notificati il 30 agosto, il 1°-6 settembre, il
4-6 settembre, il 4 settembre, il 4-7 settembre, il 1°-6 settembre,
il 4-7 settembre e il 4-11 settembre 2017, depositati in cancelleria
il 5, 6, 7, 8, 13 e 14 settembre 2017, iscritti, rispettivamente, ai
numeri da 63 a 71 e 73 del registro ricorsi 2017 e pubblicati nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri da 41 a 45, prima serie
speciale, dell'anno 2017.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri;
uditi nell'udienza pubblica del 19 giugno 2018 i Giudici relatori
Franco Modugno e Augusto Antonio Barbera;
uditi gli avvocati Francesco Saverio Marini per la Regione
autonoma Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste, Piera Pujatti per la Regione
Lombardia, Stelio Mangiameli per la Regione Puglia, Fabio Franco per
la Regione Abruzzo, Andrea Manzi per la Regione Veneto, Giandomenico
Falcon e Andrea Manzi per la Provincia autonoma di Trento, Massimo
Luciani per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e per la
Regione autonoma Sardegna, Aristide Police e Nicola Greco per la
Regione Calabria, Renate von Guggenberg per la Provincia autonoma di
Bolzano e l'avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente
del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.- Con ricorso notificato il 1° settembre 2017 e depositato il 5
settembre 2017 (reg. ric. n. 63 del 2017), la Regione autonoma Valle
d'Aosta/Vallee d'Aoste ha promosso questioni di legittimita'
costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 5, 76, 97, 117, primo,
terzo e quinto comma, 118 e 120 della Costituzione, nonche' agli
artt. 2, primo comma, lettere a), d), f), m), 3, 4 e 10 della legge
costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle
d'Aosta), di alcune disposizioni del decreto legislativo 16 giugno
2017, n. 104 (Attuazione della direttiva 2014/52/UE del Parlamento
europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, che modifica la
direttiva 2011/92/UE, concernente la valutazione dell'impatto
ambientale di determinati progetti pubblici e privati, ai sensi degli
articoli 1 e 14 della legge 9 luglio 2015, n. 114), pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale n. 156 del 6 luglio 2017.
1.1.- La ricorrente premette che il d.lgs. n. 104 del 2017 e'
stato adottato sulla base della delega legislativa conferita dagli
artt. 1 e 14 della legge 9 luglio 2015, n. 114 (Delega al Governo per
il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti
dell'Unione europea - Legge di delegazione europea 2014), al fine di
dare attuazione alla direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo e
del Consiglio del 16 aprile 2014, che modifica la direttiva
2011/92/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 dicembre
2011, concernente la valutazione dell'impatto ambientale di
determinati progetti pubblici e privati.
Ad avviso della ricorrente, l'atto normativo realizzerebbe un
pervasivo riassetto del riparto delle competenze fra Stato e Regioni
in materia di valutazione di impatto ambientale (VIA), lesivo delle
sue competenze costituzionali.
La Regione censura, anzitutto, l'art. 5 del d.lgs. n. 104 del
2017, denunciando la violazione degli artt. 2, primo comma, lettere
a), d), f) e m), 3 e 4 del proprio statuto, nonche' degli artt. 3, 5,
76, 117, primo e terzo comma, e 120 Cost., anche in relazione
all'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3
(Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione).
La norma impugnata aggiunge al decreto legislativo 3 aprile 2006,
n. 152, recante «Norme in materia ambientale» (da ora in poi, anche:
cod. ambiente), l'art. 7-bis, recante «Competenze in materia di VIA e
di verifica di assoggettabilita' a VIA».
La nuova disposizione, ai commi 2 e 3, ridisegna la distribuzione
delle competenze fra Stato e Regioni in relazione ai progetti da
sottoporre a VIA e a verifica di assoggettabilita' a VIA, assegnando
allo Stato i progetti di cui agli Allegati II e II-bis e alle Regioni
quelli di cui agli Allegati III e IV, Parte II, del d.lgs. n. 152 del
2006. Stabilisce, inoltre, al comma 4, che in sede statale
l'autorita' competente e' il Ministero dell'ambiente e della tutela
del territorio e del mare, che esercita le proprie competenze in
collaborazione con il Ministero dei beni e delle attivita' culturali
e del turismo per le attivita' istruttorie relative al procedimento
di VIA, soggiungendo che il provvedimento di verifica di
assoggettabilita' a VIA e' adottato dal Ministero dell'ambiente e
della tutela del territorio e del mare, mentre il provvedimento di
VIA e' adottato nelle forme e con le modalita' di cui al nuovo art.
25, comma 2, e all'art. 27, comma 8, cod. ambiente, che non
contemplano piu' - diversamente dal passato - il parere delle Regioni
interessate.
La nuova disposizione prevede, ancora, al comma 7, che
nell'ipotesi in cui un progetto sia sottoposto a verifica di
assoggettabilita' a VIA o a VIA di competenza regionale, le Regioni e
le Province autonome di Trento e di Bolzano debbano assicurare che le
procedure siano svolte in conformita' agli articoli da 19 a 26 e da
27-bis a 29 del d.lgs. n. 152 del 2006, stabilendo, altresi', che il
procedimento di VIA si svolge con le modalita' di cui al citato art.
27-bis: con la conseguenza che tale procedura risulterebbe
disciplinata «integralmente dal centro».
Il comma 8 circoscrive, poi, la potesta' normativa, legislativa e
regolamentare, delle Regioni e delle Province autonome alla
disciplina dell'organizzazione e delle modalita' di esercizio delle
funzioni amministrative ad esse attribuite in materia di VIA, nonche'
all'eventuale conferimento di tali funzioni o di compiti specifici
agli altri enti territoriali sub-regionali. La potesta' normativa in
parola viene vincolata al rispetto della legislazione europea e di
quanto previsto dal d.lgs. n. 152 del 2006, fatto salvo solo il
potere di stabilire regole particolari e ulteriori per la
semplificazione dei procedimenti, per le modalita' della
consultazione del pubblico e di tutti i soggetti pubblici
potenzialmente interessati, per il coordinamento dei provvedimenti e
delle autorizzazioni di competenza regionale e locale, nonche' per la
destinazione alle finalita' di cui all'art. 29, comma 8, dei proventi
derivanti dall'applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie,
con espressa esclusione della derogabilita' dei termini
procedimentali massimi di cui agli artt. 19 e 27-bis.
Il comma 9 sottopone, da ultimo, le Regioni e le Province
autonome a penetranti controlli e obblighi informativi, stabilendo
che, a decorrere dal 31 dicembre 2017 e con cadenza biennale, esse
debbano informare il Ministero dell'ambiente e della tutela del
territorio e del mare circa i provvedimenti adottati e i procedimenti
di verifica di assoggettabilita' a VIA e di VIA, fornendo una serie
di dati.
Tale «pervasiva interferenza» con le competenze regionali
risulterebbe costituzionalmente illegittima, tanto in rapporto allo
strumento attraverso il quale e' stata attuata, quanto nei contenuti.
1.1.1.- Sotto il primo profilo, il censurato art. 5 del d.lgs. n.
104 del 2017, violerebbe anzitutto l'art. 76 Cost. per eccesso di
delega. Il profondo riassetto delle competenze fra Stato e Regioni
operato con la norma impugnata risulterebbe, infatti, privo di
qualsiasi fondamento esplicito nelle norme della legge di
delegazione.
In base all'art. 1 della legge n. 114 del 2015, il legislatore
delegato, nell'attuare le direttive elencate negli Allegati A e B,
avrebbe dovuto attenersi, in primo luogo, ai principi e ai criteri
direttivi generali sanciti dagli artt. 31 e 32 della legge 24
dicembre 2012, n. 234 (Norme generali sulla partecipazione
dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle
politiche dell'Unione europea). Nessuno di tali principi e criteri
direttivi autorizzerebbe, peraltro, la modifica del riparto di
competenze tra Stato e Regioni. Da essi emergerebbe, al contrario, la
«massima attenzione» per la salvaguardia delle attribuzioni dei
singoli livelli di governo, essendo previsto nell'art. 32, comma 1,
lettera g), che, nei casi di sovrapposizione di competenze tra
amministrazioni diverse, «i decreti legislativi individuano,
attraverso le piu' opportune forme di coordinamento, rispettando i
principi di sussidiarieta', differenziazione, adeguatezza e leale
collaborazione e le competenze delle regioni e degli altri enti
territoriali, le procedure per salvaguardare l'unitarieta' dei
processi decisionali, la trasparenza, la celerita', l'efficacia e
l'economicita' nell'azione amministrativa e la chiara individuazione
dei soggetti responsabili».
Ancora piu' significativo risulterebbe, peraltro, il silenzio sul
punto, considerati i principi e criteri direttivi specifici enunciati
dall'art. 14 della legge n. 114 del 2015, alla luce dei quali la
normativa delegata avrebbe dovuto perseguire i seguenti obiettivi:
«a) semplificazione, armonizzazione e razionalizzazione delle
procedure di valutazione di impatto ambientale anche in relazione al
coordinamento e all'integrazione con altre procedure volte al
rilascio di pareri e autorizzazioni a carattere ambientale; b)
rafforzamento della qualita' della procedura di valutazione di
impatto ambientale, allineando tale procedura ai principi della
regolamentazione intelligente (smart regulation) e della coerenza e
delle sinergie con altre normative e politiche europee e nazionali;
c) revisione e razionalizzazione del sistema sanzionatorio da
adottare ai sensi della direttiva 2014/52/UE, al fine di definire
sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive e di consentire una
maggiore efficacia nella prevenzione delle violazioni; d)
destinazione dei proventi derivanti dalle sanzioni amministrative per
finalita' connesse al potenziamento delle attivita' di vigilanza,
prevenzione e monitoraggio ambientale, alla verifica del rispetto
delle condizioni previste nel procedimento di valutazione ambientale,
nonche' alla protezione sanitaria della popolazione in caso di
incidenti o calamita' naturali, senza nuovi o maggiori oneri a carico
della finanza pubblica».
Il combinato disposto degli artt. 1 e 14 di tale legge
lascerebbe, quindi, chiaramente intendere come le Camere abbiano
conferito al Governo una mera delega di revisione, riordino e
semplificazione delle norme preesistenti, senza autorizzare
l'introduzione di soluzioni sostanzialmente innovative rispetto al
sistema legislativo previgente. Secondo la costante giurisprudenza
costituzionale, infatti, un simile intervento e' ammissibile solo nel
caso in cui siano stabiliti principi e criteri direttivi idonei a
circoscrivere la discrezionalita' del legislatore delegato: in
mancanza di essi, la delega deve essere intesa, di contro, in senso
"minimale", tale, cioe', da non consentire l'adozione di norme
delegate sostanzialmente innovative.
A comprova del fatto che il silenzio della legge n. 114 del 2015
assurga a indice della volonta' delle Camere di non consentire
interventi innovativi del legislatore delegato sul piano della
disciplina dei rapporti tra Stato e Regioni, militerebbe anche la
considerazione che tale legge, nel disciplinare il procedimento di
formazione del decreto delegato, ha prescritto il coinvolgimento
delle Regioni nella forma del mero parere, e non gia' dell'intesa.
Tale soluzione si giustificherebbe, infatti, solo sul presupposto che
le Camere abbiano abilitato il Governo a una "blanda" operazione di
riordino e semplificazione della materia, che intacca in misura
minima o non intacca affatto le competenze regionali, cosi' da non
richiedere l'attivazione di piu' penetranti strumenti di
collaborazione.
Ove si ritenesse, al contrario, che le Camere abbiano voluto
implicitamente consentire al Governo di riformare le competenze
statali e regionali in materia di VIA, lo strumento del mero parere
si rivelerebbe del tutto inidoneo a consentire una seria
interlocuzione fra i livelli di governo coinvolti, stante la
quantita' e l'intensita' delle competenze regionali sacrificate. In
questa prospettiva, gli artt. 1 e 14 della legge n. 114 del 2015
risulterebbero illegittimi per violazione del principio di leale
collaborazione (artt. 5 e 120 Cost.), nella parte in cui prevedono il
mero parere e non l'intesa, conformemente a quanto gia' deciso dalla
Corte costituzionale, in situazione analoga, con la sentenza n. 251
del 2016. Proprio la prescrizione del mero parere, anziche'
dell'intesa, avrebbe del resto consentito al Governo di disattendere
del tutto sette delle nove condizioni che le Regioni avevano indicato
come irrinunciabili nel parere 17/52/SR8/C5 (Parere sullo schema di
decreto legislativo della direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo
e del Consiglio del 16 aprile 2014, che modifica la direttiva
2011/92/UE concernente la valutazione dell'impatto ambientale di
determinati progetti pubblici e privati, ai sensi degli articoli 1 e
14 della legge 9 luglio 2015, n. 114), reso in sede di Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province
autonome di Trento e di Bolzano sullo schema di decreto delegato.
La Regione ricorrente chiede pertanto che la Corte - ove
ritenesse che gli artt. 1 e 14 della legge n. 114 del 2015 abilitino
il Governo al riassetto delle competenze statali e regionali -
sollevi avanti a se' stessa questione di legittimita' costituzionale
delle citate disposizioni, dichiarando l'illegittimita'
costituzionale in via derivata dell'art. 5 del d.lgs. n. 104 del
2017.
1.1.2.- Dal punto di vista contenutistico, la disposizione
impugnata si porrebbe in contrasto con l'art. 2, primo comma, lettere
a), d), f) e m), nonche' con gli artt. 3 e 4 dello statuto reg. Valle
d'Aosta/Vallee d'Aoste, in combinato disposto con l'art. 117, primo e
terzo comma, Cost., anche in relazione alla "clausola di maggior
favore" di cui all'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001.
L'art. 2 dello statuto attribuisce alla Regione autonoma la
competenza legislativa piena in materia di ordinamento degli uffici e
degli enti dipendenti dalla Regione e stato giuridico ed economico
del personale; agricoltura e foreste, zootecnia, flora e fauna;
strade e lavori pubblici di interesse regionale; acque pubbliche
destinate ad irrigazione ed a uso domestico. Tale competenza incontra
il solo limite degli obblighi internazionali, degli interessi
nazionali, nonche' delle norme fondamentali delle riforme
economico-sociali della Repubblica.
L'art. 3 riconosce, poi, alla Regione autonoma la potesta' di
emanare - sempre entro i limiti dianzi indicati - norme legislative
di integrazione e di attuazione delle leggi della Repubblica, per
adattarle alle condizioni regionali, in tutta una serie di materie
che si intrecciano con quelle implicate nella valutazione di impatto
ambientale: industria e commercio, disciplina dell'utilizzazione
delle acque pubbliche ad uso idroelettrico, disciplina
dell'utilizzazione delle miniere, igiene e sanita', antichita' e
belle arti.
Infine, l'art. 4 demanda alla Regione autonoma le funzioni
amministrative sulle materie nelle quali ha potesta' legislativa a
norma degli artt. 2 e 3, salve quelle attribuite ai Comuni e agli
altri enti locali dalle leggi della Repubblica.
A fronte di questo ampio elenco di competenze regionali,
l'operazione effettuata dallo Stato, con l'art. 5 del d.lgs. n. 104
del 2017, apparirebbe evidentemente illegittima e sproporzionata. A
seguito dell'intervento normativo censurato, infatti, la Regione
Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste:
a) si troverebbe confinata - nei casi di progetto sottoposto a
verifica di assoggettabilita' a VIA o a VIA di competenza regionale -
al ruolo di mero "custode" delle norme e delle procedure prescritte
dallo Stato (comma 7): ruolo ulteriormente gravato da un obbligo di
informazione periodica (comma 9);
b) vedrebbe limitata la propria potesta' normativa, tanto
legislativa quanto regolamentare, alla disciplina dell'organizzazione
e delle modalita' di esercizio delle funzioni amministrative ad esse
attribuite in materia di VIA, salva la sola facolta' di dettare norme
particolari e ulteriori per la semplificazione dei procedimenti e
altre specifiche finalita' (comma 8);
c) subirebbe l'integrale «regolazione dal centro» della procedura
di VIA regionale - cristallizzata nella disciplina dell'art. 27-bis
del d.lgs. n. 152 del 2006 - e perderebbe ogni possibilita' di
interlocuzione nel procedimento di VIA statale, essendo stato
eliminato il parere regionale precedentemente prescritto dall'art.
25, comma 2, del citato decreto legislativo.
In pratica, la Regione speciale sarebbe stata «"declassata" a
ufficio territoriale dello Stato», peraltro in palese violazione del
principio di leale collaborazione, essendo state disattese tutte le
proposte di emendamento formulate dalla Conferenza Stato-Regioni.
Tale "declassamento" non troverebbe alcuna giustificazione nel
diritto europeo. La direttiva 2014/52/UE apparirebbe, al contrario,
«attenta alle specificita' territoriali, ed incline a valorizzare
[...] le competenze degli enti sub-statali», come attesterebbero, tra
l'altro, le indicazioni del considerando n. 9 (nel quale si pone in
evidenza «l'importanza economica e sociale di una corretta
pianificazione territoriale» e la rilevanza di «opportuni piani di
utilizzo del suolo e politiche a livello nazionale, regionale e
locale») e del novellato art. 6, paragrafo 1, della direttiva
2011/92/UE (in forza del quale «[g]li Stati membri adottano le misure
necessarie affinche' le autorita' che possono essere interessate al
progetto, per la loro specifica responsabilita' in materia di
ambiente o in virtu' delle loro competenze locali o regionali,
abbiano la possibilita' di esprimere il loro parere sulle
informazioni fornite dal committente e sulla domanda di
autorizzazione»).
L'impugnato "declassamento" risulterebbe, altresi', incompatibile
con il riparto costituzionale delle competenze delineato dall'art.
117 Cost. Alla luce di quanto affermato dalla giurisprudenza
costituzionale, benche' la disciplina della VIA sia in larga parte
riconducibile alla competenza legislativa esclusiva dello Stato in
materia di tutela dell'ambiente, cio' non sarebbe incompatibile con
interventi specifici del legislatore regionale che attengano alle
proprie competenze, specie in materia di governo del territorio e di
tutela della salute. La competenza statale in questione, se pure di
natura "trasversale", rimarrebbe soggetta, comunque sia, ai limiti
della ragionevolezza e della proporzionalita', non valendo di per se'
ad escludere ogni margine di competenza delle Regioni, alle quali e'
consentito, ad esempio, incrementare gli standard di tutela
dell'ambiente prefigurati dalla legge statale.
La conclusione varrebbe a fortiori per la ricorrente, in forza
delle ulteriori competenze attribuite dallo statuto speciale. La
consapevolezza dell'esistenza di incomprimibili competenze delle
Regioni speciali emergerebbe, peraltro, anche dal parere della
commissione ambiente del Senato della Repubblica, nel quale si
raccomandava di adottare gli emendamenti al riguardo suggeriti dalla
Conferenza Stato-Regioni (parere espresso il 16 maggio 2017 dalla
XIII Commissione permanente del Senato della Repubblica), nonche' dal
parere della Commissione affari costituzionali, della Presidenza del
Consiglio dei ministri e Interni, nel quale si auspicavano modifiche
proprio per salvaguardare le condizioni delle autonomie speciali
(parere espresso il 10 maggio 2017 dalla I Commissione permanente
Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio dei ministri e
Interni della Camera dei deputati).
1.2.- Vengono altresi' censurati l'art. 16, comma 2, e l'art. 24
del d.lgs. n. 104 del 2017. L'art. 16 stabilisce che il
«provvedimento unico regionale» sostituisce ogni tipologia di
autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri, concerti, nulla
osta comunque denominati, necessari alla realizzazione e
all'esercizio del progetto sottoposto a VIA regionale. Tali atti
vengono acquisiti - ai sensi dell'art. 24 del d.lgs. n. 104 del 2017,
che sostituisce l'art. 14, comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241
(Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto
di accesso ai documenti amministrativi) - nell'ambito di una
conferenza di servizi, convocata in «modalita' sincrona» ai sensi
dell'art. 14-ter della legge n. 241 del 1990.
La nuova normativa statale disciplinerebbe «in ogni minuto
dettaglio» il procedimento per il rilascio della VIA regionale,
privando il legislatore regionale di ogni spazio di autonomia.
1.2.1.- La ricorrente lamenta la lesione dell'art. 76 Cost.,
poiche', secondo quanto gia' posto in evidenza, dal combinato
disposto dei principi e criteri direttivi desunti dagli artt. 1 e 14
della legge n. 114 del 2015 emergerebbe l'intenzione delle Camere di
conferire al Governo una delega «minimale», con «meri» obiettivi di
«semplificazione, armonizzazione e razionalizzazione» delle procedure
di VIA (art. 14, comma 1, lettera a), mentre il Governo avrebbe fatto
«tabula rasa» delle previgenti discipline regionali e avrebbe
uniformato tutte le procedure «in maniera pervasiva e vincolante».
1.2.2.- Gli articoli impugnati sarebbero illegittimi anche
rispetto all'art. 2, primo comma, lettere a), d), f), m), nonche'
agli artt. 3 e 4 dello statuto reg. Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste, in
combinato disposto con l'art. 117, primo e terzo comma, Cost., in
riferimento alla «clausola di maggior favore», di cui all'art. 10
della legge cost. n. 3 del 2001.
La titolarita' in capo alla Regione autonoma di una pluralita' di
potesta' legislative piene e integrative-attuative in materie
strettamente connesse alla VIA, nonche' delle corrispondenti funzioni
amministrative, impedirebbe allo Stato di dettare «in modo
unilaterale e vincolante» il procedimento per la VIA, in lesione del
principio di leale collaborazione; la pretesa del legislatore statale
di disciplinare dal centro e in modo uniforme la VIA regionale, senza
considerare le specificita' locali, apparirebbe, inoltre,
«manifestamente irragionevole» e contraria ai principi di buon
andamento (art. 97 Cost.), sussidiarieta' e differenziazione (art.
118 Cost.).
Anche a voler ritenere che lo Stato abbia avocato a se', tramite
«chiamata in sussidiarieta'», la disciplina del procedimento,
«l'integrale regolazione apprestata dal legislatore nazionale»
violerebbe i principi di ragionevolezza e proporzionalita' (e'
richiamata la sentenza n. 303 del 2003).
1.3.- La ricorrente impugna, altresi', l'art. 22, commi 1, 2, 3 e
4 del d.lgs. n. 104 del 2017 per violazione degli artt. 2, primo
comma, lettere a), d), f) e m), 3 e 4 dello statuto reg. Valle
d'Aosta/Vallee d'Aoste, nonche' degli artt. 3, 5, 76, 117, primo e
terzo comma, 118 e 120 Cost., anche in relazione all'art. 10 della
legge cost. n. 3 del 2001.
La ricorrente rileva come la norma impugnata abbia ampiamente
novellato gli Allegati alla Parte II del d.lgs. n. 152 del 2006, i
quali contengono gli elenchi dei procedimenti sottoposti a VIA
statale (Allegato II), a verifica di assoggettabilita' a VIA statale
(Allegato II-bis), a VIA regionale (Allegato III) e a verifica di
assoggettabilita' a VIA regionale (Allegato IV).
Rispetto al testo previgente, risultano drasticamente ridotti i
procedimenti di competenza regionale, con corrispondente incremento
di quelli di competenza statale.
Anche tale intervento esulerebbe dal circoscritto perimetro della
delega di armonizzazione e semplificazione conferita dalle Camere con
gli artt. 1 e 14 della legge n. 114 del 2015, salvo a voler
considerare quest'ultima costituzionalmente illegittima per la
previsione di insufficienti strumenti di leale collaborazione.
L'«impoverimento» degli elenchi regionali lederebbe, altresi', le
competenze legislative piene e integrative-attuative riconosciute
alla ricorrente dai citati artt. 2, primo comma, lettere a), d), f) e
m), e 3 dello statuto reg. Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste, nonche'
delle parallele competenze amministrative ad essa riconosciute dal
successivo art. 4. Risulterebbero violate, inoltre, le ulteriori
competenze di cui la Regione gode ai sensi dell'art. 117 Cost., in
virtu' della "clausola di maggior favore" di cui all'art. 10 della
legge cost. n. 3 del 2001, a cominciare da quelle in materia di
tutela della salute e governo del territorio.
La riscrittura degli Allegati suindicati sarebbe stata operata,
ancora - in violazione degli artt. 5 e 120 Cost. - al di fuori di
meccanismi di leale collaborazione: l'acquisizione del mero parere
della Conferenza Stato-Regioni, peraltro in larga parte disatteso,
costituirebbe, infatti, uno strumento del tutto insufficiente a
compensare il sacrificio delle attribuzioni regionali.
La nuova sistematica degli elenchi non risponderebbe, per altro
verso, ad alcun canone di razionalita', ma soltanto a «un'ispirazione
tutoria e centralistica fine a se' stessa». Nella distribuzione delle
competenze fra Stato e Regioni, infatti, sarebbero stati adottati
criteri del tutto scollegati dal dato territoriale - ad esempio, la
potenza termica o la dimensione dello specchio acqueo - privi di
valore sintomatico riguardo alla dimensione regionale o
sovraregionale dell'intervento, assegnando alla competenza statale
anche progetti che pacificamente interessano una sola Regione.
Risulterebbero in tal modo violati, oltre all'art. 3 Cost., anche
gli artt. 97 e 118 Cost., essendo stati completamente disattesi i
principi di buon andamento e sussidiarieta'.
1.4.- Sarebbe illegittimo anche l'art. 23, comma 4, del d.lgs. n.
104 del 2017, per asserita violazione degli artt. 2, primo comma,
lettere a), d), f) e m), 3 e 4 dello statuto reg. Valle
d'Aosta/Vallee d'Aoste, dell'art. 8 del d.P.R. 19 novembre 1987, n.
526 (Estensione alla regione Trentino Alto-Adige ed alle province
autonome di Trento e Bolzano delle disposizioni del decreto del
Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616), nonche' degli
artt. 3, 5, 76, 117, primo, terzo e quinto comma, 118 e 120 Cost.,
anche in relazione art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001.
La norma censurata stabilisce che «[l]e Regioni e le Province
autonome di Trento e di Bolzano adeguano i propri ordinamenti
esercitando le potesta' normative di cui all'articolo 7-bis, comma 8,
del d.lgs. n. 152 del 2006, come introdotto dall'articolo 5 del
presente decreto, entro il termine perentorio di centoventi giorni
dall'entrata in vigore dello stesso decreto. Decorso inutilmente il
suddetto termine, in assenza di disposizioni regionali o provinciali
vigenti idonee allo scopo, si applicano i poteri sostitutivi di cui
all'articolo 117, quinto comma, Cost., secondo quanto previsto dagli
articoli 41 e 43 della legge n. 234 del 2012».
La disposizione si porrebbe in contrasto con i parametri evocati,
stante l'assoluta genericita' e vaghezza del presupposto al quale e'
connessa l'attivazione del potere sostitutivo dello Stato: vale a
dire, il difetto di "idoneita' allo scopo" delle norme regionali e
provinciali adottate in forza del nuovo art. 7-bis, comma 8, del
d.lgs. n. 152 del 2006. In mancanza di qualsiasi criterio atto a
delimitare la discrezionalita' dello Stato, il potere sostitutivo
potrebbe essere esercitato sulla base di valutazioni squisitamente
politiche, che troverebbero un unico contrappeso - «tenue e anch'esso
tutto politico» - nella sottoposizione dell'atto sostitutivo alla
Conferenza Stato-Regioni, ai sensi dell'art. 41 della legge n. 234
del 2012: con la conseguenza che il legislatore statale sarebbe posto
«nella condizione di rimodulare a piacere i confini costituzionali
delle competenze».
Sfuggente e indefinito risulterebbe, peraltro, lo stesso «scopo»
cui le norme regionali devono tendere, individuato tramite il
richiamo alle potesta' normative previste dal citato art. 7-bis,
comma 8, del d.lgs. n. 152 del 2006, concernenti l'organizzazione e
le modalita' di esercizio delle funzioni amministrative attribuite
alle Regioni e alle Province autonome in materia di VIA, nonche'
l'eventuale conferimento di tali funzioni o di compiti specifici agli
altri enti territoriali sub-regionali.
Le funzioni cosi' delineate sarebbero, peraltro, tutte a
esercizio eventuale e facoltativo, sicche' rispetto a esse non
potrebbe configurarsi alcun potere sostitutivo dello Stato, il quale,
secondo la pacifica giurisprudenza costituzionale, e' esercitabile
solo in relazione ad atti e attivita' vincolati nell'an. Nella
specie, solo la competenza normativa relativa all'organizzazione e
alle modalita' di esercizio delle funzioni amministrative potrebbe
ritenersi ad esercizio obbligatorio: senonche', da un lato, non si
comprenderebbe quale sia rispetto a essa lo scopo, posto che la nuova
disciplina statale gia' determina in modo esaustivo ogni aspetto
delle funzioni in questione, soprattutto con il nuovo art. 27-bis del
d.lgs. n. 152 del 2006; dall'altro, risulterebbe ancora piu'
difficile valutare l'idoneita' allo scopo di norme regionali di cosi'
scarso rilievo, una volta che il successo della riforma dipende tutto
dall'efficacia della «pervasiva disciplina dello Stato».
Tali criticita' risulterebbero acuite dall'autonomia speciale di
cui gode la ricorrente, che dovrebbe garantirle un presidio ancora
maggiore rispetto a interventi unilaterali dello Stato: non a caso,
in sede di Conferenza Stato-Regioni erano stati proposti correttivi
finalizzati a garantire una maggiore compatibilita' tra potere
sostitutivo e competenze delle Regioni speciali (punto 53 del citato
parere).
2.- Si e' costituito, con atto depositato il 10 ottobre 2017, il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo il rigetto del
ricorso.
2.1.- Con riguardo alle questioni che investono l'art. 5 del
d.lgs. n. 104 del 2017 e, in via subordinata, gli artt. 1 e 14 della
legge n. 114 del 2015, il resistente eccepisce in via preliminare
l'inammissibilita' del ricorso, in ragione del fatto che non e' mai
stata promossa dalla Regione ricorrente questione di legittimita'
costituzionale della legge delega.
Al riguardo, l'Avvocatura generale dello Stato ricorda come,
secondo la giurisprudenza costituzionale, la legge di delegazione
legislativa possa essere autonomamente impugnata allorche' contenga
un principio di disciplina sostanziale della materia o una
regolamentazione parziale della stessa, ovvero stabilisca norme
attributive di competenze che incidano in modo diretto e immediato
sulle attribuzioni costituzionalmente garantite delle Regioni e delle
Province autonome.
Ne deriva che ogni qualvolta i contenuti della legge di delega,
per il loro grado di determinatezza e inequivocita', possano dar
luogo a effettive lesioni delle competenze regionali o provinciali,
tale legge deve essere impugnata tempestivamente nel termine di
sessanta giorni stabilito dall'art. 39 della legge 11 marzo 1953, n.
87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte
costituzionale). Qualora, infatti, si riconoscesse la possibilita' di
impugnare il decreto legislativo senza aver preventivamente impugnato
la legge delega che risulti immediatamente lesiva si consentirebbe,
da un lato, l'elusione del predetto termine stabilito a pena di
decadenza; dall'altro, la sopravvivenza, «ancorche' formale», di una
normativa (quella della legge delega) i cui effetti immediati e
diretti (stabiliti dal decreto legislativo) siano stati dichiarati
costituzionalmente illegittimi.
Di qui anche l'inammissibilita' della richiesta della Regione
ricorrente di autorimessione, da parte della Corte costituzionale,
della questione di legittimita' costituzionale degli artt. 1 e 14
della legge n. 114 del 2015, nella parte in cui prevedono il mero
parere e non l'intesa: richiesta che assumerebbe, per l'appunto,
carattere elusivo del termine per l'impugnazione della legge delega.
2.1.1.- Nel merito, le censure della ricorrente risulterebbero,
in ogni caso, infondate.
Quanto alla pretesa esorbitanza dell'intervento dai limiti
tracciati dalla legge di delegazione, risulterebbe evidente come, nel
caso in esame, l'oggetto, i principi e criteri direttivi della delega
debbano essere desunti non soltanto dalla legge n. 114 del 2015, ma
anche dalla direttiva 2014/52/UE che il Governo e' stato chiamato ad
attuare. Tale direttiva reca una disciplina puntuale delle fasi del
procedimento di VIA (art. 1, paragrafo 1, numero 1, lettera a), che
vincola rigorosamente gli Stati membri e, dunque, il Governo italiano
nella sua qualita' di legislatore delegato, riducendo fortemente i
margini di discrezionalita' di quest'ultimo e, pertanto, la
possibilita' di differenziare su base regionale tale procedimento.
Non vi sarebbe, quindi, alcuna ragione per intendere la delega al
riassetto in senso minimale e formale, dovendosi ritenere, al
contrario, che essa giustifichi anche interventi sostanziali quale
quello che il ricorso regionale contesta.
La norma censurata rende, infatti, omogenea su tutto il
territorio nazionale l'applicazione delle nuove regole per i
procedimenti di VIA e di assoggettabilita' a VIA proprio al fine di
recepire fedelmente la nuova direttiva, che impone di superare la
pregressa situazione di frammentazione e contraddittorieta' del
quadro regolamentare, dovuta alle diversificate discipline regionali,
e di assicurare l'efficace applicazione per tutti gli operatori delle
semplificazioni introdotte. La previgente disciplina attribuiva, in
effetti, alle Regioni e alle Province autonome la potesta' generale
di disciplinare il procedimento di VIA (art. 7, comma 7, lettera e),
del d.lgs. n. 152 del 2006, nel testo anteriore): potesta' che non
avrebbe piu' ragione di essere mantenuta, una volta che la direttiva
2014/52/UE prevede regole dettagliate insuscettibili di varianti
negli ordinamenti nazionali, pena il rischio di procedure di
infrazione. Peraltro, la disposizione impugnata, oltre a prevedere
che le Regioni e le Province autonome possano disciplinare
l'organizzazione e le modalita' di esercizio delle funzioni
amministrative loro attribuite in materia di VIA, in conformita' alla
normativa europea e nel rispetto di quanto previsto dalla nuova
disciplina, fa salvo il potere di tali enti di stabilire regole
particolari e ulteriori per la semplificazione dei procedimenti, per
la consultazione del pubblico e di tutti i soggetti pubblici
potenzialmente interessati, nonche' per il coordinamento dei
provvedimenti e delle autorizzazioni di competenza regionale e
locale.
In tale quadro, sarebbe stato razionalizzato anche il riparto
delle competenze amministrative tra Stato e Regioni, prevedendo che
siano sottoposti alla procedura di VIA e alla verifica di
assoggettabilita' a VIA in sede statale i progetti di cui agli
Allegati II e II-bis, Parte II, del d.lgs. n. 152 del 2006, e alla
procedura di VIA e alla verifica di assoggettabilita' a VIA in sede
regionale i progetti di cui agli Allegati III e IV.
2.1.2.- Con riguardo, poi, alla censura di illegittima
compressione delle potesta' legislative e delle competenze
amministrative regionali connesse alla VIA, il resistente rileva
come, anche alla luce della definizione offerta dall'art. 1,
paragrafo 1, numero 1), lettera a), della direttiva 2014/52/UE, la
VIA consista in un procedimento mediante il quale vengono
preventivamente individuati gli effetti significativi sull'ambiente
di determinate attivita' antropiche (progetti, opere, infrastrutture
e impianti produttivi). Al riguardo, l'art. 4, comma 4, lettera b),
del d.lgs. n. 152 del 2006 elenca dettagliatamente i fattori sui
quali possono ricadere gli impatti ambientali negativi,
individuandoli segnatamente nella popolazione e salute umana; nella
biodiversita', con particolare attenzione alle specie e agli habitat
protetti; nel territorio, suolo, acqua, aria e clima; nei beni
materiali, patrimonio culturale e paesaggio; nell'interazione tra
tali fattori.
Sarebbe, quindi, evidente come la disciplina della VIA si
collochi nell'ambito della materia, di competenza esclusiva statale,
«tutela dell'ambiente e dell'ecosistema», di cui all'art. 117,
secondo comma, lettera s), Cost. Si tratta di materia che, per
costante giurisprudenza della Corte costituzionale, si connota come
«trasversale» e «prevalente», in maniera tale che la normativa
statale ad essa relativa si impone integralmente nei confronti delle
Regioni: conclusione che si imporrebbe anche in rapporto alle Regioni
ad autonomia speciale.
I ripetuti riferimenti della Regione ricorrente alla
giurisprudenza costituzionale in tema di "intreccio" di materie
sarebbero, pertanto, non pertinenti. Nel caso della VIA non vi
sarebbe, infatti, alcun "intreccio" di materie. Come gia' ampiamente
riconosciuto dalla Corte costituzionale, l'esercizio della
valutazione ambientale puo' certamente incidere sull'esercizio di
funzioni regionali, ma cio' non escluderebbe che la relativa
regolamentazione vada ascritta in via esclusiva alla competenza
statale in materia ambientale, salva l'esigenza - quando tale
incidenza sia particolarmente significativa - che la legislazione
statale preveda passaggi collaborativi con la Regione interessata (e'
citata, in specie, la sentenza n. 232 del 2009). Cio' sarebbe
puntualmente avvenuto con il d.lgs. n. 104 del 2017, il cui art. 12,
novellando l'art. 23 del d.lgs. n. 152 del 2006, ha previsto il
necessario coinvolgimento, non soltanto della Regione, ma di tutte le
amministrazioni anche solo potenzialmente interessate.
Con riguardo alla VIA di competenza statale, d'altro canto,
l'art. 6 del d.lgs. n. 104 del 2017 prevede, nei procedimenti per i
quali sia riconosciuto un concorrente interesse regionale, che un
esperto designato dalle Regioni e dalle Province autonome interessate
partecipi all'attivita' istruttoria della Commissione tecnica di
verifica dell'impatto ambientale (VIA) e della valutazione ambientale
strategica (VAS).
Non conferente risulterebbe, quindi, il richiamo della Regione
ricorrente alla sentenza n. 251 del 2016, la quale ha ritenuto che la
decretazione legislativa statale debba essere in taluni casi
assistita da passaggi collaborativi "forti" con il sistema regionale:
ma cio' esclusivamente qualora la medesima si muova nell'ambito di un
"intreccio inestricabile" di competenze, e non gia' quando si sia di
fronte ad un fenomeno di semplice «incidenza» delle norme statali in
materia di competenza esclusiva su funzioni regionali; fenomeno che
caratterizza naturalmente le materie "trasversali", quali la tutela
dell'ambiente o la fissazione dei livelli essenziali delle
prestazioni (art. 117, secondo comma, lettera m, Cost.).
Le norme del d.lgs. n. 104 del 2017 volte a garantire
l'omogeneita' procedimentale delle valutazioni di impatto ambientale
su tutto il territorio nazionale risulterebbero, in effetti,
ascrivibili proprio a quest'ultima materia, avendo la giurisprudenza
costituzionale chiarito che norme procedimentali a carattere
semplificatorio possono costituire «livelli essenziali delle
prestazioni» ai sensi del citato art. 117, secondo comma, lettera m),
Cost., in grado di vincolare i legislatori regionali.
2.1.3.- Il Presidente del Consiglio dei ministri eccepisce, in
ogni caso, l'inammissibilita', per genericita' e carenza di
motivazione, della censura relativa alla presunta violazione delle
norme dello statuto reg. Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste, congiuntamente
a quella dell'art. 117, terzo comma, Cost.
Per un verso, infatti, la Regione non avrebbe indicato le ragioni
per le quali la disciplina della VIA dettata dallo Stato inciderebbe
sulle richiamate competenze statutarie; per altro verso, avrebbe
invocato simultaneamente la disciplina statutaria e quella
costituzionale, senza motivare circa l'applicabilita' dell'una o
dell'altra al caso di specie, alla stregua della clausola di
adeguamento automatico di cui all'art. 10 della legge cost. n. 3 del
2001. Ai fini dell'ammissibilita' della censura, la Regione avrebbe
dovuto, in particolare, individuare - fornendone adeguata motivazione
- per quali materie la Costituzione pone un regime competenziale di
maggior favore per la Regione speciale rispetto alla disciplina
statutaria, e per quali materie accade l'opposto, invocando, di
conseguenza, il parametro adeguato per ciascuna materia.
2.1.4.- Con riferimento, infine, al mancato recepimento da parte
del Governo delle proposte emendative avanzate dalle Regioni e dalle
Province autonome in sede di Conferenza Stato-Regioni, per il
resistente, l'istituto del mero parere, oltretutto neppure
obbligatorio, non impedisce al procedente di determinarsi in modo
differente dalle risultanze dell'attivita' consultiva.
Tutte le proposte delle Regioni sarebbero state, peraltro,
dettagliatamente analizzate nella relazione illustrativa dello schema
di decreto legislativo, con l'indicazione, per quelle non accolte,
delle ragioni del mancato accoglimento.
2.2.- Sulla presunta violazione dell'art. 76 Cost., da parte
dell'art. 16, comma 2 e dell'art. 24 del d.lgs. n. 104 del 2017,
l'infondatezza della censura sarebbe palese ove si consideri che la
delega era volta all'attuazione della direttiva 2014/52/UE. Essa
avrebbe richiesto agli Stati membri di individuare il grado e le
modalita' dell'integrazione del procedimento di VIA in altri
procedimenti a carattere autorizzatorio, prevedendo che in detto
provvedimento autorizzatorio fosse necessariamente contenuta la
decisione motivata di valutazione di impatto ambientale. Alla luce di
cio', sarebbe intervenuta la modifica del contestato art. 27-bis del
d.lgs. n. 152 del 2006; i principi e criteri direttivi della legge
delega, volti ad attuare la direttiva europea, avrebbero dovuto
integrarsi con le previsioni di questa, da cui si dovrebbe evincere
l'esistenza di «norme ben precise che orientavano il legislatore
delegato e ne vincolavano l'operato».
L'Avvocatura nota che l'integrazione procedimentale richiesta
dalla direttiva 2014/52/UE si sarebbe potuta raggiungere solo
attraverso un procedimento unico o comunque tramite l'integrazione
con gli altri procedimenti di settore.
Dall'art. 2, paragrafo 2, della richiamata direttiva, si
dedurrebbe che «gli Stati membri dispongono di varie possibilita' per
dare attuazione alla direttiva relativamente all'integrazione delle
valutazioni dell'impatto ambientale nelle procedure nazionali».
Considerando che gli elementi di tali procedure nazionali possono
variare, appare conseguente la previsione di cui all'art. 16, comma
2, del d.lgs. n. 104 del 2017, che ha introdotto una disciplina
specifica per le procedure di VIA incardinate nel procedimento
autorizzatorio unico regionale, confermando la scelta gia' operata
con il decreto legislativo 30 giugno 2016, n. 127 (Norme per il
riordino della disciplina in materia di conferenza di servizi in
attuazione dell'art. 2 della legge 7 agosto 2015, n. 124), di riforma
della legge n. 241 del 1990.
2.3.- L'impugnato art. 24, inoltre, razionalizzerebbe un istituto
gia' esistente e non innoverebbe la disciplina previgente, come
modificata dall'art. l, comma 4, del citato d.lgs. n. 127 del 2016.
Esso, infine, rappresenterebbe una disposizione di coordinamento con
il d.lgs. n. 152 del 2006, al fine di adeguare il procedimento unico
regionale alla norma europea.
2.4.- Egualmente infondate risulterebbero le questioni che
investono le modifiche degli allegati disposte dall'art. 22, commi 1
e 4, del d.lgs. n. 104 del 2017 e la correlata riduzione degli
elenchi dei procedimenti di competenza regionale.
2.4.1.- Quanto, infatti, al ventilato eccesso di delega, la
revisione del quadro allocativo delle competenze a livello statale o
regionale dovrebbe ritenersi, in realta', pienamente ricompresa
nell'ambito dei principi e criteri direttivi specifici di cui
all'art. 14, comma 1, lettere a) e b), della legge n. 114 del 2015,
che demandavano al Governo il compito di armonizzare e razionalizzare
le procedure di VIA, nonche' di rafforzarne la qualita', allineandole
ai principi della coerenza e delle sinergie con altre normative e
politiche europee e nazionali (quali quelle energetiche e
infrastrutturali).
Ma, soprattutto, la nuova ripartizione delle competenze in
materia di VIA risponderebbe pienamente al piu' generale principio e
criterio direttivo - richiamato dalla stessa ricorrente - di cui
all'art. 32, comma 1, lettera g), della legge n. 234 del 2012,
relativo all'ipotesi in cui si verifichino «sovrapposizioni di
competenze tra amministrazioni diverse»: principio e criterio
direttivo che, lungi dal "cristallizzare" il quadro previgente delle
competenze, avrebbe imposto al legislatore delegato di verificare il
puntuale rispetto, da parte del precedente assetto, dei principi di
sussidiarieta', differenziazione, adeguatezza e leale collaborazione,
alla luce dell'esperienza maturata, procedendo, nel caso di
riscontrata non conformita', ai necessari adeguamenti.
Con la modifica degli Allegati da II a IV, Parte II, del d.lgs.
n. 152 del 2006, il Governo avrebbe inteso, per l'appunto,
razionalizzare il riparto delle competenze amministrative tra Stato e
Regioni, attraendo al livello statale le procedure per i progetti
relativi alle infrastrutture e agli impianti energetici, tenuto conto
delle esigenze di uniformita', efficienza e del dirimente criterio
della dimensione sovraregionale degli impianti da valutare (che rende
ontologicamente inadeguato il livello di valutazione regionale),
fatte salve puntuali e limitate eccezioni. Cio', con la precisazione
che la valutazione di adeguatezza, o non, del livello regionale non
potrebbe che essere effettuata ex ante e per «classi di casi», senza
che rilevi l'eventualita' che, in concreto, un singolo progetto resti
privo di impatti extraregionali.
Se pure e' vero, d'altro canto, che il criterio dimensionale
degli impianti da valutare non trova un ancoraggio nella direttiva
europea da attuare, esso troverebbe, pero', fondamento nell'art. 118,
primo comma, Cost., ai fini della corretta allocazione delle funzioni
amministrative ai diversi livelli territoriali di governo. Al
riguardo, occorrerebbe considerare che, prima dell'entrata in vigore
del d.lgs. n. 104 del 2017, la ripartizione delle competenze relative
alle varie categorie progettuali di VIA risaliva al decreto del
Presidente della Repubblica 12 aprile 1996 (Atto di indirizzo e
coordinamento per l'attuazione dell'art. 40, comma 1, della legge 22
febbraio 1994, n. 146, concernente disposizioni in materia di
valutazione di impatto ambientale): dunque, ad epoca anteriore alla
riforma del Titolo V, Parte II della Costituzione, che ha riscritto
in modo profondamente innovativo il citato art. 118 Cost., ponendo a
fondamento dell'allocazione di funzioni amministrative i principi di
sussidiarieta', adeguatezza e differenziazione. Di conseguenza, la
precedente ripartizione delle funzioni non soltanto era molto
risalente nel tempo, ma rispondeva a un quadro costituzionale
sensibilmente diverso dall'attuale: sicche' il legislatore delegato,
anche alla luce dell'esperienza maturata medio tempore, ben poteva -
e anzi doveva - rivisitare profondamente tale ripartizione alla luce
dei principi dianzi richiamati.
2.4.2.- Quanto, poi, all'asserita violazione delle competenze
legislative e amministrative regionali, non potrebbe che ribadirsi
come non ricorra, in materia di VIA, un "intreccio" di competenze,
ma, trattandosi di materia di competenza esclusiva dello Stato, si
debba parlare di mera incidenza sull'esercizio di funzioni regionali.
2.4.3.- Tale considerazione varrebbe anche ad escludere la
violazione del principio di leale collaborazione, ventilata dalla
Regione ricorrente sull'assunto dell'insufficienza del mero parere
della Conferenza Stato-Regioni, previsto dalla legge delega, a
compensare il sacrificio delle attribuzioni regionali.
2.4.4.- Per quel che concerne, poi, la dedotta violazione degli
artt. 3, 97 e 118 Cost., il criterio dimensionale, per la
determinazione della competenza in materia di VIA, sarebbe stato
adottato dal legislatore nazionale quale discrimine per individuare i
progetti che "potenzialmente" assumano una rilevanza sovraregionale.
Sebbene, infatti, la procedura di VIA implichi una valutazione
"sito specifica", e nonostante la locazione delle opere possa
ricadere in un ambito territoriale ristretto (anche meramente
comunale), i potenziali impatti ambientali travalicano l'ambito
territoriale direttamente interessato, richiedendo valutazioni di
area vasta (sovraregionale) per la natura stessa dei complessi
fenomeni di inquinamento o, comunque, di impatto quali-quantitativo
sulle risorse ambientali coinvolte.
2.5.- Con riferimento, infine, alle questioni che investono
l'art. 23, comma 4, del d.lgs. n. 104 del 2017, il Presidente del
Consiglio dei ministri rileva come l'art. 7-bis, comma 8, del d.lgs.
n. 152 del 2006, introdotto dall'art. 5 del d.lgs. n. 104 del 2017,
attribuisca alle Regioni e alle Province autonome il compito di
dettare, in via legislativa o regolamentare, misure a carattere
strettamente organizzativo in ordine ai procedimenti di VIA di
propria competenza. Si tratterebbe di adempimento a carattere
sicuramente obbligatorio («disciplinano»), giustificato dall'esigenza
di evitare che la carenza di adeguate soluzioni organizzative
pregiudichi, a livello regionale, lo svolgimento dei procedimenti di
VIA nel rispetto delle innovative regole stabilite dal legislatore
delegato e - quel che piu' conta - comprometta la piena attuazione
della direttiva europea nella quale siffatte regole si radicano.
Gli ulteriori contenuti, a carattere facoltativo, delle normative
regionali e provinciali, previsti dal citato art. 7-bis, comma 8, non
ne esaurirebbero il perimetro, e neppure ne rappresenterebbero la
parte principale. In questa prospettiva "l'idoneita' allo scopo",
della quale la ricorrente denuncia la vaghezza, si colorerebbe di ben
precisi significati, consistenti segnatamente nella sussistenza delle
condizioni organizzative indispensabili per garantire l'integrale
attuazione della direttiva europea.
Il censurato potere sostitutivo statale troverebbe, pertanto,
sicuro fondamento nell'art. 117, quinto comma, Cost., in forza del
quale le Regioni e le Province autonome, nelle materie di loro
competenza, provvedono all'attuazione e all'esecuzione degli accordi
internazionali e degli atti dell'Unione europea, «nel rispetto delle
norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le
modalita' di esercizio del potere sostitutivo in caso di
inadempienza». Tale disposizione sarebbe direttamente applicabile
anche alle autonomie speciali, senza la mediazione della clausola di
cui all'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001.
La rigorosa delimitazione dei presupposti di esercizio del potere
sostitutivo sarebbe confermata dalla previsione della norma censurata
in base alla quale, per l'attivazione della sostituzione statale, non
e' sufficiente il mancato rispetto del termine di centoventi giorni,
ma e' necessario accertare, altresi', l'assenza all'interno degli
ordinamenti regionali di disposizioni idonee, comunque sia, a
raggiungere gli scopi sopra indicati.
3.- La Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste ha
depositato una memoria, insistendo per l'accoglimento del ricorso.
3.1.- In replica alle difese svolte dal Presidente del Consiglio
dei ministri, la ricorrente reitera l'argomentazione secondo la quale
la drastica ridistribuzione di competenze in materia di VIA operata
dal d.lgs. n. 104 del 2017 avrebbe inciso su numerosi ambiti di
competenza della Regione, sia in forza del suo statuto di autonomia,
sia in forza dell'art. 117, terzo e quarto comma, Cost., in relazione
all'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001.
3.2.- Insiste la ricorrente che l'inestricabile intreccio delle
competenze determinato dalla disciplina impugnata, legittimerebbe la
Regione a dedurne l'incostituzionalita' per eccesso di delega, dal
momento che il riassetto delle competenze operato dal Governo non
troverebbe alcuna base di legittimazione ne' nei criteri direttivi
enunciati dalla legge di delegazione, ne' - contrariamente a quanto
asserito dall'Avvocatura generale dello Stato - nella direttiva
europea che il Governo era chiamato ad attuare.
3.3.- L'illegittimita' costituzionale della disciplina impugnata
discenderebbe, peraltro, anche dalla violazione del principio di
leale collaborazione, posto che il riassetto di competenze e' stato
operato all'infuori di qualsiasi meccanismo partecipativo "forte"
delle Regioni.
3.4.- Egualmente infondato sarebbe l'ulteriore assunto
dell'Avvocatura, secondo il quale la disciplina in materia di VIA
afferirebbe in via prevalente alla materia «tutela dell'ambiente», di
competenza esclusiva statale: circostanza che legittimerebbe la
mancata previsione di strumenti concertativi ed escluderebbe la
configurazione della "chiamata in sussidiarieta'".
Per un verso, infatti, la Corte costituzionale ha riconosciuto
l'obbligo del legislatore statale di assicurare il rispetto del
principio di leale collaborazione in senso "forte" anche nel caso in
cui la disciplina, pur ascrivendosi prevalentemente a una materia di
competenza legislativa esclusiva statale, coinvolga una pluralita' di
interessi e competenze regionali (sono citate le sentenze n. 230 del
2013 e n. 33 del 2011).
Per altro verso, poi, la dedotta incostituzionalita' risulterebbe
avvalorata in ragione dell'autonomia della Regione ricorrente.
Secondo la giurisprudenza costituzionale, infatti, la normativa
riconducibile alla materia trasversale di cui all'art. 117, secondo
comma, lettera s), Cost. e' applicabile solo laddove non entrino in
gioco le competenze riconosciute dalla normativa statutaria agli enti
ad autonomia differenziata. La Corte costituzionale ha affermato, in
particolare, che, a seguito della riforma del Titolo V, Parte II
della Costituzione, il legislatore statale conserva il potere di
vincolare la potesta' legislativa primaria della Regione a statuto
speciale attraverso l'emanazione di leggi qualificabili come «riforme
economico-sociali»: e cio' anche sulla base del titolo di competenza
legislativa nella materia «tutela dell'ambiente». Di conseguenza, non
e' invocabile il solo limite dell'ambiente, in se' e per se'
considerato, il quale va congiunto con il limite statutario delle
riforme economico-sociali, sia pure riferite alle tematiche
ambientali (sono citate le sentenze n. 212 del 2017, n. 51 del 2006 e
n. 536 del 2002). Limite non invocato e, comunque sia, non
sussistente nel caso in esame.
Il d.lgs. n. 152 del 2006 reca, d'altra parte, tuttora, all'art.
35, comma 2-bis - a chiusura della Parte II, dedicata alle procedure
per la VAS, la VIA e l'autorizzazione integrata ambientale (AIA) -
una specifica clausola di salvaguardia, secondo la quale «[l]e
Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e di
Bolzano provvedono alle finalita' del presente decreto ai sensi dei
relativi statuti». Senonche', le disposizioni contestate si rivolgono
senza alcuna clausola di salvaguardia - pur richiesta in sede di
parere - e senza adeguato coordinamento anche alle regioni ad
autonomia speciale e alle province autonome, con conseguente
violazione di tutti i parametri statutari evocati.
4.- Con ricorso notificato il 30 agosto 2017 e depositato il 5
settembre 2017, la Regione Lombardia (reg. ric. n. 64 del 2017) ha
promosso questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 3,
comma 1, lettera g), 5, 16, comma 2, 21, 22, commi da 1 a 4, 26,
comma 1, lettera a), e 27 del d.lgs. n. 104 del 2017.
4.1.- L'impugnato art. 3, comma 1, lettera g), sostituisce l'art.
6, comma 10, del d.lgs. n. 152 del 2006. La norma dispone che «[p]er
i progetti o parti di progetti aventi quale unico obiettivo la difesa
nazionale e per i progetti aventi quali unico obiettivo la risposta
alle emergenze che riguardano la protezione civile, il Ministro
dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto
con il Ministro dei beni e delle attivita' culturali e del turismo,
dopo una valutazione caso per caso, puo' disporre, con decreto,
l'esclusione di tali progetti dal campo di applicazione delle norme
di cui al Titolo III, Parte II del presente decreto, qualora ritenga
che tale applicazione possa pregiudicare i suddetti obiettivi».
4.1.1.- Secondo la ricorrente, la norma, in precedenza diretta a
regolare i progetti di difesa nazionale, estende ora la possibilita'
di deroga, con una valutazione caso per caso, ai progetti aventi come
unico obiettivo la risposta ad emergenze che riguardino la protezione
civile. Verrebbe incisa cosi' la materia «protezione civile», di
competenza concorrente, di cui all'art. 117, terzo comma, Cost., dato
che il decreto ministeriale che porterebbe all'esclusione di alcuni
progetti dal campo di applicazione delle norme sulla VIA non
prevedrebbe alcun coinvolgimento della Regione interessata, in
violazione degli artt. 5 e 120 Cost., sotto il profilo della leale
collaborazione.
4.1.2.- Nella specie sussisterebbe un concorso di competenze
statali e regionali (ambiente, salute e protezione civile), senza che
le Regioni siano coinvolte nel processo decisionale. Si prefigura
altresi' un dubbio sulla ragionevolezza della compressione della
leale collaborazione, in violazione dell'art. 3 Cost., «per mancanza
di proporzionalita' e di rispondenza logica rispetto alle finalita'
dichiarate». La norma determinerebbe una disamina "caso per caso",
senza alcun riferimento all'ente territorialmente prossimo e quindi
maggiormente idoneo alla valutazione; si genererebbero, inoltre,
«inefficienze e disfunzioni sull'ordine delle competenze».
4.2.- Quanto alla seconda delle disposizioni censurate, la
ricorrente rileva come l'art. 5 del d.lgs. n. 104 del 2017,
introducendo l'art. 7-bis del d.lgs. n. 152 del 2006, riscriva
sostanzialmente le competenze regionali in materia di VIA,
circoscrivendole a profili organizzativi e a modalita' di esercizio
delle funzioni amministrative conferite.
4.2.1.- In questo modo, la norma impugnata violerebbe la potesta'
legislativa concorrente della Regione in materia di «tutela della
salute», prevista dall'art. 117, terzo comma, Cost.
Le norme in materia di VIA, di derivazione comunitaria, se pure
certamente riferibili alla materia della tutela dell'ambiente,
sarebbero tuttavia ascrivibili anche ad alcune materie di competenza
concorrente regionale, e segnatamente, per l'appunto, a quella della
tutela della salute. Lo stretto collegamento fra la disciplina
ambientale, in particolare quella dei rifiuti, e la tutela della
salute e' considerato, del resto, pacifico dalla giurisprudenza
costituzionale (e' citata, in specie, la sentenza n. 75 del 2017).
L'attinenza della disciplina della VIA a tale ambito di materia
e' reso, d'altronde, palese dalle premesse della direttiva
2014/52/UE, che, al considerando n. 41, afferma espressamente che
l'obiettivo da essa perseguito e' quello di garantire un elevato
livello di protezione dell'ambiente e della salute umana, grazie alla
definizione dei requisiti minimi per la valutazione dell'impatto
ambientale dei progetti. Lo stesso art. 4, comma 4, lettera b), del
d.lgs. n. 152 del 2006 conferma che la VIA mira a proteggere la
salute umana.
Per altro verso, la Corte costituzionale ha posto in evidenza
come l'attribuzione allo Stato della competenza legislativa esclusiva
in materia di tutela dell'ambiente non escluda interventi del
legislatore regionale diretti a soddisfare, nell'ambito delle proprie
competenze, ulteriori esigenze rispetto a quelle di carattere
unitario definite dallo Stato (viene citata la sentenza n. 407 del
2002). Inoltre, pur riconoscendo specificamente che le norme in
materia di VIA rientrano nel perimetro dell'art. 117, secondo comma,
lettera s), Cost., la Corte ha anche riscontrato la presenza di
ambiti materiali di spettanza regionale, soprattutto nel campo della
tutela della salute (sono citate le sentenze n. 234 del 2009 e n. 398
del 2006).
4.2.2.- Nel caso di specie, la violazione della potesta'
legislativa regionale sarebbe resa ancora piu' evidente dal nuovo
testo dell'art. 7 del d.lgs. n. 152 del 2006, come modificato
dall'art. 4 del d.lgs. n. 104 del 2017, nel quale si conferma la
competenza legislativa e amministrativa delle Regioni e delle
Province autonome in materia di VAS e di AIA.
La diversa disciplina a fronte di materie che presentano un
analogo riparto della potesta' legislativa tra Stato e Regioni (VIA e
VAS) non potrebbe essere giustificata sulla base del generico
richiamo, contenuto nella legge delega, ai principi di
«semplificazione, armonizzazione e razionalizzazione» delle procedure
di VIA, «anche in relazione al coordinamento e all'integrazione con
altre procedure volte al rilascio di pareri e autorizzazioni di
carattere ambientale».
In nessun caso, d'altra parte, l'attuazione di tali condivisibili
principi potrebbe legittimare un intervento, quale quello operato dal
decreto legislativo censurato, inteso a ridisegnare ex novo l'assetto
dei rapporti tra Stato e Regioni. Al contrario, la semplificazione,
l'armonizzazione e la razionalizzazione non potrebbe «che fondarsi
sul riparto di competenze». Di qui, dunque, la violazione anche
dell'art. 76 Cost.
4.2.3.- La diversa disciplina prevista per la VAS e la VIA
comporterebbe, altresi', la violazione dell'art. 3 Cost., «per
mancanza di proporzionalita' in ragione delle identiche finalita'
dichiarate», di «proteggere la salute umana, contribuire con un
migliore ambiente alla qualita' della vita, provvedere al
mantenimento della specie e conservare la capacita' di riproduzione
degli ecosistemi» (art. 4 del d.lgs. n. 152 del 2006, come modificato
dall'art. 1 del d.lgs. n. 104 del 2017).
L'art. 3 Cost. risulterebbe violato anche sotto il profilo della
irragionevole compromissione della potesta' normativa regionale
conseguente, in particolare, alla previsione di cui all'art. 7-bis,
commi 7 e 8, del d.lgs. n. 152 del 2006. La giurisprudenza
costituzionale ha, infatti, riconosciuto che le Regioni possono
stabilire, in materia ambientale, livelli di tutela piu' elevati
rispetto alla disciplina statale: intervento che rimarrebbe,
tuttavia, precluso dalla limitazione della potesta' legislativa
regionale ai soli profili organizzativi.
4.3.- L'impugnato art. 16, comma 2, del d.lgs. n. 104 del 2017,
che disciplina il provvedimento autorizzatorio unico regionale,
obbligatorio in caso di VIA regionale, prevedrebbe una «dettagliata
regolazione» del provvedimento stesso, quale modalita' «esclusiva e
obbligatoria di procedimento».
4.3.1.- Per la ricorrente la disposizione sarebbe illogica dal
momento che l'art. 16, comma 1, dispone per i progetti soggetti a VIA
statale che il provvedimento non sia unico, salvo richiesta del
proponente, mentre «in caso di VIA regionale vige la obbligatorieta'
del procedimento unico», gravando l'interessato di preventivi oneri
istruttori.
Il provvedimento unico statale, inoltre, considererebbe solo
alcuni atti abilitativi, indicati dal citato art. 16, comma 2,
lettere da a) ad h); la finalita' di integrare le valutazioni di
impatto ambientale, inoltre, sarebbe rimessa agli Stati membri,
secondo quanto previsto dal considerando n. 21 della direttiva (UE)
n. 2014/52, nonche' dall'art. 2, comma 2, della direttiva 2011/92/UE.
4.3.2.- La ricorrente lamenta altresi' che la norma censurata
riunirebbe nell'autorizzazione unica procedimenti relativi a materie
diverse rispetto a quella ambientale, in contrasto con i principi
costituzionali sulla delega legislativa, di cui all'art. 76 Cost.
4.3.3.- Ad avviso della ricorrente, con l'introduzione della
norma impugnata l'autorita' competente in materia di VIA «diviene
sportello unico» quale «luogo, fisico o virtuale» cui rivolgersi per
ottenere quanto necessario all'autorizzazione dei progetti. La
disposizione si porrebbe in contrasto con il d.lgs. n. 127 del 2016,
che poneva in capo all'autorita' competente l'onere procedimentale
dell'apertura della fase istruttoria. La previsione impugnata sarebbe
difforme anche rispetto alla legge delega n. 114 del 2015, la quale
richiedeva un riordino attraverso l'integrazione dei soli
procedimenti in materia ambientale (sono richiamate le sentenze n.
293 del 2010 e n. 199 del 2003). Siffatta norma, infine, inciderebbe
su procedimenti non attinenti all'ambiente (governo del territorio,
tutela della salute, ovvero la protezione civile nel caso
dell'autorizzazione antisismica).
4.3.4.- Fa presente la ricorrente che, secondo questa Corte,
soluzioni innovative del sistema legislativo previgente sarebbero
ammissibili solo in presenza di principi e criteri direttivi «idonei
a circoscrivere la discrezionalita' del legislatore delegato»
(sentenza n. 293 del 2010).
4.3.5.- Esulerebbe, inoltre, dalla delega, «il riassetto generale
dei rapporti tra Stato e Regioni in materie non di competenza
esclusiva statale ai sensi dell'art. 117, secondo comma, Cost.», in
quanto la disciplina per operare tale riassetto dovrebbe coinvolgere
le Regioni, sia nel rapporto tra principi fondamentali e legislazione
di dettaglio, nelle materie di competenza concorrente, sia, a
fortiori, nell'esercizio del potere di avocazione da parte dello
Stato di funzioni amministrative e legislative sulla base dell'art.
118, primo comma, Cost., nelle materie di competenza regionale
residuale (richiamata la sentenza n. 80 del 2012).
La Regione ricorrente ritiene che l'autorizzazione unica, «solo»
regionale, non determini una piu' penetrante difesa dell'ambiente, in
quanto la finalita' della norma non sarebbe quella di fissare
standard uniformi sul territorio nazionale; il provvedimento unico
regionale delineato dall'impugnato art. 16, comma 2, (in difformita'
alla delega legislativa), imporrebbe altresi' termini perentori
all'autorita' competente in materia di VIA regionale e determinerebbe
in capo alla stessa delle responsabilita' «significative» al di fuori
delle normative e dei procedimenti in materia ambientale», senza
l'attribuzione di adeguati strumenti operativi, violando «il canone
costituzionale del buon andamento» (sono richiamate le sentenze n. 40
e n. 135 del 1998).
4.3.6.- Il procedimento delineato, infine, non prevedrebbe forme
di coordinamento con altri procedimenti, generando un'incertezza
applicativa con possibile pregiudizio della garanzia di buon
andamento dell'amministrazione pubblica, di cui all'art. 97 Cost.; la
ricorrente dubita della ragionevolezza di tale scelta in violazione
dell'art. 3 Cost., e del principio di leale collaborazione, per
mancanza di proporzionalita' e di rispondenza logica rispetto alle
finalita' dichiarate.
4.4.- La Regione Lombardia impugna, inoltre, l'art. 21 del d.lgs.
n. 104 del 2017, che, sostituendo l'art. 33 del d.lgs. n. 152 del
2006, stabilisce che «[l]e tariffe da applicare ai proponenti,
determinate sulla base del costo effettivo del servizio, per la
copertura dei costi sopportati dall'autorita' competente per
l'organizzazione e lo svolgimento delle attivita' istruttorie, di
monitoraggio e controllo delle procedure di verifica di
assoggettabilita' a VIA, di VIA e di VAS sono definite con decreto
del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare,
di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze».
La ricorrente lamenta il mancato coinvolgimento delle Regioni
nella determinazione delle tariffe, essendo questa basata su un
elemento - il «costo effettivo del servizio» - la cui quantificazione
non puo' prescindere da un confronto con tutte le autorita'
competenti in materia di VIA (e dunque anche le Regioni). L'assenza
di tale confronto comporterebbe una lesione della potesta'
organizzativa delle Regioni, considerato anche il fatto che
l'introduzione, con l'art. 16 del d.lgs. n. 104 del 2017,
dell'autorizzazione unica regionale implica che il provvedimento
finale sia connesso a competenze che esulano dalla tutela
dell'ambiente e ricadono nelle materie di competenza regionale.
L'irragionevolezza della scelta legislativa risulterebbe esaltata
dalla previsione dell'art. 33, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006
(non modificato), secondo la quale «[p]er le finalita' di cui al
comma 1, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano
possono definire proprie modalita' di quantificazione e
corresponsione degli oneri da porre in capo ai proponenti». In
sostanza, dunque, il legislatore, da un lato, avrebbe riconosciuto
alle Regioni la potesta' di attuare una propria definizione
tariffaria; dall'altro, avrebbe obliterato del tutto l'esigenza di
consultarle.
La disposizione censurata risulterebbe, quindi, incompatibile con
il principio di leale collaborazione, in violazione degli artt. 5 e
120 Cost., e comprimerebbe il potere della Regione di individuare le
migliori condizioni di esercizio delle funzioni di propria
competenza, secondo i principi di sussidiarieta', differenziazione e
adeguatezza (riaffermati anche dall'art. 3-quinquies del d.lgs. n.
152 del 2006), in violazione degli artt. 117, terzo e quarto comma, e
118 Cost.
4.5.- La ricorrente rileva, ancora, che gli artt. 22, commi da 1
a 4, e l'art. 26, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 104 del 2017,
modificano gli Allegati alla Parte II del d.lgs. n. 152 del 2006,
sottraendo alle Regioni un considerevole numero di tipologie
progettuali soggette a VIA o a verifica di assoggettabilita' a VIA,
riguardanti materie di potesta' legislativa anche regionale, per
attribuirle alla competenza amministrativa dello Stato. L'art. 26,
comma 1, lettera a), dispone poi le conseguenti abrogazioni.
La giurisprudenza costituzionale ha chiarito che, in materia
ambientale, il legislatore statale puo' emanare anche norme di
dettaglio, purche' finalizzate alla tutela dell'ambiente: condizione
non riscontrabile nella specie. Le disposizioni censurate non
ampliano, infatti, i casi di sottoposizione a valutazione o verifica
ambientale e, dunque, non pongono ulteriori garanzie a difesa
dell'ambiente, ma si limitano a disporre uno spostamento verso il
centro delle competenze, senza che cio' sia richiesto dalla direttiva
europea e dalla legge delega, la quale si limita a richiamare
l'esigenza di regolare aspetti procedurali in materia di VIA, con
conseguente violazione degli artt. 117, terzo comma, e 76 Cost.
Le norme censurate violerebbero, altresi', l'art. 118 Cost.,
ridimensionando le competenze amministrative regionali e quelle a suo
tempo conferite, per categorie di progetti, dalla stessa Regione agli
enti locali: e cio' a prescindere da valutazioni in ordine
all'adeguatezza, o non, del livello costituzionale coinvolto, con
ulteriore violazione del principio di leale collaborazione (artt. 5 e
120 Cost.), per mancata previa intesa tra lo Stato e le Regioni
interessate.
Ne', d'altra parte, potrebbe ravvisarsi la necessita' di un
esercizio unitario delle funzioni, poiche' i progetti indicati dalla
norma sono attribuiti allo Stato a prescindere dal fatto che essi
ricadano nel territorio di piu' Regioni.
4.6.- La Regione Lombardia impugna, da ultimo, l'art. 27 del
d.lgs. n. 104 del 2017, il quale reca una clausola di invarianza
finanziaria, stabilendo, al comma 1, che «[d]all'attuazione del
presente decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico
della finanza pubblica», e, al comma 2, che «[f]ermo il disposto di
cui all'articolo 21, le attivita' di cui al presente decreto sono
svolte con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a
legislazione vigente».
In sostanza, quindi, si sarebbero imposti alle Regioni nuovi
adempimenti, con conseguenti nuovi oneri, intervenendo anche su
materie di competenza concorrente, senza alcuna previsione
finanziaria e imponendo, anzi, il «blocco delle risorse».
Ad avviso della ricorrente, la disposizione violerebbe gli artt.
76, 117, terzo comma, e 118 Cost.
Essa si porrebbe in contrasto con la legge di delega n. 114 del
2015, che all'art. 1, comma 4, prevede la possibilita' di riconoscere
risorse in relazione a spese non contemplate dalle leggi vigenti e
che non riguardino l'attivita' ordinaria delle amministrazioni, nei
limiti occorrenti per l'adeguamento alla direttiva.
L'irrazionalita' della scelta operata dal legislatore delegato e
la sua incoerenza rispetto agli scopi perseguiti dalla legge n. 114
del 2015 risulterebbero, d'altra parte, palesi, specie alla luce
dell'introduzione, con il menzionato art. 16, comma 2, del d.lgs. n.
104 del 2017 (pure impugnato dalla ricorrente), del provvedimento
autorizzatorio unico, che implicherebbe una modifica dello
svolgimento delle funzioni regionali. La norma censurata non avrebbe,
peraltro, alcuna attinenza con la tutela dell'ambiente, rimanendo,
dunque, estranea al perimetro della legislazione statale esclusiva.
4.7.- In rapporto a tutte le disposizioni censurate, la Regione
sottolinea di essere legittimata a denunciare la violazione anche dei
parametri di cui agli artt. 3 e 76 Cost., non attinenti al riparto
delle competenze tra Stato e Regioni, in quanto tale violazione
implica, per le ragioni esposte, la compromissione delle attribuzioni
regionali, ridondando quindi sul riparto delle competenze.
5.- Si e' costituito, con atto depositato il 6 ottobre 2017, il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo il rigetto del
ricorso.
5.1.- La difesa statale eccepisce l'infondatezza della censura
relativa all'art. 3, comma 1, lettera g), del d.lgs. n. 104 del 2017.
La scelta del legislatore troverebbe fondamento nel corretto
recepimento della «Direttiva VIA» che pone in evidenza come, in
alcuni casi riguardanti la protezione civile, l'osservanza della
direttiva 2011/92/UE potrebbe avere effetti negativi sull'ambiente,
«ed e' dunque opportuno, ove del caso, autorizzare gli Stati membri a
non applicare la direttiva». L'art. 1, paragrafo 3, della direttiva
rimette inoltre agli Stati membri di decidere con una valutazione
"caso per caso" e, ove disposto dalla normativa nazionale, di non
applicare la direttiva a progetti o parti di essi aventi quale unico
obiettivo la difesa o la protezione civile, qualora l'applicazione
possa pregiudicare tali obiettivi.
I commi 10 e 11 del nuovo art. 6 del d.lgs. n. 152 del 2006,
sostituiti dall'art. 3 del d.lgs. n. 104 del 2017, allineerebbero la
disciplina nazionale alla direttiva, distinguendo i progetti relativi
a difesa e protezione civile (comma 10) dalle altre condizioni di
esenzione (comma 11).
La disciplina si rivelerebbe garantista, grazie alla riserva del
potere di esenzione dalla VIA in capo al Ministro dell'ambiente e
della tutela del territorio e del mare, che ne assumerebbe la
responsabilita' politicoamministrativa sul territorio nazionale e nei
confronti dell'Unione europea. Non si ravviserebbero ragioni per
ridurre lo standard di tutela ambientale, consentendo che le
esclusioni citate possano essere disposte dalla singola Regione.
5.2.- Con riferimento alla violazione delle norme costituzionali
in tema di riparto delle competenze legislative, la disciplina della
VIA sarebbe considerata dalla giurisprudenza costituzionale
espressione della competenza esclusiva statale in materia di «tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema» di cui all'art. 117, secondo comma,
lettera s), Cost.: l'esclusivita' della competenza statale, pur in
presenza di un'incidenza sull'esercizio di competenze afferenti ad
«ambiti materiali di spettanza regionale», determinerebbe la
«prevalenza» della normativa statale (sentenza n. 234 del 2009).
5.3.- Neppure si ritiene leso il principio di leale
collaborazione, poiche' l'impugnato art. 3, comma 1, lettera g),
riferendosi «ai progetti aventi quale unico obiettivo la risposta
alle emergenze che riguardano la protezione civile (oltre a quelli
riferibili alla difesa nazionale)», rientrerebbe nel campo di
applicazione della legge 24 febbraio 1992, n. 225 (Istituzione del
Servizio nazionale della protezione civile), che all'art. 5
disciplinerebbe gli interventi da operarsi «durante la (e a seguito
della) "dichiarazione dello stato di emergenza"»; il decreto
ministeriale, adottato per escludere taluni progetti dal campo di
applicazione delle norme in materia di VIA, sarebbe successivo
rispetto alla valutazione - operata dal Dipartimento della protezione
civile «d'intesa con la Regione interessata» - degli interventi sulla
protezione civile.
A norma dell'art. 5, comma 2, della citata legge n. 225 del 1992,
per l'attuazione degli interventi di protezione civile da effettuarsi
durante lo stato di emergenza, secondo l'Avvocatura, «si provvede con
apposita ordinanza di protezione civile da emanarsi una volta
"acquisita l'intesa delle regioni territorialmente interessate"».
5.3.1.- La partecipazione regionale sarebbe assicurata, infine,
per i progetti di protezione civile, successivi allo stato di
emergenza.
5.4.- L'Avvocatura contesta la fondatezza delle questioni aventi
ad oggetto l'art. 5 del d.lgs. n. 104 del 2017 sulla scorta di
considerazioni analoghe a quelle svolte in relazione al ricorso della
Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste (reg. ric. n. 63 del
2017).
5.5.- L'Avvocatura dello Stato eccepisce altresi' l'infondatezza
della censura dell'impugnato art. 16, comma 2 del d.lgs. 104 del
2017, poiche' il coordinamento del procedimento di VIA con altri
procedimenti sarebbe «implicitamente, ma chiaramente», necessario
dallo stesso oggetto della delega. Quest'ultimo consisterebbe
nell'attuazione della direttiva 2014/52/UE, la quale, all'art. 2,
prevede che «la valutazione dell'impatto ambientale puo' essere
integrata nelle procedure esistenti di autorizzazione dei progetti
negli Stati membri ovvero, in mancanza di queste, in altre procedure
o nelle procedure da stabilire per rispettare gli obiettivi della
presente direttiva».
5.5.1.- Per il Presidente del Consiglio dei ministri sarebbe
stato possibile giungere a tale risultato solo attraverso la
previsione di un procedimento unico o comunque tramite l'integrazione
e il coordinamento con gli altri procedimenti di settore. Poiche' la
direttiva prevede che «gli Stati membri dispongono di varie
possibilita' per dare attuazione alla direttiva relativamente
all'integrazione delle valutazioni dell'impatto ambientale nelle
procedure nazionali», ritiene che gli elementi di tali procedure
nazionali possano variare. In simile contesto, l'art. 16, comma 2,
avrebbe previsto una disciplina per le procedure di VIA incardinate
nel procedimento autorizzatorio unico regionale, confermando la
scelta operata con la riforma della legge n. 241 del 1990, cosi' come
modificata dal d.lgs. n. 127 del 2016.
5.6.- Prive di fondamento risulterebbero, altresi', le censure
mosse all'art. 21 del d.lgs. n. 104 del 2017.
Tale disposizione sostituisce, infatti, esclusivamente l'art. 33,
comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, lasciando impregiudicate le
competenze regionali stabilite dal successivo art. 33, comma 2.
Dalla lettura coordinata delle due previsioni emergerebbe come il
comma 1 contenga una norma di principio, che indica i criteri
generali per la determinazione delle tariffe, destinata ad applicarsi
sia alla VIA statale, sia alla VIA regionale. In pari tempo,
tuttavia, il medesimo comma 1 reca una previsione concernente solo la
VIA statale: ossia la delega a un decreto del Ministro dell'ambiente
per la definizione in concreto delle tariffe. Che tale previsione
riguardi solo le tariffe statali lo si desumerebbe chiaramente dal
comma 2, che affida alle Regioni l'attuazione del comma 1 nella
concreta definizione dei profili tariffari. Di qui l'infondatezza
delle doglianze della ricorrente: le Regioni non soltanto
risulterebbero "coinvolte" nella definizione delle tariffe
concernenti la VIA regionale, ma ne sarebbero, anzi, le principali
protagoniste, dovendo semplicemente rispettare la norma di principio
statale.
5.7.- Per quanto attiene, poi, alle questioni che investono gli
artt. 22, commi da 1 a 4, e 26, comma 1, lettera a), del d.lgs. n.
104 del 2017, con le quali si lamenta la sottrazione alle competenze
regionali di un rilevante numero di tipologie progettuali, la difesa
dello Stato ne eccepisce l'inammissibilita' per genericita' e carenza
di motivazione. Mancherebbe del tutto la specifica individuazione dei
progetti la cui sottrazione alla VIA regionale comporterebbe
l'asserita lesione dell'art. 118 Cost. e, conseguentemente, qualunque
argomento a sostegno dell'adeguatezza del livello regionale allo
svolgimento della relativa funzione amministrativa: elementi, questi,
imprescindibili per poter apprezzare una denuncia di violazione del
principio di sussidiarieta'.
Quanto al merito, l'Avvocatura ribadisce le considerazioni gia'
svolte in relazione al ricorso della Regione Valle d'Aosta/Vallee
d'Aoste (reg. ric. n. 63 del 2017) circa la piena riconducibilita'
dell'intervento modificativo censurato tanto ai principi e criteri
direttivi specifici enunciati dall'art. 14, comma 1, della legge n.
114 del 2015, quanto al principio e criterio direttivo generale di
cui all'art. 32, comma 1, lettera g) della legge n. 234 del 2012.
Ribadisce, altresi', come la modifica degli allegati al d.lgs. n. 152
del 2006 risponda all'obiettivo di razionalizzare il riparto delle
competenze amministrative tra Stato e Regioni, sulla base del
dirimente criterio della dimensione sovraregionale degli impianti:
criterio che troverebbe fondamento nell'art. 118, primo comma, Cost.,
per la corretta allocazione di dette funzioni.
5.8.- Inammissibili per genericita' e difetto di motivazione in
punto di violazione dei parametri costituzionali evocati sarebbero -
secondo l'Avvocatura - anche le censure che investono l'art. 27 del
d.lgs. n. 104 del 2017.
Nel merito, le censure sarebbero basate sull'erroneo assunto che
la disciplina di riferimento avrebbe posto non meglio precisati
«nuovi e maggiori oneri procedimentali in capo alle amministrazioni
regionali», riconducibili, in specie, al «provvedimento
autorizzatorio unico» introdotto dall'art. 16, comma 2, del d.lgs. n.
104 del 2017. Tale ultimo intervento sarebbe, peraltro, confermativo
e speculare rispetto alle scelte gia' operate con la riforma
dell'art. 14, comma 4, della n. 241 del 1990, di cui al d.lgs. n. 127
del 2016.
La doglianza della Regione risulterebbe inoltre illogica, posto
che la stessa ricorrente, per un verso, lamenta di essere stata
spogliata delle proprie precedenti competenze e, per l'altro, della
impossibilita' di adottare misure di implementazione finanziaria,
strumentale e di personale.
La Regione avrebbe omesso, infine, di tener conto di quanto
disposto dall'art. 33, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, ove
si prevede la totale copertura di tutti i costi sopportati
dall'autorita' competente a valere sulle tariffe da applicare ai
proponenti, nonche' la possibilita' per gli enti territoriali di
definire proprie modalita' di quantificazione e corresponsione di
tali tariffe.
6.- Con ricorso notificato il 1° settembre 2017, depositato il 6
settembre 2017 (reg. ric. n. 65 del 2017), la Regione Puglia ha
promosso le seguenti questioni di legittimita' costituzionale:
a) in via principale, dell'intero d.lgs. n. 104 del 2017, per
violazione dell'art. 76 Cost., sotto il profilo del tardivo esercizio
della delega legislativa, nonche' del principio di leale
collaborazione;
b) in via subordinata, degli artt. 3, 4, 5 e 22 del d.lgs. n. 104
del 2017, per violazione dell'art. 76 Cost., sotto il profilo
dell'eccesso di delega; degli artt. 3, comma 1, lettera g), 14 e 18,
comma 3, per violazione degli artt. 3, 9, 24 (evocato solo in
relazione all'art. 18, comma 3), 76 e 97 Cost.
6.1.- Con riferimento alla prima censura la ricorrente rileva che
il decreto legislativo impugnato e' stato adottato sulla base della
delega conferita dalla legge n. 114 del 2015. L'art. 1, comma 2, di
tale legge individua il termine per l'esercizio della delega mediante
rinvio all'art. 31, comma 1, della legge n. 234 del 2012, in forza
del quale, relativamente alle deleghe legislative conferite con la
legge di delegazione europea per il recepimento delle direttive, «il
Governo adotta i decreti legislativi entro il termine di quattro mesi
antecedenti a quello di recepimento indicato in ciascuna delle
direttive».
La direttiva 2014/52/UE, che il Governo era chiamato nel
frangente ad attuare, all'art. 2, paragrafo 1, prevede come termine
di recepimento il 16 maggio 2017: di conseguenza, la delega avrebbe
dovuto essere esercitata entro il 16 gennaio 2017. Ai fini della
verifica del rispetto di tale termine, dovrebbe aversi riguardo alla
data di emanazione del decreto legislativo da parte del Presidente
della Repubblica, a norma dell'art. 87 Cost.: adempimento che vale ad
immettere l'atto nell'ordinamento giuridico della Repubblica.
Nella specie, il decreto legislativo impugnato e' stato emanato
dal Presidente della Repubblica solo il 16 giugno 2017. Risulterebbe,
pertanto, evidente che il termine della delega non e' stato
rispettato dal Governo, con conseguente illegittimita' dell'intero
decreto per violazione dell'art. 76 Cost., che prevede tra i vincoli
della delegazione legislativa il «tempo limitato».
La conclusione non muterebbe neppure qualora si volesse fare
riferimento alla data di deliberazione del Consiglio dei ministri (9
giugno 2017), o addirittura a quella della deliberazione preliminare
(10 marzo 2017, come si desume dal preambolo del decreto impugnato).
Anche tali date risultano, infatti, entrambe posteriori al termine di
esercizio della delega.
6.2.- L'intero d.lgs. n. 104 del 2017 risulterebbe, altresi',
illegittimo per violazione del principio di leale collaborazione.
Le materie sulle quali incide la direttiva andrebbero individuate
non soltanto - e certamente - nell'ambiente, ma anche nella tutela
della salute, nella pianificazione territoriale e, piu' in generale,
nell'uso del territorio, nella protezione del patrimonio culturale,
nella difesa e nella protezione civile, tutte di competenza
regionale.
Nel settore preso in considerazione dalla direttiva si
determinerebbe, quindi, un intreccio di campi materiali dello Stato e
delle Regioni, che, se pure abilita lo Stato ad assumere la
competenza legislativa, lo obbliga, tuttavia - secondo la
giurisprudenza costituzionale - ad instaurare procedure collaborative
nell'esercizio della medesima.
Con la sentenza n. 251 del 2016, la Corte costituzionale ha,
infatti, esteso l'ambito applicativo della leale collaborazione anche
al sistema delle fonti normative e, in particolare, ai decreti
legislativi. Secondo la citata pronuncia, in presenza di un concorso
di competenze, inestricabilmente connesse, nessuna delle quali si
riveli prevalente, non e' costituzionalmente illegittimo l'intervento
del legislatore statale, se necessario a garantire l'esigenza di
unitarieta' sottesa alla riforma del settore. Tuttavia, esso deve
muoversi nel rispetto del principio di leale collaborazione:
principio che trova il suo luogo idoneo di espressione nella
Conferenza Stato-Regioni.
Nella specie, il d.lgs. n. 104 del 2017 e' stato deliberato -
come risulta dal suo preambolo - dopo l'acquisizione del parere della
Conferenza Stato-Regioni, espresso nella seduta del 4 maggio 2017.
Tenuto conto, tuttavia, del fatto che la disciplina di recepimento
della direttiva europea incide profondamente sul riparto delle
competenze tra lo Stato e le Regioni, l'acquisizione del semplice
parere di detta Conferenza non sarebbe sufficiente a rendere
legittimo il decreto legislativo, dovendosi ritenere necessario
l'avvio di procedure collaborative nella fase di attuazione della
delega volte al conseguimento dell'intesa.
Al riguardo, la Regione Puglia lascia alla Corte costituzionale
la valutazione «se sollevare davanti a se' stessa la questione di
legittimita' costituzionale della legge di delega», che non ha
espressamente previsto l'intesa per la deliberazione del decreto
legislativo, oppure se censurare direttamente il vizio in capo al
decreto legislativo.
A cio' va aggiunto che il parere della Conferenza sarebbe stato,
nella specie, negativo, avendo le Regioni posto nove condizioni
irrinunciabili per il superamento di tale giudizio: condizioni
totalmente disattese dal legislatore delegato.
6.3.- In via subordinata, la ricorrente censura in modo specifico
le disposizioni di cui agli artt. 3, 4, 5 e 22 del d.lgs. n. 104 del
2017, che rispettivamente modificano gli artt. 6 e 7, introducono
l'art. 7-bis del d.lgs. n. 152 del 2006 e modificano gli Allegati
alla parte seconda di tale ultimo decreto.
Con tali disposizioni, il d.lgs. n. 104 del 2017 avrebbe
ampiamente inciso sul riparto delle competenze amministrative di
Stato e Regioni in materia di VIA, attribuendo alla competenza dello
Stato una serie di procedimenti in precedenza di spettanza regionale.
Al riguardo, verrebbero in particolare rilievo non soltanto le
ipotesi che l'impugnato art. 22, comma 1, lettere a), c), i) e l), ha
aggiunto all'Allegato II (il quale, ai sensi dell'art. 7-bis, comma
2, del d.lgs. n. 152 del 2006, inserito dal decreto impugnato,
individua i progetti sottoposti a VIA in sede statale), ma anche
quelle abrogazioni che, elidendo parole che circoscrivevano l'ambito
di applicazione della fattispecie, ne hanno esteso la portata (art.
22, comma l, lettera b). Peraltro, anche laddove il medesimo art. 22,
comma l, ha operato sostituzioni, cio' ha comportato un'estensione
della competenza statale, come nel caso della lettera d), che, nel
sostituire il punto 7-quater, ha inserito nell'Allegato anche
l'attivita' di ricerca e coltivazione di risorse geotermiche in mare.
L'Allegato II-bis, nell'individuare ex novo i «[p]rogetti
sottoposti alla verifica di assoggettabilita' di competenza statale»,
estenderebbe la competenza statale (ad esempio, con le previsioni di
cui al punto 1, lettere a) e d) a detrimento della precedente
competenza regionale).
Tutto cio', per tacere dei casi nei quali il decreto legislativo
ricorre «alla tecnica della "sostituzione" delle ipotesi», rendendo
poco agevole il riscontro di una estensione della competenza (come,
ad esempio, nel caso di cui all'art. 22, comma 1, lettera f, relativo
allo «stoccaggio», per il quale le soglie sono state tutte dimezzate,
con ampliamento della competenza, tranne l'ultima, che rimane
immutata).
Ad avviso della ricorrente, le disposizioni censurate
violerebbero l'art. 76 Cost. per eccesso di delega, posto che ne' la
legge di delegazione, ne' la direttiva europea che il Governo era
chiamato ad attuare, avrebbero richiesto una revisione delle
competenze interne o fornito una base adeguata per legittimarla.
6.4.- Vengono impugnati altresi' gli artt. 3, comma 1, lettera
g), l'art. 14 e l'art. 18, comma 3.
6.4.1.- La prima disposizione prevedrebbe l'esonero di alcuni
progetti dalla valutazione ambientale. Premette la ricorrente che
l'art. 1 della direttiva 2014/52/UE stabilisce che «gli Stati membri,
in casi eccezionali, possono esentare in tutto o in parte un progetto
specifico dalle disposizioni della presente direttiva, qualora
l'applicazione di tali disposizioni incida negativamente sulla
finalita' del progetto, a condizione che siano rispettati gli
obiettivi della presente direttiva».
La direttiva farebbe riferimento «a una mera facolta' e non a un
obbligo» e il legislatore delegato avrebbe imposto il principio
direttivo del «rafforzamento della qualita' della procedura di
valutazione di impatto ambientale»; in assenza di un obbligo per il
legislatore di prevedere questa facolta', «nulla autorizzava il
legislatore delegato nello stesso senso».
L'impugnato art. 3, comma 1, lettera g), prevedrebbe una duplice
possibilita' di esonero dalla VIA; per un verso, «per i progetti o
parti di progetti aventi quale unico obiettivo la difesa nazionale e
per i progetti aventi quali unico obiettivo la risposta alle
emergenze che riguardano la protezione civile»; per altro verso, in
altri « casi eccezionali, previo parere del Ministro dei beni e delle
attivita' culturali e del turismo», qualora l'applicazione di tali
disposizioni incida negativamente sulla finalita' del progetto.
6.4.2.- L'art. 14, nel riformulare l'art. 25 del d.lgs. n. 152
del 2006, non contemplerebbe piu' il parere della Regione interessata
nell'ambito delle valutazioni ambientali di competenza statale; cio'
rileverebbe sotto un duplice profilo.
Per un verso, nessuna norma di delega legislativa avrebbe
previsto, fra i propri principi e criteri direttivi, la modifica del
coinvolgimento regionale nelle procedure amministrative, ne' il
depotenziamento della partecipazione. Nella formulazione pregressa,
la disposizione muoveva dalla considerazione che le attivita' sul
territorio sottoposte a VIA, anche se di competenza dello Stato,
riguardavano anche le Regioni, per il loro rilievo sulle competenze
di queste ultime.
Appare alla ricorrente irragionevole ravvedere in un mero parere
«per sua natura non vincolante» un ostacolo alla semplificazione
normativa. Le amministrazioni interessate, al contrario, potrebbero
fornire utili elementi all'esame del Ministero dell'ambiente. Nulla
avrebbe autorizzato il legislatore delegato «a irrompere nell'assetto
del riparto delle competenze in materia di VIA» eliminando simile
forma di compensazione del coinvolgimento regionale attraverso il
parere; allo stato attuale le Regioni verrebbero deprivate di ogni
forma di partecipazione, in modo irragionevole e senza una base
legislativa di riferimento. In ragione del rilevato intreccio delle
competenze in materia, la rimozione di questa forma di partecipazione
sarebbe altresi' in contrasto con il principio di leale
collaborazione.
Tale previsione normativa si porrebbe in contrasto con l'art. 76
Cost., per mancanza di un criterio direttivo nella legge di delega;
essa, inoltre, in combinato disposto con l'impugnato art. 18, comma
3, violerebbe altresi' gli artt. 3, 9 e 97 Cost., per
irragionevolezza, in quanto potrebbe non essere realizzato «un serio
sindacato giurisdizionale sulla decisione ministeriale», in assenza
di particolari oneri motivazionali per agire in deroga alla normativa
stessa. Neppure vi sarebbero elementi per compensare «la recessivita'
del bene-ambiente tutelato dall'art. 9 Cost.» e la deroga al
principio di buon andamento e imparzialita' della pubblica
amministrazione; tale esenzione, infatti, non contemplerebbe
valutazioni successive «in grado di "sanare" la deroga iniziale».
Con riferimento all'esenzione motivata da esigenze di protezione
civile, la decisione sottesa verrebbe adottata in violazione del
principio di leale collaborazione. Infatti, la ponderazione di
interessi che dovrebbero condurre alla rinuncia del perseguimento
della tutela ambientale, in vista del raggiungimento dei richiamati
obiettivi di protezione civile (di competenza concorrente), dovrebbe
contemplare meccanismi cooperativi. Ove il giudizio di prevalenza
previsto dalla norma fosse conforme al quadro costituzionale,
l'esercizio della competenza concorrente, che prevale su quella
esclusiva in materia ambientale, necessiterebbe della previa intesa
regionale.
6.4.3.- L'impugnato art. 18, comma 3, infine, prevede che «[n]el
caso di progetti a cui si applicano le disposizioni del presente
decreto realizzati senza la previa sottoposizione al procedimento di
verifica di assoggettabilita' a VIA, al procedimento di VIA ovvero al
procedimento unico di cui all'articolo 27 o di cui all'articolo
27-bis, in violazione delle disposizioni di cui al presente Titolo
III, ovvero in caso di annullamento in sede giurisdizionale o in
autotutela dei provvedimenti di verifica di assoggettabilita' a VIA o
dei provvedimenti di VIA relativi a un progetto gia' realizzato o in
corso di realizzazione, l'autorita' competente assegna un termine
all'interessato entro il quale avviare un nuovo procedimento e puo'
consentire la prosecuzione dei lavori o delle attivita' a condizione
che tale prosecuzione avvenga in termini di sicurezza con riguardo
agli eventuali rischi sanitari, ambientali o per il patrimonio
culturale [...]».
Per la ricorrente, la disposizione non corrisponde ad alcun
criterio direttivo e si porrebbe in contrasto anche con il principio
di ragionevolezza, il perseguimento della tutela ambientale (art. 9
Cost.), il principio di legalita' (art. 97 Cost.) e di difesa dei
propri diritti e interessi legittimi in giudizio (art. 24 Cost.). Il
decreto consentirebbe, infatti, che nonostante la violazione in
termini di valutazioni ambientali (per erroneo esonero o altra
illegittimita'), «possano continuare a essere assentite le attivita'
di riferimento, entro un termine non specificato in via legislativa».
7.- Si e' costituito, con atto depositato il 10 ottobre 2017, il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo il rigetto del
ricorso.
7.1.- Infondata, secondo la difesa dello Stato, sarebbe la
censura, riferita all'intero d.lgs. n. 104 del 2017, in violazione
dell'art. 76 Cost., per tardivita' dell'esercizio della delega
legislativa.
La ricorrente avrebbe, infatti, richiamato il testo attualmente
vigente dell'art. 32, comma 1, della legge n. 234 del 2012,
trascurando il fatto che esso e' stato oggetto di modifica ad opera
dell'art. 29, comma 1, lettera b), della legge 29 luglio 2015, n. 115
(Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti
dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea - Legge europea
2014), entrata in vigore il 18 agosto 2015.
La legge delega per l'attuazione della direttiva 2014/52/UE (la
richiamata legge n. 114 del 2015) e' entrata invece in vigore il 15
agosto 2015, quando era ancora vigente il precedente testo dell'art.
31, comma 1, della legge n. 234 del 2012, il quale prevedeva che il
Governo dovesse adottare i decreti legislativi entro il termine di
due mesi (e non gia' di quattro mesi, come nella versione novellata)
antecedenti quello di recepimento indicato in ciascuna delle
direttive.
Alla luce del principio di irretroattivita' delle leggi,
stabilito dall'art. 11, comma 1, delle disposizioni preliminari al
codice civile, la modifica del termine generale per l'esercizio delle
deleghe legislative per l'attuazione delle direttive europee, operata
dalla legge n. 115 del 2015, senza alcuna previsione che ne affermi
la portata retroattiva, potrebbe riguardare solo le deleghe
legislative ad essa successive: non, dunque, quella di cui alla legge
n. 114 del 2015, entrata in vigore in data antecedente.
Il termine che il Governo doveva rispettare nella specie era,
pertanto - secondo il resistente - quello dei due mesi antecedenti
alla data di scadenza della direttiva (16 maggio 2017): ossia il 16
marzo 2017, termine poi prorogato al 16 giugno 2017 in applicazione
di quanto espressamente previsto dall'art. 31, comma 3, della legge
n. 234 del 2012.
7.2.- Quanto alla dedotta illegittimita' dell'intero d.lgs. n.
104 del 2017, per violazione del principio di leale collaborazione in
relazione al procedimento di adozione del decreto, il Presidente del
Consiglio dei ministri eccepisce l'inammissibilita' della censura, in
ragione del fatto che non e' mai stata promossa dalla Regione Puglia
questione di legittimita' costituzionale della legge delega,
allegando, a sostegno dell'eccezione, considerazioni analoghe a
quelle svolte in relazione alla similare doglianza prospettata nel
ricorso della Regione Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste (reg. ric. n. 63
del 2017).
Nel merito, la censura risulterebbe, ad ogni modo, infondata,
anche in questo caso per ragioni analoghe a quelle svolte in
relazione al ricorso ora indicato. In particolare, posto che la
normativa sulla VIA rientra nelle materie - "traversali" e prevalenti
- della tutela dell'ambiente e della fissazione dei livelli
essenziali delle prestazioni, di competenza esclusiva statale, la
Regione ricorrente avrebbe confuso il paradigma giurisprudenziale
dell'«intreccio» di materie - al quale si riferisce la richiamata
sentenza n. 251 del 2016, di questa Corte - con quello della semplice
«incidenza» delle norme dettate dello Stato in materie di competenza
esclusiva su funzioni regionali: fenomeno, questo, che caratterizza
naturalmente le materie «trasversali». In tale ipotesi, e'
sufficiente che la legislazione statale disciplini l'esercizio della
funzione prevedendo passaggi collaborativi con la Regione
interessata: onere che sarebbe stato assolto con la previsione del
nuovo art. 23 del d.lgs. n. 152 del 2006.
7.3.- Con riguardo, infine, alla questione che investe gli artt.
3, 4, 5 e 22 del d.lgs. n. 104 del 2017, l'Avvocatura generale dello
Stato ne eccepisce del pari l'inammissibilita', avendo la Regione
evocato il solo parametro dell'art. 76 Cost., senza alcuna
motivazione sulla «ridondanza» del vizio sulle competenze
costituzionalmente riconosciute alla Regione.
La questione sarebbe, in ogni caso, infondata.
L'Avvocatura ribadisce, anche a questo riguardo, quanto dedotto
in rapporto al ricorso della Regione Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste
(reg. ric. n. 63 del 2017), e cioe' che la modifica del quadro
allocativo delle competenze sarebbe ricompresa nel «potere/dovere»,
conferito al Governo dall'art. 14, comma 1, lettere a) e b), della
legge n. 114 del 2015, di «armonizzazione» e «razionalizzazione»
delle procedure di VIA, nonche' di «rafforzamento» della loro
qualita', allineandole ai principi della coerenza e della sinergia
con altre normative e politiche europee e nazionali, e risulterebbe,
anzi, imposta dal principio e criterio direttivo generale, di cui
all'art. 32, comma 1, lettera g), della legge n. 234 del 2012,
relativo all'ipotesi in cui si verifichino «sovrapposizioni di
competenze».
7.4.- Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri la censura
dell'art. 14 sarebbe manifestamente inammissibile per difetto di
motivazione circa la presunta «ridondanza» del vizio prospettato
sulla lesione di competenze costituzionalmente riconosciute alle
Regioni dagli artt. 117, 118 e 119 Cost., ovvero di altre norme
costituzionali poste a presidio di prerogative regionali.
7.5.- Le censure sull'art. 3, comma l, lettera g), in relazione
all'art. 76 Cost., sarebbero inammissibili in assenza di alcuna
motivazione circa la presunta «ridondanza» dei vizi prospettati sulla
lesione di competenze costituzionalmente riconosciute alle Regioni.
La censura, in ogni caso, sarebbe generica, dal momento che non
sarebbe dato comprendere se la Regione Puglia ha censurato la
disciplina contenuta effettivamente nella disposizione richiamata
(che ha sostituito l'art. 6, comma 10, del d.lgs. n. 152 del 2006, e
che e' riferita alle sole esenzioni dei progetti aventi quale unico
obiettivo la difesa nazionale e la risposta ad emergenze di
protezione civile), ovvero quella contenuta nella successiva lettera
h) (che ha sostituito l'art. 6, comma 11, del d.lgs. n. 152 del 2006,
riferita ai soli "casi eccezionali").
7.6.- Le doglianze regionali sarebbero poi infondate nel merito.
La procedura di VIA di competenza statale, di cui all'art. 23 del
d.lgs. n. 152 del 2006, prevedrebbe per tutto l'iter procedurale un
adeguato coinvolgimento delle amministrazioni interessate,
introducendo obblighi informativi e di pubblicita'; alla Regione
inoltre non sarebbe sottratto alcun potere di esprimere il proprio
parere e le proprie osservazioni nei procedimenti di VIA di
competenza statale, poiche' l'art. 6 del d.lgs. n. 104 del 2017
prevedrebbe la partecipazione, all'attivita' istruttoria della
Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale del
Ministero, di un esperto designato dagli enti territoriali
interessati.
7.7.- Anche le residue censure sarebbero non fondate.
7.7.1.- Quanto alla censura mossa in relazione alle esenzioni dei
progetti aventi quale unico obiettivo la difesa nazionale e la
risposta ad emergenze di protezione civile, la scelta del legislatore
troverebbe il suo fondamento nel corretto recepimento della
«Direttiva VIA».
I commi 10 e 11 dell'art. 6 del d.lgs. n. 152 del 2006,
introdotti dall'art. 3 del d.lgs. n. 104 del 2017, avrebbero lo scopo
di allineare la disciplina nazionale alle novita' introdotte dalla
richiamata direttiva. La disciplina sarebbe particolarmente
garantista in termini di potenziale esclusione dei progetti dalla
disciplina recata dal Titolo III, della Parte II del d.lgs. n. 152
del 2006, grazie alla riserva del potere di esenzione dalla VIA in
capo al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del
mare, che ne assumerebbe la responsabilita' politicoamministrativa su
valere per tutto il territorio nazionale e nei confronti dell'Unione
Europea. Non sarebbe ridotto lo standard di tutela ambientale.
7.8.- L'impugnato art. 18, comma 3, ricalcherebbe quanto gia'
previsto nel previgente art. 29 del d.lgs. n. 152 del 2006; la
possibilita' di consentire la prosecuzione delle attivita' sarebbe
solo eventuale e rimessa ad una specifica decisione della medesima
autorita' misurata sulle peculiarita' del caso concreto, in assenza
della quale dovra' arrestarsi, risultando sospesa in attesa dello
svolgimento del nuovo procedimento di VIA.
7.9.- In relazione alla cosiddetta «VIA postuma», l'Avvocatura fa
presente che la sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea
del 26 luglio 2017, nelle cause riunite da C-196/16 a C-197/16, ha
stabilito che in caso di omissione di una valutazione di impatto
ambientale di un progetto «il diritto dell'Unione, da un lato, impone
agli Stati membri di rimuovere le conseguenze illecite di tale
omissione e, dall'altro, non osta a che una valutazione di tale
impatto sia effettuata a titolo di regolarizzazione, dopo la
costruzione e la messa in servizio dell'impianto interessato, purche'
le norme nazionali che consentono tale regolarizzazione non offrano
agli interessati l'occasione di eludere le norme di diritto
dell'Unione o di disapplicarle e la valutazione effettuata a titolo
di regolarizzazione non si limiti alle ripercussioni future di tale
impianto sull'ambiente».
In maniera coerente, il legislatore delegato avrebbe previsto che
l'autorita' competente assegna un termine all'interessato, entro il
quale avviare un nuovo procedimento, e puo' consentire la
prosecuzione dei lavori o delle attivita' a condizione che essa
avvenga in termini di sicurezza riguardo agli eventuali rischi
sanitari, ambientali o per il patrimonio culturale; ove il termine
fosse scaduto, ovvero nel caso in cui il nuovo provvedimento di VIA,
adottato ai sensi degli artt. 25, 27 o 27-bis del d.lgs. n. 152 del
2006, abbia contenuto negativo, l'autorita' competente, inoltre,
dispone la demolizione delle opere realizzate e il ripristino dello
stato dei luoghi e della situazione ambientale a cura e a spese del
responsabile, definendone i termini e le modalita'. In caso di
inottemperanza, l'autorita' competente provvede d'ufficio a spese
dell'inadempiente.
7.10.- Con riferimento all'ipotizzato eccesso di delega, il
d.lgs. n. 104 del 2017 sarebbe coerente con la norma nazionale di
delega e con le norme di diritto UE, le quali assumerebbero valore di
parametro interposto, potendo autonomamente giustificare l'intervento
del legislatore delegato (sentenze n. 131 del 2013, n. 272 del 2012,
n. 230 del 2010, n. 98 del 2008, n. 163 del 2000, n. 134 del 2013 e
n. 32 del 2005).
8.- La Regione ha depositato una memoria illustrativa, insistendo
nelle conclusioni gia' formulate.
8.1.- Relativamente alla censura dell'intero d.lgs. n. 104 del
2017, per tardivo esercizio della delega, la ricorrente osserva - in
replica alle difese dell'Avvocatura generale dello Stato - che il
principio di irretroattivita' della legge, da questa invocato,
riguarda le norme che descrivono fattispecie, non quelle che
disciplinano termini e procedimenti (salvo che l'effetto retroattivo
risulti espressamente escluso).
Risulterebbe ad ogni modo dirimente il rilievo che, anche qualora
si ritenesse operante il termine dei due mesi (anziche' dei quattro
mesi) antecedenti il termine di recepimento della direttiva, previsto
dal testo originario dell'art. 32, comma 1, della legge n. 234 del
2012, l'esercizio della delega rimarrebbe tardivo. Per ammissione
della stessa Avvocatura, infatti, in tale ipotesi il termine sarebbe
scaduto il 16 marzo 2017 e, dunque, in data anteriore a quella di
emanazione del decreto delegato.
Solo in applicazione della proroga prevista dall'art. 31, comma
3, della legge n. 234 del 2012, sarebbe possibile arrivare al 16
giugno 2017. Tale disposizione non sarebbe, tuttavia, affatto
richiamata dalla legge n. 114 del 2015, la quale, con riguardo ai
termini di esercizio della delega, fa riferimento al solo comma 1
dell'art. 31.
In presenza di una legge delega che faccia espresso riferimento
al solo termine "ordinario" di esercizio, non sarebbe possibile
applicare analogicamente la proroga automatica prevista da altra
disposizione non oggetto di richiamo. Diversamente opinando, uno dei
requisiti previsti dall'art. 76 Cost. per la delegazione legislativa
(il limite temporale di esercizio) risulterebbe stabilito in via
generale e per sempre dalla legge n. 234 del 2012, rispetto a tutti i
casi di recepimento del diritto europeo: conclusione, questa, non in
linea con il dettato costituzionale, in base al quale la legge di
delegazione dovrebbe soddisfare i previsti requisiti di validita'
«con un atto di volonta', che, volta per volta, sia [...] diretto a
disciplinare la rimessione al Governo della disciplina di uno
specifico settore».
8.2.- Con riguardo, poi, alla censura dell'intero d.lgs. n. 104
del 2017, per violazione del principio di leale collaborazione,
infondata apparirebbe l'eccezione di inammissibilita' per mancata
impugnazione della legge delega, formulata dall'Avvocatura generale
dello Stato.
La mancata partecipazione regionale nella forma dell'intesa
rileverebbe, infatti, non solo come vizio in procedendo, ma anche
come vizio sostanziale di lesione del riparto delle competenze
costituzionalmente stabilito, il quale non e' nella disponibilita'
dello Stato e delle Regioni. Di conseguenza, non si potrebbe ritenere
che la mancata impugnazione della legge delega comporti la rinuncia
alla competenza: anzi, proprio la circostanza che la concreta lesione
delle competenze regionali si sia verificata solo all'esito
dell'adozione del decreto legislativo lascerebbe impregiudicata
l'impugnabilita' di quest'ultimo.
Stante, inoltre, l'intima connessione tra legge delega e decreto
delegato, resterebbe sempre offerta alla Corte costituzionale la
possibilita' di sollevare davanti a se' la questione di legittimita'
costituzionale della disposizione delegante.
Nel merito, la tesi della difesa dello Stato - secondo la quale
la disciplina statale accentratrice sarebbe giustificata dal fatto
che la direttiva 2014/52/UE, prevede regole dettagliate delle
procedure di valutazione ambientale, che non ammettono varianti negli
ordinamenti nazionali - non potrebbe essere condivisa. La
giurisprudenza costituzionale avrebbe, infatti, superato l'originario
assunto secondo il quale la competenza a recepire le direttive
spetterebbe sempre allo Stato, pena il rischio di procedure di
infrazione nel caso di inerzia regionale: problema che risulterebbe,
peraltro, integralmente superato con l'introduzione dei meccanismi
sostitutivi, di cui agli artt. 117, quinto comma, e 120, secondo
comma, Cost.
Il diritto europeo non potrebbe, pertanto, legittimare alcuna
deroga del riparto costituzionale delle competenze, il quale, nel
caso considerato, avrebbe postulato l'utilizzo di adeguati strumenti
cooperativi, visto il concorrente interesse regionale e statale nella
disciplina della materia.
9.- Con ricorso notificato il 4-6 settembre 2017 e depositato il
7 settembre 2017 (reg. ric. n. 66 del 2017), la Regione Abruzzo ha
promosso questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 3,
comma 1, lettera g), 5, 16, comma 2, 21, 22, commi da 1 a 4, 26,
comma 1, lettera a), e 27 del d.lgs. n. 104 del 2017, identiche a
quelle formulate dalla Regione Lombardia (reg. ric. n. 64 del 2017) e
sorrette dai medesimi argomenti.
10.- Costituitosi in giudizio a mezzo dell'Avvocatura generale
dello Stato, con atto depositato il 13 ottobre 2017, il Presidente
del Consiglio dei ministri ha chiesto che il ricorso venga respinto
sulla base di considerazioni analoghe a quelle svolte in riferimento
al richiamato ricorso della Regione Lombardia.
11.- Con ricorso notificato il 4 settembre 2017 e depositato l'8
settembre 2017 (reg. ric. n. 67 del 2017), la Regione Veneto ha
impugnato:
a) l'art. 3, comma 1, lettere g) e h), del d.lgs. n. 104 del
2017, per violazione degli artt. 3, 76, 97, 117, commi terzo e
quarto, 118 e 120 Cost.;
b) gli artt. 5, comma 1, 22, commi da 1 a 4, e 26, comma 1,
lettera a), del d.lgs. n. 104 del 2017, per violazione degli artt.
76, 117, terzo e quarto comma, 118 e 120 Cost.;
c) l'art. 21 del d.lgs. n. 104 del 2017, per violazione degli
artt. artt. 3, 97, 117, quarto comma, 118, 119 e 120 Cost.
11.1.- L'art. 3, comma 1, lettera g), sarebbe invasivo della
competenza regionale in materia di «protezione civile» e lesivo del
principio di leale collaborazione, poiche' non prevede alcuna forma
di partecipazione delle Regioni nell'ambito del procedimento
derogatorio, in un ambito di competenza legislativa ripartita. Per la
ricorrente i progetti afferenti a situazioni emergenziali di
protezione civile sarebbero inevitabilmente collegati al territorio
ove la situazione si e' verificata, ritenendo necessaria la
partecipazione «istruttoria e/o codecisoria» degli enti territoriali
«al fine di salvaguardare la stessa ragionevolezza della disposizione
di legge», che altrimenti si porrebbe in contraddizione con l'art. 3
Cost. e con il canone del buon andamento.
11.1.1.- La Regione Veneto dubita che la disposizione afferisca
alla «tutela dell'ambiente», di competenza esclusiva dello Stato,
poiche' essa farebbe prevalere «gli interessi afferenti alla
protezione civile rispetto a quelli ambientali». Sul punto questa
Corte avrebbe statuito che in presenza di una competenza esclusiva
dello Stato, ove siano coinvolti interessi e funzioni regionali,
s'impone una «fisiologica dialettica» tra Stato e Regioni improntata
alla leale collaborazione (sentenza n. 169 del 2017).
La Regione sarebbe esautorata dalla mancata distinzione dei
progetti assoggettati a VIA regionale ovvero statale con l'effetto
che il Ministero dell'ambiente potrebbe sottrarre alla competenza
delle Regioni la VIA di progetti affidati alla propria potesta'
decisoria, in violazione dell'art. 118 Cost., comprimendo una
competenza amministrativa regionale.
11.1.2.- La disposizione censurata modificherebbe il riparto
delle competenze in materia di VIA, in contrasto con i principi e
criteri direttivi di cui all'art. 14 della legge n. 114 del 2015, che
vincolerebbe il legislatore delegato a introdurre esclusivamente
regole di «semplificazione, armonizzazione e razionalizzazione delle
procedure di valutazione di impatto ambientale.
Secondo la Regione Veneto, l'ambito della delega legislativa
escluderebbe la disciplina del riparto delle competenze decisorie in
materia di valutazione di impatto ambientale, contemplando unicamente
gli aspetti procedurali, da modificare in ragione della rinnovata
disciplina comunitaria. Si configurerebbe un eccesso di delega, che
ridonda in una lesione dell'art. 117, comma terzo, Cost., con
riguardo alla competenza legislativa regionale in materia di
«protezione civile», e, al contempo, in una lesione dell'art. 118
Cost., in quanto opera una espropriazione delle competenze
amministrative regionali in materia di VIA, delineate
dall'ordinamento.
11.2.- E' impugnato anche l'art. 3, comma 1, lettera h), del
d.lgs. n. 104 del 2017, che ha modificato l'art. 6, comma 11, del
d.lgs. n. 152 del 2006. La disposizione prevede: «[f]atto salvo
quanto previsto dall'art. 32, il Ministro dell'ambiente e della
tutela del territorio e del mare puo', in casi eccezionali, previo
parere del Ministro dei beni e delle attivita' culturali e del
turismo, esentare in tutto o in parte un progetto specifico dalle
disposizioni di cui al titolo III della parte seconda del presente
decreto, qualora l'applicazione di tali disposizioni incida
negativamente sulla finalita' del progetto, a condizione che siano
rispettati gli obiettivi della normativa nazionale ed europea in
materia di valutazione di impatto ambientale. In tali casi il
Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare:
a) esamina se sia opportuna un'altra forma di valutazione;
b) mette a disposizione del pubblico coinvolto le informazioni
raccolte con le altre forme di valutazione di cui alla lettera a), le
informazioni relative alla decisione di esenzione e le ragioni per
cui e' stata concessa;
c) informa la Commissione europea, prima del rilascio
dell'autorizzazione, dei motivi che giustificano l'esenzione
accordata fornendo tutte le informazioni acquisite».
La norma introdurrebbe un'ulteriore ipotesi di deroga alla
disciplina generale, senza prevedere alcun criterio direttivo che
guidi l'autorita' amministrativa in ordine all'an dell'esercizio del
relativo potere. Il che attesterebbe l'irragionevolezza della norma e
la sua contrarieta' al principio di legalita'. Ne' a giustificare
tale genericita' si potrebbe addurre il fatto di avere riprodotto una
previsione della direttiva europea, la quale non contiene per sua
natura, «salvo le rare ipotesi di norme self executing», disposizioni
immediatamente precettive. La disposizione impugnata altererebbe il
riparto delle competenze in materia di VIA, senza che sia prevista
alcuna forma di partecipazione, decisoria o istruttoria, da parte
delle Regioni, in lesione del principio di leale collaborazione.
11.2.1.- La violazione degli artt. 76 e 97 Cost., alterando il
riparto di competenze esistente tra Stato e Regioni, ridonderebbe in
una lesione degli artt. 117, commi terzo e quarto, e 118 Cost.,
oltreche' del principio di leale collaborazione, in quanto non
contemplerebbe la partecipazione delle Regioni, nelle ipotesi in cui
il progetto afferisca ad una materia di competenza regionale ovvero
sia assoggettato a VIA regionale.
11.3.- Per effetto dell'impugnato art. 5 del d.lgs. n. 104 del
2017, osserva la ricorrente, il riparto di competenze tra Stato e
Regioni in materia di VIA e' demandato a quattro allegati che, a loro
volta, sono stati ampiamente modificati dall'art. 22, commi da 1 a 4,
del medesimo decreto, nonche' dalla disposizione abrogatrice
contenuta nell'art. 26, comma 1, lettera a), dello stesso
provvedimento. A seguito di tali disposizioni, si e' realizzata una
complessiva redistribuzione delle competenze tra Stato e Regioni, le
quali non sono piu' competenti in materia di VIA ed in materia di
verifica di assoggettabilita' a VIA per una consistente serie di
tipologie progettuali che vengono analiticamente passate in rassegna.
Il legislatore delegato, dunque, avrebbe provveduto a modificare, non
soltanto le procedure inerenti alla valutazione di impatto
ambientale, al fine di dare attuazione alla direttiva 2014/52/UE, ma
avrebbe anche disposto una complessiva ristrutturazione del quadro
delle competenze decisorie in materia.
Una simile operazione normativa - deduce la ricorrente - si
porrebbe in contrasto con i principi e criteri direttivi dettati
dall'art. 14 della legge delega n. 114 del 2015, riguardando gli
stessi solo aspetti di armonizzazione, semplificazione e
razionalizzazione delle procedure, senza che il Governo fosse
autorizzato ad alterare il riparto di competenze esistenti tra Stato
e Regioni.
Il denunciato vizio di eccesso di delega si riverbererebbe anche
in una lesione delle competenze amministrative della Regione, in
violazione dell'art. 118 Cost., essendo state sottratte alle Regioni
le potesta' decisorie di cui godevano in materia.
Ancorche' la tutela dell'ambiente sia materia di competenza
esclusiva dello Stato, le modifiche apportate alla normativa
previgente avrebbero richiesto l'ordinario procedimento legislativo o
specifiche direttive in tal senso: il che avrebbe salvaguardato, in
sede parlamentare, la normale dialettica democratica tra maggioranza
e opposizione. L'utilizzo "improprio" del potere legislativo avrebbe
dunque integrato una violazione degli artt. 76 Cost., in uno con gli
artt. 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost.
Per altro verso, coinvolgendo la riforma anche numerose
competenze regionali (energia, trasporto, viabilita' e, in genere,
salute) sarebbe stato necessario prevedere un coinvolgimento delle
autonomie locali attraverso «un'intesa in sede di conferenza
intergovernativa», secondo quanto avrebbe affermato questa Corte
nella sentenza n. 251 del 2016, con conseguente violazione del
principio di leale collaborazione, di cui all'art. 120 Cost. Vizio,
questo, che non resterebbe confinato solo all'interno della legge di
delega, ma si proietterebbe anche sul decreto delegato, in quanto
lesivo delle attribuzioni regionali.
11.4.- L'art. 21 del d.lgs. n. 104 del 2017, nello stabilire
disposizioni in tema di tariffe da applicare ai proponenti, si
porrebbe in contrasto con gli artt. 3, 97, 117, quarto comma, 118 e
119 Cost., nonche' con il principio di leale collaborazione di cui
all'art. 120 Cost., in quanto non e' prevista alcuna forma di
partecipazione, neppure consultiva, delle autonomie territoriali,
malgrado il novellato art. 7-bis del d.lgs. n. 152 del 2006 consenta
alle Regioni ed alle Province autonome di disciplinare con proprie
leggi o regolamenti l'organizzazione e le modalita' di esercizio
delle funzioni amministrative ad esse attribuite in materia di VIA.
Le peculiarita' procedurali derivanti dalla normativa regionale
renderebbero, per converso, necessaria una consultazione delle
Regioni stesse nella determinazione delle tariffe concernenti i
procedimenti VIA di loro competenza.
Da cio' deriverebbe la lesione del principio di leale
collaborazione e la irragionevolezza di una disciplina che
«attribuisce una competenza decisoria ad un soggetto senza prevedere
adeguati apporti istruttori da parte delle altre autorita' competenti
a disciplinare il relativo procedimento e i suoi aspetti
organizzatori». Irragionevolezza, soggiunge la Regione ricorrente,
che ridonderebbe in una lesione dell'autonomia legislativa in materia
di organizzazione amministrativa, prevista dall'art. 117, quarto
comma, Cost., nonche' in una lesione dell'autonomia amministrativa di
cui all'art. 118 Cost., e dell'autonomia finanziaria di cui all'art.
119 Cost., posto che le valutazioni amministrative e finanziarie in
materia di VIA vengono ad essere condizionate dalla remunerativita'
delle tariffe stabilite unilateralmente dallo Stato.
Si osserva, infine, che la partecipazione delle Regioni al
processo decisionale, potendo comportare semplificazioni procedurali,
potrebbe determinare risparmi di spesa, con la conseguenza che la
mancanza di tale partecipazione finirebbe per tradursi anche in un
inutile aggravio di spese con violazione del principio di buon
andamento dell'agire pubblico.
12.- Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, si e' costituito il 13
ottobre 2017 chiedendo il rigetto del ricorso.
12.1.- La difesa statale eccepisce l'infondatezza della censura
di cui all'impugnato art. 3, comma l, lettera g), reiterando le
medesime argomentazioni fatte proprie per avversare i ricorsi delle
Regioni Lombardia e Abruzzo, quanto alla violazione del riparto delle
competenze e del principio di leale collaborazione.
12.2.- Eccepisce altresi' la non fondatezza della censura di cui
all'art. 3, comma l, lettera h), che conferirebbe al Ministro
dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare il potere, in
casi eccezionali, di esentare un progetto specifico dall'applicazione
delle disposizioni di cui al Titolo III della Parte II del d.lgs. n.
152 del 2016.
L'infondatezza si evincerebbe dalla richiamata direttiva
2014/52/UE, in base alla quale «puo' risultare opportuno in casi
eccezionali esonerare un progetto specifico dalle procedure di
valutazione previste dalla presente direttiva, a condizione di
informare adeguatamente la Commissione e il pubblico interessato»;
l'art. 2, paragrafo 4, della direttiva disporrebbe che «[f]atto salvo
l'articolo 7, gli Stati membri, in casi eccezionali, possono esentare
in tutto o in parte un progetto specifico dalle disposizioni della
presente direttiva, qualora l'applicazione di tali disposizioni
incida negativamente sulla finalita' del progetto, a condizione che
siano rispettati gli obiettivi della presente direttiva. In tali casi
gli Stati membri: a) esaminano se sia opportuna un'altra forma di
valutazione; b) mettono a disposizione del pubblico coinvolto le
informazioni raccolte con le altre forme di valutazione di cui alla
lettera a), le informazioni relative alla decisione di esenzione e le
ragioni per cui e' stata concessa; c) informano la Commissione, prima
del rilascio dell'autorizzazione, dei motivi che giustificano
l'esenzione accordata e le forniscono le informazioni che mettono
eventualmente a disposizione, ove necessario, dei propri cittadini.
[...]».
A parere del resistente, il legislatore delegato si sarebbe
avvalso di una facolta' concessa dalla norma europea. La fattispecie
di esenzione atterrebbe «alla disciplina giuridica della VIA», e
rientrerebbe in modo univoco «nella competenza esclusiva dello Stato
sulla tutela dell'ambiente e dell'ecosistema».
12.2.1.- Non fondati sarebbero anche i rilievi che fanno
riferimento ai principi di ragionevolezza e di legalita'.
Il potere ministeriale di esenzione sarebbe circondato da
rigorose garanzie, sia di tipo sostanziale sia di tipo procedurale.
Sul piano sostanziale la norma non si limiterebbe a legittimare
l'esercizio in casi eccezionali, ma richiederebbe una valutazione
circa gli effetti negativi che potrebbero discendere in ordine alle
finalita' del progetto, esigendo che siano rispettati gli obiettivi
della direttiva. Sotto il profilo procedurale il Ministro sarebbe
chiamato ad esaminare l'opportunita' di un'altra forma di valutazione
e si prefigurerebbero obblighi informativi nei confronti del pubblico
coinvolto e (prima del rilascio dell'autorizzazione) della
Commissione europea. La scelta del legislatore delegato di riprodurre
la previsione europea senza ulteriori aggiunte, dunque, discenderebbe
dalla constatazione che essa gia' circostanzia a sufficienza il
potere di esenzione.
12.3.- Con riguardo agli impugnati artt. 5, comma 1, 22, commi da
1 a 4, e 26, comma 1, lettera a), infondata risulterebbe la censura
di eccesso di delega, in quanto la revisione dell'assetto delle
competenze amministrative e la riallocazione delle stesse ai diversi
livelli territoriali di governo risponderebbero appieno ai criteri di
semplificazione, armonizzazione e razionalizzazione delle procedure e
di rafforzamento della qualita' della procedura di VIA, in sinergia
con altre normative e politiche nazionali ed europee, quali, in
particolare, quelle energetiche ed infrastrutturali.
Non sarebbe poi fondato il rilievo secondo il quale, in base alla
sentenza n. 251 del 2016, la legge di delegazione avrebbe dovuto
prevedere l'intesa con le Regioni, in quanto - a differenza
dell'ipotesi allora scrutinata da questa Corte - nella specie non e'
dato intravedere un «intreccio inestricabile» con materie regionali,
dal momento che le norme che riguardano la VIA rientrano nella
competenza esclusiva statale in tema di «tutela dell'ambiente e
dell'ecosistema». D'altra parte, l'art. 12 del d.lgs. n. 104 del 2017
ha previsto, novellando l'art. 23 del d.lgs. n. 152 del 2006, il
necessario coinvolgimento della Regione e di tutte le amministrazioni
potenzialmente interessate, mentre l'art. 6 del decreto impugnato
prevede che all'attivita' istruttoria della Commissione tecnica di
verifica dell'impatto ambientale partecipi un esperto designato dalle
Regioni e dalle Province autonome interessate alla realizzazione del
progetto oggetto di procedura VIA. Previsioni, quelle citate, con le
quali il legislatore statale avrebbe adempiuto all'onere
collaborativo in considerazione della "incidenza" che l'esercizio
delle funzioni di valutazione di impatto ambientale presentano
rispetto all'esercizio di funzioni regionali.
12.4.- Sarebbero infondate anche le censure riguardanti l'art. 21
del d.lgs. n. 104 del 2017.
Tale norma, infatti, si e' limitata a sostituire, in tema di
tariffe applicabili nei confronti dei proponenti, esclusivamente
l'art. 33, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, mentre lascerebbe
inalterate le competenze regionali dettate dal comma 2 dello stesso
articolo. Il comma 1 novellato, quindi, introdurrebbe solo una norma
di principio, relativa ai criteri da applicare per la determinazione
delle tariffe, valida sia per la VIA statale che per quella
regionale, mentre il rinvio ad un decreto del Ministro dell'ambiente
per la definizione in concreto delle tariffe riguarderebbe
esclusivamente la VIA statale. Cio' emergerebbe con chiarezza,
sostiene l'Avvocatura generale dello Stato, proprio dal citato comma
2 dell'art. 33 del d.lgs. n. 152 del 2006, che affida alle Regioni e
alle Province autonome la possibilita' di definire concretamente i
profili tariffari.
13.- La Regione Veneto ha depositato memoria, con la quale
insiste nelle censure, contestando la fondatezza dei rilievi svolti
dalla Avvocatura generale dello Stato, sia a proposito della
conformita' del decreto legislativo all'art. 76 Cost., sia in merito
al fatto che la competenza esclusiva dello Stato in materia
ambientale renderebbe prive di fondamento doglianze regionali.
14.- La Provincia autonoma di Trento, con ricorso notificato il 4
settembre 2017 e depositato l'8 settembre 2017 (reg. ric. n. 68 del
2017), ha promosso questioni di legittimita' costituzionale del
d.lgs. n. 104 del 2017, nella sua interezza, e in subordine degli
artt. 5, comma 1, 8, 16, commi 1 e 2, 22, commi da 1 a 4, 23, comma
4, 24 e 26, comma 1, lettera a), in quanto riferibili anche alle
Province autonome, deducendo la violazione di vari parametri
costituzionali e statutari.
14.1.- Un primo gruppo di tre censure coinvolge l'intero decreto,
per eccesso di delega prospettato sotto vari profili.
Si deduce, anzitutto, che il decreto delegato sarebbe illegittimo
perche' adottato oltre il termine prescritto dalla legge di
delegazione e, quindi, in violazione dell'art. 76 Cost., nonche'
dell'art. 77 Cost. L'adozione del decreto legislativo a termine
scaduto, infatti, costituirebbe violazione del divieto per il Governo
di adottare atti aventi forza di legge senza delegazione delle
Camere, salvi i casi di straordinaria necessita' ed urgenza.
Si osserva, al riguardo, che il decreto legislativo impugnato e'
stato emanato il 16 giugno 2017, ed e' quindi con riferimento a tale
data che deve essere valutata - a norma dell'art. 14, comma 2, della
legge n. 400 del 1988 (Disciplina dell'attivita' di Governo e
ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri) - la
tempestivita' dell'atto rispetto al termine fissato dalla legge di
delegazione. Tale termine, individuato dall'art. 1, comma 2, della
legge n. 114 del 2015, deve infatti ritenersi scaduto il 16 gennaio
2017. Cio' in quanto quel termine risulta fissato con rinvio all'art.
31, comma 1, della legge n. 234 del 2012, il quale, a sua volta,
dispone che «in relazione alle deleghe legislative conferite con la
legge di delegazione europea per il recepimento delle direttive, il
Governo adotta i decreti legislativi entro il termine di quattro mesi
antecedenti a quello di recepimento indicato in ciascuna delle
direttive». Considerato che l'art. 2 della direttiva 2014/52/UE fissa
il termine per il proprio recepimento al 16 maggio 2017, la delega
sarebbe scaduta quattro mesi prima e cioe' il 16 gennaio 2017.
E' ben vero, si osserva, che l'art. 31, comma 1, della legge n.
234 del 2012 fissava il termine in origine in «due mesi antecedenti a
quello di recepimento indicato in ciascuna delle direttive» e che
tale disposizione e' stata modificata, portando il termine a quattro
mesi, con l'art. 29, comma 1, lettera b), della legge 29 luglio 2015,
n. 115, successiva all'entrata in vigore della legge delega n. 114
del 2015. Ma il rinvio non puo' che intendersi operato alla fonte nel
suo complesso, risultando comprensivo, quindi, delle eventuali
modifiche successivamente apportate alla stessa. Cio' in linea con
quanto affermato da questa Corte, nella sentenza n. 258 del 2014, ove
si afferma che il rinvio si presume formale e mobile, anziche'
materiale o recettizio, salvo che risulti una contraria volonta' del
legislatore o il rinvio recettizio sia desumibile da elementi univoci
e concludenti. Si richiama, a proposito della necessita' che il
legislatore delegato tenga conto dei mutamenti del quadro normativo
entro cui si colloca la legislazione delegata, anche la sentenza n.
219 del 2013.
Tuttavia, soggiunge il ricorrente, anche a voler considerare come
recettizio il rinvio, il termine sarebbe comunque scaduto il 16 marzo
2017, in quanto il rinvio "secco" e recettizio al comma 1 dell'art.
31 della legge n. 234 del 2012 escluderebbe la possibilita' di
proroga prevista dal comma 3 dello stesso articolo. Il fatto che il
Governo abbia preteso di giovarsi della proroga starebbe peraltro a
significare che lo stesso Consiglio dei ministri ha interpretato il
rinvio come di tipo dinamico, «cioe' come rinvio alla fonte e non
come rinvio alla norma fissata una volta per tutte nel tempo». La
conseguenza sarebbe, in ogni caso, quella della tardivita'
dell'esercizio della delega.
Poiche' il decreto impugnato e' riduttivo delle competenze e
delle prerogative della Provincia autonoma, la violazione degli
indicati parametri ridonderebbe in lesione della autonomia
provinciale (si richiamano, al riguardo, la gia' citata sentenza n.
219 del 2013 e la sentenza n. 303 del 2003).
14.2.- In subordine, la Provincia ricorrente deduce la
illegittimita' dell'intero decreto legislativo impugnato per
violazione delle procedure stabilite dall'art. 1, commi 1 e 3, della
legge delega n. 114 del 2015, nonche' dall'art. 31, comma 3, della
legge n. 234 del 2012, lamentando conseguentemente la violazione
degli artt. 76 e 117, primo comma, Cost., e, in linea ulteriormente
subordinata, del principio di leale collaborazione.
Anche, infatti, a voler ritenere - contro il tenore letterale
della disposizione di delega e il supposto carattere recettizio del
rinvio da essa operato - che possa trovare applicazione nella specie
la proroga prevista dal comma 3 dell'art. 31 della legge n. 234 del
2012, l'emanazione del decreto impugnato sarebbe affetta da un vizio
di procedura sub specie di "abuso del procedimento".
Interpretando il rinvio contenuto nell'art. 1, comma 2, della
legge n. 114 del 2015 come rinvio fisso, il termine per l'esercizio
della delega doveva ritenersi scaduto nei due mesi antecedenti il
termine previsto per il recepimento della direttiva, e cioe' il 16
marzo 2017. L'ultimo giorno utile per l'esercizio della delega, il
Governo ha trasmesso lo schema di decreto alle competenti commissioni
parlamentari all'evidente fine di far operare il meccanismo di
proroga di cui all'art. 31, comma 3, terzo periodo, della legge n.
234 del 2012, ove si stabilisce che «[q]ualora il termine per
l'espressione del parere parlamentare di cui al presente comma ovvero
i diversi termini previsti dai commi 4 e 9 scadano nei trenta giorni
che precedono la scadenza dei termini di delega previsti ai commi 1 o
5 o successivamente, questi ultimi sono prorogati di tre mesi».
In questo modo, il Governo avrebbe violato la delega sotto un
diverso profilo. L'art. 1, comma 3, della legge n. 114 del 2015
prevedeva, infatti, che gli schemi dei decreti attuativi delle
direttive comprese nell'Allegato B, e dunque anche della direttiva
2014/52/UE, dovessero essere trasmessi, «dopo l'acquisizione degli
altri pareri previsti dalla legge», alle Camere per l'espressione del
parere dei competenti organi parlamentari. Disposizione, questa,
peraltro analoga a quella dettata dall'art. 31, comma 3, della legge
n. 234 del 2012. Dunque, il Governo avrebbe dovuto acquisire il
previo parere della Conferenza Stato-Regioni, obbligatorio in ordine
agli schemi di decreto legislativo nelle materie di competenza delle
Regioni o delle Province autonome, in ragione dell'art. 2, comma 3,
del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (Definizione ed
ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i
rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e
Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse
comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza
Stato - citta' ed autonomie locali).
Alla Conferenza Stato-Regioni lo schema di decreto legislativo e'
stato peraltro trasmesso, per il prescritto parere, soltanto lo
stesso giorno (16 marzo 2017). In quella data, dunque, lo schema di
decreto non avrebbe potuto essere trasmesso alle Commissioni
parlamentari, proprio perche' non preceduto dai pareri previsti dalla
legge, fra i quali va annoverato quello della indicata Conferenza
Stato-Regioni.
Tale inversione dell'ordine dei pareri costituirebbe, anzitutto,
violazione della previsione a tal proposito dettata dalla legge di
delega e, al tempo stesso, rimedio strumentale al fine di ottenere,
in violazione della stessa legge di delega, la proroga del termine di
esercizio della delega legislativa, eludendo anche il termine per il
recepimento della direttiva comunitaria, fissato al 16 maggio 2017,
con correlativa violazione, sotto questo profilo, dell'art. 117,
primo comma, Cost., oltre che dell'art. 76 della stessa Carta
costituzionale.
In ulteriore subordine, la ricorrente denuncia che attraverso la
censurata inversione dell'ordine dei pareri si sarebbe realizzata una
violazione del principio di leale collaborazione sancito dall'art.
120, secondo comma, Cost.
Tutte le segnalate violazioni ridonderebbero in lesioni delle
prerogative costituzionali della Provincia autonoma, in quanto
l'omessa previa acquisizione del parere della Conferenza
Stato-Regioni avrebbe impedito alle Commissioni parlamentari di
prendere cognizione delle posizioni delle Regioni e Province autonome
ed esprimersi sulle relative osservazioni.
14.3.- Viene poi denunciata l'illegittimita' costituzionale degli
artt. 5, comma 1, 22, commi da 1 a 4, e 26, comma 1, lettera a), del
d.lgs. n. 104 del 2017, se ed in quanto applicabili alle Province
autonome.
Per effetto di tali disposizioni una lunga serie di funzioni di
competenza provinciale, anche per disposto statutario, sarebbero
state avocate alla competenza dello Stato.
Il d.lgs. n. 104 del 2017 non contiene, d'altra parte, alcuna
clausola di salvaguardia delle competenze delle autonomie speciali,
nonostante la stessa fosse stata richiesta tanto dalla Conferenza
Stato-Regioni nel parere reso il 4 maggio 2017, quanto dalle
Commissioni affari costituzionali e ambiente della Camera dei
deputati e dalle Commissioni del Senato.
Le disposizioni impugnate hanno inoltre operato con la tecnica
della novella, modificando la disciplina del d.lgs. n. 152 del 2006 e
gli Allegati alla Parte II, rispettivamente intitolati «Progetti di
competenza delle regioni e delle province autonome di Trento e di
Bolzano» e «Progetti sottoposti alla verifica di assoggettabilita' di
competenza delle regioni e delle province autonome di Trento e di
Bolzano». Le Province risultano, inoltre, espressamente menzionate
nei commi 5, 7, 8 e 9 del nuovo art. 7-bis del d.lgs. n. 152 del
2006, introdotto dall'art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 104 del 2017.
Tutto lascerebbe supporre, dunque, che le norme censurate pretendano
di applicarsi anche alla Provincia autonoma ricorrente.
Cio' posto, la Provincia autonoma di Trento osserva che l'effetto
combinato degli artt. 5, comma 1, che ridefinisce le competenze in
materia di VIA e di verifica di assoggettabilita' a VIA, dell'art.
22, che modifica gli Allegati alla Parte II del d.lgs. n. 152 del
2006, e dell'art. 26, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 104 del
2017, il quale dispone le correlative abrogazioni delle disposizioni
anteriormente vigenti in materia, e' quello di avocare allo Stato
competenze relative a progetti - dei quali il ricorso fornisce
analitica indicazione - che rientrerebbero sicuramente in materie di
competenza legislativa, e conseguentemente amministrativa (art. 16
dello Statuto), della Provincia autonoma.
Le materie interessate sarebbero, in specie:
- la produzione, trasporto e distribuzione dell'energia, di
competenza concorrente ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost.,
combinato con l'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001;
- i porti lacuali, di competenza primaria (art. 8, n. 11, dello
statuto speciale), e piu' in generale i porti, di competenza
concorrente (art. 117, terzo comma, Cost. e art. 10 della legge cost.
n. 3 del 200l);
- il turismo, di competenza primaria (art. 8, n. 20, dello
statuto speciale), o se piu' favorevole di competenza residuale (art.
117, quarto comma, Cost. e art. 10, legge cost. n. 3 del 2001);
- la «viabilita', acquedotti e lavori pubblici di interesse
provinciale» e le «comunicazioni e trasporti di interesse
provinciale», di potesta' primaria (art. 8, numeri 17 e 18 del
richiamato statuto speciale);
- le miniere e cave (art. 8, n. 14, dello statuto speciale);
- gli aeroporti, di competenza concorrente (art. 117, terzo
comma, Cost. e art. 10, legge cost. n. 3 del 2001).
Tali progetti intersecherebbero, inoltre, le competenze
provinciali in materia di urbanistica e piani regolatori (art. 8, n.
5, dello statuto speciale) e di tutela del paesaggio (art. 8, n. 6,
dello statuto speciale), e - in rapporto proprio ai profili che
attengono alla VIA e alla verifica di assoggettabilita' a VIA - i
titoli su cui si radica la competenza provinciale in materia di
ambiente, e dunque, oltre alle materie appena citate, quelle in punto
di prevenzione e di pronto soccorso per calamita' naturali (art. 8,
n. 13, dello statuto speciale), protezione civile, apicultura e
parchi (art. 8, n. 16, dello statuto speciale), agricoltura (art. 8,
n. 21, dello statuto speciale), igiene e sanita' (art. 9, n. 10,
dello statuto speciale), ora tutela della salute (art. 117, terzo
comma, Cost. e art. 10, legge cost. n. 3 del 2001) e utilizzazione
delle acque pubbliche (art. 9, n. 9, dello statuto speciale).
Nell'ambito di queste materie, le competenze amministrative anche in
tema di VIA e di verifica di assoggettabilita', sarebbero di
spettanza provinciale, a norma dell'art. 16 dello statuto speciale
regionale.
14.3.1.- La ricorrente denuncia, al riguardo, anzitutto il vizio
di eccesso di delega (art. 76 Cost.), sotto i profili dell'assenza
nella legge delega di un principio che autorizzi l'avocazione allo
Stato di una serie di funzioni gia' esercitate dalle Regioni e dalle
Province autonome, e della violazione dei principi dettati dall'art.
32 della legge n. 234 del 2012.
Viene sottolineato come il d.lgs. n. 152 del 2006, oggetto della
novella legislativa censurata, fosse stato emanato sulla base di una
legge delega che prevedeva espressamente il rispetto delle
attribuzioni delle Regioni e degli enti locali e faceva salvo il
rispetto degli statuti e delle relative disposizioni di attuazione
delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento
e di Bolzano (art. 1, comma 8, della legge 15 dicembre 2004, n. 308,
recante «Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e
l'integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di
diretta applicazione»).
Il riparto delle competenze tra Stato e autonomie locali non
avrebbe potuto, dunque, essere toccato in assenza di un diverso
indirizzo parlamentare che, nella specie, ha fatto difetto.
Nel caso di specie, inoltre, la delega era stata conferita al
limitato fine di attuare una direttiva europea che, a sua volta,
nulla dice in punto di competenze, posto che il considerando n. 37
prende atto delle diverse «strutture istituzionali» degli Stati
membri, autorizzandoli a «designare piu' autorita'» in materia di
VIA.
L'intervento sui rapporti di competenza tra Stato e Regioni non
poteva ritenersi ricompreso, ancora, in alcuno dei principi e criteri
direttivi enunciati dall'art. 14 della legge n. 114 del 2015, che non
coinvolgevano il riparto delle competenze istituzionali. Dovevano al
contrario osservarsi i criteri generali fissati dall'art. 32, comma
1, lettera g), della legge n. 234 del 2012, che impongono, quando si
verifichino sovrapposizioni di competenze tra amministrazioni «il
rispetto dei principi di sussidiarieta', differenziazione,
adeguatezza e leale collaborazione e le competenze delle regioni e
degli altri enti territoriali».
14.3.2.- Viene dedotta anche la violazione degli artt. 8 (in
particolare, numeri 1, 3, 5, 6, 11, 13, 14, 16, 17, 18, 20 e 21), 9
(in particolare, numeri 3, 9, e 10) e 16 dello statuto della
Provincia autonoma e degli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118,
primo comma, Cost., nonche', ulteriormente, l'eccesso di delega per
mancanza di intesa costituzionalmente necessaria.
La ricorrente rileva, in ordine alla denunciata sottrazione di
competenze amministrative, che quelle conferite dallo statuto non
possono formare oggetto di chiamata in sussidiarieta', vigendo per
esse il principio del parallelismo di cui all'art. 16 dello statuto
speciale regionale, mentre per quelle derivanti dalla Costituzione
mancherebbero i presupposti ai quali la giurisprudenza costituzionale
subordina la chiamata in sussidiarieta'.
L'apprezzamento delle esigenze unitarie compiuto dal decreto
delegato non sarebbe, infatti, ne' ragionevole, ne' proporzionato,
essendo state allocate presso lo Stato un numero elevatissimo di
funzioni gia' esercitate dalle Regioni e dalle Province autonome.
Mancherebbe, poi, il requisito dell'accordo con le autonomie
regionali, essendo stata operata detta allocazione, senza una previa
intesa ed anzi col dissenso della Provincia autonoma di Trento.
Il che, oltre a violare il principio di leale collaborazione,
implicherebbe anche un vizio di eccesso di delega, dal momento che,
nel caso di specie, la legge di delega doveva ritenersi integrata da
un limite implicito che imponeva l'acquisizione della intesa, alla
luce di quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n.
251 del 2016, con riguardo al caso di intreccio di competenze non
risolubile con il criterio della prevalenza, e ancor prima dalla
sentenza n. 303 del 2003, per la chiamata in sussidiarieta'.
14.4.- Si denuncia, poi, l'illegittimita' costituzionale del solo
art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 104 del 2017, nella parte in cui
introduce i commi 7, 8 e 9 dell'art. 7-bis del d.lgs. n. 152 del
2006.
In particolare, il comma 7 impone alla Provincia autonoma di
regolare le proprie procedure in materia di VIA o di verifica di
assoggettabilita' a VIA in conformita' a varie disposizioni novellate
del d.lgs. n. 152 del 2006, tutte di estremo dettaglio e
autoapplicative; il comma 8 ribadisce tali obblighi di conformazione,
vincolando la potesta' delle Regioni e delle Province autonome di
regolare l'organizzazione e le modalita' di esercizio delle funzioni
in materia di VIA al rispetto di quanto previsto nel medesimo
decreto, con la sola possibilita' di introdurre regole particolari
per specifici aspetti; il comma 9 viene contestato in quanto, nello
stabilire obblighi informativi, fa riferimento alle Province
autonome, confermando cosi' che la disciplina in questione si rivolge
anche ad esse.
Si tratta di oggetti - sottolinea la ricorrente - che la
Provincia autonoma di Trento ha gia' organicamente regolato
nell'ambito della propria autonomia legislativa, mediante la legge
provinciale 17 settembre 2013, n. 19, recante «Disciplina provinciale
della valutazione dell'impatto ambientale. Modificazioni della
legislazione in materia di ambiente e territorio e della legge
provinciale 15 maggio 2013, n. 9 (Ulteriori interventi a sostegno del
sistema economico e delle famiglie)», con la quale ha dato esecuzione
alla direttiva 2011/92/UE, concernente la VIA. Competenza, questa,
mai contestata dallo Stato, che aveva, anzi, introdotto una specifica
clausola di salvaguardia per le Regioni a statuto speciale e le
Province autonome nell'art. 35, comma 2-bis, del d.lgs. n. 152 del
2006, conformemente, come gia' osservato, a quanto stabilito dalla
relativa legge delega. Clausola che, secondo la ricorrente, dovrebbe
ritenersi ancora operante, in quanto le norme oggetto di censura sono
state inserite, con la tecnica della novellazione, proprio nel corpo
dello stesso d.lgs. n. 152 del 2006, mentre, al contrario, le norme
qui contestate sono state espressamente rivolte alle Province
autonome.
Risulterebbe pertanto violato l'art. 8 dello statuto speciale,
relativo alla potesta' primaria di autoorganizzazione comprensiva del
procedimento di VIA, competenza da tempo esercitata, in conformita'
all'art. 19-bis del d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381 (Norme di attuazione
dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige in materia
di urbanistica ed opere pubbliche), ove e' espressamente menzionata
la VIA, anche per le opere soltanto delegate. E' ovvio, sostiene la
ricorrente, che, a maggior ragione, quelle funzioni sono riservate
alla Provincia autonoma nell'ambito delle materie che statutariamente
sono attribuite alla competenza legislativa provinciale. Non potrebbe
al riguardo venire in discorso la competenza esclusiva statale in
tema di ambiente, a norma dell'art. 117, secondo comma, lettera s)
Cost., in quanto l'incisione delle materie statutarie e' preclusa
dalla clausola di maggior favore prevista dall'art. 10 della legge
cost. n. 3 del 2001.
Si deduce, inoltre, la violazione dell'art. 117, quinto comma,
Cost., che sancisce, in generale, il potere delle Province autonome
di dare immediata attuazione alle raccomandazioni e direttive
comunitarie nelle materie di competenza esclusiva, salvo adeguarsi,
nei limiti statutari, alle leggi statali di attuazione degli atti
comunitari. Tale potere e' ribadito dalla legge di attuazione n. 234
del 2012, che fa salve, per le Regioni a statuto speciale e per le
Province autonome, le previsioni dettate dai rispettivi statuti
speciali e le relative norme di attuazione. Sicche' le disposizioni
censurate verrebbero a sovrapporsi alla disciplina provinciale, senza
che ricorrano le ipotesi sostitutive previste dall'art. 41, comma 1,
della stessa legge n. 234 del 2012.
Sarebbero violati anche gli artt. 3 e 97 Cost. La
dettagliatissima disciplina statale, infatti, sarebbe sproporzionata
nell'assicurare uniformita' all'attuazione della direttiva europea;
mentre la prescrizione di un modello unitario coinvolgerebbe anche il
principio di buon andamento della amministrazione, che risulterebbe
leso anche perche' appare irrazionale - e fonte di cattiva
amministrazione - consentire una legislazione locale se questa deve
essere meramente riproduttiva di quella nazionale. Violazioni, quelle
denunciate, che ridonderebbero sulle competenze provinciali, in
quanto atte a comprimere le competenze statutarie nelle materie di
competenza provinciale, gia' passate in rassegna.
14.4.1.- In ulteriore subordine, la ricorrente fa presente che
ove la Corte costituzionale accogliesse le censure relative all'art.
5, essa non sarebbe tenuta ad adeguarsi agli artt. da 19 a 26 e da
27-bis a 29 del d.lgs. n. 152 del 2006, se non nei limiti di cui allo
statuto speciale.
In caso contrario, la Provincia autonoma impugna l'art. 8, nella
parte in cui introduce l'art. 19 nel d.lgs. n. 152 del 2006, e l'art.
16, comma 2, nella parte in cui introduce l'art. 27-bis nel medesimo
decreto.
14.4.1.1.- L'art. 8 disciplinerebbe analiticamente lo svolgimento
del procedimento di verifica di assoggettabilita' a VIA (dalle
modalita' di trasmissione dello studio preliminare alle modalita' di
pubblicazione, alla istruttoria, ai termini del procedimento, ai
modi, ai tempi e ai limiti delle possibilita' di interlocuzione con
gli interessati).
14.4.1.2.- L'art. 16, comma 2, e' impugnato nell'ipotesi che la
disposizione da esso introdotta sia vincolante e/o applicabile anche
alle Province autonome, come sembrerebbe indicare il nuovo art.
7-bis, commi 7, primo periodo, 8 e 9 (in senso contrario potrebbero
deporre l'art. 7-bis, comma 7, secondo periodo, per cui «il
procedimento di VIA di competenza regionale si svolge con le
modalita' di cui all'art. 27-bis», e lo stesso testo dell'art.
27-bis, a partire dalla sua intitolazione, che non cita le province
autonome). Esso recherebbe una disciplina «ugualmente analitica e
minuziosa» del procedimento di VIA di competenza regionale.
Le disposizioni sarebbero invasive delle competenze primarie, di
cui agli artt. 8, 9 e 16 dello statuto speciale, in base ai quali la
Provincia autonoma ricorrente avrebbe una potesta' primaria di
auto-organizzazione, comprensiva della disciplina del procedimento di
VIA; tali disposizioni, inoltre, stabilirebbero le competenze
legislative e le funzioni amministrative provinciali, le quali, in
virtu' della clausola di cui all'art. 10 della legge cost. n. 3 del
2001, non dovrebbero essere incise dalla competenza esclusiva statale
in materia di ambiente.
Attraverso le norme censurate si produrrebbe altresi' la lesione
della competenza provinciale a dare attuazione al diritto dell'Unione
europea, riconosciuta dall'art. 117, quinto comma, Cost. Sarebbe
violato anche il principio direttivo che limita l'intervento del
legislatore delegato alla «armonizzazione» delle procedure, e non
consentiva, pertanto, la loro totale uniformita'.
14.4.1.3.- Per corrispondenti ragioni risulterebbe illegittimo
(ove applicabile anche alla Provincia ricorrente), l'art. 24,
sostitutivo dell'art. 14, comma 4, della richiamata legge n. 241 del
1990.
Secondo la ricorrente, solo formalmente il procedimento
atterrebbe alla VIA, dal momento che interviene su ogni profilo di un
progetto, costretto nelle modalita' specifiche della conferenza di
servizi disciplinata dalla legislazione statale anziche' dalla
disciplina provinciale, con interi ambiti di materia sottratti alla
disciplina regionale. In altre parole, la disciplina statale della
conferenza di servizi non opererebbe come limite verticale
all'interno della materia, ma come diretta disciplina della
fattispecie, sottratta alla disciplina provinciale.
Evidente sarebbe altresi' la violazione dell'art. 2 del decreto
legislativo 16 marzo 1992 n. 266 (Norme di attuazione dello statuto
speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra gli
atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonche' la
potesta' statale di indirizzo e coordinamento), che vieterebbe la
sostituzione di discipline statali alle discipline provinciali,
ponendo invece il rispettivo rapporto nei termini di un dovere di
adeguamento, limitato dalle regole statutarie e presidiato da questa
Corte. Anche questa censura e' formulata dalla ricorrente per
l'ipotesi che tale disposizione si dovesse ritenere applicabile alle
Province autonome, nonostante essa menzioni solo progetti di
competenza regionale (e non provinciale), sia perche' essa verrebbe
immessa nella legge n. 241 del 1990, che contiene, all'art. 29, comma
2-quinquies, la clausola di garanzia per cui «le regioni a statuto
speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano adeguano la
propria legislazione alle disposizioni del presente articolo secondo
i rispettivi statuti e le relative norme di attuazione». Dovrebbe
prevalere l'interpretazione costituzionalmente conforme, anche in
forza del citato art. 2 del d.lgs. n. 266, che risulterebbe
altrimenti violato.
14.5.- Viene denunciata l'illegittimita' costituzionale anche
dell'art. 23, comma 4, del d.lgs. n. 104 del 2017, per violazione
dell'art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, recante disposizioni di
attuazione dello statuto di autonomia, e per violazione degli artt. 8
e 9 dello statuto medesimo, nonche' degli artt. 117, quinto comma, e
120 Cost. Si lamenta, altresi', la violazione dell'art. 8 del d.P.R.
n. 526 del 1987.
La norma censurata, dedicata alle disposizioni transitorie e
finali, impone alla ricorrente obblighi di adeguamento che sarebbero
in contrasto con l'art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, il quale,
dettando disposizioni di attuazione dello Statuto, prevede che la
Provincia autonoma di Trento adegui la propria legislazione a quella
statale entro sei mesi dalla pubblicazione della legge sulla Gazzetta
ufficiale o entro il maggior termine previsto dalla stessa legge,
restando nel frattempo applicabili le disposizioni provinciali. La
immediata applicabilita' e' prevista solo per le "norme comunitarie
direttamente applicabili" e non - sottolinea la ricorrente - per la
disciplina statale attuativa del diritto dell'UE. La norma censurata
risulterebbe pertanto in contrasto con la disciplina di attuazione
dello statuto, in quanto essa riduce a centoventi giorni il termine
di adeguamento della disciplina provinciale a quella statale.
Inoltre, stabilendo la perentorieta' di tale termine, alla Provincia
sarebbe inibito procedere ad emanare norme di adeguamento, in
violazione degli artt. 117, quinto comma, come attuato dall'art. 41
della legge n. 234 del 2012, e 120, quinto comma, Cost., i quali
impongono che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto dei
principi di leale collaborazione e sussidiarieta'. La norma
censurata, inoltre, sarebbe illegittima anche nella parte in cui
stabilisce che, decorso il termine previsto, si applicano i poteri
sostitutivi di cui all'art. 117, quinto comma, Cost. secondo le
previsioni dettate dagli artt. 41 e 43 della legge n. 234 del 2012,
in quanto in contrasto con l'art. 8 del richiamato d.P.R. n. 526 del
1987, di attuazione dello statuto speciale, il quale prevede un
potere sostitutivo solo in caso di accertata inattivita' degli organi
regionali e provinciali che comporti inadempimento agli obblighi
comunitari e, comunque sia, previa concessione di un ulteriore
termine alla Provincia autonoma. La norma sarebbe illegittima anche
se interpretata come disposizione direttamente sostitutiva, ai sensi
dell'art. 41 della legge n. 234 del 2012, e quindi direttamente
operante nell'ordinamento provinciale, in quanto sprovvista del
necessario carattere della cedevolezza, e comunque in contrasto con
l'art. 2, commi 1, 2 e 4 del d.lgs. n. 266 del 1992.
14.6.- Con un ultimo gruppo di censure la ricorrente lamenta la
violazione della propria autonomia amministrativa (art. 16 dello
statuto speciale, in relazione agli artt. 8 e 9; art. 4 del d.lgs. n.
266 del 1992) oltre che dei principi di sussidiarieta' e di leale
collaborazione (art. 118 e 120 Cost.), derivanti dall'introduzione
del provvedimento unico in materia ambientale.
14.6.1.- Sarebbe illegittimo l'art. 16, comma 1, il quale novella
l'art. 27 del d.lgs. n. 152 del 2006, introducendo il provvedimento
unico in materia ambientale per i procedimenti di VIA di competenza
statale. Il nuovo art. 27 stabilisce «[n]el caso di procedimenti di
VIA di competenza statale, il proponente puo' richiedere
all'autorita' competente che il provvedimento di VIA sia rilasciato
nell'ambito di un provvedimento unico comprensivo di ogni
autorizzazione, intesa, parere, concerto, nulla osta, o atto di
assenso in materia ambientale, richiesto dalla normativa vigente per
la realizzazione e l'esercizio del progetto (comma 1, primo periodo).
Il comma 2 dispone che «[i]l provvedimento unico di cui al comma 1
comprende il rilascio dei seguenti titoli laddove necessario: a)
autorizzazione integrata ambientale ai sensi del titolo III-bis della
parte II del presente decreto;
b) autorizzazione riguardante la disciplina degli scarichi nel
sottosuolo e nelle acque sotterranee di cui all'art. 104 del presente
decreto;
c) autorizzazione riguardante la disciplina dell'immersione in
mare di materiale derivante da attivita' di escavo e attivita' di
posa in mare di cavi e condotte di cui all'art. 109 del presente
decreto;
d) autorizzazione paesaggistica di cui all'art. 146 del Codice
dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22
gennaio 2004, n. 42;
e) autorizzazione culturale di cui all'art. 21 del Codice dei
beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22
gennaio 2004, n. 42;
f) autorizzazione riguardante il vincolo idrogeologico di cui al
regio decreto 30 dicembre 1923, n. 3267, e al decreto del Presidente
della Repubblica 24 luglio 1977, n 616;
g) nulla osta di fattibilita' di cui all'art. 17, comma 2, del
decreto legislativo 26 giugno 2015, n. 105;
h) autorizzazione antisismica di cui all'art. 94 del decreto del
Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380».
14.6.2.- I commi successivi dell'impugnato art. 27 regolano le
fasi del procedimento che seguono alla iniziativa; al comma 8, la
disposizione stabilisce che «[...]l'autorita' competente convoca una
conferenza di servizi», alla quale partecipano il proponente e tutte
le Amministrazioni competenti «o comunque potenzialmente interessate
al rilascio del provvedimento di VIA e dei titoli abilitativi in
materia ambientale richiesti dal proponente».
La medesima disposizione precisa che «la conferenza di servizi si
svolge secondo le modalita' di cui all'art. 14-ter, commi 1, 3, 4, 5,
6 e 7, della legge 7 agosto 1990, n. 241»; che «[i]l termine di
conclusione dei lavori della conferenza di servizi e' di
duecentodieci giorni»; che «[l]a determinazione motivata di
conclusione della conferenza di servizi, che costituisce il
provvedimento unico in materia ambientale, reca l'indicazione
espressa del provvedimento di VIA ed elenca, altresi', i titoli
abilitativi compresi nel provvedimento unico»; che «la decisione di
rilasciare i titoli di cui al comma 2 e' assunta sulla base del
provvedimento di VIA, adottato dal Ministro dell'ambiente e della
tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dei
beni e delle attivita' culturali e del turismo, ai sensi dell'art.
25»; che «[i] termini previsti dall'art. 25, comma 2, quarto periodo,
sono ridotti alla meta' e, in caso di rimessione alla deliberazione
del Consiglio dei ministri, la conferenza di servizi e' sospesa per
il termine di cui all'art. 25, comma 2, quinto periodo»; che «[t]utti
i termini del procedimento si considerano perentori ai sensi e per
gli effetti di cui agli articoli 2, commi da 9 a 9-quater, e 2-bis
della legge 7 agosto 1990, n. 241». Il successivo comma 9 prevede che
«[l]e condizioni e le misure supplementari relative
all'autorizzazione integrata ambientale di cui al comma 2, lettera
a), e contenute nel provvedimento unico, sono rinnovate e
riesaminate, controllate e sanzionate con le modalita' di cui agli
articoli 29-octies, 29-decies e 29-quattuordecies» e che «le
condizioni e le misure supplementari relative agli altri titoli
abilitativi in materia ambientale di cui al comma 2, sono rinnovate e
riesaminate, controllate e sanzionate con le modalita' previste dalle
relative disposizioni di settore da parte delle amministrazioni
competenti per materia». Infine, il comma 10 stabilisce che «[l]e
disposizioni contenute nel presente articolo si applicano in deroga
alle disposizioni che disciplinano i procedimenti riguardanti il solo
primo rilascio dei titoli abilitativi in materia ambientale di cui al
comma 2».
14.6.3.- La Provincia ricorrente osserva che le funzioni
coinvolte «sono state incrementate in misura esorbitante», tanto che
l'intera disposizione sembrerebbe scritta come se tutte le
amministrazioni coinvolte fossero amministrazioni statali. Fa
presente la ricorrente che taluni provvedimenti indicati (come quelli
relativi agli scarichi nel sottosuolo, alla autorizzazione
paesaggistica, alla autorizzazione culturale e alla autorizzazione
riguardante il vincolo idrogeologico) sarebbero di competenza della
Provincia autonoma, che ha potesta' legislativa ed amministrativa in
materia di acque, di tutela e conservazione del patrimonio storico,
artistico e culturale e di tutela del paesaggio (art. 8, numeri 3, 6,
17 e 24, e art. 9, comma 9, in combinazione con l'art. 16 dello
statuto di autonomia). Essa lamenta, dunque, che, nel regolare
proprie funzioni, lo Stato l'abbia espropriata della potesta'
decisoria.
Cosi' facendo, lo Stato finirebbe per esercitare, mediante i
meccanismi di decisione finale della conferenza di servizi statale,
le funzioni amministrative proprie della ricorrente, in violazione
dell'art. 16 dello statuto speciale, nonche' dell'art. 4 del d.lgs.
n. 266 del 1992. Inoltre, osserva che il legislatore statale avrebbe
scelto il modulo procedimentale della conferenza di servizi «con
modalita' sincrona», prevista dall'art. 14-ter della legge n. 241 del
1990 (richiamato nei commi 1, 3, 4, 5, 6 e 7); la norma impugnata
richiama soltanto la disposizione (art. 14-ter, comma 7) che prevede
la possibilita' per la conferenza di servizi di deliberare sulla base
delle posizioni prevalenti espresse dalle amministrazioni
partecipanti alla conferenza, mentre non richiama l'art. 14-quinquies
che regola i rimedi per le amministrazioni dissenzienti.
Ove il rinvio contenuto nell'art. 27, comma 8, al solo art.
14-ter della legge n. 241 del 1990 (anziche' all'art. 14-ter e
seguenti) e la mancata menzione dell'art. 14-quinquies, fossero da
intendere come una volonta' legislativa di escludere l'applicabilita'
della disciplina dettata dall'art. 14-quinquies per i dissensi
qualificati, e in particolare per quelli manifestati dalle Province
autonome, la disposizione impugnata sarebbe ulteriormente
illegittima: (i) per violazione dell'autonoma amministrativa della
Provincia autonoma in relazione a tutte le competenze da essa
esercitate in materia ambientale (acque, paesaggio, opere idrauliche,
viabilita'), che verrebbero scavalcate da una decisione deliberata da
organi di altro ente; (ii) per violazione anche la potesta'
legislativa della Provincia autonoma, visto che secondo il comma 10,
il procedimento unico comporta una deroga alle disposizioni che
disciplinano i procedimenti dei titoli abilitativi in materia
ambientale di cui al comma 2, in relazione al primo rilascio; (iii)
per violazione del principio di sussidiarieta' e perche'
l'assorbimento della funzione dell'ente autonomo non avverrebbe in
una cornice di leale collaborazione.
L'istituto del rimedio per le amministrazioni dissenzienti, nella
sua conformazione rispettosa della leale collaborazione, sarebbe
infatti una condizione necessaria per la legittimita' costituzionale
delle previsioni di conferenze di servizi decisorie, ove siano
coinvolti enti di livello regionale (e' richiamata la sentenza n. 179
del 2012).
Questa ulteriore censura non avrebbe ragione di essere, a parere
della ricorrente, ove il richiamo all'art. 14-quater (e attraverso di
questo al 14-quinquies), contenuto nell'art. 14-ter, comma 7, potesse
assicurare comunque l'applicazione della disciplina di garanzia per
il dissenso della ricorrente Provincia autonoma.
15.- Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha depositato il 13
ottobre 2017, memoria di costituzione, chiedendo che il ricorso venga
rigettato.
15.1.- In merito alla pretesa violazione degli artt. 76 e 77
Cost., l'Avvocatura generale dello Stato deduce preliminarmente
l'inammissibilita' del motivo di ricorso, in quanto la legge di
delega non ha formato oggetto di impugnazione. Si osserva, al
riguardo, che ove i contenuti della delega diano luogo ad effettiva
lesione delle competenze regionali o provinciali, gli stessi devono
formare oggetto di tempestiva impugnazione a norma dell'art. 39 della
legge n. 87 del 1953: cio' a fine di consentire a questa Corte di
eliminare gli eventuali profili di illegittimita' senza aspettare che
tali vizi vengano riprodotti o addirittura ampliati nei decreti
delegati.
Il motivo relativo alla denunciata tardivita' dell'esercizio
della delega legislativa, con conseguente violazione degli artt. 76 e
77 Cost., sarebbe comunque infondato. L'Avvocatura dello Stato
osserva che il rinvio operato dalla legge di delega n. 114 del 2015,
ai termini di cui all'art. 31, comma 1, della legge n. 234 del 2012,
poi modificato ad opera della legge n. 115 del 2015, entrata in
vigore il 18 agosto 2015, ha natura recettizia. Innanzi tutto,
perche' la legge non puo' avere portata retroattiva e, dunque, la
legge novellatrice del termine, non puo' che riguardare le
fattispecie di delegazione legislativa successive, e non certo quelle
di cui alla legge n. 114 del 2015, entrata in vigore tre giorni
prima. In secondo luogo, ove la legge n. 115 del 2015 fosse ritenuta
di portata retroattiva, la stessa avrebbe potuto generare l'effetto
di produrre la scadenza di una delega ancora in corso, come si
sarebbe verificato almeno in un caso (si cita, al riguardo, la delega
per l'attuazione della direttiva 2012/29/UE, non ancora esercitata al
momento della entrata in vigore della legge n. 115 del 2015, e per la
quale, ove i nuovi e ridotti termini - da quattro a due mesi
antecedenti al termine di recepimento della direttiva - fossero stati
ritenuti di immediata applicabilita', il termine per l'esercizio
della delega sarebbe addirittura decorso prima della entrata in
vigore della stessa legge n. 115 del 2015). Simili approdi
risulterebbero ulteriormente evidenziati dalla incoerenza che si
determinerebbe nel disporre la abbreviazione dei termini di
recepimento di direttive, allo scopo verosimile di favorirne una
celere attuazione, con il contrario effetto di precludere il potere
delegato di attuazione.
Quanto all'ulteriore rilievo della ricorrente, secondo cui il
rinvio "secco" all'art. 31, comma 1, della legge n. 234 del 2012,
avrebbe comportato l'impossibilita' di avvalersi del meccanismo di
proroga del termine previsto in via generale dall'art. 31, comma 3
della stessa legge, la censura risulterebbe infondata per piu'
ragioni. La legge di delega n. 114 del 2015, infatti, rievoca le
"procedure" nonche' gli artt. 31 e 32 della legge n. 234 del 2012,
nella loro interezza, richiamando, cosi', anche le regole relative ai
pareri delle Commissioni parlamentari e i loro riflessi sui termini
di esercizio della delega legislativa.
Inoltre, si osserva, l'art. 31, comma 3, della legge n. 234 del
2012 contiene una norma di carattere generale destinata ad applicarsi
a tutte le leggi di delegazione europea, a meno che queste non
dispongano diversamente. Pertanto, una volta che la legge n. 114 del
2015 ha previso come obbligatorio il parere delle Commissioni
parlamentari, senza ulteriori puntualizzazioni, ne deriva l'integrale
applicabilita' della disciplina dettata dalla stessa legge n. 234 del
2012, in dipendenza di tale opzione. Pertanto, la natura recettizia
del rinvio operato all'art. 31, comma 1, della legge n. 234 del 2012,
non impediva al Governo di usufruire della proroga di cui all'art.
31, comma 3, della medesima legge.
15.2.- Sarebbero infondati pure i rilievi subordinati,
concernenti la pretesa illegittimita' della procedura in ragione
della scelta del Governo di trasmettere contestualmente lo schema di
decreto delegato alle Commissioni parlamentari ed alla Conferenza
Stato-Regioni, in violazione di quanto stabilito dall'art. 1, comma
3, della richiamata legge di delega n. 114 del 2015 e dall'art. 31,
comma 3, della legge n. 234 del 2012, in merito al fatto che la
trasmissione alla Camera dei deputati ed al Senato della Repubblica
dello schema di decreto delegato debba avvenire solo «dopo
l'acquisizione degli altri pareri previsti dalla legge». Ma, sostiene
l'Avvocatura, e' proprio la pretesa obbligatorieta' del parere della
Conferenza Stato-Regioni ad essere non fondata, in quanto la
disciplina della valutazione di impatto ambientale non rientrerebbe
fra le "materie" di competenza regionale, essendo ascrivibile, per
consolidata giurisprudenza costituzionale, alla «tutela dell'ambiente
e dell'ecosistema», di competenza statale esclusiva, a norma
dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. e non vi sarebbe
alcun "intreccio" con diversi ambiti materiali, ma soltanto
"incidenza" rispetto a funzioni regionali.
Deriverebbe da cio' che il Governo non aveva l'obbligo di
consultare la detta Conferenza, in ordine allo schema di decreto
legislativo per l'attuazione della «direttiva VIA»: dunque, il parere
richiesto avrebbe natura facoltativa e sfuggirebbe, pertanto, dal
campo di applicazione delle norme la cui violazione viene censurata
dalla ricorrente; esso poteva di conseguenza essere richiesto anche
contestualmente alla trasmissione alle Camere dello schema di
decreto. Risulterebbe correlativamente rispettato anche il principio
di leale collaborazione.
15.3.- Non fondate sarebbero anche le censure rivolte verso gli
artt. 5, comma 1, 22, commi da 1 a 4, e 26, comma 1, lettera a), del
d.lgs. n. 104 del 2017, in ragione del profondo riassetto e
allocazione presso lo Stato di numerose funzioni gia' provinciali in
tema di VIA. Si ribadisce, infatti, che la valutazione di impatto
ambientale rientra nella tutela dell'ambiente di esclusiva competenza
statale, imponendosi dunque alle Regioni ed alle stesse autonomie
speciali. Le funzioni amministrative statutariamente garantite alle
Province autonome sono dunque, in base all'art. 16 dello statuto
speciale, solo quelle relative alle materie per le quali la Provincia
autonoma puo' adottare norme legislative.
15.4.- A proposito, poi, della lamentata violazione degli artt.
8, 9 e 16 delle disposizioni statutarie, e degli artt. 117, terzo e
quarto comma, Cost, in riferimento all'art. 10 della legge cost. n. 3
del 2001, nonche' al prospettato eccesso di delega per mancanza di
intesa costituzionalmente necessaria, l'Avvocatura generale dello
Stato ne deduce la infondatezza, anzitutto ribadendo il principio
che, in tema di VIA, sussisterebbe la competenza esclusiva dello
Stato, vertendosi in materia di tutela dell'ambiente e
dell'ecosistema. Pertanto, sulla base del principio del parallelismo
amministrativo di cui all'art. 16 dello statuto di autonomia, le
funzioni amministrative in materia di VIA non rientrerebbero fra
quelle statutariamente garantite alla Provincia autonoma ricorrente.
Nella specie sarebbe dunque inconferente il richiamo alla chiamata in
sussidiarieta', applicandosi questa soltanto nella ipotesi in cui lo
Stato si appropri di funzioni amministrative in materie di
legislazione regionale: il che non si verifica nel caso di specie.
Conseguentemente, non si richiedeva alcuna intesa con le Regioni,
posto che tale modulo procedurale riguarda la chiamata in
sussidiarieta' in relazione all'esercizio di funzioni amministrative,
ma non per il procedimento di formazione legislativa.
Inconferente sarebbe la pretesa irragionevolezza per sproporzione
dell'intervento di riallocazione delle funzioni amministrative,
tenuto conto della gia' rilevata applicazione dei principi di
sussidiarieta', adeguatezza e differenziazione, mentre improprio si
rivela il richiamo alla sentenza n. 251 del 2016, in quanto l'intesa
si impone come contenuto obbligatorio della legge di delegazione solo
nel caso di intreccio inestricabile tra ambiti competenziali statali
e regionali: il che non avviene in materia di VIA.
15.5.- L'Avvocatura ribadisce la esclusivita' della competenza
statale in materia, la quale non presenterebbe alcun intreccio con le
materie legislative rimesse alla Provincia autonoma, rievocando la
giurisprudenza costituzionale formatasi al riguardo. Quanto, poi,
alla disciplina del procedimento amministrativo, il legislatore
statale disporrebbe di un ulteriore titolo di competenza esclusiva
nel dettare i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i
diritti civili e sociali, a norma dell'art. 117, secondo comma,
lettera m), Cost.
Pertanto, la circostanza che in materia di VIA la Provincia
autonoma avesse dettato una propria disciplina, non inibiva allo
Stato di intervenire nuovamente per dettare regole tese a consentire
l'uniforme svolgimento del procedimento di VIA su tutto il territorio
nazionale. D'altra parte, sia pure ridimensionato, residua per le
Regioni e le Province autonome il potere di disciplinare con proprie
norme (art. 7-bis¸comma 8, del d.lgs. n. 152 del 206, introdotto
dall'art. 5 del d.lgs. n. 104 del 2017) l'organizzazione e
l'esercizio delle funzioni amministrative loro conferite in materia
di VIA, anche con regole intese a semplificare i procedimenti,
l'accesso del pubblico e degli altri soggetti pubblici interessati e
il coordinamento dei provvedimenti di competenza regionale e locale.
A sua volta, la clausola di salvaguardia dettata dall'art. 35-bis del
d.lgs. n. 152 del 2006, non opera per la VIA, essendo materia di
competenza esclusiva statale, ma si riferisce a profili che ricadano
nelle materie previste dagli statuti speciali.
15.6.- Le disposizioni impugnate, prosegue l'Avvocatura,
sarebbero illegittime, in quanto invasive, secondo la Provincia
ricorrente, di numerose competenze legislative provinciali, derivanti
dalle disposizioni statutarie (artt. 8, 9 e 16) e costituzionali
(art. 117, terzo e quarto comma, Cost, in combinazione con la
clausola di equiparazione di cui all'art. 3 della legge cost. n. 3
del 2001). Le stesse disposizioni sarebbero, ad avviso della
ricorrente, lesive della norma di attuazione dello statuto speciale
recata dall'art. 19-bis del d.P.R. n. 381 del 1974, in base alla
quale "[a]i fini dell'esercizio delle funzioni delegate con il
presente decreto le Province autonome di Trento e di Bolzano, per il
rispettivo territorio, applicano la normativa provinciale in materia
di organizzazione degli uffici, di contabilita', di attivita'
contrattuale, di lavori pubblici e di valutazione di impatto
ambientale".
Anche queste censure sarebbero infondate. Si ribadisce, al
riguardo, che la pretesa lesione di competenze legislative
provinciali non sussisterebbe, in quanto la materia della VIA rientra
nell'ambito della legislazione statale esclusiva in tema di tutela
dell'ambiente, senza che sia registrabile alcun riflesso o
"frazionabilita'" del regime competenziale in questo o quell'ambito
materiale di spettanza provinciale. A proposito, poi, della pretesa
violazione dell'art. 19-bis del d.P.R. n. 381 del 1974, si
tratterebbe di disposizione relativa alle sole funzioni delegate
dallo Stato, diverse ed ulteriori rispetto a quelle garantite
statutariamente alla Provincia autonoma; disposizione che sarebbe
nella specie rispettata in ragione del fatto che, come gia'
osservato, le competenze provinciali in tema di VIA sono state
ridotte ma non azzerate.
15.7.- Le censure degli artt. 8 e 16, comma 2, del d.lgs. n. 104
del 2017 sarebbero prive di fondamento, essendo le disposizioni
impugnate necessarie a garantire l'omogenea applicazione delle norme
sulla VIA sul territorio nazionale, a seguito dell'entrata in vigore
delle regole piu' stringenti, di cui alla direttiva 2014/52/UE.
15.8.- Infondata anche la doglianza di cui all'impugnato art. 24
(ove applicabile alle Province autonome). Per l'Avvocatura la
disciplina rientrerebbe nella competenza esclusiva dello Stato sulla
tutela dell'ambiente e, per quanto concerne il procedimento di VIA
regionale, nella competenza esclusiva in materia di livelli
essenziali delle prestazioni; la possibilita' di ricondurre alcuni
istituti del procedimento amministrativo - compresa la conferenza di
servizi - alla competenza statale sui livelli essenziali delle
prestazioni sarebbe affermata all'art. 29, commi 2-bis e 2-ter, della
legge n. 241 del 1990, che dunque si colloca, sotto questo aspetto,
in linea di continuita' con le pronunce del giudice costituzionale.
Di conseguenza, l'impugnato art. 24 non realizzerebbe alcuna
espropriazione delle competenze provinciali, ne' alcun contrasto con
l'art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, atteso che tale norma di
attuazione dello statuto speciale si riferirebbe alla diversa
fattispecie delle materie statutariamente spettanti alla Provincia
autonoma, rispetto alle quali essa regolerebbe le modalita' di
adeguamento della legislazione provinciale ai limiti recati dalla
legislazione statale.
15.9.- L'Avvocatura dello Stato passa poi ad esaminare la pretesa
violazione della competenza provinciale a dare immediata attuazione
alle direttive europee nelle materie provinciali; competenza, questa,
gia' prevista dall'art. 7 del d.P.R. n. 526 del 1987 ed ora sancita
dall'art. 117, quinto comma, Cost. e ribadita dall'art. 59 della
legge n. 234 del 2012, che mantiene ferme, per le autonomie speciali,
le disposizioni contenute negli statuti di autonomia e nelle relative
norme di attuazione.
Pure tali doglianze risulterebbero infondate, ancora una volta
partendo dalla premessa che la VIA rientra nella competenza esclusiva
statale in tema di tutela dell'ambiente e di previsione dei livelli
essenziali delle prestazioni. L'art. 117, quinto comma, Cost.
consente, infatti, alle Regioni e alle Province autonome di
provvedere all'attuazione ed esecuzione degli atti dell'Unione
europea soltanto nelle materie di loro competenza. Nella specie,
pertanto, non sarebbe stato esercitato alcun potere sostitutivo,
venendo dunque meno la pertinenza del richiamo all'art. 41, comma 1,
della legge n. 234 del 2012 e la pretesa violazione dell'art. 117,
quinto comma Cost.
15.10.- Le censure di violazione degli artt. 3 e 97 Cost.
sarebbero, invece, anzitutto inammissibili per genericita', in quanto
la ricorrente avrebbe speso argomenti apodittici per dedurre la
violazione dei principi di ragionevolezza, proporzionalita' e buon
andamento della pubblica amministrazione. Non sarebbero stati infatti
chiariti i profili di peculiarita' organizzative e istituzionali
incisi dalla disciplina statale, ne' spiegate le ragioni per le quali
le limitazioni degli spazi rimessi alla legislazione locale
comprometterebbero la buona amministrazione. Nel merito, si
tratterebbe comunque di doglianze infondate, in quanto la disciplina
impugnata mira ad attuare la direttiva europea in modo uniforme, in
linea con il carattere di particolarmente dettaglio delle procedure
stabilite in sede comunitaria e non drogabili da parte degli
ordinamenti nazionali, pena il rischio di procedure di infrazione.
Infine, nessuna lesione sarebbe riscontrabile in riferimento ai
principi e criteri direttivi di cui all'art. 14 della legge delega n.
114 del 2015, in quanto l'intervento legislativo censurato avrebbe
pienamente realizzato l'obiettivo della "armonizzazione" e gli altri
principi di semplificazione e razionalizzazione tracciati dalla legge
di delega.
15.11.- In relazione all'impugnato art. 23, comma 4, sarebbero
non fondate le doglianze correlate agli obblighi di adeguamento della
legislazione provinciale ai limiti introdotti dalla legislazione
statale, in base alle disposizioni di attuazione dello statuto
speciale previste dal d.lgs. n. 266 del 1992, dal momento che gli
obblighi di adeguamento di cui all'art. 23, comma 4, del d.lgs. n.
104 del 2017, riguardando la tutela dell'ambiente e i livelli
essenziali, di competenza esclusiva dello Stato, esulano dal citato
d.lgs. n. 266 del 1992. A proposito poi del termine "perentorio" di
adeguamento, lo stesso non equivale ad escludere definitivamente il
potere di adeguamento della Provincia autonoma, ma legittima
esclusivamente l'intervento sostitutivo dello Stato. Cio' e'
dimostrato dal rinvio all'art. 41 della legge n. 234 del 2012, ove si
stabilisce il carattere cedevole dell'intervento sostitutivo dello
Stato stesso.
15.12.- Parimenti infondate si rivelerebbero le censure rivolte
al potere sostitutivo di cui alla norma censurata, laddove -
richiamando l'art. 7-bis, comma 8, del d.lgs. n. 152 del 2006,
introdotto dall'art. 5 del d.lgs. n. 104 del 2017 - stabilisce
l'obbligo per le Regioni e Province autonome di dettare norme di
organizzazione e disciplina delle modalita' di esercizio delle
funzioni ammnistrative loro attribuite in materia di VIA, trattandosi
di un obbligo connesso alle esigenze di funzionamento unitario delle
procedure in materia. Il potere sostitutivo di cui all'art. 23, comma
4, del decreto impugnato rinverrebbe, dunque, la propria
legittimazione direttamente nell'art. 117, quinto comma, Cost,
applicabile alle autonomie speciali, senza la mediazione dell'art. 10
della legge cost. n. 3 del 2001, e della clausola di adeguamento
automatico ivi prevista. A proposito, poi, dell'esigenza - lamentata
nel ricorso - di un ulteriore termine di diffida, lo stesso e'
assicurato dall'art. 43, comma 2, della legge n. 234 del 2012, che
rinvia all'art. 8 della legge cost. n. 3 del 2001, ove appunto si
prevede che la procedura sostitutiva sia preceduta da diffida.
16.- La Provincia autonoma di Trento ha depositato, il 29 maggio
2018, una diffusa memoria, nella quale ha formulato deduzioni per
contrastare la fondatezza dei rilievi svolti dall'Avvocatura generale
dello Stato nell'atto di costituzione in giudizio.
16.1.- A proposito della preliminare eccezione di
inammissibilita', per mancata impugnazione della legge delega, la
Provincia ricorrente rammenta che l'istituto della acquiescenza non
e' applicabile nel giudizio di legittimita' costituzionale in via
principale, dal momento che anche la mera riproduzione di una norma
reitera la lesione, legittimando il ricorso, sottolineando come
argomenti contrari non siano desumibili dalla sentenza n. 261 del
2017, riferendosi questa non alla riproduzione, ma alla semplice
applicazione della legge di delega.
16.2.- Quanto al rinvio operato dall'art. 1, comma 2, della legge
delega n. 114 del 2015, all'art. 31, comma 1, della legge n. 234 del
2012, la Provincia autonoma ricorrente contesta la tesi
dell'Avvocatura che invoca il principio di irretroattivita' della
legge, in quanto trattandosi di successione temporale connessa ad un
procedimento vale il principio tempus regit actum. Sicche' gli
inconvenienti esemplificati dall'Avvocatura potevano trovare
altrimenti rimedio, considerato, fra l'altro, che residuava intatto -
decaduto il potere normativo del Governo - il potere normativo del
Parlamento.
16.3.- A proposito del meccanismo di proroga di cui all'art. 31,
comma 3, della legge n. 234 del 2012, la lettura estensiva offerta
dall'Avvocatura non sarebbe praticabile, in quanto la fissazione del
termine e' contenuta in una norma speciale, rappresentata dal solo
art. 31, comma 1, della citata legge. Interpretazione estensiva,
d'altra parte, contraddittoria rispetto alla ritenuta natura
recettizia del richiamo operato dall'art. 1, comma 2, della legge di
delega, giacche' allo stesso rinvio verrebbe attribuito un valore
diverso a due effetti: recettizio, nella misura de termine, e mobile
quanto alla "procedura" di proroga.
16.4.- Sul tema della acquisizione dei pareri, la tesi
dell'Avvocatura, secondo la quale in tema di VIA, attesa la
competenza esclusiva dello Stato, il parere della Conferenza
Stato-Regioni sarebbe non "obbligatorio per legge", la Provincia
ricorrente osserva che nella specie non viene in discorso la sentenza
n. 251 del 2016 (ipotesi di intreccio di competenze non risolvibile
sul piano della prevalenza, la quale darebbe luogo, piuttosto, alla
necessita' della intesa e non del parere), ma la previsione dettata
dall'art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 281 del 1997, per il quale il
parere della Conferenza e' obbligatorio nelle materie di competenza
delle Regioni o delle Province autonome, conformemente al principio
di leale collaborazione, di cui all'art. 120, secondo comma, Cost. La
disposizione indicata si riferirebbe, infatti, a tutti i casi di
interferenza tra ambiti competenziali, come, dopo la riforma del
Titolo V, della Parte seconda della Costituzione, avviene in tutte le
materie trasversali, quali la disciplina ambientale: in particolare,
con riferimento alla VIA e alla Valutazione di incidenza ambientale
(VINCA), «che condiziona direttamente la regolazione dei procedimenti
amministrativi regionali (e provinciali) e le stesse funzioni
amministrative esercitate da Regione e Province autonome, nei termini
gia' compiutamente esposti nel ricorso». Si conclude sul punto
osservando che se il legislatore fosse intervenuto con legge
ordinaria non sarebbe stato necessario acquisire il parere della
Conferenza per i profili di prevalente competenza statale: nel caso
di decreto delegato, il Governo era obbligato ad acquisire il parere.
16.5.- A proposito dell'applicazione della disciplina della
proroga del termine per l'esercizio della delega, si ribadisce che la
doglianza si e' concentrata sull'abuso del procedimento, che avrebbe
ingenerato una proroga artificiosa, e sulla violazione dell'obbligo
costituzionale - desumibile dall'art. 117, primo comma, Cost. - di
tempestivo recepimento della direttiva. Ragione per la quale il caso
di specie sarebbe diverso da quello che e' stato scrutinato con la
sentenza n. 261 del 2017. La disciplina dettata dall'art. 1, comma 3,
della legge di delega, riflettendosi nei rapporti con l'Unione
europea, prevedeva una scansione precisa che faceva scattare la
proroga solo nel momento in cui mancasse l'ultimo parere che veniva
riservato alle Commissioni parlamentari.
16.6.- A proposito delle censure relative agli artt. 5, comma 1,
22, commi da 1 a 4, e 26, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 104 del
2017, connesse al massiccio spostamento in capo allo Stato di
funzioni provinciali, si contesta l'assunto dell'Avvocatura relativo
alla competenza statale esclusiva in materia, evocando la
giurisprudenza costituzionale che avrebbe sempre riconosciuto che la
Provincia autonoma dispone di funzioni regolatorie ed esecutive in
materia, mentre il dovere di rispettare i limiti derivanti dalla
legislazione statale non contrasta con tale competenza, dal momento
che anche le potesta' statutarie si imbattono nei limiti tracciati
dagli artt. 4 e 5 dello statuto speciale. Si ribadisce, al riguardo
la pertinenza del richiamo al gia' citato art. 19-bis del d.P.R. n.
381 del 1974, di attuazione dello Statuto in tema di competenza
provinciale in tema di VIA, circa le funzioni delegate dallo Stato in
materia di opere pubbliche e, quindi, "anche" alle funzioni delegate,
presupponendo che la legislazione provinciale riguardi la VIA, anche
per cio' che attiene alle materie "proprie" della Provincia autonoma.
Il tutto - afferma la Provincia ricorrente - sarebbe asseverato da
quanto previsto dal novellato art. 13 dello statuto speciale, ove,
nella determinazione delle concessioni in materia di demanio idrico,
siano valutati anche "gli aspetti paesaggistici e di impatto
ambientale".
16.7.- Errato sarebbe anche l'assunto secondo il quale la nuova
allocazione delle competenze era necessario in ragione dell'assetto
delle competenze derivante dalla riforma del Titolo V della seconda
parte della Costituzione, dal momento che, per un verso, l'originaria
ripartizione era stata gia' rivista dal d.lgs. n. 152 de 2006 e, per
altro, simile linea sarebbe stata «giocata contro» le Province
autonome e dunque contro l'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001.
16.8.- In merito agli obblighi di adeguamento, stabiliti
dall'impugnato art. 23, comma 4 - in contrasto con le garanzie
contenute nell'art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, e con la disciplina
del potere sostitutivo di cui all'art. 117, quinto comma, e con
l'art. 120, secondo comma, Cost., nonche' rispetto alle norme di
attuazione dello statuto speciale contenute nell'art. 8 del d.P.R. n.
526 del 1987 - si osserva, a fronte dei rilievi della Avvocatura, che
lo Stato nell'esercitare la propria competenza a norma dell'art. 117,
secondo coma, Cost., non puo' cancellare i poteri normativi
provinciali previsti dallo statuto e dalle relative norme di
attuazione; ribadendosi, per il resto, i rilievi gia' svolti nel
ricorso.
17.- Con ricorso notificato il 4-7 settembre 2017 e depositato
l'8 settembre 2017 (reg. ric. 69 del 2017), la Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia ha promosso questioni di legittimita'
costituzionale degli artt. 5, comma 1 - nella parte in cui introduce
i commi 2 e 3 dell'art. 7-bis del d.lgs. n. 152 del 2006 - 12, 13,
comma 1, 14, 22, commi da 1 a 4, e 26, comma 1, lettera a), del
d.lgs. n. 104 del 2017, deducendo la violazione degli artt. 3, 5, 76,
97, 117, primo, secondo e terzo comma, e 118 Cost., nonche' degli
artt. 4 e 5 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto
speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia) e dell'art. 10 della
legge cost. n. 3 del 2001.
17.1.- L'impugnato art. 5, introducendo i commi 2 e 3 dell'art.
7-bis del d.lgs. n. 152 del 2006, opera un rinvio agli appositi
allegati, ripartiti per progetti sottoposti a VIA statale, progetti
sottoposti a verifica di assoggettabilita' VIA in sede statale,
progetti sottoposti a VIA e a verifica di assoggettabilita' VIA in
sede regionale.
17.2.- Ad avviso della ricorrente, l'impugnato art. 22, a sua
volta, opera una modifica del contenuto degli elenchi in senso
"unidirezionale", giacche', attraverso le nuove classificazioni, si
determina un sensibile depotenziamento delle competenze regionali,
con contestuale incremento della competenza statale. Gli spostamenti
all'ambito rimesso all'attivita' amministrativa statale sono
completati attraverso l'abrogazione della precedente disciplina da
parte del censurato art. 26 del d.lgs. n. 104 del 2017.
La contestata riduzione delle competenze dell'amministrazione
regionale determinerebbe un'ulteriore limitazione delle competenze
regionali, definite dagli artt. 4 e 5 dello statuto di autonomia e
dall'art. 117, terzo comma, Cost., venendo queste in rilievo in
procedimenti complessi come quello di valutazione dell'impatto
ambientale.
17.3.- Il censurato art. 12 sostituisce l'art. 23, comma 4,
secondo periodo, del d.lgs. n. 152 del 2006, ove si prevede che, a
seguito della presentazione dell'istanza e della sua eventuale
integrazione, «l'autorita' competente comunica contestualmente per
via telematica a tutte le Amministrazioni e a tutti gli enti
territoriali potenzialmente interessati e comunque competenti ad
esprimersi sulla realizzazione del progetto, l'avvenuta pubblicazione
della documentazione nel proprio sito web»; l'art. 13, comma 1, ha
riformato l'art. 24, comma 3, secondo periodo, del d.lgs. n. 152 del
2006, ove si prevede che «Entro il medesimo termine [60 giorni
dall'avviso pubblico di presentazione dell'istanza di VIA, ai sensi
del novellato art. 24, comma 1, del decreto legislativo n. 152 del
2006] sono acquisiti per via telematica i pareri delle
Amministrazioni e degli enti pubblici che hanno ricevuto la
comunicazione di cui all'art. 23, comma 4»; l'impugnato art. 13,
comma 1, ha riformato l'art. 24, comma 5, secondo periodo, del d.lgs.
n. 152 del 2006, ove si prevede che, in caso di richiesta di
modifiche o integrazioni della documentazione da parte dell'istante,
«in relazione alle sole modifiche o integrazioni apportate agli
elaborati progettuali e alla documentazione si applica il termine di
trenta giorni per la presentazione delle osservazioni e la
trasmissione dei pareri delle Amministrazioni e degli enti pubblici
che hanno ricevuto la comunicazione di cui all'art. 23, comma 4»;
ancora, l'impugnato art. 14 ha modificato l'art. 25, comma 1, primo
periodo, del d.lgs. n. 152 del 2006, in base al quale «[l]'autorita'
competente valuta la documentazione acquisita tenendo debitamente
conto dello studio di impatto ambientale, delle eventuali
informazioni supplementari fornite dal proponente, nonche', dei
risultati delle consultazioni svolte, delle informazioni raccolte e
delle osservazioni e dei pareri ricevuti a norma degli articoli 24 e
32».
17.3.1.- Il profilo di lesione emergerebbe dal raffronto con la
precedente formulazione dell'art. 25, comma 2, del d.lgs. n. 152 del
2006: «l'autorita' competente acquisisce e valuta tutta la
documentazione presentata, le osservazioni, obiezioni e suggerimenti
inoltrati ai sensi dell'art. 24, nonche', nel caso dei progetti di
competenza dello Stato, il parere delle regioni interessate che
dovra' essere reso entro novanta giorni dalla presentazione di cui
all'art. 23, comma l».
Nella precedente formulazione il ruolo regionale nella «VIA
statale» sarebbe stabilito «in maniera esplicita», fugando ogni
dubbio sulla necessaria consultazione delle Regioni nel procedimento
stesso; la nuova formulazione, invece, ridurrebbe simile garanzia di
partecipazione procedimentale, atteso che le disposizioni impugnate
farebbero riferimento soltanto alle «Amministrazioni» e agli «enti
territoriali potenzialmente interessati» alla realizzazione del
progetto.
Per la ricorrente, l'amministrazione statale competente, alla
quale verrebbe affidato, senza la determinazione di criteri
valutativi, l'apprezzamento di quali siano tali «Amministrazioni» ed
«enti», potrebbe opinare la mancata competenza della Regione in
proposito, con la conseguenza che la essa sarebbe «messa di fronte al
fatto compiuto», anche dopo la scadenza dei termini utili per far
valere le proprie ragioni in sede giurisdizionale.
Ad avviso della Regione autonoma, le menzionate disposizioni non
avrebbero adeguatamente recepito la direttiva 2014/52/UE; al
contrario, ne avrebbero violato l'art. 6, paragrafo 1, lettera a).
Il d.lgs. n. 104 del 2017 non avrebbe rispettato i criteri della
legge di delega n. 114 del 2015, espressi dagli artt. 1 e 14 e dagli
artt. 31 e 32 della legge n. 234 del 2012, in quanto richiamati
dall'art. 1 della legge delega stessa, nonche' dalla direttiva da
recepire (atteso che, per costante giurisprudenza costituzionale,
«nel caso di delega per l'attuazione di una direttiva comunitaria, i
principi che quest'ultima esprime si aggiungono a quelli dettati dal
legislatore nazionale e assumono valore di parametro interposto» in
riferimento all'art. 76 Cost.; sono richiamate le sentenze n. 250 del
2016 e n. 210 del 2015).
Per la ricorrente il dato normativo di riferimento, rappresentato
dal richiamato art. 6, paragrafo 1, della direttiva 2014/52/UE,
imporrebbe la consultazione delle amministrazioni territoriali
competenti sul territorio sul quale si riverberano gli effetti
ambientali dell'intervento sottoposto a VIA. Per la Regione autonoma
la disposizione della direttiva richiederebbe la consultazione di
ogni amministrazione che risponda al criterio di competenza
«funzionale» (responsabilita' in materia di ambiente) o territoriale
(«competenze locali o regionali»). Sarebbe pertanto sufficiente che
un'amministrazione avesse una sola di queste caratteristiche per
entrare nell'ambito d'applicazione della norma, sicche' l'istruttoria
non potrebbe considerarsi completa se l'autorita' statale avesse
consultato solamente un'amministrazione che ha responsabilita'
ambientali «o» una che ne ha di territoriali.
Per recepire adeguatamente la direttiva, lo Stato avrebbe dovuto
garantire la partecipazione al procedimento di tutte le
amministrazioni territoriali (vengono citati gli artt. 7 e seguenti
della Convenzione sull'accesso alle informazioni, la partecipazione
del pubblico ai processi decisionali e l'accesso alla giustizia in
materia ambientale, con due allegati, fatta ad Aahrus il 25 giugno
1998 e ratificata con legge 16 marzo 2001, n. 108, e richiamata nel
considerando n. 18 della direttiva 2011/92/UE); le impugnate
disposizioni pertanto non avrebbero adeguatamente recepito la
direttiva richiamata, prevedendo genericamente la consultazione degli
enti territoriali interessati.
17.3.2.- Risulterebbe evidente anche il vizio di eccesso di
delega, per violazione degli artt. 1 e 14 della legge n. 114 del
2015, con conseguente violazione dell'art. 76 Cost., nonche', la
lesione dei principi di ragionevolezza e di buon andamento della
pubblica amministrazione ex artt. 3 e 97 Cost., atteso che il
legislatore statale, invece di «designare» in astratto gli enti da
consultare avrebbe lasciato l'amministrazione statale procedente
«arbitra dell'intero procedimento» nel coinvolgimento degli enti,
determinando un «irragionevole malfunzionamento» del procedimento
stesso.
Il vizio di eccesso di delega emergerebbe anche dalla violazione
dei principi e criteri direttivi per l'esercizio della delega,
sanciti dall'art. 32, comma 1, lettera g), della legge n. 234 del
2012, richiamato dall'art. 1 della citata legge delega n. 114 del
2015, che indicano l'individuazione delle «opportune forme di
coordinamento» procedimentale per i casi di coinvolgimento delle
competenze di piu' amministrazioni.
Nella specie il procedimento di VIA determinerebbe una
«sovrapposizione di competenze» tra amministrazione statale e
regionale; ciononostante, in violazione dell'art. 117, secondo comma,
Cost., sarebbe stato negato il necessario coinvolgimento regionale
derivante dall'intreccio delle competenze.
Il procedimento di VIA avrebbe ad oggetto la localizzazione, la
realizzazione e la successiva gestione di interventi di rilievo per
l'ambiente, le comunita' locali, il loro sviluppo e la salute
pubblica. Si tratterebbe di procedimenti che concernono la gestione
tanto dei beni ambientali quanto delle altre risorse socio-economiche
di un territorio. In simile contesto, il procedimento inciderebbe su
numerose competenze che lo statuto di autonomia e l'art. 117, comma
3, Cost., attribuiscono alla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e
in particolare: le materie di competenza primaria regionale ex art. 4
dello statuto, quali «industria e commercio»; «viabilita', acquedotti
e lavori pubblici di interesse locale e regionale»; «turismo e
industria alberghiera»; «trasporti su funivie e linee
automobilistiche, tranviarie e filoviarie, di interesse regionale»;
«urbanistica»; «acque minerali e termali»; le materie di competenza
concorrente ex art. 5 dello statuto «disciplina dei servizi pubblici
di interesse regionale ed assunzione di tali servizi»; «miniere, cave
e torbiere»; «linee marittime di cabotaggio tra gli scali della
Regione»; «utilizzazione delle acque pubbliche, escluse le grandi
derivazioni: opere idrauliche di 4ª e 5ª categoria»; «igiene e
sanita'»; «servizi antincendi»; «opere di prevenzione e soccorso per
calamita' naturali»; le materie di competenza concorrente ex art.
117, comma 3, Cost. (applicabile alle Regioni speciali secondo l'art.
10 della legge cost. n. 3 del 2001) «tutela e sicurezza del lavoro»;
«ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i
settori produttivi»; «tutela della salute»; «protezione civile»;
«porti e aeroporti civili»; «grandi reti di trasporto e di
navigazione»; «produzione, trasporto e distribuzione nazionale
dell'energia»; «valorizzazione dei beni culturali e ambientali.
Emergerebbe la competenza della Regione autonoma, quale ente
esponenziale della comunita' territoriale (e' richiamata la sentenza
n. 81 del 2013, oltre alle sentenze n. 303 del 2003, n. 407 e n. 536
del 2002). La ricorrente valorizza anche la giurisprudenza
amministrativa che avrebbe sottolineato il «carattere ampiamente
discrezionale che connota la valutazione di impatto ambientale»
(sentenze del Consiglio di Stato, sezione quinta, 23 marzo 2015, n.
1564; 31 maggio 2012, n. 3254; 22 giugno 2009, n. 4206; sezione
quarta, 5 luglio 2010, n. 4246; sezione sesta, 17 maggio 2006, n.
2851).
Conseguentemente, nel disciplinare il procedimento di adozione
della VIA statale, il d.lgs. n. 104 del 2017 avrebbe dovuto
espressamente prevedere la partecipazione al procedimento della
Regione ricorrente per gli interventi che ricadono nel suo
territorio, e non genericamente la consultazione delle
amministrazioni «potenzialmente interessate», in lesione dei principi
e criteri direttivi della legge delega e di conseguenza dell'art. 76
Cost., che determinerebbe un'irragionevole compressione delle
competenze della ricorrente, di cui agli artt. 4 e 5 dello statuto
speciale e dell'art.117 Cost.
17.3.3.- Per la ricorrente, inoltre, l'inespressa previsione
dell'obbligo di richiedere il parere regionale nel procedimento di
VIA statale, per contrasto con l'art. 32, comma 1, lettera g), della
legge n. 234 del 2012, determinerebbe anche la violazione del
principio di leale collaborazione. Ricorda la ricorrente che la
giurisprudenza costituzionale imporrebbe l'adozione di meccanismi di
partecipazione procedimentale delle Regioni, sia quando la funzione
pubblica regolata si pone all'incrocio di varie materie regionali e
statali, legate «in un nodo inestricabile» (e' richiamata la sentenza
n. 21 del 2016), sia quando un giudizio di prevalenza e' possibile
(sentenza n. 230 del 2013). Ancorche' la disciplina della VIA sarebbe
riconducibile alla materia della «tutela dell'ambiente», l'incidenza
sugli ambiti competenziali regionali imporrebbe «una reale e
significativa partecipazione della Regione» al procedimento,
assicurata solo attraverso la garanzia della consultazione regionale.
Anche per questo profilo la violazione del principio di leale
collaborazione determinerebbe un'irragionevole e illegittima
compressione dell'autonomia della ricorrente negli ambiti materiali
sopra elencati, ai sensi degli artt. 4 e 5 dello statuto e dell'art.
117, terzo comma, Cost.
17.3.4.- La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ritiene
altresi' illegittimo l'art. 13, comma 1, del d.lgs. n. 104 del 2017,
nella parte in cui sostituisce l'art. 24, comma 5, del d.lgs. n. 152
del 2006. La disposizione sarebbe illegittima nella parte in cui, in
caso di VIA statale, rimetterebbe alla discrezionalita' dello Stato
la richiesta di un supplemento di parere da parte delle altre
amministrazioni consultate, in caso di modifiche o integrazioni agli
elaborati progettuali, anziche' prevedere che ad esse sia sempre
consentito di formulare ulteriori osservazioni e pareri.
Il mancato riconoscimento di tale garanzia procedimentale
determinerebbe la violazione dell'art. 76 Cost., per violazione dei
principi direttivi espressi dall'art. 1, paragrafo 6, della direttiva
2014/52/UE, nonche' dall'art. 32, comma 1, lettera g), della legge n.
234 del 2012, richiamato dall'art. 1 della legge n. 114 del 2015;
l'illegittimo esercizio della competenza legislativa statale in
materia di «tutela dell'ambiente», ex art. 117, comma 2, lettera s),
Cost.; la violazione dei principi di ragionevolezza, buon andamento
della pubblica amministrazione e leale collaborazione, ex artt. 3, 5,
97, 117 e 118, Cost. Tali vizi determinerebbero un'irragionevole
compressione dell'autonomia regionale, negli ambiti di competenza
legislativa, ai sensi degli artt. 4 e 5 dello statuto speciale e
dell'art. 117, comma terzo, Cost.
17.3.5.- La ricorrente censura altresi' gli artt. 5, 12, 13, 14,
22 e 26 del d.lgs. n. 104 del 2017, per violazione del principio di
leale collaborazione di cui agli artt. 5, 117 e 118 Cost. (per un
ulteriore profilo), oltre che per violazione degli artt. 4 e 5 dello
statuto speciale e dell'art. 117 Cost.
Ribadisce la Regione autonoma di non contestare la competenza
statale nel regolare il procedimento di VIA; lamenta pero' la
violazione del principio di leale collaborazione per il profilo
relativo al procedimento di adozione del decreto delegato n. 104, in
conformita' ai dettami della sentenza n. 251 del 2016 (e' richiamata
anche la sentenza n. 81 del 2013).
Anche ove si configurasse la «prevalenza» della competenza
esclusiva statale in materia di «tutela dell'ambiente», sarebbe
comunque necessario il ricorso all'intesa con la ricorrente per
l'adozione del decreto delegato qui impugnato (si richiama la
sentenza n. 230 del 2013); anche in questo caso la partecipazione
regionale non sarebbe garantita dalla formula «sentite le regioni
interessate».
Nella definizione del decreto delegato, lo Stato, dopo aver
acquisito il «parere favorevole condizionato» della Conferenza
Stato-Regioni (richiamato l'atto rep. n. 61/ESR del 4 maggio 2017),
non avrebbe ritenuto di attivare le ulteriori «procedure di
consultazione» tese al «superamento delle divergenze, basate sulla
reiterazione delle trattative o su specifici strumenti di mediazione»
(sono richiamate le sentenze n. 1 e n. 251 del 2016; n. 121 del 2010)
e avrebbe confermato il testo dello schema di decreto sottoposto
all'esame della Conferenza, senza recepire alcuna indicazione
formulata nel parere.
Non sarebbero state recepite le proposte emendative relative al
ruolo delle Regioni nel procedimento di VIA in sede statale (artt.
12, 13 e 14 del d. lgs. n. 104 del 2017; sono richiamate le pagine
«5, 12, 17 del parere della Conferenza Stato-Regioni»); alla
riduzione delle competenze regionali sugli interventi sottoposti alla
valutazione d'impatto ambientale e alla verifica di assoggettabilita'
alla VIA (artt. 5 e 22 del d.lgs. n. 104 del 2017; «cfr. p. 5, 6, 7,
12, 22 e 27 del parere della Conferenza Stato-Regioni»); alla deroga
per i progetti concernenti interventi di protezione civile (art. 3
del d.lgs. n. 104 del 2017; «cfr. p. 15 del parere della Conferenza
Stato-Regioni»), determinando cosi' una condotta «di blocco»,
estranea al principio di leale collaborazione.
17.3.6.- Premessi tali rilievi, la ricorrente deduce la
insussistenza, nella legge di delega, di principi e criteri direttivi
che legittimassero una simile operazione di riparto di competenze.
D'altra parte, la Corte di giustizia dell'Unione europea avrebbe
rimesso agli Stati la liberta' di regolare le competenze normative
sul piano interno. Nel caso di specie dovrebbe applicarsi la
giurisprudenza costituzionale che, in tema di delega per il riassetto
di complessi normativi, permette di modificare il riparto delle
competenze tra Stato e Regioni solo nel caso in cui la legge di
delega lo abbia espressamente consentito. Non ricorrendo tale ultima
condizione, risulterebbe violato l'art. 76 Cost. ed illegittimamente
esercitata la competenza statale in materia di tutela dell'ambiente
(art. 117, secondo comma, lettera s, Cost.), con correlativa
illegittima compressione della competenza della ricorrente, garantita
dagli artt. 4 e 5 dello statuto speciale e dall'art. 117, terzo
comma, Cost.
18.- Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, ha depositato il 13
ottobre 2017, memoria di costituzione, chiedendo il rigetto del
ricorso.
18.1.- A proposito della dedotta violazione delle norme
statutarie, congiuntamente a quella dell'art. 117, secondo e terzo
comma, Cost., il relativo motivo di ricorso sarebbe inammissibile per
genericita' e carenza di motivazione.
La ricorrente avrebbe infatti lamentato la violazione degli artt.
4 e 5 dello statuto speciale, senza indicare le ragioni per le quali
la disciplina statale sulla VIA inciderebbe sulle materie previste
dalle indicate disposizioni statutarie, ne' quali progetti attribuiti
alla competenza statale ricadrebbero fra quelle materie. Sarebbero
state poi cumulativamente evocate le disposizioni statutarie e quelle
costituzionali senza operare differenziazioni fra le stesse, tenuto
conto della clausola di adeguamento automatico prevista dall'art. 10
della legge costituzionale n. 3 del 2001.
18.2.- La censura sarebbe comunque infondata, in quanto la nuova
allocazione di funzioni si inquadrerebbe nei criteri di
semplificazione, armonizzazione e razionalizzazione delle procedure e
di rafforzamento delle procedure di valutazione di impatto ambientale
e di rafforzamento della qualita' delle stesse, enunciati nell'art.
14, comma 1, della legge delega n. 114 del 2015. Infatti, sottolinea
l'Avvocatura, armonizzare, razionalizzare e rafforzare le procedure
comporta anche la possibilita' di modificare il quadro allocativo
delle competenze, non senza sottolineare come tale nuova ripartizione
risulti rispondente al generale criterio di delega contenuto
nell'art. 32, comma 1, lettera g), della legge n. 234 del 2012, in
tema di ripartizione delle funzioni fra enti in caso di
sovrapposizioni di competenze o coinvolgimento di competenze fra piu'
amministrazioni, in vista della unitarieta' dei processi decisionali
e della ottimizzazione dell'azione amministrativa. Dunque, il
legislatore delegato era chiamato a verificare il rispetto dei
principi di sussidiarieta', differenziazione, adeguatezza e leale
collaborazione, anche alla luce dell'esperienza maturata nel tempo, e
ad adeguare tale assetto al quadro delle competenze che la
Costituzione «riconosce e garantisce alle Regioni tanto sul piano
della potesta' normativa quanto sul piano della potesta'
amministrativa, ove il primo non fosse conforme al secondo».
Il che sarebbe puntualmente avvenuto nel caso di specie.
Attraverso le modifiche apportate con le norme impugnate, il
legislatore delegato avrebbe infatti conseguito l'obiettivo
strategico - sottolinea l'Avvocatura - di razionalizzare il riparto
di competenze amministrative tra Stato e regioni, attraendo a livello
statale le procedure per i progetti relativi alle infrastrutture ed
agli impianti energetici sulla base della dimensione sovra-regionale
degli impatti da valutare, fatte salve le valutazioni di progetti ad
impatto endo-regionale. Valutazioni che, agli effetti dello scrutinio
di adeguatezza o inadeguatezza del livello regionale, devono essere
effettuate ex ante e per classi di casi, presentandosi il criterio
"dimensionale" degli impianti come espressivo del principio sancito
dall'art. 118, primo comma, Cost., per la corretta allocazione delle
funzioni amministrative ai diversi livelli territoriali di governo.
18.3.- A proposito del motivo di ricorso nel quale si lamenta la
violazione del principio di leale collaborazione ex artt. 5, 117 e
118 Cost., per mancata richiesta della intesa nell'esercizio della
delega legislativa, nonche' la violazione degli artt. 4 e 5 dello
statuto di autonomia, si osserva che, versandosi in materia
«trasversale» e «prevalente», la normativa statale in tema di tutela
dell'ambiente si imporrebbe integralmente nei confronti delle Regioni
che non possono contraddirla. Il che vale anche nei confronti delle
Regioni ad autonomia speciale. La giurisprudenza costituzionale,
d'altra parte, ha in varie occasioni puntualizzato come la tematica
della VIA debba ascriversi esclusivamente alla competenza statale in
materia ambientale, malgrado la possibile incidenza rispetto
all'esercizio delle funzioni regionali. Il che assevera la
legittimita' delle disposizioni censurate, non trascurando il fatto
che, nel novellare l'art. 23 del d.lgs. n. 152 del 2006, il decreto
impugnato ha previsto il necessario coinvolgimento non soltanto della
Regione, ma di tutte le amministrazioni potenzialmente interessate.
La difesa regionale, dunque, avrebbe confuso fra loro i piani
dell'«intreccio inestricabile» tra materie, che avrebbe comportato
l'intesa, rispetto alla semplice «incidenza» rispetto a funzioni
regionali, che e' quanto normalmente accade per materie trasversali,
come la tutela dell'ambiente o la fissazione dei livelli essenziali
delle prestazioni.
In merito, poi, alle doglianze relative al mancato recepimento
delle proposte emendative avanzate in sede di Conferenza
Stato-Regioni, si segnala come nella relazione illustrativa che ha
accompagnato lo schema di decreto, siano state «dettagliatamente
analizzate tutte le condizioni e proposte emendative formulate dalle
Regioni, fornendo per tutte quelle non accolte una puntuale
descrizione delle motivazioni alla base del mancato accoglimento».
18.4.- L'Avvocatura generale dello Stato eccepisce anche
l'infondatezza delle censure di cui agli artt. 12, 13 e 14, in quanto
secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, nella procedura di
VIA ascrivibile alla competenza statale, come disciplinata dal
novellato art. 23 del d.lgs. n. 152 del 2006, dette disposizioni
assicurerebbero la piena e completa attuazione della normativa
europea e la partecipazione «e la tempestiva informazione di tutte le
Amministrazioni e di tutti gli enti territoriali che siano
interessati» e comunque competenti ad esprimersi sulla realizzazione
del progetto.
18.5.- Infondata sarebbe la censura, sempre riferibile agli
impugnati artt. 12, 13 e 14, con riferimento alla violazione dei
principi di ragionevolezza e buon andamento, in quanto non
esisterebbe alcuna discrezionalita' in capo allo Stato quanto al
coinvolgimento degli enti territoriali interessati.
18.6.- L'Avvocatura dello Stato eccepisce, infine,
l'inammissibilita' della censura riferita all'eccesso di delega, in
violazione dell'art. 76 Cost., perche' non sarebbe mai stata
sollevata la questione di costituzionalita' della legge delega.
18.6.1.- La censura sarebbe comunque infondata per le motivazioni
gia' illustrate, riferite all'ampia partecipazione delle
amministrazioni interessate alla realizzazione del progetto su cui
interviene la VIA. Ritiene erronea la ricostruzione dell'assetto
competenziale in materia di VIA, con particolare riguardo alla
sussistenza di un «intreccio di competenze», ribadendo che l'istituto
della VIA ricadrebbe nell'ambito materiale di cui all'art. 117,
secondo comma, lettera s), Cost., da cui si ricaverebbe l'inesistenza
di alcuna violazione del principio di leale collaborazione.
19.- La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ha depositato, il
29 maggio 2018, memoria con la quale ha insistito nelle conclusioni
gia' rassegnate.
19.1.- A proposito della eccezione di inammissibilita', per
genericita' e difetto di motivazione, delle censure rivolte agli
artt. 5, 22 e 26 del decreto impugnato, si osserva che nel ricorso
sono stati analiticamente indicati i progetti gia' attribuiti alla
competenza regionale trasferiti a quella statale.
In merito, poi, all'eccezione di inammissibilita' perche' la
ricorrente avrebbe cumulativamente dedotto la violazione dei
parametri statutari e di quelli costituzionali, dal momento che solo
uno tra i due e' destinato ad applicarsi, alla stregua della clausola
di adeguamento automatico di cui all'art. 10 della legge cost. n. 3
del 2001, si osserva che - a differenza di quanto accade nel caso di
ricorso dello Stato contro una legge di una Regione ad autonomia
speciale - la Regione ad autonomia speciale puo' evocare
congiuntamente il parametro statutario e quello costituzionale, dal
momento che le garanzie costituzionali si aggiungono a quelle
statutarie.
Nel merito, le deduzioni svolte dall'Avvocatura per contestare la
fondatezza della questione relativa all'eccesso di delega, sarebbero
non fondate. Si osserva, infatti, che tanto per i profili di
«semplificazione, armonizzazione e razionalizzazione delle
procedure», che per quelli di «rafforzamento della qualita' della
procedura» e di «smart regulation», l'identificazione dell'autorita'
procedente sarebbe del tutto irrilevante.
20.- Con ricorso notificato il 1°-6 settembre 2017 e depositato
il 13 settembre 2017 (reg. ric. n. 70 del 2017), la Regione autonoma
Sardegna ha promosso questioni di legittimita' costituzionale degli
artt. 5, comma 1, 12, 13 e 14, 22, commi da 1 a 4, e 26, identiche a
quelle sollevate dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia (reg.
ric. n. 69 del 2017), salvo il riferimento - quanto ai parametri
statutari che si assumono violati - agli artt. 3 e 4 della legge
costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la
Sardegna).
20.1.- Le restanti censure di cui agli artt. 3, comma 1, lettere
g) e h), 8, 16 e 17, riguardano la partecipazione al procedimento di
VIA (e/o ai procedimenti connessi) da parte del Ministero dei beni e
delle attivita' culturali e del turismo (MIBACT), come
amministrazione incaricata della protezione del paesaggio.
20.1.1.- L'art. 3, comma 1, lettera g), viene censurato nella
parte in cui rimette al Ministro dell'ambiente, dopo una valutazione
caso per caso, l'esclusione di progetti aventi come obiettivo la
difesa nazionale e la protezione civile dal campo di applicazione
delle norme di cui al Titolo III della Parte II dello stesso d.lgs.
n. 104 del 2017, qualora ritenga che tale applicazione possa
pregiudicare i suddetti obiettivi.
20.1.1.1.- Per la ricorrente, la «protezione civile» rientrerebbe
tra le materie di competenza concorrente, ai sensi dell'art. 117,
terzo comma, Cost. (ad essa applicabile, ai sensi dell'art. 10 della
legge cost. n. 3 del 2001). Ne conseguirebbe l'illegittimita' della
disposizione, in violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost., e dei
parametri gia' richiamati, nella parte in cui non prevede che la
decisione di deroga sia assunta anche d'intesa con la Regione
autonoma, in virtu' della sua specifica competenza in materia. La
Regione autonoma Sardegna reitera le proprie argomentazioni per
dimostrare che le disposizioni impugnate sono illegittime nella parte
in cui non prevedono un coinvolgimento delle Regioni al medesimo
livello di intensita' e di efficacia giuridica assicurato al MIBACT.
Ove questa Corte non dovesse ritenere di dover sancire il
parallelismo tra le attribuzioni del MIBACT e quelle della ricorrente
nei procedimenti indicati, la ricorrente chiede che sia garantita la
partecipazione procedimentale almeno nella forma del parere
obbligatorio.
20.1.2.- L'art. 3, comma 1, lettera h), prevede che: «Fatto salvo
quanto previsto dall'art. 32 [ovverosia i casi di consultazione
transfrontaliera], il Ministro dell'ambiente e della tutela del
territorio e del mare puo', in casi eccezionali, previo parere del
Ministro dei beni e delle attivita' culturali e del turismo, esentare
in tutto o in parte un progetto specifico dalle disposizioni di cui
al titolo III della parte seconda del presente decreto, qualora
l'applicazione di tali disposizioni incida negativamente sulla
finalita' del progetto, a condizione che siano rispettati gli
obiettivi della normativa nazionale ed europea in materia di
valutazione di impatto ambientale».
20.1.3.- L'art. 8, nella parte in cui modifica l'art. 19, comma
8, del d.lgs. n. 152 del 2006, stabilisce: «qualora l'autorita'
competente stabilisca di non assoggettare il progetto al procedimento
di VIA, specifica i motivi principali alla base della mancata
richiesta di tale valutazione in relazione ai criteri pertinenti
elencati nell'allegato V, e, ove richiesto dal proponente, tenendo
conto delle eventuali osservazioni del Ministero dei beni e delle
attivita' culturali e del turismo per i profili di competenza,
specifica le condizioni ambientali necessarie per evitare o prevenire
quelli che potrebbero altrimenti rappresentare impatti ambientali
significativi e negativi».
20.1.4.- L'art. 16, nella parte in cui modifica l'art. 27, comma
8, del d.lgs. n. 152 del 2006, prescrive che: «fatto salvo il
rispetto dei termini previsti dall'art. 32, comma 2, per il caso di
consultazioni transfrontaliere, entro dieci giorni dalla scadenza del
termine di conclusione della consultazione ovvero dalla data di
ricevimento delle eventuali integrazioni documentali, l'autorita'
competente convoca una conferenza di servizi alla quale partecipano
il proponente e tutte le amministrazioni competenti o comunque
potenzialmente interessate al rilascio del provvedimento di VIA e dei
titoli abilitativi in materia ambientale richiesti dal proponente. La
conferenza di servizi si svolge secondo le modalita' di cui
all'articolo 14-ter, commi 1, 3, 4, 5, 6 e 7, della legge 7 agosto
1990, n. 241. Il termine di conclusione dei lavori della conferenza
di servizi e' di duecentodieci giorni. La determinazione motivata di
conclusione della conferenza di servizi, che costituisce il
provvedimento unico in materia ambientale, reca l'indicazione
espressa del provvedimento di VIA ed elenca, altresi', i titoli
abilitativi compresi nel provvedimento unico. La decisione di
rilasciare i titoli di cui al comma 2 e' assunta sulla base del
provvedimento di VIA, adottato dal Ministro dell'ambiente e della
tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dei
beni e delle attivita' culturali e del turismo, ai sensi dell'art.
25».
20.1.5.- L'art. 17 modifica l'art. 28, comma 2, del d.lgs. n. 152
del 2006, statuendo che l'autorita' competente, in collaborazione con
il Ministero dei beni e delle attivita' culturali e del turismo per i
profili di competenza, «verifica l'ottemperanza delle condizioni
ambientali di cui al comma 1 al fine di identificare tempestivamente
gli impatti ambientali significativi e negativi imprevisti e di
adottare le opportune misure correttive».
20.1.6.- Le disposizioni richiamate sarebbero illegittime nella
parte in cui, per i procedimenti concernenti interventi da realizzare
nel territorio sardo, o che su di esso possono produrre impatti
ambientali, non prevedono la partecipazione procedimentale della
Regione autonoma Sardegna.
La ricorrente rammenta di essere titolare di una competenza in
materia di tutela del paesaggio, ai sensi degli artt. 3 dello statuto
e 6 del d.P.R. 22 maggio 1975, n. 480 (Nuove norme di attuazione
dello statuto speciale della Regione autonoma della Sardegna). Tale
ultima disposizione darebbe attuazione allo statuto d'autonomia e
avrebbe trasferito all'amministrazione regionale le attribuzioni del
Ministero per i beni e le attivita' culturali in materia di
«redazione» e «approvazione dei piani territoriali paesistici».
In virtu' di tale competenza, la ricorrente, nell'esercizio della
propria competenza legislativa primaria, potrebbe intervenire sulla
regolamentazione dei beni di pregio paesaggistico, ancorche' nel
rispetto delle disposizioni di tutela fissate dal legislatore statale
(e' citata la sentenza n. 308 del 2013). Tale competenza sarebbe
rilevante nel procedimento di VIA, atteso che uno dei suoi elementi
fondamentali sarebbe la localizzazione dell'intervento che
inciderebbe nell'esercizio della competenza legislativa in materia di
«edilizia e urbanistica» (art. 3, comma 1, lettera f, dello statuto
speciale), la quale si estenderebbe alla tutela paesaggistica.
Per i procedimenti concernenti gli interventi che ricadono nel
territorio sardo, il legislatore statale dovrebbe garantire alla
ricorrente una partecipazione avente la medesima efficacia giuridica
assicurata al MIBACT; tale partecipazione procedimentale si
imporrebbe in ossequio al principio di leale collaborazione, anche
nel caso di «prevalenza» della materia di competenza esclusiva
statale, anche sulla base di quanto indicato dall'art. 32, comma 1,
lettera g), della legge n. 234 del 2012, richiamato dall'art. 1 della
legge delega n. 114 del 2015.
21.- Costituitosi in giudizio a mezzo dell'Avvocatura generale
dello Stato, con atto depositato l'11 ottobre 2017, il Presidente del
Consiglio dei ministri ha chiesto il rigetto del ricorso, svolgendo
difese del tutto analoghe a quelle prospettate in rapporto al ricorso
della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, per quanto attiene alle
censure coincidenti con detto ricorso.
21.1.- Ad avviso dell'Avvocatura, risulterebbero infondate anche
le censure degli artt. 3, 8, 14, 16 e 17, in riferimento all'art. 3
dello statuto speciale, all'art. 6 del d.P.R. n. 480 del 1975, al
principio di leale collaborazione e all'art. 76 Cost., in relazione
all'art. l della legge delega n. 114 del 2015, e in relazione
all'art. 32 della legge n. 234 del 2012, nonche' in violazione dei
principi di ragionevolezza e buon andamento della pubblica
amministrazione.
L'art. 3 dello statuto speciale, infatti, tra le materie di
competenza legislativa esclusiva della Regione autonoma Sardegna non
contemplerebbe ne' la tutela del paesaggio, ne' quella dell'ambiente.
Pur riconoscendo la titolarita' regionale della potesta'
legislativa primaria in materia di «edilizia ed urbanistica» ai sensi
dell'art. 3, comma l, lettera f), dello statuto speciale e la
competenza esclusiva in materia di «piani territoriali paesistici»,
ai sensi dell'art. 6, comma 2, del d.P.R. n. 480 del 1975, per
l'Avvocatura esse devono essere esercitate in armonia con la
Costituzione e con i principi dell'ordinamento giuridico, rispettando
gli obblighi internazionali, gli interessi nazionali, nonche' le
norme fondamentali delle riforme economico-sociali, quali sarebbero
quelle in tema di «tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni
culturali», adottate dallo Stato in base alla competenza di cui
all'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. (sono richiamate le
sentenze n. 51 del 2006 e n. 536 del 2002).
21.2.- Priva di fondamento sarebbe anche la censura
dell'impugnato art. 3, comma 1, lettera g), sulla possibilita' di
sottrarre alla VIA gli interventi aventi quali unico obiettivo la
risposta alle emergenze che riguardano la protezione civile.
I commi 10 e 11 del nuovo art. 6 del d.lgs. n. 152 del 2006,
introdotti dall'art. 3 del d.lgs. n. 104 del 2017, avrebbero lo scopo
di allineare la disciplina nazionale alla richiamata direttiva,
distinguendo, da un lato, i progetti aventi quale unico obiettivo la
difesa e la risposta alle emergenze che riguardano la protezione
civile (comma 10); dall'altro, le piu' stringenti condizioni di
esenzione nei casi eccezionali (comma 11). La disciplina introdotta
si rivelerebbe garantista con riferimento alla potenziale esclusione
dei progetti dalla disciplina recata dal Titolo III della Parte II
del d.lgs. n. 152 del 2006, grazie alla riserva del potere di
esenzione dalla VIA in capo al Ministro dell'ambiente e della tutela
del territorio e del mare, che ne assume la responsabilita'
politicoamministrativa sul territorio nazionale e nei confronti
dell'Unione europea. Non si ravviserebbero ragioni per ridurre lo
standard di tutela ambientale, consentendo che le esclusioni citate
possano essere disposte dalla singola Regione.
Sulla violazione del riparto costituzionale delle competenze,
ricorda l'Avvocatura come questa Corte comprenda la disciplina della
VIA nella competenza esclusiva statale in materia di «tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema», di cui all'art. 117, secondo comma,
lettera s), Cost.» (sono richiamate le sentenze n. 186 del 2010, n.
225 del 2009 e n. 117 del 2015); l'esclusivita' della competenza
statale in materia, pur incidendo sull'esercizio di competenze
regionali, determinerebbe la «prevalenza» della normativa statale (e'
richiamata la sentenza n. 234 del 2009).
21.3.- Infondata sarebbe anche la censura del richiamato art. 3,
comma l, lettera g), per violazione del principio di leale
collaborazione.
La disposizione sarebbe riconducibile alla legge 24 febbraio
1992, n. 225, (Istituzione del Servizio nazionale della protezione
civile), che, all'art. 5, contiene la disciplina degli interventi da
operarsi durante la «dichiarazione dello stato di emergenza». In tale
contesto, il decreto del Ministro dell'ambiente, per disporre
l'esclusione di taluni progetti dal campo di applicazione delle norme
in materia di VIA, sarebbe consequenziale rispetto alla previa
valutazione - effettuata in via esclusiva dal Dipartimento della
protezione civile d'intesa con la Regione interessata - degli
interventi aventi quale obiettivo la risposta alle emergenze di
protezione civile. L'art. 5, comma 2, della legge n. 225 del 1992,
stabilirebbe che per l'attuazione degli interventi di protezione
civile da effettuarsi durante lo stato di emergenza si provvede con
apposita ordinanza da emanarsi «acquisita l'intesa delle regioni
territorialmente interessate».
22.- Alle difese statali ha replicato la ricorrente con memoria
illustrativa, anche in questo caso di contenuto pienamente
corrispondente a quello della memoria della Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia, per quanto riguarda le censure coincidenti in
essa contenute.
23.- Con ricorso notificato il 4-7 settembre 2017 e depositato il
13 settembre 2017 (reg. ric. n. 71 del 2017), la Regione Calabria ha
promosso questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 3,
comma 1, lettera g), 5, 16, commi 1 e 2, 21, 22, commi da 1 a 4, 26,
comma 1, lettera a), e 27 del d.lgs. n. 104 del 2017, deducendo la
violazione degli artt. 3, 5, 32, 76, 81, 117, 118 e 120 Cost.
23.1.- La ricorrente, dopo aver rievocato l'articolato
procedimento di approvazione del decreto impugnato, sottolineando
come le Regioni e le Province autonome avessero espresso in sede di
Conferenza Stato-Regioni una posizione nettamente divergente rispetto
al contenuto dello schema di decreto, considerato che l'ambito
materiale attinto dal provvedimento, che sottraeva numerose
competenze alle Regioni, si inseriva nell'ambito di materie oggetto
di potesta' legislativa concorrente. Poiche' tali divergenze non
sarebbero state prese in adeguata considerazione, e poiche' non
sarebbe stato nella specie assicurato un adeguato coinvolgimento dei
vari livelli di governo coinvolti, si sarebbe di conseguenza
determinata una lesione del principio di leale collaborazione.
23.2.- L'art. 3, comma 1, lettera g), viene censurato con
argomentazioni coincidenti con quelle dei ricorsi delle Regioni
Lombardia, Abruzzo, Puglia e Veneto: la disposizione avrebbe
introdotto la possibilita' di attribuire alla «autorita' competente
in sede statale» la valutazione caso per caso dell'esclusione della
VIA per i «progetti relativi ad opere ed interventi destinati
esclusivamente a scopo di difesa nazionale» e avrebbe inserito tra i
progetti che possono essere esclusi anche quelli che riguardano le
«emergenze di protezione civile». Si prevedrebbe, cosi', un
procedimento identico per progetti che riguardano due materie
diverse.
Lo Stato avrebbe avocato a se' la possibilita' di valutare caso
per caso i progetti per far fronte ad emergenze di protezione civile,
incidendo su materie di competenza concorrente, senza prevedere un
coinvolgimento regionale, in lesione del principio di leale
collaborazione, comprimendo le prerogative regionali anche in materia
di tutela della salute delle persone e dell'ambiente, in violazione
degli artt. 32 e 3 Cost. In particolare, la tutela del diritto alla
salute, di cui all'art. 32 Cost., nella sua dimensione sociale
esprimerebbe un diritto alla salubrita' dell'ambiente, nel rispetto
del principio della liberta' di iniziativa economica privata, che non
puo' svolgersi in modo dannoso per la sicurezza delle persone. Il
contenuto di tale diritto si tradurrebbe anche «nella tutela
costituzionale dell'integrita' psico-fisica, del diritto ad un
ambiente salubre» e sarebbe connesso al valore della dignita' umana,
di cui all'art. 3 Cost.
23.3.- L'impugnato art. 5 ha introdotto l'art. 7-bis nel d.lgs.
n. 152 del 2006, ove vengono definite, con un sensibile
ridimensionamento di quelle regionali, le competenze in materia di
VIA e di assoggettabilita' a VIA, con correlativa violazione
dell'art. 117, terzo comma, Cost., in quanto sarebbe stato
compromesso l'esercizio della potesta' legislativa regionale in
materie concorrenti, (tra le altre, porti e aeroporti civili,
produzione, governo del territorio, trasporto e distribuzione
dell'energia), e, in particolare, in tema di tutela della salute,
attese le finalita' della valutazione di impatto ambientale, come
emergerebbe dal punto 41 delle premesse della direttiva da attuare,
nonche' dall'art. 4 del d.lgs. n. 152 del 2006.
La necessita' di scomporre tra i vari ambiti di competenza le
diverse funzioni che la direttiva comunitaria coinvolge in modo
unitario, comporta che le diverse materie concorrono fra loro senza
alcun rapporto di prevalenza; cosicche' - osserva la ricorrente - la
complessita' del settore oggetto di recepimento evocava la necessita'
di un coinvolgimento piu' intenso dei vari livelli di governo e,
dunque, il ricorso allo strumento della intesa, in seno alla
Conferenza Stato-Regioni.
Si rileva, poi, con riferimento all'art. 76 Cost., che nella
specie la legge delega non avrebbe previsto una compressione della
potesta' normativa regionale nella materia, sicche', non essendovi
proporzionalita' ne' rispondenza logica di tale compressione rispetto
alle finalita' perseguite, sussisterebbe un eccesso di delega in
relazione ai principi e criteri direttivi posti dagli artt. 1 e 14
della legge delega n. 114 del 2015.
23.4.- E' impugnato altresi' l'art. 16, commi 1 e 2, per
violazione degli artt. 5, 76, 117, 118 e 120 Cost.
La disposizione introduce il cosiddetto provvedimento
autorizzatorio unico regionale. Fa presente la ricorrente che la
disposizione non era prevista nella bozza di schema di decreto
inviato dal Governo alla Conferenza permanente; la disposizione
sarebbe stata introdotta «senza che fosse concessa la possibilita'
alle regioni e alle province autonome di esaminare il testo della
disposizione e presentare le proprie osservazioni», in lesione del
principio di leale collaborazione.
Sotto altro profilo, la ricorrente sottolinea l'eccessivo
dettaglio delle disposizioni che introducono il provvedimento
autorizzatorio unico regionale. Esso comprenderebbe non solo la VIA,
ma anche i titoli abilitativi necessari per la realizzazione dei
relativi progetti e per l'esercizio delle attivita' da essi
derivanti. Viene richiamata la giurisprudenza costituzionale
contraria a «normative eccessivamente puntuali» (sentenze n. 189 del
2015, n. 278 del 2010).
23.5.- Si impugna, poi, l'art. 21, nel quale sono dettate norme
in tema di tariffe da applicare ai proponenti, nella parte in cui non
prevede un adeguato coinvolgimento delle Regioni nella fase di
approvazione del decreto ministeriale, con il quale si dispongono le
modalita' di determinazione delle tariffe per la copertura dei costi
istruttori, con correlativa lesione delle potesta' organizzative
delle Regioni e in violazione degli artt. 5, 117 e 120 Cost.
23.6.- Gli artt. 22, commi da 1 a 4, e 26, comma 1, lettera a),
vengono censurati nella parte in cui, modificando gli Allegati alla
Parte II del d.lgs. n. 152 del 2006, determinano una sottrazione alle
Regioni di un considerevole numero di tipologie progettuali
(riguardanti materie di competenza legislativa anche regionale), che
vengono attribuite alla competenza statale. Il tutto, si osserva, in
controtendenza rispetto ai precedenti interventi sul codice
dell'ambiente, ove era stato invece incrementato l'ambito applicativo
della VIA regionale, e neppure in linea con i criteri stabiliti
dall'art. 31, comma 1, lettera g), della legge n. 234 del 2012.
Deriverebbe da cio' la violazione dell'art. 117, terzo comma,
Cost., in quanto viene compromessa la potesta' legislativa regionale
in collegate materie a legislazione concorrente; la violazione
dell'art. 118 Cost., in quanto vengono ridimensionate le competenze
amministrative regionali e quelle conferite dalla stessa Regione agli
enti locali, prescindendo da valutazioni sulla adeguatezza del
livello istituzionale coinvolto, con correlativa violazione del
principio di leale collaborazione e, dunque, degli artt. 5 e 120
Cost., anche perche' la compressione del potere legislativo regionale
si sarebbe realizzato senza lo strumento della intesa.
Violato sarebbe infine anche l'art. 76 Cost., in quanto la legge
delega non contempla espressamente la revisione del riparto delle
potesta' legislative ed amministrative tra Stato e Regioni.
24.- Si impugna infine l'art. 27 del d.lgs. n. 104 del 2017, il
quale introduce una clausola di invarianza finanziaria, per
violazione degli artt. 76 e 81 Cost.
Si osserva che tale clausola sarebbe del tutto aleatoria, in
quanto le procedure VIA implicano nuovi oneri per le autorita'
competenti in ragione dei nuovi adempimenti procedurali, e in
contrasto con quanto previsto in tema di spese per l'attuazione delle
direttive da parte dell'art. 1, comma 4, della legge delega.
25.- Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, ha depositato il 13
ottobre 2017 memoria di costituzione chiedendo il rigetto del ricorso
in quanto infondato.
25.1.- Vengono utilizzate le medesime argomentazioni per
confutare la censura dell'impugnato art. 3, comma 1, lettera g), da
parte delle Regioni Abruzzo, Lombardia e Veneto.
25.2.- A proposito delle doglianze relative all'art. 5 del
decreto impugnato, l'Avvocatura osserva che la disciplina contestata
ha inteso rendere omogenea per tutto il territorio nazionale la
disciplina in materia di VIA, al fine di recepire fedelmente la
direttiva comunitaria, che ha previsto al riguardo regole dettagliate
sul procedimento, non trascurando peraltro lo spazio che e' stato
mantenuto in capo agli enti locali. Dalla analisi delle variazioni
intervenute in materia risulterebbe evidente che il legislatore
avrebbe correttamente ritenuto la materia della valutazione di
impatto ambientale come afferente alla tutela dell'ambiente, di
esclusiva competenza statale, pur se con incidenza su ambiti
materiali di competenza regionale.
25.3.- Viene eccepita altresi' l'infondatezza delle censure di
cui all'art. 16 commi 1 e 2, del d.lgs. n. 104 del 2017, sul
provvedimento autorizzatorio unico regionale, con argomenti spesi
nelle altre memorie difensive.
25.4.- Non fondate sarebbero anche le censure rivolte all'art. 21
del decreto impugnato, con le quali la Regione Calabria lamenta,
nella sostanza, il mancato coinvolgimento delle Regioni nel processo
decisionale per definire le risorse destinate a coprire i costi
istruttori dei procedimenti VIA, nonche' la lesione dei poteri
organizzativi in violazione dei principi di sussidiarieta',
differenziazione e adeguatezza, nonche' leale collaborazione. Si
osserva, al riguardo, che la norma censurata si limita a sostituire
il comma 1 dell'art. 33 del d.lgs. n. 152 del 2006, mentre lascia
inalterato il comma 2 dello stesso articolo ove sono stabilite le
competenze regionali in tema di tariffe da stabilire a carico dei
proponenti. Dunque, la norma impugnata contiene un principio generale
per determinare le tariffe da applicare tanto per la VIA statale che
per quella regionale. Nella parte in cui la norma impugnata rimette
ad un decreto del ministro dell'ambiente la determinazione in
concreto delle tariffe, essa si riferisce esclusivamente alla VIA
statale; pertanto, le Regioni sono dunque «protagoniste» del
procedimento di determinazione delle tariffe per le procedure di
propria competenza, dovendo solo rispettare la norma di principio
circa i criteri di commisurazione.
Va poi rammentato, soggiunge l'Avvocatura, che le modalita' di
svolgimento del procedimento VIA vanno ricondotte alla competenza
esclusiva di cui all'art. 117, secondo comma, lettera m), Cost.
inerente la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni,
in quanto la individuazione delle norme generali inerenti la
determinazione delle tariffe da applicare su tutto il territorio
nazionale deve ritenersi aspetto centrale del livello essenziale
della prestazione amministrativa fissata in materia dal legislatore.
25.5.- In merito, poi, alle censure relative agli artt. 22, commi
da 1 a 4, e 26 del decreto impugnato, l'Avvocatura eccepisce la
inammissibilita' del ricorso, in quanto non sarebbe stata sollevata
mai questione di legittimita' costituzionale della legge di delega.
La censura sarebbe inammissibile anche perche' generica e
immotivata, in quanto non sono individuati progetti la cui
sottrazione alla competenza regionale comporterebbe la lesione
dell'art. 118 Cost. e non viene svolto alcun argomento per sostenere
l'adeguatezza del livello regionale a svolgere la relativa funzione
amministrativa.
La censura sarebbe comunque infondata in quanto la revisione
dell'assetto delle competenze si inquadrerebbe nei principi e criteri
direttivi tracciati dall'art. 14, comma 1, della legge delega n. 114
del 2015, tanto sul versante della armonizzazione e razionalizzazione
delle procedure che su quello del rafforzamento della qualita' delle
procedure, in vista delle sinergie con le politiche europee e
nazionali, specie in tema di politiche energetiche e
infrastrutturali. Non sarebbe neppure pertinente il richiamo al
criterio di cui all'art. 32, comma 1, lettera g), della legge n. 234
del 2012 per le ipotesi di sovrapposizioni di competenze tra
amministrazioni diverse, in quanto tale criterio direttivo si limita
a sancire il rispetto dei principi di sussidiarieta',
differenziazione, adeguatezza e leale collaborazione in ordine alle
competenze regionali sul piano normativo e amministrativo. Ed e'
quanto il legislatore avrebbe fatto, sul presupposto della dimensione
"sovra-regionale" delle procedure VIA in tema di infrastrutture e
impianti energetici attratti nella competenza statale, in linea con
quanto previsto dall'art. 118, primo comma, Cost. per la corretta
allocazione delle funzioni amministrative ai vari livelli
territoriali di governo.
25.6.- A proposito, infine, della clausola di invarianza
finanziaria di cui all'impugnato art. 27, l'Avvocatura deduce
l'inammissibilita' del motivo di ricorso perche' del tutto generica e
immotivata, e comunque infondata in quanto nessun nuovo onere
procedimentale sarebbe stato posto a carico delle Regioni. La pretesa
violazione dell'art. 1, comma 4, della legge delega sarebbe, poi,
oltre che non perspicua, comunque infondata, in quanto residua in
capo agli enti territoriali la possibilita' di definire, con proprie
modalita' di quantificazione, gli oneri da porre a carico dei
proponenti a copertura dei costi sopportati dalla autorita'
competente.
26.- La Regione Calabria ha depositato il 29 maggio 2018 memoria
con la quale ha insistito nelle conclusioni gia' rassegnate.
A proposito del motivo di ricorso riguardante l'art. 5 del d.lgs.
n. 104 del 2017, si ribadisce che, in mancanza di specifiche
direttive della legge di delega, non poteva ritenersi consentito al
legislatore delegato operare una cosi' profonda revisione della
ripartizione delle competenze in materia di VIA, ribadendosi che,
nella specie, il Governo avrebbe disatteso anche le previsioni
dettate dall'art. 32, comma 1, lettera g), della legge n. 234 del
2012.
In merito, poi, alle doglianze formulate in ordine agli artt. 22,
commi da 1 a 4, e 26, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 104 del
2017, si osserva che, analizzando i progetti per i quali la
competenza e' passata dalle Regioni allo Stato, la materia
dell'ambiente si incrocia con diversi ambiti materiali di competenza
concorrente, e si attrae nella competenza statale anche la
valutazione su modifiche o estensioni di progetti anche se oggetto di
autorizzazioni regionali gia' intervenute.
Si insiste, ugualmente, sull'accoglimento anche degli altri
motivi di ricorso.
27.- Con ricorso notificato il 4-11 settembre 2017 e depositato
il 14 settembre 2017 (reg. ric. n. 73 del 2017), la Provincia
autonoma di Bolzano ha promosso questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 5, comma 1, «se ed in quanto riferito alle
Province autonome» - nella parte in cui introduce l'art. 7-bis, commi
2, 3, 7, 8 e 9, nel d.lgs. n. 152 del 2006 - dell'art. 8, «se ed in
quanto riferito alle Province autonome»; dell'art. 16, commi 1, «in
quanto non prevede un coinvolgimento delle Province autonome», e 2
«se ed in quanto riferito alle Province autonome»; dell'art. 22,
commi 1, 2, 3 e 4, «se riferito alle Province autonome», e dell'art.
23, commi 1 e 4, del d.lgs. n. 104 del 2017.
27.1.- In via preliminare, la Provincia ricorrente passa in
rassegna i contenuti delle norme censurate, rilevando come i commi 2
e 3 dell'art. 7-bis del d.lgs. n. 152 del 2006, aggiunto dall'art. 5,
comma 1, del d.lgs. n. 104 del 2017, individuino nel dettaglio i
progetti sottoposti a VIA o a verifica di assoggettabilita' a VIA in
sede statale (allegati II e II-bis alla Parte seconda del d.lgs. n.
152 del 2006) e quelli sottoposti alle predette procedure in sede
regionale (Allegati III e IV).
In forza del comma 8 del medesimo art. 7-bis, le Province
autonome, al pari delle Regioni, nell'esercizio delle proprie
potesta' legislative debbono conformarsi alla legislazione europea e
a quanto previsto dal d.lgs. n. 152 del 2006, fatto salvo il potere
di stabilire ulteriori regole per la semplificazione dei
procedimenti, per la consultazione del pubblico e degli altri
soggetti pubblici interessati, per il coordinamento dei procedimenti
di competenza regionale e locale, nonche' per la destinazione dei
proventi derivanti dalle sanzioni amministrative alle finalita'
indicate dallo stesso d.lgs. n. 152 del 2006, ferma restando
l'inderogabilita' dei termini procedimentali massimi.
Alla stregua di quanto previsto dall'art. 23, comma 4, del d.lgs.
n. 104 del 2017, le potesta' normative delle Province autonome (cosi'
come delle Regioni) si limitano, in pratica, al semplice adeguamento
dei rispettivi ordinamenti entro il termine perentorio di centoventi
giorni dall'entrata in vigore dello stesso decreto, con la previsione
che, decorso inutilmente detto termine, in assenza di disposizioni
regionali o provinciali vigenti idonee allo scopo, si applicano i
poteri sostitutivi di cui all'art. 117, quinto comma, Cost., secondo
quanto previsto dagli artt. 41 e 43 della legge n. 234 del 2012.
Il decreto delegato interviene in modo egualmente puntuale sulle
funzioni amministrative delle Province autonome (cosi' come delle
Regioni), imponendo loro, tra l'altro, di assicurare che le procedure
di VIA e verifica di assoggettabilita' a VIA di competenza regionale
siano svolte in conformita' agli artt. da 19 a 26 e da 27-bis a 29
del d.lgs. n. 152 del 2006 (comma 7 dell'art. 7-bis del d.lgs. n. 152
del 2006), nonche' di informare il Ministero dell'ambiente e della
tutela del territorio e del mare, a partire dal 31 dicembre 2017 e
con cadenza biennale, circa i provvedimenti adottati e i procedimenti
di verifica di assoggettabilita' a VIA e di VIA, fornendo una serie
di atti (comma 9 dell'art. 7-bis).
Con il decreto legislativo in questione viene, altresi',
sensibilmente modificato il riparto delle competenze amministrative,
attribuendo alla competenza dello Stato un rilevante numero di
progetti e interventi che nel regime previgenti erano invece
attribuiti alla competenza delle Regioni (art. 22 del d.lgs. n. 104
del 2017 e correlative abrogazioni disposte dall'art. 26). A questo
riguardo, il ricorso reca, «a titolo di esempio», un lungo elenco di
progetti attualmente inseriti negli Allegati II e II-bis, e dunque
tra quelli di competenza statale e non piu' regionale.
27.2.- Cio' premesso, la Provincia autonoma ricorrente assume che
il decreto legislativo in questione violerebbe anzitutto l'art. 76
Cost., per tardivita' dell'esercizio della delega legislativa da
parte del Governo. L'art. 1, comma 2, della legge n. 114 del 2015
individuava, infatti, il termine per l'esercizio della delega
mediante rinvio all'art. 31, comma 1, della legge n. 234 del 2012,
recependo, in tal modo, le successive modifiche della norma
richiamata.
A seguito della modifica operata dall'art. 29, comma 1, lettera
b), della legge n. 115 del 2015, il richiamato art. 1 della legge n.
234 del 2012 stabilisce che, in relazione alle deleghe legislative
conferite con la legge di delegazione europea per il recepimento
delle direttive, il Governo debba adottare i decreti legislativi
entro il termine di quattro mesi antecedenti a quello di recepimento
indicato in ciascuna delle direttive. Nella specie, il recepimento
della direttiva 2014/52/UE sarebbe dovuto avvenire, ai sensi
dell'art. 2, paragrafo 1, entro il 16 maggio 2017. Di conseguenza, il
Governo avrebbe dovuto esercitare la delega entro il 16 gennaio 2017:
termine che non e' stato rispettato, essendo il decreto stato emanato
soltanto il 16 giugno 2017.
Irrilevante sarebbe la circostanza che nelle note del 16 marzo
2017, con le quali lo schema di decreto legislativo e' stato
trasmesso alla Conferenza Stato-Regioni e alle Camere per
l'espressione dei rispettivi pareri, venga indicato come termine per
l'esercizio della delega lo stesso 16 marzo 2017, sull'assunto che la
legge delega avrebbe fatto rinvio al testo originario dell'art. 31,
comma 1, della legge n. 234 del 2014, che prevedeva il termine di
scadenza di due mesi, anziche' quattro mesi, dal termine di
recepimento fissato nella direttiva.
Secondo la giurisprudenza costituzionale, infatti, si deve
presumere che i rinvii contenuti nelle leggi abbiano carattere
mobile, anziche' fisso, sicche' la natura recettizia del rinvio deve
essere espressa, oppure desumibile da elementi univoci e concludenti
(e' citata la sentenza n. 258 del 2014): evenienze che non
ricorrerebbero nel caso di specie.
La ricorrente rileva, per altro verso, che - in assenza di una
chiara previsione di "cedevolezza" della normativa statale - le
disposizioni contenute nel decreto legislativo impugnato hanno
indubbie ripercussioni sulla legislazione gia' vigente nella
Provincia autonoma di Bolzano nelle materie di sua competenza
indicate piu' avanti nel ricorso, incidendo, quindi, sulla disciplina
di rango costituzionale e statutario del riparto di competenze tra lo
Stato e la Provincia: con la conseguenza che quest'ultima deve
ritenersi legittimata a far valere il vizio di eccesso di delega
legislativa, che pure esula dalla disciplina del riparto.
27.3.- Il decreto legislativo violerebbe l'art. 76 Cost., anche
sotto il profilo del mancato rispetto dei principi e criteri
stabiliti nella legge di delega.
Non sarebbero stati rispettati, infatti, ne' i principi generali
per l'attuazione delle direttive dell'Unione europea, tra cui,
principalmente, il divieto di aggravare i livelli di regolazione
rispetto a quelli minimi richiesti dalle direttive stesse (art. 32,
comma l, lettera c, della legge n. 234 del 2012), ne' i principi
specifici indicati dall'art. 14 della legge n. 114 del 2015,
riconducibili essenzialmente ai concetti di semplificazione e
coordinamento con altre procedure del settore dell'ambiente, nonche'
di miglioramento della qualita' del procedimento («regolamentazione
intelligente»), e, in ultima analisi, di maggiore efficienza.
Il decreto legislativo censurato avrebbe spostato, in effetti,
pressoche' in blocco le competenze dalle Regioni allo Stato, andando
cosi' ben oltre non solo i principi della delega, ma anche la stessa
direttiva 2014/52/UE, la quale non potrebbe disporre un simile
spostamento di competenze nell'ordinamento interno degli Stati membri
e che neppure, peraltro, lo imporrebbe.
Risulterebbe violato, inoltre, il disposto dell'art. 32, comma 1,
lettera g), della legge n. 234 del 2012 (richiamato dall'art. 1,
comma 1, della legge delega n. 114 del 2015), in forza del quale,
quando si verifichino sovrapposizioni di competenze tra
amministrazioni diverse, i decreti legislativi debbono individuare,
«attraverso le piu' opportune forme di coordinamento, rispettando i
principi di sussidiarieta', differenziazione, adeguatezza e leale
collaborazione e le competenze delle regioni e degli altri enti
territoriali, le procedure per salvaguardare l'unitarieta' dei
processi decisionali, la trasparenza, la celerita', l'efficacia e
l'economicita' nell'azione amministrativa e la chiara individuazione
dei soggetti responsabili».
Nel procedimento di adozione del decreto legislativo, il
principio di leale collaborazione non e' stato, per converso,
rispettato. Il Governo non si e', infatti, adeguato ai rilievi ne' ha
cercato un'intesa, benche' vi fosse tenuto in forza dell'intreccio di
materie di competenza dello Stato e delle Province autonome: cio', in
conformita' alla piu' recente giurisprudenza della Corte
costituzionale, che in simile situazione subordina alle intese
l'esercizio da parte del Governo della funzione legislativa delegata,
diversamente dalla funzione legislativa esercitata dal Parlamento (e'
citata la sentenza n. 251 del 2016).
Non sarebbe stato rispettato, per altro verso, neppure il
principio di sussidiarieta', con conseguente violazione dell'art. 118
Cost., cosi' come sarebbero state violate le regole che disciplinano
la chiamata in sussidiarieta'.
27.4.- La nuova normativa statale inciderebbe, altresi', in
ambiti di materia che, in forza del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670
(Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti
lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), sono attribuiti alla
potesta' legislativa, nonche' alla corrispondente potesta'
regolamentare ed amministrativa delle Province autonome: potesta' che
da tempo sono state anche effettivamente esercitate.
Lo statuto speciale - in combinato disposto con l'art. 117 Cost.
e con l'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001 - attribuisce,
infatti, alle Province autonome in via esclusiva la potesta'
legislativa in un'ampia gamma di materie, quali «tutela e
conservazione del patrimonio storico, artistico e popolare»,
«urbanistica e piani regolatori», «tutela del paesaggio», «porti
lacuali», «opere di prevenzione e di pronto soccorso per calamita'
naturali» e, in altri termini, «protezione civile», «alpicoltura e
parchi per la protezione della flora e della fauna», «viabilita',
acquedotti e lavori pubblici di interesse provinciale»,
«comunicazioni e trasporti di interesse provinciale», «turismo e
industria alberghiera», «agricoltura, foreste e corpo forestale»,
«artigianato», «opere idrauliche» (art. 8, numeri 3, 5, 6, 9, 11, 13,
16, 17, 18, 20, 21, 24) e «commercio» (art. 9, n. 3). Attribuisce,
altresi', alle Province autonome la potesta' legislativa concorrente
nella materia «igiene e sanita'» - riqualificata come piu' ampia
«tutela della salute» alla luce dell'art. 117, terzo comma, Cost., in
combinato disposto con l'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001 - e
nella materia «utilizzazione delle acque pubbliche» (art. 9, numeri 9
e 10). In tutte tali materie le Province autonome esercitano anche le
correlate potesta' amministrative (art. 16).
Sul piano organizzativo - e, dunque, in un ambito comune alle
varie materie ora elencate - alle Province autonome competono,
altresi', per statuto la funzione normativa e quella amministrativa
in materia di «ordinamento degli uffici e del personale» (artt. 8,
numero 1, e 16), nell'esercizio della quale sono stati disciplinati
anche i procedimenti amministrativi.
L'assegnazione delle predette potesta' e' operata dalle
rispettive norme di attuazione statutaria. Al riguardo, assumerebbe
particolare rilievo il d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381 (Norme di
attuazione dello statuto speciale per la Regione Trentino-Alto Adige
in materia di urbanistica ed opere pubbliche), che trasferisce e
delega alle Province le funzioni dello Stato in materia di
utilizzazione delle acque pubbliche, di opere idrauliche, di opere di
prevenzione e pronto soccorso per calamita' pubbliche, di viabilita',
acquedotti e lavori pubblici. L'art. 19-bis del citato decreto -
aggiunto dall'art. 8 del decreto legislativo 11 novembre 1999, n. 463
- riconosce, infatti, espressamente alle Province autonome la
competenza in materia di VIA nell'esercizio delle funzioni delegate:
dal che si desumerebbe che a maggior ragione le Province debbono
ritenersi titolari di tale competenza nelle materie proprie.
Inoltre, gia' secondo la normativa di attuazione statutaria del
1987 (d.P.R. 19 novembre 1987, n. 526), alle Province autonome e'
attribuito il potere di dare diretta attuazione alle direttive
europee nelle materie di competenza esclusiva: potere esteso nel
1989, con legge ordinaria, anche alle materie di competenza
concorrente (art. 9, commi 1 e 2, della legge 9 marzo 1989, n. 86,
recante «Norme generali sulla partecipazione dell'Italia al processo
normativo comunitario e sulle procedure di esecuzione degli obblighi
comunitari») e indi elevato, nel 2001, con norma di rango
costituzionale, a principio fondamentale dell'ordinamento della
Repubblica (art. 117, quinto comma, Cost., come modificato dalla
legge cost. n. 3 del 2001).
Sarebbe assodato, d'altro canto - alla luce del disposto
dell'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001 - che il sistema
normativo e organizzativo fondato sullo statuto speciale continui ad
operare anche dopo la riforma del Titolo V della Parte seconda della
Costituzione, trattandosi di riforma che non restringe la sfera di
autonomia gia' spettante alle Province autonome, ma puo' solo
ampliarla.
In questa prospettiva, questa Corte ha recente affermato - con
particolare riguardo al servizio idrico - che il sistema delle
attribuzioni provinciali «non e' stato sostituito dalla competenza
esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza e di
tutela dell'ambiente» (sentenza n. 51 del 2016).
27.5.- Analogamente, per quanto attiene alla disciplina del
potere sostitutivo, non vi potrebbero essere disposizioni, specie di
legge ordinaria, peggiorative rispetto all'assetto costituzionale e
statutario anteriore alla riforma del 2001. Questa Corte ha avuto
modo, in particolare, di chiarire che solo per le materie di nuova
acquisizione da parte delle Province autonome la disciplina del
potere sostitutivo statale e' demandata a nuova normativa di
attuazione statutaria, mentre per le materie gia' attribuite dallo
statuto rimangono ferme le previgenti norme di attuazione, e dunque
anche l'art. 8 del d.P.R. n. 526 del 1987 (e' citata la sentenza n.
236 del 2004).
Specifiche norme di attuazione statutaria - e, in particolare,
l'art. 2 del d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello
statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto
tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonche'
la potesta' statale di indirizzo e coordinamento) - prevedono,
inoltre, che la legislazione regionale e provinciale deve essere
adeguata unicamente ai principi e norme costituenti, limiti indicati
dagli artt. 4 e 5 dello statuto, recati da atto legislativo dello
Stato, entro i sei mesi successivi alla pubblicazione dell'atto
medesimo nella Gazzetta Ufficiale o nel piu' ampio termine da esso
stabilito e che, nel frattempo, restano applicabili le disposizioni
legislative regionali e provinciali preesistenti. Si tratta di
previsione di «rango parastatutario» e, comunque sia, sovraordinato
alla legislazione ordinaria, alla quale la giurisprudenza
costituzionale ha costantemente riconosciuto valore di parametro
costituzionale nel giudizio in via principale (sono citate le
sentenze n. 191 del 2017, n. 380 del 1997 e n. 356 del 1994).
Secondo quanto chiarito dalla Corte costituzionale (e' citata la
sentenza n. 380 del 1997), la citata disposizione statutaria vieta al
legislatore statale - salvo che negli ambiti in cui il comma 4 del
medesimo art. 2 fa salva l'immediata applicabilita' delle leggi
statali (leggi costituzionali e atti legislativi nelle materie in cui
alla Provincia e' attribuita delega di funzioni statali o potesta'
legislativa integrativa) - di riconoscere alle norme da esso dettate
nelle materie di competenza provinciale immediata e diretta
applicabilita', prevalente su quella della legislazione provinciale
preesistente. Le norme di attuazione garantiscono, in tal modo, alla
Provincia uno spazio temporale per procedere all'adeguamento della
propria legislazione ai vincoli che, in forza dello statuto,
discendano dalle nuove leggi statali.
Cio' comporterebbe l'illegittimita' dell'art. 23, comma 4, del
d.lgs. n. 104 del 2017, in forza del quale le Province autonome
debbono adeguare la loro disciplina in materia di VIA entro il
termine perentorio di centoventi giorni dall'entrata in vigore del
medesimo decreto.
Nell'esercizio delle potesta' statutarie, la Provincia autonoma
di Bolzano ha provveduto a disciplinare con proprie leggi e
regolamenti anche la procedura di VIA (legge della Provincia autonoma
di Bolzano 5 aprile 2007, n. 2, recante «Valutazione ambientale per
piani e progetti»; decreto del Presidente della Giunta provinciale 26
marzo 1999, n. 15, recante «Regolamento relativo alla valutazione
dell'impatto ambientale»; decreto del Presidente della Provincia 7
agosto 2002, n. 27, recante «Modifica dell'Allegato II della legge
provinciale 24 luglio 1998, n. 7, "Valutazione dell'impatto
ambientale"»). E', inoltre, attualmente in trattazione presso il
Consiglio provinciali il disegno di legge provinciale n. 135/17-XV,
recante «Valutazione ambientale per piani e progetti», finalizzato a
dare attuazione a plurime direttive europee.
Sarebbe, pertanto, evidente come la disciplina statale in
questione leda l'assetto statutario, costituendo esercizio della
funzione legislativa dello Stato nelle materie di loro competenza.
Cio', anche perche' essa non prevede una adeguata formula di
"cedevolezza", come e' richiesto per i provvedimenti sostitutivi
(art. 41, in relazione all'art. 40, comma 3, della legge n. 234 del
2012), limitandosi ad operare solo «un blando rinvio al predetto
articolo 41, in relazione ai poteri sostitutivi dello Stato».
La normativa recata dal decreto legislativo censurato non
potrebbe determinare neppure l'abrogazione, decorso un certo termine,
della preesistente normativa della Provincia autonoma ricorrente,
dovendo quest'ultima essere, nel caso di mancato adeguamento ai nuovi
vincoli, eventualmente impugnata dal Governo davanti alla Corte
costituzionale, secondo quanto previsto dall'art. 2, comma 2, del
d.lgs. n. 266 del 1992: laddove invece, ai sensi dell'art. 23, comma
4, del d.lgs. n. 104 del 2017, la "inidoneita'" delle disposizioni
previgenti della Provincia autonoma legittimerebbe tout court
l'esercizio dei poteri sostitutivi statali, con conseguente
abrogazione delle norme preesistenti.
27.6.- Nel confronto con la direttiva 2014/52/UE, il decreto
legislativo in questione violerebbe anche con il «principio di
legalita', in relazione ai vincoli derivanti dall'Unione europea
(art. 117, primo comma, Cost.)». Il decreto legislativo e', infatti,
«un atto governativo ed incontra i limiti imposti dalla legge, in
senso formale, come atto parlamentare che lo autorizza, nonche' dalla
direttiva che attua»: sicche' «non puo' legittimamente vincolare le
autonomie territoriali al di la' di quanto discende dagli obblighi
derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea».
27.7.- Le disposizioni censurate violerebbero, altresi', il
principio di ragionevolezza, e quindi gli artt. 3 e 97 Cost., non
essendo giustificato uno spostamento cosi' massiccio di competenze
dalle Regioni allo Stato in funzione di un miglioramento della
qualita' del procedimento, della semplificazione e della maggiore
efficienza. Non si comprenderebbe, infatti, come una gestione
accentrata e unitaria a livello statale possa essere piu' efficiente
di una decentrata e diversificate nelle varie autonomie territoriali.
Anche la violazione del principio di ragionevolezza verrebbe ad
incidere sulla preesistente normativa di attuazione delle direttive
europee adottata dalla Provincia ricorrente, di cui il d.lgs. n. 266
del 1992 garantisce la continuita', riflettendosi quindi sulla
disciplina costituzionale e statutaria di riparto delle competenze
tra lo Stato e le Province autonome.
Da ultimo, risulterebbe violato anche l'art. 4 del d.lgs. n. 266
del 1992, che esclude, in via generale, che la legge possa attribuire
ad organi statali l'esercizio di funzioni amministrative nelle
materie di competenza statutaria.
27.8.- Per la ricorrente sarebbero illegittime, in subordine,
alcune disposizioni del d.lgs. n. 104 del 2017, ove applicabili alle
province autonome: l'art. 8 che sostituisce l'art. 19 del d.lgs. n.
152 del 2006; l'art. 16, comma l, che sostituisce l'art. 27 del
d.lgs. n. 152 del 2006, in quanto non prevede un coinvolgimento delle
province autonome; l'art. 16, comma 2, che introduce l'art. 27-bis
nel d.lgs. n. 152 del 2006; l'art. 24 che modifica l'art. 14 della
legge n. 241 del 1990.
Per effetto del richiamo agli artt. da «19 a 26 e da 27-bis a
29», contenuto nel comma 7 dell'art. 7-bis del d.lgs. n. 152 del
2006, sarebbero lesive delle competenze provinciali le norme che
definiscono regole di procedimento «di estremo dettaglio e termini
perentori», sia per il procedimento di verifica di assoggettabilita'
a VIA di competenza regionale (art. 19 del d.lgs. n. 152 del 2006,
come introdotto dall'art. 8 del d.lgs. n. 104 del 2017), sia per il
procedimento finalizzato al rilascio del provvedimento autorizzatorio
unico regionale (art. 27-bis del d.lgs. n. 152 del 2006, come
introdotto dall'art. 16, comma 2, del d.lgs. n. 104 del 2017). Il
carattere di estremo dettaglio delle disposizioni statali sarebbe
irragionevole e sproporzionato, in contrasto con gli artt. 3 e 97
Cost., rispetto allo scopo della semplificazione procedimentale.
Le disposizioni sul provvedimento autorizzatorio unico regionale
ed il relativo procedimento di VIA di competenza regionale, lasciando
alle Province autonome soltanto la disciplina delle forme e delle
modalita' di consultazione del pubblico (art. 27-bis del d.lgs. n.
152 del 2006, come introdotto dall'art. 16, comma 2, del d.lgs. n.
104 del 2017), nonche' la definizione a livello statale della
disciplina procedimentale con norme di dettaglio, si porrebbero in
contrasto con norme statutarie sulla potesta' legislativa e
amministrativa in materia di ordinamento degli uffici e del personale
(art. 8, n. 1, e art. 16 dello statuto speciale).
27.9.- La ricorrente dubita, inoltre, della legittimita'
costituzionale dell'art. 24 del d.lgs. n. 104 del 2017, che,
nell'ambito della disciplina del procedimento amministrativo per la
VIA di competenza regionale, prevedrebbe il ricorso alla Conferenza
di servizi con modalita' sincrona. Tale disposto, se riferito anche
alle Province autonome, sarebbe costituzionalmente illegittimo per
contrasto con la competenza in materia di ordinamento degli uffici,
considerato che la disposizione statale modificherebbe l'art. 29
della legge n. 241 del 1990, la quale conterrebbe una disposizione di
salvaguardia dell'autonomia speciale.
La disciplina del procedimento per l'adozione del provvedimento
unico in materia ambientale di competenza statale (art. 27 del d.lgs.
n. 152 del 2006, come introdotto dall'art. 16, comma 1, del d.lgs. n.
104 del 2017) sarebbe illegittima perche' non prevedrebbe alcuna
forma di collaborazione con le Regioni e le Province autonome,
contrastando con quanto richiesto dalla giurisprudenza di questa
Corte (richiamata la sentenza n. 303 del 2003), quando lo Stato
attragga in sussidiarieta' funzioni amministrative anche in materie
che ricadono negli ambiti di competenza concorrente o residuale delle
Regioni e delle Province autonome (ai sensi dell'art. 117, commi
terzo e quarto, Cost., in combinato con l'art. 10 legge cost. n. 3
del 2001 e dello statuto speciale).
27.10.- La forma di partecipazione prevista (nuovo art. 27, commi
4 e 5) sarebbe «debole», in quanto la posizione della ricorrente
resterebbe assorbita da quella prevalente della Conferenza di servizi
(art. 14-ter della legge n. 241 del 1990, richiamato nel comma 8 del
nuovo art. 27), in assenza di rimedi specifici per le amministrazioni
dissenzienti nella stessa legge organica sul procedimento
amministrativo (art. 14-quinquies della legge n. 241 del 1990).
La ricorrente censura le predette disposizioni, anche considerato
che non risultano accolte le richieste formulate dalla Provincia
autonoma di Bolzano in sede di espressione del preventivo parere
prescritto della Conferenza Stato-Regioni, nella seduta del 4 maggio
2017, con cui si chiedeva di sopprimere i riferimenti espressi alle
Province autonome contenuti nello schema di decreto legislativo e di
integrarlo con una apposita disposizione di salvaguardia delle norme
statutarie e di attuazione statutaria, anche con riferimento al
previsto potere sostitutivo statale per il caso di inattivita' nel
recepimento delle direttive UE. Le disposizioni impugnate,
introducendo, verosimilmente anche con riferimento alla Provincia
autonoma di Bolzano, una disciplina vincolante in materie in cui la
stessa ha potesta' legislativa, regolamentare ed amministrativa
proprie, che la ricorrente avrebbe gia' esercitato, comprimerebbero
illegittimamente le prerogative riconosciute alla stessa.
28.- Si e' costituito, con atto depositato il 20 ottobre 2017, il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso sia
dichiarato infondato.
28.1.- Quanto alla censura di violazione dell'art. 76 Cost., per
tardivita' dell'esercizio della delega legislativa, essa risulterebbe
inammissibile, stante la mancata corrispondenza tra il rilievo
formulato (che varrebbe a travolgere l'intero decreto legislativo) e
il petitum, limitandosi la Provincia ricorrente a richiedere la
declaratoria di illegittimita' costituzionale di singole previsioni
del decreto stesso.
Nel merito, la censura risulterebbe, comunque sia, infondata.
La legge di delega n. 114 del 2015 (entrata in vigore il 15
agosto 2015) individua il termine per l'attuazione della direttiva
sulla VIA per relationem, ossia mediante rinvio all'art. 31, comma 1,
della legge n. 234 del 2012. Tale ultima disposizione e' stata,
pero', oggetto di modifica ad opera della legge n. 115 del 2015
(entrata in vigore il 18 agosto 2015, e dunque in data successiva
alla legge di delega di cui si discute), per effetto della quale il
Governo adotta i decreti legislativi entro il termine di quattro mesi
- e non piu' due mesi, come nella versione originaria - antecedenti a
quello di recepimento indicato in ciascuna delle direttive.
La tesi della ricorrente, secondo la quale quello contenuto nella
legge n. 114 del 2015 sarebbe un rinvio mobile, esteso a tutte le
modifiche subite dalla fonte richiamata, non potrebbe essere
condiviso. Secondo la giurisprudenza costituzionale, infatti, i
rinvii assumono carattere recettizio non solo ove la norma rinviante
li qualifichi espressamente come tali, ma anche quando tale natura
sia deducibile da elementi univoci e concludenti: elementi
riscontrabili nel caso di specie.
In secondo luogo, vi sarebbe almeno un caso nel quale la pretesa
di applicare retroattivamente la modifica in discorso, con
conseguente abbreviazione del termine, avrebbe prodotto la scadenza
di una delega ancora in corso. Cio' sarebbe avvenuto, in specie, con
riferimento alla delega per l'attuazione della direttiva 2012/29/UE,
non ancora esercitata al momento dell'entrata in vigore della legge
n. 115 del 2015. Posto che il termine di recepimento della direttiva
era fissato al 16 novembre 2015, opinando nel senso prospettato dalla
ricorrente il termine per l'esercizio della delega sarebbe passato
dal 16 settembre al 16 luglio 2015, e, dunque, a data addirittura
antecedente alla novella di cui alla stessa legge n. 115 del 2015.
Effetto, questo, paradossale e illogico, in quanto atto a determinare
il venir meno dello stesso potere delegato di attuazione della
direttiva, con grave pregiudizio per la tempestivita' che e'
richiesta nell'adempimento degli obblighi sovranazionali. Sarebbe
palese l'assoluta irragionevolezza di un tale esito, per il quale
l'abbreviazione dei termini per l'attuazione delle direttive -
verosimilmente disposta per favorirne il pronto recepimento -
conseguirebbe un effetto esattamente opposto.
Una volta, peraltro, che si sia stabilito il carattere recettizio
del rinvio operato dalla delega per l'attuazione della direttiva
2012/29/UE, alla medesima conclusione dovrebbe ovviamente pervenirsi
per tutte le deleghe antecedenti all'entrata in vigore della legge n.
115 del 2015, compresa quella di cui si discute, la quale sarebbe
stata, pertanto, esercitata entro i termini previsti dalla legge di
delegazione.
28.2.- La seconda censura di violazione dell'art. 76 Cost., per
mancato rispetto dei principi e criteri direttivi dettati dalla legge
di delegazione in tema di semplificazione e coordinamento,
risulterebbe parimente inammissibile per la genericita' delle
deduzioni della ricorrente, riferite in modo unitario e
indifferenziato all'intero decreto legislativo, senza che sia
consentito individuare le specifiche legislative della Provincia
autonoma che risulterebbero lese.
Nel merito, la censura sarebbe infondata per ragioni analoghe a
quelle esposte in relazione alla similare questione promossa dalla
Regione Puglia (reg. ric. n. 65 del 2017).
28.3.- Anche la terza censura generale, concernente la violazione
del principio di leale collaborazione nel procedimento di adozione
del decreto legislativo, risulterebbe inammissibile, non essendo
indicate le norme del decreto che si assumerebbero lesive delle
prerogative statutarie.
Nel merito, la censura sarebbe infondata. Premesso che, in quanto
"trasversale" e "prevalente", la normativa statale in materia di
tutela dell'ambiente si impone integralmente nei confronti delle
amministrazioni territoriali, l'Avvocatura generale dello Stato
formula considerazioni analoghe a quelle svolte in relazione al
ricorso della Regione Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste (reg. ric. n. 63
del 2017), riguardo al fatto che la ricorrente - nel richiamare la
sentenza n. 251 del 2016 della Corte costituzionale - avrebbe confuso
il paradigma giurisprudenziale dell'«intreccio» di competenze, non
pertinente al caso di specie, con quello della semplice «incidenza»
delle norme dello Stato su funzioni delle amministrazioni locali, che
naturalmente caratterizza le materie "trasversali".
Quanto al mancato recepimento delle proposte emendative avanzate
dalle Regioni e dalle Province autonome in sede di espressione del
parere - peraltro non obbligatorio - della Conferenza Stato-Regioni,
l'Avvocatura ribadisce come nella relazione illustrativa dello schema
di decreto delegato si dia puntuale conto delle ragioni del loro
mancato accoglimento.
28.4.- La quarta censura generale, relativa all'asserito mancato
rispetto del principio di sussidiarieta' e delle regole che
disciplinano la chiamata in sussidiarieta', sarebbe di nuovo
inammissibile per genericita', risultando priva di supporto
argomentativo.
Nel merito, anche tale censura si baserebbe sull'erroneo
presupposto che la disciplina in materia di VIA sia riconducibile a
una pluralita' di materie, anche di competenza provinciale, quando
essa invece si colloca nella competenza esclusiva dello Stato sulla
tutela dell'ambiente e dell'ecosistema.
Andrebbe, dunque, escluso che il legislatore delegato fosse
tenuto all'intesa con le Regioni e le Province autonome, in quanto
tale modulo procedurale e' richiesto dalla giurisprudenza
costituzionale in relazione alla chiamata in sussidiarieta', peraltro
con riferimento alle modalita' di esercizio della funzione
amministrativa e non al procedimento di formazione dell'atto
legislativo.
28.5.- Priva di ogni fondamento sarebbe, poi, la censura di
violazione dell'art. 19-bis del d.P.R. n. 381 del 1974.
Tale disposizione prevede che le Province autonome di Trento e di
Bolzano applichino la normativa provinciale in materia di VIA in
riferimento alle sole funzioni delegate dallo Stato, diverse e
ulteriori rispetto a quelle statutariamente garantite, con
l'obiettivo di ammettere anche in relazione ad esse la legislazione
provinciale. Trattandosi, dunque, di previsione che fonda in capo
alla Provincia una competenza legislativa praeter statutum, essa non
puo' valere in rapporto a funzioni diverse da quelle alle quali si
riferisce.
D'altra parte, il d.lgs. n. 104 del 2017 circoscrive gli spazi
disponibili al legislatore provinciale in materia di VIA, ma non li
azzera, con la conseguenza che l'invocata norma di attuazione risulta
comunque sia rispettata.
28.6.- Quanto all'assunto della Provincia ricorrente, secondo il
quale le disposizioni impugnate violerebbero la propria competenza a
dare immediata attuazione alle direttive europee nelle materie
provinciali, sarebbe decisivo, in senso contrario, ancora una volta,
il rilievo della sicura riconducibilita' della disciplina della VIA
alla competenza legislativa esclusiva statale in materia di tutela
dell'ambiente e - con riguardo alla regolamentazione del procedimento
amministrativo - anche a quella in materia di livelli essenziali
delle prestazioni (art. 117, secondo comma, lettera m, Cost.)
Affatto inconferente risulterebbe, di conseguenza, il richiamo
all'art. 41 della legge n. 234 del 2012, in forza del quale la
disciplina statale deve caratterizzarsi come cedevole solo qualora lo
Stato abbia esercitato il potere sostitutivo previsto dall'art. 117,
quinto comma, Cost.: laddove, invece, nel caso in esame, lo Stato ha
inteso attuare la direttiva europea in un ambito di propria esclusiva
spettanza.
28.7.- Con riguardo alla questione che investe l'art. 23, comma
4, del d.lgs. n. 104 del 2017, censurato sul rilievo che la normativa
statale non potrebbe determinare l'abrogazione della preesistente
normativa della Provincia autonoma, il resistente osserva, in
contrario, come la circostanza che la Provincia abbia gia'
disciplinato la materia della VIA non impedisca allo Stato di
intervenire nuovamente, dettando, in attuazione della direttiva
europea e nell'esercizio delle sue competenze esclusive, regole
procedimentali vincolanti che consentano l'uniforme svolgimento del
procedimento di VIA su tutto il territorio nazionale.
Anche a questo proposito, varrebbe altresi' il rilievo che gli
spazi rimessi al legislatore provinciale, se pure ridimensionati, non
vengono pero' azzerati, potendo le Regioni e le Province autonome
intervenire con proprie leggi e regolamenti al fine di disciplinare
gli aspetti indicati dall'art. 7-bis, comma 8, del d.lgs. n. 152 del
2006, come introdotto dall'art. 5 del d.lgs. n. 104 del 2017.
Improprio sarebbe, inoltre, il richiamo della ricorrente alla
clausola di salvaguardia prevista dall'art. 35-bis del d.lgs. n. 152
del 2006, la quale, da un lato, ha ad oggetto tutte le previsioni del
codice dell'ambiente, e non solo quelle relative ai procedimenti di
VIA; dall'altro, mira a far salve le competenze delle autonomie
speciali statutariamente fondate. Essa non sarebbe, dunque,
riferibile alla disciplina della VIA, riconducibile alla competenza
esclusiva dello Stato.
28.8.- Quanto alla denunciata violazione, con riferimento alla
direttiva 2014/52/UE, del principio di legalita' «in relazione ai
vincoli derivanti dall'Unione europea (art. 117, primo comma, Cost.),
la censura sarebbe inammissibile, non essendo stati puntualmente
individuati ne' il parametro della direttiva violato, ne' la
disposizione del decreto legislativo che determinerebbe la
violazione.
Nel merito, il d.lgs. n. 104 del 2017 risulterebbe, in ogni caso,
pienamente conforme alla direttiva e alla legge delega,
caratterizzata da principi e criteri direttivi che circoscrivono
adeguatamente la materia e gli obiettivi del decreto delegato,
dovendosi comunque sia riconoscere al Governo un margine di
discrezionalita' tecnica, in difetto del quale non sarebbe neppure
piu' utile il ricorso allo schema della delegazione legislativa.
28.9.- Le ulteriori censure generali della Provincia autonoma di
Bolzano, intese a denunciare la violazione degli artt. 3 e 97 Cost.,
e dell'art. 4 del d.lgs. n. 266 del 1992, sarebbero inammissibili,
non essendo state puntualmente individuate le norme statali oggetto
di impugnazione.
Le censure riferite agli artt. 3 e 97 Cost., sarebbero altresi'
inammissibili per la loro genericita', non avendo la ricorrente
precisato quali siano le funzioni amministrative nelle materie di
competenza statutaria compresse dalla legislazione statale, ne' le
motivazioni che renderebbero irragionevole la riallocazione delle
competenze legislative in materia di VIA.
Nel merito, le censure risulterebbero infondate per le
considerazioni gia' addotte in relazione alla censura intesa a
lamentare l'indebito spostamento di competenze dalle Regione e
Province autonome allo Stato.
Egualmente infondata sarebbe la censura di violazione dell'art. 4
del d.lgs. n. 266 del 1992, nella parte in cui vieta di attribuire ad
organi statali l'esercizio di funzioni amministrative nelle materie
di competenza della Regione o delle Province autonome: ipotesi che
non ricorrerebbe nella specie, dal momento che - come piu' volte
osservato - la disciplina della VIA ricade nell'ambito della
competenza esclusiva dello Stato.
28.10.- Le considerazioni dinanzi esposte varrebbero a dimostrare
l'infondatezza anche delle censure riferite singolarmente agli artt.
5, comma 1, 22, commi 1, 2, 3 e 4, e 23, commi 1 e 4, del d.lgs. n.
104 del 2017.
Tali censure sarebbero, prima ancora, inammissibili per la loro
genericita', non essendo esattamente individuate le norme dello
statuto speciale che sarebbero lese.
28.11.- L'Avvocatura eccepisce altresi' l'inammissibilita' della
censura dell'art. 27-bis del d.lgs. n. 152 del 2006, introdotto
dall'art. 16, comma 2, del d.lgs. n. 104 del 2017, che contesta la
disciplina statale sul provvedimento unico regionale in materia di
VIA, nella parte in cui si riferisce genericamente a parametri gia'
evocati, senza chiarire con esattezza quali sarebbero le norme
statutarie violate in relazione al vizio specifico.
Essa sarebbe infondata, anche per la parte riferita alle
disposizioni dello statuto speciale relative alla competenza
provinciale sulla propria organizzazione interna.
Ribadisce l'Avvocatura che la disciplina in tema di VIA
rientrerebbe nella competenza esclusiva dello Stato sulla tutela
dell'ambiente e, per quanto concerne il procedimento di VIA
regionale, in quella, parimenti esclusiva, sui livelli essenziali
delle prestazioni. Di conseguenza, non si realizzerebbe alcuna
espropriazione delle competenze provinciali.
28.12.- Infondata sarebbe anche la censura dell'art. 16, comma l,
che ha modificato l'art. 27 del d.lgs. n. 152 del 2006, introducendo
il provvedimento autorizzatorio unico statale, il quale non
consentirebbe un idoneo coinvolgimento delle Regioni e delle Province
autonome.
Non si verificherebbe nel caso di specie una chiamata in
sussidiarieta', venendo in considerazione, in materia di VIA, solo
competenze statali di tipo esclusivo. Del pari, nessuna violazione
del principio di leale collaborazione discenderebbe dal meccanismo
delle posizioni prevalenti, previsto come criterio decisionale della
conferenza di servizi in modalita' asincrona nel quadro del
procedimento autorizzatorio unico statale. Tale modalita', infatti,
rappresenterebbe un ragionevole punto di equilibrio tra l'esigenza di
garantire la posizione delle amministrazioni che partecipano alla
conferenza e quella di assicurare la conclusione entro i termini
perentori di un procedimento di competenza dello Stato.
28.12.1.- Infondati sarebbero poi i dubbi formulati dalla
Provincia ricorrente a proposito dell'applicabilita' dei rimedi,
previsti dalla legge n. 241 del 1990, per le amministrazioni
dissenzienti.
Osserva la difesa statale che il rinvio dell'art. 27 del d.lgs.
n. 152 del 2006 all'art. 14-ter della legge n. 241 del 1990, non
escluderebbe il richiamo e il rinvio agli artt. 14-quater e
14-quinquies, che sarebbe implicito.
Non si riscontrerebbe alcuna violazione del principio di leale
collaborazione nel procedimento unico ambientale di competenza
statale, che determinerebbe «un efficiente coordinamento delle
amministrazioni statali e locali coinvolte a vario titolo nella
realizzazione del progetto», anche attraverso l'applicazione, ove
necessario, del rimedio per le amministrazioni dissenzienti (art.
14-quinques).
28.13.- Inammissibile, infine, sarebbe la censura relativa
all'art. 24 del d.lgs. n. 104 del 2017, per mancanza assoluta di
argomentazioni a sostegno.
29.- La Provincia autonoma di Bolzano ha depositato memoria,
insistendo per l'accoglimento del ricorso.
29.1.- La Provincia ritiene infondate le eccezioni di
inammissibilita' delle censure di incostituzionalita', per
genericita' e carenza di adeguata motivazione, formulate
dall'Avvocatura generale dello Stato, rilevando come nel ricorso
introduttivo siano stati individuati specificamente i trasferimenti
di competenze operati per effetto del decreto legislativo impugnato e
le singole norme che si hanno disposti, indicando altresi', con
argomentazioni tutt'altro che sintetiche, i diversi profili di
illegittimita' in rapporto a una specifica serie di norme sia della
Costituzione, sia dello statuto di autonomia e delle relative
disposizioni di attuazione.
In particolare, nel ricorso introduttivo sarebbero stati
individuati specificamente i trasferimenti di competenza operati per
effetto del decreto legislativo impugnato
29.2.- Per quanto attiene, poi, alla censura di violazione
dell'art. 76 Cost., per tardivita' dell'esercizio della delega
legislativa, la censura non sarebbe affatto inammissibile, posto che
l'interesse della Provincia e' di quello di far caducare le
disposizioni del d.lgs. n. 104 del 2017 invasive delle proprie
competenze legislative e amministrative.
Nel merito, la Provincia ribadisce che il rinvio all'art. 31,
comma 1, della legge n. 234 del 2012, operato dall'art. 1, comma 2,
della legge n. 114 del 2015 al fine di individuare il termine per
l'esercizio della delega, deve ritenersi di carattere mobile, e
dunque comprensivo anche delle modifiche apportate alla norma
richiamata dall'art. 29, comma 1, lettera b), della successiva legge
n. 115 del 2015.
29.3.- In relazione, poi, alla dedotta violazione dell'art. 76
Cost., per mancato rispetto dei principi di delega, contrariamente a
quanto sostenuto dall'Avvocatura generale dello Stato, il massiccio
spostamento delle competenze dalle Regioni e Province autonome allo
Stato, disposto dal legislatore delegato, non potrebbe ritenersi
compreso in alcuno dei criteri fissati dall'art. 14 della legge n.
114 del 2015.
Tali competenze statutarie non potrebbero considerarsi
circoscritte dalla competenza in materia di ambiente attribuita allo
Stato con la legge cost. n. 3 del 2001, la quale, in virtu' del suo
art. 10, non ha ristretto lo spazio di autonomia spettanti agli enti
ad autonomia differenziata in virtu' dello statuto speciale, come
chiarito anche dalla giurisprudenza costituzionale (e' riportata la
sentenza n. 212 del 2017). Proprio per questo, la nuova ripartizione
delle competenze in materia di VIA, anziche' rispondere al generale
principio di delega di cui all'art. 32, comma l, lettera g), della
legge n. 234 del 2012, come vorrebbe l'Avvocatura, lo violerebbe in
modo evidente.
29.4.- Stante, quindi, la configurabilita' di un intreccio di
materie, e non di una semplice «incidenza», sarebbe altrettanto
evidente come nel procedimento di adozione del decreto legislativo
siano stati violati sia il principio di leale collaborazione - non
essendosi il Governo adeguato ai rilievi, ne' avendo cercato
un'intesa, benche' vi fosse tenuto - sia il principio di
sussidiarieta'.
29.5.- In tale prospettiva, sussisterebbe indubbiamente anche la
violazione della norma di attuazione allo Statuto speciale di
autonomia di cui all'art. 7 del d.P.R. n. 526 del 1987, ora
«consacrata» dall'art. 117, quinto comma, Cost., che riconosce alla
ricorrente Provincia il potere di dare immediata attuazione alle
direttive dell'Unione europea nelle materie di propria competenza,
salvo adeguarsi, nei limiti previsti dallo Statuto speciale di
autonomia, alle leggi statali di attuazione dei predetti atti
dell'Unione europea.
Sarebbe, pertanto, tutt'altro che inconferente il richiamo
all'art. 41 della legge n. 234 del 2012, ove si consideri che le
disposizioni impugnate vengono a sovrapporsi e a condizionare la
disciplina provinciale, recando una disciplina che non ha i caratteri
della suppletivita' e della cedevolezza richiesti per la finalita'
sostitutiva di cui al predetto articolo.
29.6.- La normativa statale non potrebbe determinare
l'abrogazione, neppure tacitamente e in via di fatto, della normativa
provinciale preesistente, stante la specifica norma di attuazione
statutaria di cui al citato art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992.
A questo riguardo, la Provincia segnala che, nelle more, e'
entrata in vigore la legge provinciale 13 ottobre 2017, n. 17
(Valutazione ambientale per piani, programmi e progetti), con la
quale e' stata data attuazione a tre direttive dell'Unione europea,
tra cui la direttiva 2011/92/UE, modificata dalla direttiva
2014/52/UE, concernente la valutazione dell'impatto ambientale di
determinati progetti pubblici e privati, nonche' alla Parte seconda
del d.lgs. n. 152 del 2006. Tale legge disciplina i diversi
procedimenti di valutazione ambientale a livello provinciale, tenendo
conto anche delle modifiche apportate dal d.lgs. n. 104 del 2017, in
discussione, entro i limiti prescritti dall'art. 2 del d.lgs. n. 266
del 1992. La ricorrente da', peraltro, atto che il Presidente del
Consiglio dei ministri ha proposto questioni di legittimita'
costituzionale di alcune disposizioni della citata legge provinciale.
Considerato in diritto
1.- Con i ricorsi indicati in epigrafe, le Regioni a statuto
ordinario Lombardia, Puglia, Abruzzo, Veneto e Calabria, le Regioni a
statuto speciale Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste, Friuli-Venezia Giulia
e Sardegna, e le due Province autonome di Trento e di Bolzano hanno
promosso, in riferimento a plurimi parametri costituzionali e
statutari, questioni di legittimita' costituzionale dell'intero
decreto legislativo 16 giugno 2017, n. 104 (Attuazione della
direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16
aprile 2014, che modifica la direttiva 2011/92/UE, concernente la
valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici
e privati, ai sensi degli artt. 1 e 14 della legge 9 luglio 2015, n.
114), o di sue singole disposizioni.
Il decreto legislativo impugnato e' stato adottato sulla base
della delega legislativa conferita dagli artt. 1 e 14 della legge 9
luglio 2015, n. 114 (Delega al Governo per il recepimento delle
direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea -
Legge di delegazione europea 2014), al fine di dare attuazione alla
direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16
aprile 2014, che modifica la direttiva 2011/92/UE concernente la
valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici
e privati. Nel conferire al Governo la delega legislativa per
l'attuazione della direttiva, il legislatore delegante, per un verso,
ha fatto rinvio a talune disposizioni della legge 24 dicembre 2012,
n. 234, recante «Norme generali sulla partecipazione dell'Italia alla
formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche
dell'Unione europea» (da ora in poi, anche: legge quadro europea), e,
per altro verso, ha stabilito specifici principi e criteri direttivi.
Sulla base delle norme di delega, il decreto legislativo
impugnato ha realizzato un'ampia riforma della disciplina delle
procedure di valutazione di impatto ambientale (VIA) e di verifica di
assoggettabilita' a VIA contenuta nel decreto legislativo 3 aprile
2006, n. 152, recante «Norme in materia ambientale» (da ora in poi,
anche: cod. ambiente). Le doglianze delle ricorrenti traggono origine
dal rilievo che le modifiche operate hanno comportato un riassetto -
nel segno di una marcata e, in assunto, illegittima centralizzazione
- delle competenze, tanto normative quanto amministrative, dello
Stato e delle Regioni nella materia considerata.
2.- In considerazione della identita', anche solo parziale, delle
norme impugnate e delle censure proposte, i giudizi devono essere
riuniti per essere trattati congiuntamente e decisi con un'unica
pronuncia.
3.- Devono essere prioritariamente scrutinate, per ragioni di
pregiudizialita' logico-giuridica, le questioni di legittimita'
costituzionale dell'intero decreto legislativo, promosse da alcune
delle ricorrenti. Queste ultime hanno chiaramente ed esaustivamente
indicato le competenze regionali o provinciali asseritamente incise
dall'atto impugnato, con cio' assolvendo l'onere di motivare circa la
ridondanza del vizio di eccesso di delega sulle loro attribuzioni
costituzionalmente garantite.
3.1.- La Regione Puglia e la Provincia autonoma di Trento
assumono che il decreto legislativo sarebbe stato adottato in
violazione dell'art. 76 della Costituzione (e anche dell'art. 77,
secondo la Provincia autonoma di Trento), per tardivo esercizio della
delega.
Analoga censura, pur se formalmente rivolta ai soli artt. 5,
comma 1 - nella parte in cui introduce l'art. 7-bis, commi 2, 3, 7, 8
e 9, nel d.lgs. n. 152 del 2006 -, 22, commi 1, 2, 3 e 4, e 23, commi
1 e 4, del d.lgs. n. 104 del 2017, e' altresi' proposta dalla
Provincia autonoma di Bolzano.
Le ricorrenti osservano che l'art. 1, comma 2, della legge n. 114
del 2015 ha individuato il termine per l'esercizio della delega
mediante rinvio all'art. 31, comma 1, della legge n. 234 del 2012.
Tale disposizione, nel testo vigente al momento dell'entrata in
vigore della legge di delega, prevedeva che i decreti legislativi per
l'attuazione delle direttive europee dovessero essere adottati entro
i due mesi antecedenti il termine di recepimento della direttiva da
attuare. La direttiva 2014/52/UE doveva essere recepita entro il 16
maggio 2017 e, pertanto, il termine per l'esercizio della delega
sarebbe scaduto il 16 marzo 2017.
Successivamente all'entrata in vigore della legge delega, l'art.
29 della legge 29 luglio 2015, n. 115 (Disposizioni per l'adempimento
degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione
europea - Legge europea 2014), ha modificato la disposizione oggetto
del rinvio (l'art. 31, comma 1, della legge n. 234 del 2012),
prevedendo che i decreti legislativi di attuazione delle direttive
devono essere adottati entro i quattro mesi antecedenti il termine di
recepimento della direttiva.
Secondo le ricorrenti, il Governo era tenuto al rispetto di
questo diverso e piu' ristretto termine. Il rinvio operato dalla
legge delega andrebbe inteso, infatti, come rinvio mobile, e non gia'
come rinvio fisso o recettizio. Il rinvio fisso potrebbe essere
ravvisato - per ripetuta affermazione di questa Corte (e' richiamata,
in particolare, la sentenza n. 258 del 2014) - solo in presenza di
una volonta' espressa del legislatore, ovvero di elementi «univoci e
concludenti», non riscontrabili nella specie.
Il termine di esercizio della delega sarebbe scaduto, percio', il
16 gennaio 2017, con conseguente tardivita' del decreto delegato,
emanato invece il 16 giugno 2017.
3.1.1.- Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha eccepito
l'inammissibilita' delle questioni promosse dalla Provincia autonoma
di Bolzano, stante la mancata corrispondenza tra le censure (che
varrebbero a travolgere l'intero decreto legislativo) e il petitum,
limitandosi la Provincia ricorrente a richiedere la declaratoria di
illegittimita' costituzionale di singole disposizioni del decreto.
L'eccezione non e' fondata.
La ricorrente ha ritenuto di impugnare le sole disposizioni che
reputa lesive delle proprie competenze costituzionalmente garantite.
La circostanza che il vizio lamentato potrebbe determinare, in
ipotesi, l'illegittimita' costituzionale non solo delle disposizioni
censurate, ma del decreto legislativo nella sua interezza, non vale -
contrariamente a quanto sostenuto dal resistente - a rendere dovuta,
pena la sua inammissibilita', l'impugnazione dell'intero atto
normativo.
3.1.2.- Nel merito, le questioni non sono fondate.
L'Avvocatura dello Stato ha correttamente rilevato, infatti, che
interpretare quale rinvio mobile il rinvio all'art. 31, comma 1,
della legge n. 234 del 2012, operato dalla legge delega, si porrebbe
in contrasto con il principio generale di irretroattivita' delle
leggi di cui all'art. 11 delle disposizioni preliminari al codice
civile, il quale impone di ritenere che il "nuovo" termine per
l'esercizio delle deleghe di attuazione della normativa europea si
applica alle sole deleghe legislative conferite successivamente alla
modifica del richiamato art. 31, comma 1.
Non giova opporre, come fanno invece le ricorrenti, che il
principio di irretroattivita' vale solo per le norme sostanziali,
mentre nella specie si tratterebbe di una norma procedimentale,
soggetta al principio tempus regit actum. Di la' da ogni
considerazione sul fatto che la norma che fissa il termine entro cui
esercitare la delega non e' meramente procedimentale, perche'
determina quel «tempo limitato» (art. 76 Cost.) durante il quale il
Governo ha il potere di esercitare in via eccezionale una funzione,
quella legislativa, che ordinariamente spetta alle Camere, deve
escludersi, salvo espressa indicazione di segno contrario, che la
modifica - in senso abbreviativo - del termine per l'esercizio di un
potere o di una facolta' possa applicarsi in confronto a poteri e
facolta' gia' insorti e rispetto ai quali sta decorrendo il termine
originario: il che e' precisamente la situazione del caso di specie,
essendo la legge delega entrata in vigore prima della modifica
all'art. 31, comma 1, della legge n. 234 del 2012. Una diversa
soluzione rischierebbe di produrre, d'altra parte, risultati
illogicamente penalizzanti, potendo determinare - in assenza di
un'univoca manifestazione in tal senso da parte del titolare della
funzione legislativa - il radicale azzeramento del potere del
delegato.
L'interpretazione del rinvio in esame quale rinvio fisso,
d'altronde, e' quella che risponde all'esigenza che il legislatore
delegante determini il «tempo limitato» entro cui puo' essere
esercitata la delega «in uno qualunque dei modi che consentano di
individuare, in via diretta, o anche indirettamente con l'indicazione
di un evento futuro ma certo, il momento iniziale e quello finale del
termine» (sentenza n. 163 del 1963). Se, infatti, il potere del
Governo di esercizio della funzione legislativa ex art. 76 Cost. deve
essere temporalmente delimitato dalla legge delega, l'individuazione
certa del termine ottenuta attraverso il rinvio ad una disposizione
di carattere generale (quale il procedimento, ed i relativi termini,
delineato dalla legge n. 234 del 2012) non puo' considerarsi
modificata, in mancanza di una espressa volonta' del legislatore
delegante, in caso di intervento normativo sulla disposizione oggetto
del rinvio. La necessita' che il termine per l'esercizio della delega
sia definito, pur se indirettamente determinato, rende obbligata,
dunque, l'opzione ermeneutica secondo cui l'art. 1, comma 2, della
legge n. 114 del 2015 e' disposizione recante un rinvio fisso: cosi'
interpretata la norma di delega, infatti, il delegante ha individuato
con certezza il «tempo limitato» di cui all'art. 76 Cost., senza,
peraltro, che cio' gli impedisca, in un momento successivo, di
intervenire espressamente, a delega aperta, per rideterminare, con
altrettanta certezza, il momento finale del termine.
3.2.- La Provincia autonoma di Trento (e la Regione Puglia, ma
soltanto nella memoria illustrativa, il che rende inammissibile la
questione da questa promossa) ritiene che, anche a voler considerare
fisso il rinvio di cui all'art. 1, comma 2, della legge n. 114 del
2015, il decreto legislativo sarebbe stato del pari adottato
tardivamente.
Come si e' gia' visto, infatti, il termine per l'esercizio della
delega sarebbe scaduto il 16 marzo 2017. In tale stessa data, il
Governo ha trasmesso lo schema di decreto legislativo alle Camere,
perche', secondo quanto prescritto dall'art. 1, comma 3, della legge
delega, venisse espresso il parere dei competenti organi
parlamentari: parere, questo, che doveva essere reso entro quaranta
giorni dalla trasmissione (art. 31, comma 3, della legge n. 234 del
2012). A opinione del Governo, si sarebbe in tal modo determinata la
condizione prevista dal medesimo art. 31, comma 3, per la proroga di
tre mesi (id est: dal 16 marzo 2017 al 16 giugno 2017) del termine
per l'esercizio della delega: ai sensi del citato art. 31, comma 3,
infatti, se il termine per rendere il parere parlamentare cade entro
i trenta giorni antecedenti la scadenza dei termini di delega o, come
nel caso di specie, successivamente a tale scadenza, quest'ultima e',
per l'appunto, prorogata di tre mesi. In ragione di tale slittamento
del termine, pertanto, la delega sarebbe stata esercitata
tempestivamente, dal momento che il d.lgs n. 104 del 2017 e' stato
emanato il 16 giugno 2017 (ed e' alla data di emanazione che, ai
sensi dell'art. 14, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400,
recante «Disciplina dell'attivita' di Governo e ordinamento della
Presidenza del Consiglio dei Ministri», deve farsi riferimento per
verificare il rispetto del requisito del «tempo limitato»).
La Provincia autonoma di Trento, tuttavia, sostiene che nel caso
di specie non poteva trovare applicazione l'art. 31, comma 3, della
legge n. 234 del 2012, poiche' l'art. 1, comma 2, della legge delega,
nell'individuare i termini per il suo esercizio, fa espressamente
rinvio al solo comma 1 di tale art. 31, e non anche al successivo
comma 3, il quale appunto prevede l'ipotesi della proroga. Il
Governo, pertanto, avrebbe potuto esercitare la delega,
invariabilmente, entro il 16 marzo 2017 e, conseguentemente,
l'emanazione del decreto legislativo sarebbe avvenuta fuori termine.
3.2.1.- La questione non e' fondata.
Come e' correttamente rilevato dall'Avvocatura dello Stato,
l'art. 1, comma 1, della legge n. 114 del 2015 testualmente delegava
il Governo ad esercitare la funzione legislativa «secondo le
procedure, i principi e i criteri direttivi di cui agli articoli 31 e
32» della legge n. 234 del 2012. L'espresso richiamo alle procedure
non puo' che riferirsi all'intero art. 31 - la cui rubrica
precisamente recita «Procedure per l'esercizio delle deleghe
legislative conferite al Governo con la legge di delegazione europea»
- e, dunque, anche al comma 3, il quale, d'altro canto, non fa altro
che prescrivere la procedura da seguire per l'acquisizione dei
previsti pareri sullo schema di decreto legislativo.
Nella memoria illustrativa, la Provincia autonoma di Trento ha
escluso la praticabilita' di tale opzione ermeneutica, sostenendo che
la fissazione del termine per l'esercizio della delega sarebbe
contenuta in una norma speciale, quale sarebbe l'art. 31, comma 1,
della legge n. 234 del 2012. E' sufficiente rilevare, in senso
contrario a quanto affermato dalla ricorrente, che la disposizione
pone, invece, una norma generale relativa all'individuazione del
termine per l'attuazione, tramite decreto legislativo, della
normativa europea, come del pari e' generale la norma che prevede, al
ricorrere di determinati sviluppi procedimentali nell'esercizio del
potere delegato, lo slittamento di detto termine.
Ne' varrebbe sostenere - come pure la Provincia autonoma di
Trento fa nella memoria illustrativa - che sarebbe contraddittorio
attribuire all'art. 1, comma 2, della legge delega ora valore
recettizio, nella determinazione del termine per l'esercizio del
potere delegato, ora valore mobile, quanto al meccanismo per la sua
eventuale proroga. Tale disposizione di delega viene in
considerazione, infatti, per la sola individuazione del termine per
l'adozione del decreto legislativo, tramite il rinvio fisso all'art.
31, comma 1, della legge n. 234 del 2012; l'applicabilita' delle
procedure complessivamente previste dal medesimo art. 31 - ivi
compresa, ove ne ricorrano i presupposti procedimentali,
l'operativita' della proroga del termine - e' prodotta, invece, dal
comma 1 dell'art. 1 della legge delega, a nulla rilevando, dunque, la
qualifica di rinvio recettizio da riconoscere al successivo comma 2.
E cio', a tacer del fatto che l'art. 31, comma 3, della legge n. 234
del 2012, comunque sia, e' ancora oggi vigente nella sua formulazione
originaria.
3.3.- La Provincia autonoma di Trento impugna l'intero decreto
legislativo anche sotto altro profilo.
La ricorrente osserva che l'art. 1, comma 3, della legge delega
prevedeva che lo schema di decreto fosse trasmesso alle Commissioni
parlamentari «dopo l'acquisizione degli altri pareri previsti dalla
legge». Nella specie, quindi, il Governo avrebbe dovuto provvedere a
tale trasmissione solo dopo aver acquisito il parere della Conferenza
Stato-Regioni, prescritto dall'art. 2, comma 3, del decreto
legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (Definizione ed ampliamento delle
attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato,
le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed
unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle
regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-citta'
ed autonomie locali), per gli schemi di decreto legislativo «nelle
materie di competenza delle regioni o delle province autonome»:
materie sicuramente incise dalla nuova disciplina della VIA.
Il Governo, invece, ha trasmesso lo schema alla Conferenza
Stato-Regioni e alle Commissioni parlamentari, per i rispettivi
pareri, lo stesso giorno (16 marzo 2017). Tale espediente sarebbe
servito a "lucrare" indebitamente la proroga del termine di esercizio
della delega di cui si e' detto, dando luogo, percio', ad un «abuso
di procedimento» in violazione dell'art. 76 Cost. e, inoltre,
eludendo il termine di recepimento previsto dalla direttiva europea,
con conseguente violazione anche dell'art. 117, primo comma, Cost. In
subordine, la ricorrente ritiene sia stato altresi' violato il
principio di leale collaborazione di cui all'art. 120, secondo comma,
Cost., poiche' l'inversione dell'ordine dei pareri avrebbe impedito
alle Commissioni parlamentari di prendere cognizione delle posizioni
delle Regioni e Province autonome e di esprimersi sulle relative
osservazioni.
3.3.1.- Deve essere disattesa, anzitutto, la tesi difensiva
dell'Avvocatura dello Stato, secondo la quale, nella specie, non
sarebbe stato obbligatorio acquisire il parere della Conferenza
Stato-Regioni, posto che - per costante giurisprudenza costituzionale
- la disciplina della VIA non rientrerebbe nelle competenze
regionali, ma nella materia della tutela dell'ambiente, di competenza
statale esclusiva, con conseguente difetto del presupposto di
operativita' del citato art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 281 del 1997.
Va osservato, infatti, che tale ultima disposizione non puo'
essere riferita ai decreti legislativi che intendano invadere
competenze regionali esclusive, i quali, ovviamente, sarebbero di per
se' costituzionalmente illegittimi. Come ha correttamente osservato
la ricorrente, la necessita' di acquisire il parere,
obbligatoriamente previsto dall'appena citato decreto legislativo,
sussiste, invece, ogni qualvolta lo Stato, esercitando competenze
normative proprie in materie di cui all'art. 117, secondo comma,
Cost., oppure stabilendo principi fondamentali in materie di cui
all'art. 117, terzo comma, Cost., interferisce con ambiti di
competenza regionale.
E non puo' esservi dubbio che, a fronte di una materia
trasversale quale la «tutela dell'ambiente», per di piu' allorche' si
detti la disciplina della VIA, possa determinarsi una interferenza
con ambiti di competenza regionale. D'altronde, come attesta la
relazione allo schema di decreto legislativo, lo stesso Governo ha
inteso come obbligatorio il parere della Conferenza Stato-Regioni. E
cio' appare evidentemente assorbire qualsiasi diversa tesi avanzata,
in astratto, dall'Avvocatura dello Stato.
3.3.2.- Le questioni sono, comunque sia, non fondate.
3.3.3.- Movendo dalla questione proposta in riferimento all'art.
76 Cost., deve rilevarsi che questa Corte ne ha gia' scrutinato una
analoga, del pari promossa in base all'assunto che il decreto
legislativo impugnato fosse stato adottato in violazione della
scansione procedimentale, in ordine alla richiesta dei pareri,
prescritta dalla disposizione di delega, con cio' facendo scattare lo
slittamento del termine per l'esercizio della delega, pure allora
normativamente previsto.
Si e' affermato, in quella occasione, per un verso, che, al fine
di rispettare la norma di delega, «[l]'adempimento procedurale
imprescindibile» era che le Commissioni parlamentari «rendessero
parere dopo avere avuto contezza di quelli espressi» dagli altri
organi coinvolti nel procedimento; per un altro, che, le condizioni
per l'operativita' della proroga del termine per l'esercizio della
delega erano costituite dalla trasmissione della richiesta di parere
alle Commissioni parlamentari, dalla circostanza che il termine per
rendere tale parere sarebbe scaduto entro il lasso di tempo indicato
dalla norma di delega e, infine, dall'essere stato avviato il
procedimento anche in relazione agli altri organi coinvolti per
volonta' del legislatore delegante, «in modo da permettere a questi
ultimi di rendere il parere e di garantirne l'acquisizione da parte
delle Commissioni parlamentari entro un tempo in grado di assicurare
l'esaurimento del procedimento» (sentenza n. 261 del 2017).
L'art. 1, comma 3, della legge n. 114 del 2015, norma interposta
nel presente giudizio di legittimita' costituzionale, e' ispirato
alla medesima ratio. L'odierna disposizione delegante, infatti,
prescrivendo che la trasmissione alle Commissioni parlamentari dello
schema di decreto avvenisse una volta acquisiti gli altri pareri
previsti dalla legge, ha imposto che tali Commissioni, articolazione
interna del soggetto titolare della funzione legislativa, fossero
sentite e si esprimessero per ultime sullo schema di decreto, in modo
da rendere il proprio parere potendo tenere in considerazione le
osservazioni contenute negli «altri pareri previsti dalla legge».
Emerge chiaramente, dall'esame degli sviluppi procedimentali
successivi alla trasmissione dello schema di decreto legislativo a
tutti gli organi chiamati a esprimere parere (avvenuta il 16 marzo
2017, come attestato dagli atti parlamentari), che la ratio della
norma di delega e' stata rispettata, poiche' le Commissioni
parlamentari hanno reso il proprio parere avendo contezza di quello
precedentemente espresso dalla Conferenza Stato-Regioni. Difatti: il
4 maggio 2017 quest'ultima ha reso parere favorevole, con condizioni;
le Commissioni VIII (Ambiente) e XIV (Politiche dell'Unione europea)
della Camera dei deputati, successivamente alla formale trasmissione
del parere della Conferenza Stato-Regioni, hanno espresso il proprio
parere, rispettivamente, il 10 maggio e il 17 maggio 2017; infine, la
XIII Commissione del Senato della Repubblica (Territorio, ambiente,
beni ambientali) ha espresso il proprio parere il 16 maggio 2017,
dopo aver ricevuto il parere della Conferenza Stato-Regioni, e, per
di piu', aver sentito, nel corso di una audizione informale il 9
maggio 2017, i rappresentanti di detta Conferenza.
Va rilevato, a conferma della piena «interlocuzione sullo schema
di decreto delegato degli organi chiamati a rendere il parere»
(sentenza n. 261 del 2017), come questi ultimi si siano tutti
espressi oltre i termini indirettamente prescritti dalla legge
delega: la Conferenza Stato-Regioni, ai sensi dell'art. 2, comma 3,
del d.lgs. n. 281 del 1997, avrebbe dovuto rendere il parere entro
venti giorni dalla trasmissione dello schema di decreto e, dunque,
non oltre il 5 aprile 2017; le Commissioni parlamentari, dal canto
loro, disponevano, ai sensi dell'art. 31, comma 3, della legge n. 234
del 2012, richiamato dall'art. 1, comma 1, della legge delega, di
quaranta giorni, sempre a far data dalla trasmissione, e, pertanto,
si sarebbero dovute esprimere non oltre il 25 aprile 2017. Nonostante
l'avvenuta decorrenza dei termini, del resto ordinatori, il Governo,
invece di procedere con l'adozione del decreto legislativo e con la
trasmissione del medesimo al Presidente della Repubblica per la sua
emanazione, secondo quanto consentitogli dal richiamato art. 31,
comma 3, ha opportunamente deciso di attendere l'espressione dei
pareri.
Il complessivo procedimento, pertanto, si e' svolto con modalita'
che hanno consentito alle Commissioni parlamentari di avere
conoscenza - condizione ineludibile, questa, per la legittimita' del
procedimento di adozione del decreto legislativo - del parere
espresso dalla Conferenza Stato-Regioni. Cio' che, peraltro, e'
sufficiente per considerare non fondata la questione, promossa in via
subordinata e basata su un'asserita inversione dei pareri, per
violazione del principio di leale collaborazione.
La circostanza che il procedimento di adozione del decreto
legislativo sia avvenuto nel rispetto della ratio della norma di
delega, dunque senza l'«abuso di procedimento» denunciato dalla
ricorrente, esclude altresi' che la contestuale trasmissione dello
schema a Commissioni parlamentari e Conferenza Stato-Regioni sia
valsa soltanto a ottenere indebitamente lo slittamento del termine
per l'esercizio della delega. Tale slittamento, che ha consentito
l'emanazione del decreto legislativo il 16 giugno 2017, si e'
verificato, difatti, in ragione della sussistenza delle condizioni
previste dalla delega: trasmissione dello schema di decreto alle
Commissioni parlamentari entro il termine per l'esercizio del potere
delegato; coinvolgimento, entro quel medesimo termine, anche della
Conferenza Stato-Regioni; infine, scadenza del termine per rendere il
parere da parte degli organi parlamentari in data successiva a quella
entro cui si sarebbe dovuto procedere all'emanazione del decreto
legislativo.
3.3.4.- Non fondata e', poi, la questione in riferimento all'art.
117, primo comma, Cost., la cui violazione sarebbe stata in ipotesi
determinata dall'emanazione del decreto legislativo oltre il termine
per il recepimento della direttiva. E' sufficiente rilevare, in
proposito, come il suo accoglimento aggraverebbe il vulnus al
parametro costituzionale evocato, poiche' l'annullamento dell'intero
decreto legislativo renderebbe lo Stato italiano responsabile per il
mancato recepimento della direttiva 2014/52/UE.
3.4.- La Regione Puglia impugna l'intero decreto legislativo,
lamentando sia stato adottato in contrasto con il principio di leale
collaborazione, in quanto, incidendo la disciplina da esso recata su
un intreccio di materie di competenza statale e regionale, la sua
adozione avrebbe dovuto essere preceduta dall'intesa con le Regioni,
conformemente a quanto affermato da questa Corte con la sentenza n.
251 del 2016.
Censure di identico tenore sono svolte da tutte le altre
ricorrenti in rapporto non all'intero decreto legislativo, ma a
singole disposizioni del decreto impugnato.
3.4.1.- Le ricorrenti ritengono che il principio della previa
intesa derivi direttamente dalla Costituzione e debba, pertanto,
trovare applicazione anche in assenza di espresse previsioni della
legge delega.
La Regione Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste e la Regione Puglia,
inoltre, chiedono a questa Corte - qualora ritenga che l'intesa debba
essere prevista a monte dal legislatore delegante - di sollevare
innanzi a se' stessa questione di legittimita' costituzionale della
legge delega n. 114 del 2015.
3.4.2.- In relazione ad alcuni dei ricorsi, il Presidente del
Consiglio dei ministri ha eccepito in via preliminare
l'inammissibilita' delle censure, in quanto non precedute dalla
tempestiva impugnazione, in parte qua, della legge delega.
Impugnazione la cui esperibilita' e', peraltro, contestata dalle
ricorrenti nelle memorie illustrative, sull'assunto che i principi e
criteri direttivi della legge n. 114 del 2015 non presenterebbero
quel tasso di specificita' e concretezza atto a rendere
immediatamente percepibile l'invasione delle competenze regionali.
3.4.3.- L'eccezione di inammissibilita' e' fondata.
Questa Corte ha gia' affermato che, alla luce dei principi
desumibili dalla sentenza n. 251 del 2016, la norma di delega puo'
essere impugnata «allo scopo di censurare le modalita' di attuazione
della leale collaborazione dalla stessa prevista ed al fine di
ottenere che il decreto delegato sia emanato previa intesa» (sentenza
n. 261 del 2017). Dall'immediata impugnabilita' della norma di
delega, per violazione del principio di leale collaborazione, deriva,
per un verso, che «la lesione costituisce effetto diretto ed
immediato di un vizio della stessa, non del decreto delegato» e, per
un altro, che l'eventuale vizio del decreto delegato e', dunque,
meramente riflesso, con la conseguenza che la censura di violazione
del principio di leale collaborazione «denuncia in realta' un vizio
che concerne direttamente ed immediatamente la norma di delega»
(sentenza n. 261 del 2017).
La mancata impugnazione della legge delega non puo' essere
impropriamente surrogata, per le ragioni anzidette, dalle questioni
di legittimita' proposte negli odierni giudizi, le quali, pertanto,
vanno dichiarate inammissibili. Tali ultime argomentazioni valgono
altresi' a escludere che questa Corte possa prendere in
considerazione l'istanza di autorimessione sulla legge delega,
proposta dalla Regione Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste e dalla Regione
Puglia (sentenza n. 261 del 2017).
4.- Al fine di procedere allo scrutinio delle questioni di
legittimita' costituzionale promosse avverso le singole disposizioni
del decreto legislativo impugnato, e' necessario premettere un esame
del contenuto normativo della direttiva 2014/52/UE e della legge
delega n. 114 del 2015, nonche' una ricostruzione dell'ambito
materiale sul quale interviene il d.lgs. n. 104 del 2017.
5.- Come gia' anticipato, il d.lgs. n. 104 del 2017 ha realizzato
un ampio intervento di riforma delle procedure di valutazione di
impatto ambientale, gia' puntualmente disciplinate dal cod. ambiente
sulla scorta degli impulsi derivanti dal diritto sovranazionale sin
dalla direttiva 85/337/CEE del Consiglio del 27 giugno 1985,
concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati
progetti pubblici e privati.
5.1.- Si tratta di un settore ove l'intervento europeo si e'
manifestato in tutta la sua evidenza, in nome di finalita' e
obiettivi che hanno sviluppato in senso progressivo le stesse norme
costituzionali, prive, sino alla riforma del Titolo V della Parte II
della Costituzione, di significativi riferimenti al valore
ambientale, se si esclude il cenno al paesaggio di cui all'art. 9
Cost.
Come questa Corte ha avuto modo di affermare in una risalente
decisione riguardante il "prototipo" della VIA, la normativa interna
di recepimento della direttiva 85/337/CEE ha dato, per la prima
volta, «riconoscimento specifico alla salvaguardia dell'ambiente come
diritto fondamentale della persona ed interesse fondamentale della
collettivita'» (sentenza n. 210 del 1987). L'emersione dell'ambiente
quale bene giuridico complesso, insieme situazione soggettiva e
interesse obiettivo della collettivita', ha reso necessaria la
creazione di «istituti giuridici per la sua protezione», nell'ottica
di «una concezione unitaria [...] comprensiva di tutte le risorse
naturali e culturali» del Paese. In altri termini, l'ambiente esprime
valori che «la Costituzione prevede e garantisce (artt. 9 e 32
Cost.), alla stregua dei quali, le [relative] norme di previsione
abbisognano di una sempre piu' moderna interpretazione» (sentenza n.
210 del 1987).
5.2.- La VIA ha, dunque, una duplice valenza: istituto
comunitariamente necessitato, essa ha rappresentato, sin dalle sue
origini, uno strumento per individuare, descrivere e valutare gli
effetti di un'attivita' antropica sulle componenti ambientali e, di
conseguenza, sulla stessa salute umana, in una prospettiva di
sviluppo e garanzia dei valori costituzionali. Descritta dall'art. 5
cod. ambiente, la VIA ha giuridicamente una struttura anfibia: per un
verso, conserva una dimensione partecipativa e informativa, volta a
coinvolgere e a fare emergere nel procedimento amministrativo i
diversi interessi sottesi alla realizzazione di un'opera ad impatto
ambientale; per un altro, possiede una funzione autorizzatoria
rispetto al singolo progetto esaminato.
5.3.- Il d.lgs. n. 104 del 2017 si inserisce in tale contesto.
Esso declina nell'ordinamento italiano le innovazioni apportate dalla
direttiva 2014/52/UE che modifica la direttiva 2011/92/UE.
5.3.1.- La novella sovranazionale e' incentrata, anzitutto,
sull'obiettivo di migliorare la qualita' della procedura di
valutazione dell'impatto ambientale, allineandola ai principi della
regolamentazione intelligente, e cioe' della regolazione diretta a
semplificare le procedure e a ridurre gli oneri amministrativi
implicati nella realizzazione dell'opera. In coerenza con questi
obiettivi, la direttiva si propone di promuovere l'integrazione delle
valutazioni dell'impatto ambientale nelle procedure nazionali
(considerando n. 21), realizzando procedure coordinate e/o comuni nel
caso in cui la valutazione risulti contemporaneamente dalla direttiva
in oggetto e da altre direttive europee in materia ambientale
(considerando n. 37). Essa si preoccupa di potenziare l'accesso del
pubblico alle informazioni ambientali anche mediante la pubblicazione
del progetto e delle osservazioni in formato elettronico
(considerando n. 18) e di prevedere l'eventuale esonero dalle
procedure per progetti, o parti di progetti, destinati a scopo di
difesa nazionale oppure aventi quale unica finalita' la risposta alle
emergenze che riguardano la protezione civile (considerando n. 19 e
n. 20).
La direttiva, inoltre, impone agli Stati membri di assicurare
trasparenza e responsabilita', documentando le proprie decisioni e
considerando i risultati delle consultazioni effettuate e delle
pertinenti informazioni raccolte, adattando e chiarendo i criteri di
selezione per stabilire quali progetti sottoporre a VIA, richiedendo
altresi' di precisare il contenuto della determinazione successiva
alla verifica di assoggettabilita' a VIA, in particolare in caso non
sia richiesta una valutazione dell'impatto (considerando n. 29).
Infine, la direttiva invita gli Stati membri a garantire che il
processo decisionale si svolga «entro un lasso di tempo ragionevole»,
in funzione della natura, complessita' e ubicazione del progetto
nonche' delle sue dimensioni (considerando n. 36) e a determinare, in
piena autonomia, sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive da
applicare in caso di violazione delle disposizioni nazionali adottate
ai sensi della direttiva (considerando n. 38).
5.3.2.- Questi principi sono stati in parte riprodotti dalla
legge delega n. 114 del 2015, la quale ha stabilito, all'art. 14, che
il Governo avrebbe dovuto realizzare la «semplificazione,
armonizzazione e razionalizzazione delle procedure di valutazione di
impatto ambientale anche in relazione al coordinamento e
all'integrazione con altre procedure volte al rilascio di pareri e
autorizzazioni a carattere ambientale»; rafforzare la «qualita' della
procedura di valutazione di impatto ambientale, allineando tale
procedura ai principi della regolamentazione intelligente (smart
regulation) e della coerenza e delle sinergie con altre normative e
politiche europee e nazionali», e revisionare il sistema
sanzionatorio «al fine di definire sanzioni efficaci, proporzionate e
dissuasive e di consentire una maggiore efficacia nella prevenzione
delle violazioni». Nell'intervento di riforma, infine, l'esecutivo
avrebbe dovuto prevedere «la destinazione dei proventi derivanti
dalle sanzioni amministrative per finalita' connesse al potenziamento
delle attivita' di vigilanza, prevenzione e monitoraggio ambientale,
alla verifica del rispetto delle condizioni previste nel procedimento
di valutazione ambientale, nonche' alla protezione sanitaria della
popolazione in caso di incidenti o calamita' naturali».
5.3.3.- In attuazione della delega, e' stato emanato il d.lgs. n.
104 del 2017, impugnato dalle ricorrenti. Tale atto ha riallocato in
capo allo Stato alcuni procedimenti in materia di VIA in precedenza
assegnati alle Regioni e ha disciplinato nuovamente, nella sua
interezza, la procedura di verifica di assoggettabilita' a VIA e la
VIA, introducendo altresi' significative innovazioni, quali il
provvedimento unico in materia ambientale (facoltativo per i
procedimenti di competenza statale, obbligatorio per le Regioni).
6.- Alla luce di tali premesse, emerge ictu oculi come la materia
su cui insiste il decreto legislativo impugnato sia riconducibile, in
via prevalente, alla competenza esclusiva dello Stato in tema di
tutela dell'ambiente e dell'ecosistema (art. 117, secondo comma,
lettera s, Cost.). Questa Corte ha in piu' occasioni affermato che
«[l]'obbligo di sottoporre il progetto alla procedura di VIA o, nei
casi previsti, alla preliminare verifica di assoggettabilita' a VIA,
rientra nella materia della "tutela ambientale"» altresi' precisando
che esso rappresenta «nella disciplina statale, anche in attuazione
degli obblighi comunitari, un livello di protezione uniforme che si
impone sull'intero territorio nazionale, pur nella concorrenza di
altre materie di competenza regionale» (sentenze n. 232 del 2017 e n.
215 del 2015; nello stesso senso, le sentenze n. 234 e n. 225 del
2009).
6.1.- La VIA, dunque, rappresenta lo strumento necessario a
garantire una tutela unitaria e non frazionata del bene ambiente. Per
costante giurisprudenza di questa Corte, la tutela dell'ambiente non
e' configurabile «come sfera di competenza statale rigorosamente
circoscritta e delimitata, giacche', al contrario, essa investe e si
intreccia inestricabilmente con altri interessi e competenze».
L'ambiente e' un valore «costituzionalmente protetto, che, in quanto
tale, delinea una sorta di materia "trasversale", in ordine alla
quale si manifestano competenze diverse, che ben possono essere
regionali, spettando [pero'] allo Stato le determinazioni che
rispondono ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull'intero
territorio nazionale» (sentenza n. 407 del 2002; nello stesso senso,
piu' recentemente, le sentenze n. 66 del 2018, n. 218 e n. 212 del
2017, n. 210 del 2016). In tal caso, la disciplina statale nella
materia della tutela dell'ambiente «"viene a funzionare come un
limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano
in altre materie di loro competenza", salva la facolta' di queste
ultime di adottare norme di tutela ambientale piu' elevata
nell'esercizio di competenze, previste dalla Costituzione, che
concorrano con quella dell'ambiente» (sentenza n. 199 del 2014; nello
stesso senso, le sentenze n. 246 e n. 145 del 2013, n. 67 del 2010,
n. 104 del 2008 e n. 378 del 2007).
La trasversalita' della tutela ambientale implica una connaturale
intersezione delle competenze regionali, attraversate, per cosi'
dire, dalle finalita' di salvaguardia insite nella materia-obiettivo.
6.2.- Quanto appena detto, utile a inquadrare l'ambito materiale
interessato dalla disciplina, deve essere ulteriormente specificato
con riferimento agli enti ad autonomia differenziata: in relazione a
questi ultimi, la competenza esclusiva dello Stato in materia
ambientale deve essere necessariamente contemperata con lo spazio di
autonomia spettante in virtu' dello statuto speciale (sentenze n. 212
del 2017, n. 51 del 2016, n. 233 del 2013 e n. 357 del 2010).
6.2.1.- Non puo' escludersi che, nel caso di specie, vista la
molteplicita' di ambiti materiali toccati dall'intervento statale,
comunque funzionalizzato, nel suo insieme, ad offrire una efficace,
territorialmente non frazionabile, tutela ambientale, possano venire
in rilievo alcune delle competenze disciplinate dagli statuti
speciali. Cio' nonostante, va rilevato che tutti gli statuti speciali
delle ricorrenti annoverano, tra i limiti alle competenze
statutariamente previste, le norme statali di riforma
economico-sociale e gli obblighi internazionali (artt. 4 e 8 del
d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, recante «Approvazione del testo unico
delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il
Trentino-Alto Adige»; art. 2 della legge costituzionale 26 febbraio
1948, n. 4, recante «Statuto speciale per la Valle d'Aosta»; art. 4
della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1, recante «Statuto
speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia»; art. 3 della legge
costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, recante «Statuto speciale per
la Sardegna»).
Con riferimento alle norme fondamentali di riforma
economico-sociale, anche recentemente questa Corte ha preteso «dalle
regioni speciali (e dalle due province autonome) il rispetto di
prescrizioni legislative statali di carattere generale incidenti su
materie assoggettate dagli statuti al regime della competenza
legislativa piena o primaria» (sentenza n. 229 del 2017). In
particolare, il legislatore statale conserva il potere di vincolare
la potesta' legislativa primaria della Regione speciale attraverso
leggi qualificabili come "riforme economico-sociali": «e cio' anche
sulla base [...] del titolo di competenza legislativa nella materia
"tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali", di cui
all'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione,
comprensiva tanto della tutela del paesaggio quanto della tutela dei
beni ambientali o culturali; con la conseguenza che le norme
fondamentali contenute negli atti legislativi statali emanati in tale
materia potranno continuare ad imporsi al necessario rispetto [...]
degli enti ad autonomia differenziata nell'esercizio delle proprie
competenze» (sentenza n. 229 del 2017; nello stesso senso, le
sentenze n. 212 del 2017, n. 233 del 2010, n. 164 del 2009, n. 51 del
2006 e n. 536 del 2002).
6.2.2.- Non vi e' dubbio che la normativa censurata puo' essere
ascritta a tale categoria: le norme fondamentali di riforma
economico-sociale sono tali, infatti, per il loro «contenuto
riformatore» e per la loro «attinenza a settori o beni della vita
economico-sociale di rilevante importanza» (sentenza n. 229 del
2017). Gli interessi sottesi alla disciplina, che postulano una
uniformita' di trattamento sull'intero territorio nazionale (sentenze
n. 170 del 2001, n. 477 del 2000 e n. 323 del 1998; da ultimo, anche
sentenza n. 229 del 2017), assieme allo stretto rapporto di
strumentalita' che, nel caso de quo, le disposizioni intrattengono
con il valore ambientale, bene di rango costituzionale che trova
proprio nella valutazione di impatto ambientale un imprescindibile
strumento di salvaguardia, concorrono a qualificare come norme
fondamentali di riforma economico-sociale quelle recate dal decreto
legislativo censurato. Con l'ovvia precisazione che quest'ultima e'
qualificazione che non puo' essere attribuita, immediatamente ed
indistintamente, a tutte le disposizioni di tale decreto legislativo,
ma deve essere valutata di volta in volta, alla luce della loro
ratio, potendo risultare censurabili «qualora siano eccedenti o
comunque incongruenti rispetto alla finalita' complessiva della
legge» (sentenza n. 212 del 2017).
6.2.3.- Peraltro, in forza della sua diretta derivazione europea,
la normativa censurata deve rispettare anche i relativi vincoli,
riconducibili al limite degli obblighi internazionali previsto dagli
statuti speciali.
7.- Tutto cio' premesso, possono essere scrutinate le questioni
di legittimita' costituzionale promosse nei confronti di singole
disposizioni del decreto legislativo.
8.- Per ragioni di pregiudizialita' logico-giuridica, devono
essere prioritariamente prese in esame le questioni, promosse in
riferimento all'art. 76 Cost., fondate su censure dall'analogo,
quando non del tutto identico, tenore argomentativo.
Le dieci ricorrenti, infatti, impugnano plurime disposizioni del
d.lgs. n. 104 del 2017 lamentando che sono state adottate in eccesso
di delega, posto che il profondo riassetto delle competenze, in
materia di VIA, tra Stato e Regioni, operato dal legislatore
delegato, non troverebbe alcuna base di legittimazione, ne' nella
legge di delegazione, ne' nella direttiva europea che il Governo era
chiamato ad attuare.
In particolare, e' impugnato l'art. 3, che modifica l'art. 6 cod.
ambiente, il quale definisce l'oggetto delle procedure di valutazione
ambientale strategica (VAS), di VIA, di verifica di assoggettabilita'
a VIA e di autorizzazione integrata ambientale (AIA). Alcune
ricorrenti (Regione Lombardia, Regione Puglia, Regione Abruzzo,
Regione Veneto, Regione autonoma Sardegna e Regione Calabria) si
concentrano, piu' nel dettaglio, sull'art. 3, comma 1, lettera g), il
quale consente al Ministro dell'ambiente e della tutela del
territorio e del mare, di concerto con il Ministro dei beni e delle
attivita' culturali e del turismo, di esonerare dalla procedura di
impatto ambientale progetti o parti di progetti aventi quale unico
obiettivo la difesa nazionale o la risposta alle emergenze che
riguardano la protezione civile, qualora ritenga che l'applicazione
della disciplina possa pregiudicare i suddetti obiettivi. Viene
censurato anche l'art. 3, comma 1, lettera h), il quale dispone che
il Ministro dell'ambiente, in casi eccezionali e previo parere del
Ministro dei beni culturali, possa esentare in tutto o in parte un
progetto specifico dalla procedura di VIA.
Oggetto di ricorso e' anche l'art. 4, il quale novella l'art. 7
cod. ambiente, che - a seguito dello "scorporo" da esso delle
disposizioni relative alla VIA (ora allocate nel nuovo art. 7-bis) -
regola le competenze in materia di VAS e di AIA.
Censurato e' altresi' l'art. 5, il quale, inserendo nel cod.
ambiente il sopra richiamato art. 7-bis, ridisegna la distribuzione
delle competenze tra Stato e Regioni in materia di VIA e di verifica
di assoggettabilita' a VIA, sul piano tanto normativo quanto
amministrativo. In particolare, la nuova disciplina ripartisce i
progetti tra lo Stato e le Regioni tramite rinvio agli Allegati (II e
II-bis, per la competenza statale, e III e IV, per la competenza
regionale), alla Parte seconda cod. ambiente (commi 2 e 3 del nuovo
art. 7-bis), imponendo alle Regioni e alle Province autonome di
assicurare che le procedure di loro competenza siano svolte in
conformita' al medesimo cod. ambiente (come modificato dal d.lgs. n.
104 del 2017), oltre che alla normativa europea.
Le ricorrenti considerano poi viziati per eccesso di delega
l'art. 12, nella parte in cui sostituisce l'art. 23, comma 4, secondo
periodo, cod. ambiente (trasmissione, a tutti gli enti potenzialmente
interessati, della documentazione richiesta al proponente ai fini
della VIA); l'art. 13, nella parte in cui sostituisce l'art. 24,
comma 3, secondo periodo, del medesimo decreto (il quale stabilisce
il termine di sessanta giorni per la presentazione di osservazioni e
pareri da parte della amministrazioni potenzialmente interessate a
fronte di modifiche o integrazioni apportate al progetto ad opera del
proponente); l'art. 14, sia nella parte in cui sostituisce l'art. 25,
comma 1, primo periodo, cod. ambiente (concernente la valutazione di
impatto ambientale compiuta tenendo conto dei pareri degli enti
potenzialmente interessati), sia nella parte in cui, sostituendo il
contenuto normativo dell'art. 25 del d.lgs. n. 152 del 2006, nei
provvedimenti di VIA di competenza statale non richiede piu' il
previo parere della Regione interessata. Inoltre, sono censurati gli
artt. 8, 14, 16 e 17 del d.lgs. n. 104 del 2017, laddove prevedono il
coinvolgimento del Ministro dei beni culturali e non della Regione
interessata per gli interventi di VIA statale da realizzare nel
territorio regionale.
E' impugnato anche l'art. 16, comma 2, del d.lgs. n. 104 del
2017, introduttivo dell'art. 27-bis cod. ambiente, il quale
disciplina il provvedimento unico regionale. Ai sensi di tale
disposizione, nei procedimenti di VIA per i quali e' competente la
Regione, il relativo provvedimento, finalizzato al rilascio di tutti
i provvedimenti altrimenti denominati, viene rilasciato a seguito di
apposita conferenza di servizi convocata in modalita' sincrona ai
sensi dell'art. 14-ter della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme
in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai
documenti amministrativi).
Impugnati, infine, sono l'art. 22, commi 1, 2, 3 e 4, del d.lgs.
n. 104 del 2017, che modifica gli Allegati al cod. ambiente recanti
gli elenchi dei progetti di competenza statale o regionale,
riallocando in capo allo Stato una significativa aliquota di
tipologie progettuali, e l'art. 26, comma 1, lettera a), del medesimo
decreto, il quale si limita a disporre le correlative abrogazioni.
8.1.- Ad avviso delle ricorrenti, le disposizioni censurate, che
rendono manifesta l'innovativita' del complessivo intervento di
riforma, non sarebbero consentite dai principi e criteri direttivi
dettati dall'art. 14 della legge delega, inerenti alla
«semplificazione, armonizzazione e razionalizzazione» delle procedure
di VIA, al rafforzamento della loro qualita', alla revisione e
razionalizzazione del sistema sanzionatorio e alla destinazione dei
proventi delle sanzioni amministrative. Nessuno di tali criteri,
sostengono le ricorrenti, avrebbe autorizzato il legislatore delegato
ad intervenire sul riparto delle attribuzioni tra i diversi livelli
istituzionali, segnatamente nella direzione di una marcata attrazione
delle competenze verso il centro. D'altra parte, a fronte di deleghe
al riassetto o al riordino, l'esercizio di poteri innovativi potrebbe
ritenersi ammissibile soltanto nel caso in cui siano stabiliti
principi e criteri direttivi idonei a circoscrivere la
discrezionalita' del legislatore delegato (sono richiamate le
sentenze di questa Corte n. 50 del 2014, n. 162 e n. 80 del 2012 e n.
293 del 2010).
Tanto meno, poi, l'intervento in questione potrebbe trovare
fondamento nei principi e criteri direttivi generali della legge
quadro europea, richiamati dall'art. 1, comma 1, della legge delega
n. 114 del 2015. L'art. 32, comma 1, lettera g), della suddetta legge
quadro prevede, al contrario, che, quando si verifichino
sovrapposizioni di competenze tra amministrazioni diverse, debbano
essere rispettati i «principi di sussidiarieta', differenziazione,
adeguatezza e leale collaborazione e le competenze delle regioni e
degli altri enti territoriali».
La direttiva 2014/52/UE, dal canto suo, non esprimerebbe alcuna
opzione in punto di competenza accentrata o decentrata, riconoscendo
che gli Stati membri dispongono di varie possibilita' per
l'attuazione dei relativi obiettivi.
8.2.- In via preliminare, va respinta l'eccezione di
inammissibilita', sollevata dalla difesa statale con riferimento al
ricorso della Provincia autonoma di Bolzano, per genericita' delle
censure e mancata indicazione delle competenze legislative
asseritamente lese dall'intervento normativo in oggetto.
I termini delle questioni di legittimita' costituzionale
prospettate sono infatti identificati con sufficiente precisione,
risultando soddisfatto l'onere, gravante sulla ricorrente, di
individuazione delle disposizioni impugnate, dei parametri evocati e
delle ragioni delle violazioni lamentate, secondo quanto
costantemente richiesto da questa Corte (ex plurimis, sentenza n. 103
del 2018, sentenze n. 247, n. 245 e n. 231 del 2017).
8.3.- Tutte le ricorrenti hanno adeguatamente motivato in ordine
alla ridondanza del vizio di eccesso di delega sulle loro competenze,
emergendo indiscutibilmente, dai loro ricorsi, quali tra queste
sarebbero illegittimamente incise dalle disposizioni impugnate.
8.4.- Le questioni, tuttavia, non sono fondate.
8.4.1.- Deve escludersi, innanzitutto, che la legge n. 114 del
2015 rientri nel novero delle deleghe di mero riassetto o riordino,
in ragione delle quali, per costante giurisprudenza di questa Corte,
i poteri del legislatore delegato di introduzione di soluzioni
sostanzialmente innovative rispetto alla previgente disciplina
normativa devono considerarsi circoscritti entro limiti puntuali.
Va rilevato, infatti, che i principi e criteri direttivi della
odierna delega, di cui si e' gia' detto e sui quali a breve si
tornera', necessariamente integrati con le indicazioni recate dalla
direttiva europea da attuare, prefiguravano, al contrario, una
complessiva riforma - ben oltre, dunque, il mero riassetto privo di
innovazioni - di un settore strategico per la tutela ambientale quale
e' la VIA. D'altronde, l'attuazione di una direttiva dell'Unione
europea, per di piu' modificativa di una precedente, non puo' non
implicare l'adozione di misure normative innovative, volte a
realizzare, nell'ordinamento interno, le finalita' e agli obiettivi
posti a livello europeo.
8.4.2.- Per quel che concerne lo scrutinio del supposto contrasto
con i principi e criteri direttivi della delega o con i principi
espressi dalla direttiva europea, va ricordato che la giurisprudenza
di questa Corte e' costante nell'affermare che «la legge delega,
fondamento e limite del potere legislativo delegato, non deve
contenere enunciazioni troppo generali o comunque inidonee a
indirizzare l'attivita' normativa del legislatore delegato, ma ben
puo' essere abbastanza ampia da preservare un margine di
discrezionalita', e un corrispondente spazio, entro il quale il
Governo possa agevolmente svolgere la propria attivita' di
"riempimento" normativo, la quale e' pur sempre esercizio delegato di
una funzione "legislativa"» (sentenza n. 104 del 2017). In questo
quadro, la valutazione di conformita' del decreto legislativo alla
sua legge delega «richiede un confronto tra gli esiti di due processi
ermeneutici paralleli: l'uno, relativo alle norme che determinano
l'oggetto, i principi ed i criteri direttivi indicati dalla delega,
da svolgere tenendo conto del complessivo contesto in cui si
collocano ed individuando le ragioni e le finalita' poste a
fondamento della legge di delegazione; l'altro, relativo alle norme
poste dal legislatore delegato, da interpretarsi nel significato
compatibile con i principi ed i criteri direttivi della delega»
(sentenza n. 250 del 2016).
Quando si tratti, poi, di dare attuazione, per il mezzo del
binomio legge di delega-decreto legislativo, alla normativa europea,
si e' affermato, altrettanto costantemente, che «i principi che
quest'ultima esprime si aggiungono a quelli dettati dal legislatore
nazionale e assumono valore di parametro interposto, potendo
autonomamente giustificare l'intervento del legislatore delegato»
(sentenze n. 210 del 2015 e n. 134 del 2013; nello stesso senso, la
sentenza n. 32 del 2005).
8.4.3.- Nella specie, obiettivo della direttiva - come si e'
ampiamente gia' visto - e' quello di migliorare la qualita' della
procedura di VIA, allineandola ai principi della «regolamentazione
intelligente», diretta a semplificare le procedure e a ridurre gli
oneri amministrativi (considerando n. 6), facendo si' che le
procedure stesse possano svolgersi entro un lasso di tempo
ragionevole (considerando n. 36).
La legge delega, in conformita' alla direttiva, ha indicato, in
particolare, la semplificazione, armonizzazione e razionalizzazione
delle procedure di VIA, nonche' il rafforzamento della loro qualita',
quali principi e criteri direttivi cui doveva dar seguito il Governo.
La modifica, posta in essere dalle disposizioni impugnate, della
distribuzione delle competenze tra Stato e Regioni in materia di VIA
e dei relativi procedimenti non e' certo estranea alla ratio della
delega. Come si spiega nella relazione di accompagnamento allo schema
di decreto legislativo trasmesso alle Camere, la strategia adottata
si giustifica con l'esigenza di rendere omogenea su tutto il
territorio nazionale l'applicazione delle nuove regole, in modo da
recepire fedelmente la direttiva, che reca una disciplina piuttosto
dettagliata, superando la pregressa situazione di frammentazione e
contraddittorieta' della regolamentazione, dovuta alle diversificate
discipline regionali: frammentazione cui erano imputabili le
criticita' riscontrate nella gestione delle procedure, generatrice
anche di una preoccupante dilatazione dei loro tempi di definizione.
Vero e' che la "centralizzazione" delle competenze non era
specificamente imposta ne' dalla legge delega ne' dalla direttiva -
la quale si riferisce genericamente all'«autorita' competente» in
materia di VIA, prendendo atto delle diverse possibilita' che gli
Stati membri hanno per la sua attuazione - ma la soluzione prescelta
dal legislatore delegato e' frutto legittimo dell'esercizio di quel
margine di discrezionalita' riconosciuto al Governo per raggiungere
gli obiettivi posti dalla direttiva e dalla legge delega. Cio' non
significa - ovviamente - che l'odierna conformazione della disciplina
in tema di VIA, per il solo fatto di non essere stata adottata in
eccesso di delega, sia per cio' solo rispettosa delle competenze
regionali costituzionalmente garantite: questa, infatti, e'
valutazione di tutt'altro tenore, che va condotta alla stregua di
parametri diversi da quelli concernenti la conformita' delle
disposizioni impugnate alla delega legislativa.
8.4.4.- Neppure colgono nel segno alcune delle ricorrenti quando
sostengono che la disciplina impugnata sarebbe in contrasto, in
particolare, con il principio e criterio direttivo di cui all'art.
32, comma 1, lettera g), della legge n. 234 del 2012, richiamato
dalla legge delega: principio che avrebbe imposto al Governo, nei
casi in cui si verifichino «sovrapposizioni di competenze tra
amministrazioni diverse», di individuare procedure rispettose dei
«principi di sussidiarieta', differenziazione, adeguatezza e leale
collaborazione» e delle «competenze delle regioni e degli altri enti
territoriali».
Come rilevato dall'Avvocatura generale dello Stato, proprio il
richiamo del delegante ai principi di sussidiarieta' e adeguatezza,
lungi dal cristallizzare e rendere immodificabile dal legislatore
delegato il pregresso assetto di competenze, imponeva al Governo di
verificare, alla luce dell'esperienza maturata, se l'assetto stesso
fosse conforme ai principi evocati e di eventualmente apportarvi,
all'esito, le opportune modificazioni, in quell'ottica di
semplificazione e razionalizzazione complessivamente richiesta dalla
legge delega.
Al riguardo, va anzi osservato come, alla luce dei puntuali
rilievi posti in luce nella relazione di accompagnamento dello schema
di decreto delegato, fosse evidente che era proprio la consistente
varieta' di discipline e sovrapposizioni di competenze ad aver
determinato in misura rilevante, oltre ad una incongrua varieta' di
disposizioni procedimentali, una consistente e intollerabile
dilatazione dei tempi di definizione delle procedure, specie nei casi
di maggior complessita' sul versante dell'impatto ambientale. Il che,
evidentemente, oltre a compromettere gli opposti obiettivi perseguiti
dalla nuova direttiva europea, poneva in discussione anche gli
interessi dei vari soggetti coinvolti nelle procedure.
8.4.5.- Infine, sono inammissibili le questioni di legittimita',
prospettate dalla sola Provincia autonoma di Bolzano, concernenti la
violazione del principio e criterio direttivo dettato dall'art. 32,
comma 1, lettera c), della legge n. 234 del 2012.
Tale norma, infatti, prevede che gli atti di recepimento delle
direttive UE non possono prevedere l'introduzione o il mantenimento
di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle
direttive stesse. La ricorrente, pero', si limita a richiamare il
divieto imposto dal legislatore delegante, senza indicare ne' quali
sarebbero i livelli minimi di regolazione stabiliti dalla direttiva,
ne' per quali ragioni le disposizioni impugnate li avrebbero, in
ipotesi, resi piu' gravosi.
9.- Per quanto concerne lo scrutinio delle ulteriori questioni di
legittimita' costituzionale, promosse con riferimento ai parametri
relativi alla distribuzione costituzionale delle competenze, esso
verra' condotto, in ragione delle diverse condizioni di autonomia
costituzionalmente garantite, esaminando dapprima quelle promosse
dalle Regioni a statuto ordinario e, successivamente, quelle proposte
dalle Regioni a statuto speciale.
10.- Le Regioni Lombardia, Puglia, Abruzzo, Veneto e Calabria
hanno impugnato l'art. 3, comma 1, lettera g), del d.lgs. n. 104 del
2017, nella parte in cui consente al Ministro dell'ambiente di
esonerare dalle procedure di VIA, in tutto o in parte, progetti
predisposti per rispondere ad emergenze di protezione civile.
Sarebbero violati gli artt. 3, 5, 32, 97, 117, terzo comma, 118 e
120 Cost., con censure in larga parte sovrapponibili. In particolare,
le ricorrenti lamentano una compressione delle competenze concorrenti
in materia di protezione civile e di tutela della salute. Data la
concorrenza di competenze, vi sarebbe una lesione del principio di
leale collaborazione, perche' la norma impugnata non avrebbe previsto
la necessaria intesa con la Regione sul cui territorio dovrebbe
essere realizzato il progetto. Sarebbe violato, poi, l'art. 3 Cost. -
in alcuni ricorsi evocato in combinato disposto con l'art. 97 Cost. -
per mancanza di proporzionalita' e rispondenza logica rispetto alle
finalita' dichiarate dell'intervento normativo. Infine, vi sarebbe
violazione dell'art. 118 Cost., sub specie di illegittima
compressione delle competenze amministrative affidate alle cure degli
enti regionali.
La sola Regione Puglia censura anche, in combinato disposto con
l'art. 3, comma 1, lettera g), l'art. 18, comma 3, dello stesso
decreto legislativo, il quale disciplina la cosiddetta VIA postuma,
nella parte in cui autorizza la continuazione dell'attivita'
nonostante l'acclarata violazione dei termini di valutazione
ambientale, per violazione degli artt. 3, 9, 24 e 97 Cost. In parte
qua, il decreto consentirebbe attivita', potenzialmente lesive per
l'ambiente, entro un termine non specificato in via legislativa.
10.1.- In via preliminare, va dichiarata l'inammissibilita' delle
questioni promosse dalla Regione Puglia, sul combinato disposto di
cui sopra, per difetto di motivazione in ordine alla ridondanza dei
vizi evocati su proprie competenze, accogliendo, sul punto,
l'eccezione avanzata dalla difesa statale.
Questa Corte ha costantemente affermato (da ultimo, sentenze n.
78 del 2018, n. 13 del 2017, n. 287, n. 251 e n. 244 del 2016) che le
Regioni possono evocare parametri di legittimita' costituzionale
diversi da quelli che sovrintendono al riparto di competenze fra
Stato e Regioni solo a due condizioni: quando la violazione
denunciata sia potenzialmente idonea a riverberarsi sulle
attribuzioni regionali costituzionalmente garantite (sentenze n. 8
del 2013 e n. 199 del 2012) e quando le Regioni ricorrenti abbiano
sufficientemente motivato in ordine alla ridondanza della lamentata
illegittimita' costituzionale sul riparto di competenze, indicando la
specifica competenza che risulterebbe offesa e argomentando
adeguatamente in proposito (sentenze n. 65 e n. 29 del 2016, n. 251,
n. 189, n. 153, n. 140, n. 89 e n. 13 del 2015). Le questioni
prospettate con riferimento all'impugnazione dell'art. 18, comma 3,
del d.lgs. n. 104 del 2017 non soddisfano nessuna delle due
condizioni, prive come sono di qualsiasi riferimento alla specifica
competenza legislativa che si assume violata e risultando
impossibile, dunque, individuare la potenziale lesione delle
attribuzioni regionali costituzionalmente garantite.
Di qui l'inammissibilita' delle questioni.
10.2.- Le restanti questioni, sollevate sull'art. 3, comma 1,
lettera g), del d.lgs. n. 104 del 2017, non sono fondate.
La norma impugnata riproduce quanto stabilito dalla disciplina
europea, la quale, all'art. 1, paragrafo 3, della direttiva
2011/92/UE, modificata dalla piu' recente direttiva 2014/52/UE,
stabilisce che «[g]li Stati membri possono decidere, dopo una
valutazione caso per caso e se cosi' disposto dalla normativa
nazionale, di non applicare la presente direttiva a progetti, o parti
di progetti, aventi quale unico obiettivo la difesa o a progetti
aventi quali unico obiettivo la risposta alle emergenze che
riguardano la protezione civile, qualora ritengano che la sua
applicazione possa pregiudicare tali obiettivi».
Inserendosi nel margine di discrezionalita' lasciato aperto dalla
direttiva, la normativa nazionale ha previsto che sia lo Stato a
decidere, di volta in volta, se abbassare gli standard di tutela
ambientale, laddove necessario a fronteggiare un fatto emergenziale.
Non a caso, questa Corte ha gia' affermato che «non e' inibito allo
Stato, nell'esercizio di una scelta libera del legislatore nazionale,
prevedere in modo non irragionevole l'esclusione della suddetta
valutazione di impatto ambientale per opere di particolare rilievo
quali quelle destinate alla protezione civile» (sentenza n. 234 del
2009).
Di qui la non fondatezza delle censure promosse in relazione agli
artt. 3 e 97 Cost.
10.2.1.- L'attribuzione allo Stato del potere di esonero non e'
incongruente con la necessita' di garantire l'uniformita' della
protezione ambientale. La disposizione impugnata interseca senz'altro
la materia della protezione civile, ma prevale, nel caso di specie,
la competenza esclusiva di cui all'art. 117, secondo comma, lettera
s), Cost., stante l'esigenza di garantire uniformemente sul
territorio nazionale, pur in ragione di particolari emergenze, i
livelli di protezione ambientale.
10.2.2.- Priva di fondamento e' altresi' la censura di violazione
del principio di leale collaborazione, principio salvaguardato, a
monte, attraverso il coinvolgimento della Conferenza Stato-Regioni,
chiamata ad esprimere il parere sullo schema di decreto legislativo
che annoverava tale norma. Deve essere sottolineato, poi, in linea
con quanto sostenuto dall'Avvocatura generale dello Stato, che la
leale collaborazione e' salvaguardata anche a "valle" del
procedimento amministrativo. La delibera dello stato di emergenza,
infatti, viene decisa, dal Consiglio dei ministri previa intesa con
la Regione interessata, secondo quanto previsto dall'art. 24 del
decreto legislativo 2 gennaio 2018, n. 1 (Codice della protezione
civile), che riproduce sul punto quanto stabiliva l'art. 5 della
legge 24 febbraio 1992, n. 225 (Istituzione del Servizio nazionale
della protezione civile). Alla luce di un inquadramento sistematico
della norma, ben puo' dirsi che la decisione di esonero dalla VIA
dovra' succedere alla decisione di realizzare interventi di
protezione civile concertati con gli enti territoriali interessati.
11.- La Regione Veneto ha impugnato anche l'art. 3, comma 1,
lettera h), il quale ha sostituito il comma 11 dell'art. 6 del d.lgs.
n. 152 del 2006, prevedendo, come si e' gia' visto, che il Ministro
dell'ambiente, in casi eccezionali e previo parere del Ministro dei
beni e delle attivita' culturali e del turismo, possa esentare in
tutto o in parte un progetto specifico dalla procedura di VIA. In
tali casi, il Ministero deve esaminare se sia opportuna un'altra
forma di valutazione; mette a disposizione del pubblico coinvolto
tutte le informazioni raccolte con le eventuali altre forme di
valutazione e le ragioni per cui e' stata concessa l'esenzione;
informa la Commissione europea dei motivi che giustificano
l'esenzione fornendo le informazioni acquisite.
Ad avviso della ricorrente sarebbero violati gli artt. 3, 97,
117, terzo comma, 118 Cost. e il principio di leale collaborazione.
La disposizione sarebbe irragionevole e porterebbe un vulnus al
principio di legalita', perche' consentirebbe al Ministro, a sua
discrezione, di privare un progetto della valutazione di impatto
ambientale. Essa rappresenterebbe un grimaldello in grado di alterare
il sistema di riparto delle competenze esistenti tra Stato e Regione
in materia di VIA, senza che sia prevista alcuna forma di
partecipazione, decisoria o istruttoria, da parte delle Regioni, con
conseguente violazione degli artt. 118 e 120 Cost.
11.1.- Le questioni di legittimita' costituzionale promosse dalla
Regione Veneto non sono fondate.
La censurata disposizione ricalca il tenore letterale della
normativa europea (art. 2, paragrafo 4, direttiva 2011/92/UE, come
rivista dalla direttiva 2014/52/UE), ponendo in capo al vertice
dell'amministrazione centrale la scelta di derogare ai livelli di
tutela ambientale e attribuendo, in modo non irragionevole, allo
Stato la responsabilita' politico-amministrativa di esonerare
specifici progetti di fronte alla Commissione europea.
D'altronde, dal punto di vista interno, questa opzione trova
coerente giustificazione nella necessaria uniformita' della
protezione ambientale, cosi' evitando un esiziale frazionamento delle
esigenze di tutela. La prevalenza della finalita' ambientale
consente, anche in questo caso, di respingere le censure relative
alla asserita violazione delle competenze regionali.
12.- Le Regioni Lombardia, Abruzzo, Calabria e Veneto impugnano,
in forma sostanzialmente cumulativa, gli artt. 5, 22, commi da 1 a 4,
e 26 del d.lgs. n. 104 del 2017. I primi due articoli - come si e'
gia' visto - riguardano i criteri di riparto delle competenze tra
Stato e Regioni in tema di VIA e di assoggettabilita' a VIA, con
rimodulazione contenutistica degli appositi Allegati alla Parte
seconda cod. ambiente, e dai quali, in buona sostanza, si desume -
rispetto al previgente regime - l'allocazione in capo allo Stato di
una non trascurabile quantita' di tipologie progettuali per le quali
la VIA e la verifica di relativa assoggettabilita' passano dalla
competenza normativa e amministrativa delle Regioni a quella dello
Stato. L'art. 26 dispone le corrispondenti e conseguenziali
abrogazioni delle previgenti disposizioni, espressamente reputate
incompatibili con la nuova disciplina in tema di allocazione delle
competenze.
12.1.- Le Regioni ricorrenti lamentano che la nuova disciplina
recata dalle disposizioni impugnate violi l'art. 117, terzo e quarto
comma, Cost., in quanto sarebbero illegittimamente incise le loro
competenze ivi previste. Altresi' violato sarebbe l'art. 118 Cost.,
in quanto risulterebbero ridimensionate le competenze amministrative
regionali e quelle gia' conferite dalla Regione agli enti locali,
prescindendo da ogni valutazione sull'adeguatezza, o meno, del
livello istituzionale coinvolto, con conseguente violazione anche del
principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost.
Le sole Regioni Lombardia e Abruzzo sostengono che l'impugnato
art. 5 sia in contrasto anche con l'art. 3 Cost. in quanto, per un
verso, sarebbe irragionevole la diversita' di disciplina prevista per
la VAS e la VIA, dal momento che per la prima l'art. 7 cod. ambiente,
come modificato dall'art. 7 del d.lgs. n. 104 del 2017, ha confermato
la competenza legislativa ed amministrativa delle Regioni e delle
Province autonome; per un altro verso, risulterebbe del pari
irragionevole che, in particolare attraverso i commi 7 e 8 del nuovo
art. 7-bis del medesimo codice, risulti preclusa la possibilita' per
le Regioni di stabilire livelli di tutela dell'ambiente piu' elevati
rispetto alla disciplina statale.
12.2.- Preliminarmente, deve essere rigettata l'eccezione di
inammissibilita', per genericita' e carenza di motivazione, delle
questioni di legittimita' costituzionale aventi per oggetto gli artt.
22 e 26 del d.lgs. n. 104 del 2017. Secondo il Presidente del
Consiglio dei ministri, le ricorrenti avrebbero dovuto individuare i
progetti la cui sottrazione alla VIA regionale determinerebbe
violazione dell'art. 118 Cost., cosi' come avrebbero dovuto
adeguatamente motivare circa l'adeguatezza del livello regionale allo
svolgimento della relativa funzione amministrativa.
I ricorsi passano in analitica rassegna le previsioni novellate
dalle quali emerge l'allocazione di funzioni in capo allo Stato: la
violazione dell'art. 118 Cost. risiederebbe proprio in tale
circostanza, ovverosia nel fatto che vengono ridimensionate le
competenze amministrative regionali e quelle a suo tempo conferite,
prescindendo da valutazioni sulla adeguatezza o meno del livello
istituzionale coinvolto, violando anche il principio di leale
collaborazione. Le Regioni, dunque, si assumono lese dalla
sottrazione di competenze a lungo esercitate, e tanto basta a
ritenere sufficientemente motivate le censure di costituzionalita' in
relazione agli evocati parametri costituzionali.
12.3.- Nel merito, le questioni di legittimita' costituzionale
proposte in riferimento all'art. 117, terzo e quarto comma, Cost. non
sono fondate.
Non puo' esservi dubbio, infatti, sulla riconducibilita' delle
disposizioni impugnate alla potesta' esclusiva statale in materia di
«tutela dell'ambiente» e «dell'ecosistema». Esse modificano, come si
e' visto, i criteri di riparto delle competenze tra Stato e Regioni
in tema di VIA e di assoggettabilita' a VIA (artt. 5 e 22) e
determinano espressamente l'abrogazione delle previgenti disposizioni
reputate incompatibili (art. 26). Si tratta, detto altrimenti, del
"cuore" della disciplina, poiche' sono precisamente le norme
impugnate quelle che - in attuazione degli obiettivi, posti dalla
direttiva e dalla delega, di «semplificazione, armonizzazione e
razionalizzazione delle procedure di valutazione di impatto
ambientale» e di «rafforzamento della qualita' della procedura di
valutazione di impatto ambientale» - determinano un tendenziale
allineamento dei diversi schemi e modelli procedimentali, assegnando
allo Stato l'apprezzamento dell'impatto sulla tutela dell'ambiente
dei progetti reputati piu' significativi e, cosi', evitando la
polverizzazione e differenziazione delle competenze che
caratterizzava il previgente sistema. Fattore, quest'ultimo, che
aveva originato sovrapposizione e moltiplicazione di interventi,
oltre che normative differenziate le quali, accanto a diluizioni
temporali reputate inaccettabili (puntualmente poste in evidenza dal
Governo nella relazione illustrativa dello schema di decreto oggi
all'esame di questa Corte), inducevano a deprecabili fenomeni di
«delocalizzazione dei progetti verso aree geografiche a basso livello
di regolazione ambientale».
La unitarieta' e allocazione presso lo Stato delle procedure
coinvolgenti progetti a maggior impatto ha, dunque, risposto ad una
esigenza di razionalizzazione e standardizzazione funzionale
all'incremento della qualita' della risposta ai diversi interessi
coinvolti, con il correlato obiettivo di realizzare un elevato
livello di protezione del bene ambientale.
Gli argomenti sinora esposti valgono, altresi', a considerare non
fondate le censure proposte in riferimento agli artt. 5, 118 e 120
Cost.
12.4.- In relazione alle questioni di legittimita' costituzionale
aventi per oggetto il solo art. 5 del d.lgs. n. 104 del 2017, le
Regioni ricorrenti hanno adeguatamente motivato in ordine alla
ridondanza su loro competenze della lamentata violazione dell'art. 3
Cost.
12.4.1. - Nel merito, tuttavia, le censure non sono fondate.
Non puo' considerarsi irragionevole la scelta del legislatore
statale, titolare della competenza esclusiva nella materia «tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema», di predisporre due discipline
differenziate per istituti, quali la VIA e la VAS, che, pur essendo
entrambi istituti «che valutano in concreto e preventivamente la
"sostenibilita' ambientale"» (sentenza n. 225 del 2009), presentano,
ad ogni modo, peculiarita' che li mantengono distinti: la VIA,
difatti, svolge una funzione autorizzatoria rispetto al singolo
progetto ad impatto ambientale, mentre la VAS si inserisce nella
funzione di pianificazione, proponendo un esame degli effetti che
puo' avere sull'ambiente l'attuazione di previsioni contenute in
piani e programmi.
La disposizione censurata, a dispetto di quanto sostenuto dalle
ricorrenti, non esclude, inoltre, che le Regioni e le Province
autonome di Trento e di Bolzano possano, nell'esercizio delle proprie
competenze legislative, stabilire livelli di tutela dell'ambiente
piu' elevati di quelli previsti dalla normativa statale. Le
previsioni di cui ai commi 7 e 8 del nuovo art. 7-bis cod. ambiente,
le quali dispongono che le competenze regionali siano esercitate «in
conformita'» alla normativa europea e alle disposizioni del medesimo
decreto, non sono tali da impedire una normativa regionale che -
salva l'inderogabilita', espressamente stabilita, dei termini
procedimentali massimi di cui agli artt. 19 e 27-bis dello stesso
cod. ambiente - garantisca maggiormente la salvaguardia
dell'ambiente. Di qui, pertanto, l'infondatezza, anche sotto questo
profilo, delle questioni di legittimita' costituzionale sollevate in
riferimento all'art. 3 Cost.
13.- Le Regioni Lombardia, Abruzzo e Calabria impugnano l'art.
16, comma 2, del d.lgs. n. 104 del 2017, introduttivo dell'art.
27-bis cod. ambiente, il quale disciplina il provvedimento unico
regionale, per violazione degli artt. 3, 97 e 117, terzo comma, Cost.
e del principio di leale collaborazione. Ai sensi di tale
disposizione, come gia' messo in evidenza, nei procedimenti di VIA
per i quali e' competente la Regione, il relativo provvedimento, che
comprende tutti i provvedimenti altrimenti denominati necessari alla
realizzazione del progetto, viene rilasciato a seguito di apposita
conferenza di servizi convocata in modalita' sincrona ai sensi
dell'art. 14-ter della legge n. 241 del 1990.
Ad avviso delle ricorrenti (in particolare, della Regione
Calabria), sarebbe violato il principio di leale collaborazione,
perche' lo schema di decreto legislativo inviato alla Conferenza
Stato-Regioni sarebbe stato privo della disposizione in esame, cosi'
da non rendere edotte le Regioni circa la rilevante innovazione
normativa. Sarebbe altresi' violato l'art. 3 Cost.: l'obbligatorieta'
del provvedimento unico regionale sarebbe causa di irragionevole
disparita' di trattamento rispetto alle procedure di VIA di
competenza statale, per le quali non e' previsto il provvedimento
unico, salvo specifica richiesta del proponente. Inoltre, il
provvedimento unico regionale sarebbe disciplinato da una normativa
eccessivamente dettagliata, che non lascerebbe alcuno spazio al
legislatore regionale.
Secondo la Regione Abruzzo, poi, l'introduzione di un
provvedimento unico regionale sarebbe illogica, anche in
considerazione del fatto che a livello statale il provvedimento unico
non opera d'ufficio, ma su richiesta del proponente.
Il procedimento delineato sarebbe altresi' lesivo del principio
di buon andamento ex art. 97 Cost., perche' non vi sarebbe alcun
coordinamento con altri procedimenti, essendo attribuito ad un'unica
autorita', priva di competenze tecniche, il relativo potere
amministrativo.
Nella sola rubrica del motivo di ricorso, la Regione Calabria
indica, quale disposizione impugnata, anche l'art. 16, comma 1, del
d.lgs. n. 104 del 2017, che disciplina il provvedimento unico
ambientale nei procedimenti di competenza statale, senza tuttavia
dedicarvi alcuna argomentazione.
La Regione Puglia, infine, contesta la legittimita'
costituzionale dell'art. 14 del d.lgs. n. 104 del 2017, nella parte
in cui, sostituendo l'art. 25 cod. ambiente, nei provvedimenti di VIA
statale non richiede piu' il previo parere della Regione interessata
(comma 2). Sarebbe di conseguenza violato il principio di leale
collaborazione.
13.1.- In via preliminare, va dichiarata l'inammissibilita' delle
questioni, sollevate dalla Regione Calabria, relative all'art. 16,
comma 1, del d.lgs. n. 104 del 2017, perche' le censure sono
assolutamente prive di supporto argomentativo.
13.2.- Tutte le ricorrenti, invece, hanno adeguatamente motivato
in relazione alla ridondanza del vizio di irragionevolezza e
dell'asserita lesione del principio del buon andamento in relazione a
loro competenze legislative potenzialmente lese dalla disposizione
impugnata.
13.3.- Nel merito, tuttavia, le questioni non sono fondate.
L'impugnato art. 16, comma 2, del d.lgs. n. 104 del 2017 e'
perfettamente coerente con la normativa sovranazionale, la quale non
solo prevede la semplificazione delle procedure in materia di VIA, ma
dispone anche che gli Stati membri prevedano procedure coordinate e
comuni, nel caso in cui la valutazione risulti contemporaneamente
dalla direttiva 2011/92/UE, come modificata dalla direttiva
2014/52/UE, e dalle altre direttive europee in materia ambientale ad
essa collegate. Inoltre, l'art. 1, paragrafo 1), della direttiva
2014/52/UE stabilisce nel dettaglio un iter procedurale che trova
sostanziale riproduzione nella disposizione censurata.
La disciplina del provvedimento unico regionale, in coerenza con
la delega conferita dal Parlamento, e' finalizzata a semplificare,
razionalizzare e velocizzare la VIA regionale, nella prospettiva di
migliorare l'efficacia dell'azione delle amministrazioni a diverso
titolo coinvolte nella realizzazione del progetto.
E' appena il caso di notare, peraltro, come la norma censurata
non comporti alcun assorbimento dei singoli titoli autorizzatori
necessari alla realizzazione dell'opera. Il provvedimento unico non
sostituisce i diversi provvedimenti emessi all'esito dei procedimenti
amministrativi, di competenza eventualmente anche regionale, che
possono interessare la realizzazione del progetto, ma li ricomprende
nella determinazione che conclude la conferenza di servizi (comma 7,
del nuovo art. 27-bis cod. ambiente, introdotto dall'art. 16, comma
2, del d.lgs. n. 104 del 2017). Esso ha, dunque, una natura per cosi'
dire unitaria, includendo in un unico atto i singoli titoli
abilitativi emessi a seguito della conferenza di servizi che, come
noto, riunisce in unica sede decisoria le diverse amministrazioni
competenti. Secondo una ipotesi gia' prevista dal decreto legislativo
30 giugno 2016, n. 127 (Norme per il riordino della disciplina in
materia di conferenze di servizi, in attuazione dell'articolo 2 della
legge 7 agosto 2015, n. 124) e ora disciplinata dall'art. 24 del
decreto legislativo censurato, il provvedimento unico regionale non
e' quindi un atto sostitutivo, bensi' comprensivo delle altre
autorizzazioni necessarie alla realizzazione del progetto.
Evidente, allora, la riconducibilita' della disposizione alla
competenza esclusiva in materia ambientale, ai sensi dell'art. 117,
secondo comma, lettera s), Cost. Per le medesime ragioni, non e'
fondata la questione relativa all'art. 97 Cost.
Ne' puo' sostenersi che il decreto legislativo censurato abbia
realizzato una disparita' di trattamento tra Stato e Regioni, come
lamentato dalla Regione Calabria, avendo previsto solo per i
procedimenti regionali l'obbligo del provvedimento unico, mentre per
i procedimenti di competenza statale spetta al proponente la scelta
di avvalersi di tale strumento. Appartiene, infatti, alla
discrezionalita' del legislatore statale, nell'esercizio della sua
competenza esclusiva, anche in considerazione delle particolari
dimensioni e del rilievo dei progetti da autorizzare a se' riservati,
la modulazione dell'innovativo procedimento di VIA.
La pretesa violazione della leale collaborazione, anch'essa
lamentata dalla Regione Calabria, e', di la' da ogni altra
considerazione, priva di riscontro fattuale: il provvedimento unico
era gia' contenuto nell'art. 24 dello schema di decreto legislativo,
che andava a sostituire il comma 4 dell'art. 14 della legge n. 241
del 1990. Su sollecitazione della Conferenza Stato-Regioni, il
Governo ha solo provveduto ad inserire un'autonoma disposizione su
procedimento e provvedimento unico, lasciando, nell'art. 24,
l'individuazione della conferenza di servizi come sede deputata
all'acquisizione degli altri provvedimenti necessari alla
realizzazione del progetto.
13.4.- Del pari non fondata e' la questione, sollevata dalla
Regione Puglia, in ordine all'art. 14 del d.lgs. n. 104 del 2017. Non
sussiste, infatti, la violazione del principio di leale
collaborazione, perche', coinvolta la Regione a monte in sede di
Conferenza Stato-Regioni, la riconducibilita' della disciplina alla
tutela ambientale rende non doverose ulteriori forme di
coinvolgimento delle Regioni a valle, nell'ambito del procedimento
amministrativo che ricade nella competenza esclusiva dello Stato.
14.- Le Regioni Lombardia, Abruzzo, Veneto e Calabria impugnano
l'art. 21 del d.lgs. n. 104 del 2017, che sostituisce il comma 1
dell'art. 33 cod. ambiente, concernente la determinazione delle
tariffe a carico di coloro che propongono progetti, piani o programmi
da sottoporre a verifica.
In via generale, la disciplina contenuta nel citato art. 33 e'
finalizzata a porre a carico del proponente gli oneri complessivi per
lo svolgimento di tutte le attivita' e di tutti gli adempimenti
necessari ai fini della valutazione dei progetti oggetto delle
domande di autorizzazione.
Nella versione antecedente alla novella del 2017, la disposizione
demandava, al comma 1, a un decreto del Ministro dell'ambiente e
della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro
dello sviluppo economico e con il Ministro dell'economia e delle
finanze, la determinazione - sulla base di quanto previsto dall'art.
9 del d.P.R. 14 maggio 2007, n. 90 (Regolamento per il riordino degli
organismi operanti presso il Ministero dell'ambiente e della tutela
del territorio e del mare, a norma dell'articolo 29 del decreto-legge
4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4
agosto 2006, n. 248) - delle «tariffe da applicare ai proponenti per
la copertura dei costi sopportati dall'autorita' competente per
l'organizzazione e lo svolgimento delle attivita' istruttorie, di
monitoraggio e controllo previste dal presente decreto». Il comma 2
dell'art. 33 del d.lgs. n. 152 del 2006, invece, e' rimasto
inalterato e riconosce alle Regioni e alle Province autonome di
Trento e di Bolzano la possibilita' di determinare «proprie modalita'
di quantificazione e corresponsione degli oneri da porre in capo ai
proponenti».
L'art. 21 del d.lgs. n. 104 del 2017 ha sostituito, come detto,
unicamente il comma 1 del citato art. 33. Di la' dalla diversa
articolazione sintattica, la nuova disposizione continua a demandare
la determinazione delle tariffe - peraltro, con piu' specifico
riferimento alla copertura dei costi delle procedure di
assoggettabilita' a VIA, di VIA e di VAS (anziche' genericamente alle
procedure previste dal cod. ambiente) - a un decreto del Ministro
dell'ambiente, di concerto con il Ministro dell'economia e delle
finanze. In luogo del pregresso richiamo all'art. 9 del d.P.R. n. 90
del 2017, si stabilisce che la determinazione debba aver luogo «sulla
base del costo effettivo del servizio».
14.1.- Le censure delle quattro ricorrenti si incentrano sul
mancato coinvolgimento delle Regioni nella determinazione delle
tariffe: coinvolgimento da ritenere necessario, essendo quest'ultima
basata su un elemento - il «costo effettivo del servizio» - la cui
quantificazione non potrebbe prescindere da un confronto con tutte le
autorita' competenti in materia di VIA (e dunque anche con le
Regioni).
Tale mancato coinvolgimento renderebbe la disposizione impugnata
in contrasto con il principio di leale collaborazione e con gli artt.
117, terzo e quarto comma, e 118 Cost., in quanto le norme censurate
comprimerebbero il potere della Regione di individuare le migliori
condizioni di esercizio delle funzioni di propria competenza, secondo
i principi di sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza, nonche'
lederebbero l'autonomia legislativa della Regione in materia di
organizzazione e la sua autonomia amministrativa.
La sola Regione Veneto, infine, lamenta la violazione di
ulteriori tre parametri: l'art. 119 Cost., per lesione dell'autonomia
finanziaria delle Regioni, posto che le valutazioni amministrative e
finanziarie in materia di VIA verrebbero ad essere condizionate dalla
remunerativita' delle tariffe stabilite unilateralmente dallo Stato;
l'art. 3 Cost., stante l'irragionevolezza di una disciplina che
«attribuisce una competenza decisoria ad un soggetto, senza prevedere
adeguati apporti istruttori da parte delle altre autorita' competenti
a disciplinare il relativo procedimento e i suoi aspetti
organizzatori»; infine, l'art. 97 Cost., in quanto la partecipazione
delle Regioni al processo decisionale, potendo comportare
semplificazioni procedurali, potrebbe determinare risparmi di spesa,
con la conseguenza che la mancanza di tale partecipazione finirebbe
per tradursi anche in un inutile aggravio di spese in violazione del
principio di buon andamento della pubblica amministrazione.
14.2.- Anche in relazione alle questioni ora in esame, le
ricorrenti hanno adeguatamente motivato in punto di ridondanza, su
loro attribuzioni, della violazione di parametri non attinenti al
riparto delle competenze.
14.3.- Nel merito, tuttavia, le questioni non sono fondate, nei
limiti e nei termini che seguono.
La norma censurata, incidendo sul solo comma 1 dell'art. 33 del
d.lgs. n. 152 del 2006, ha inteso modificare la disciplina per la
determinazione delle tariffe per le procedure di verifica di
assoggettabilita' a VIA, di VIA e di VAS di competenza statale. Come
ha rilevato l'Avvocatura generale dello Stato, la circostanza che sia
stata lasciata inalterata, invece, la previsione del successivo comma
2, non puo' avere altra valenza che quella di mantenere in capo alle
Regioni e alle Province autonome il potere di stabilire un proprio
regime tariffario, relativamente alle medesime procedure di loro
competenza.
E' soltanto necessario che le Regioni, nel determinare le
tariffe, rispettino il criterio generale, introdotto dal legislatore
delegato, della commisurazione degli oneri al «costo effettivo del
servizio»: criterio che, sebbene enunciato al comma 1, ha tuttavia
portata generale, anche perche' sintonico alla ratio complessiva
dell'art. 33 cod. ambiente, la quale, come gia' accennato, e' quella
di porre a carico dei proponenti gli oneri economici connessi allo
svolgimento delle valutazioni e delle verifiche a tutela
dell'ambiente.
Le doglianze relative al mancato coinvolgimento delle Regioni
nella quantificazione di tale onere non ha, dunque, ragion d'essere,
poiche' l'opzione ermeneutica costituzionalmente imposta comporta
che, per le procedure di loro competenza, le Regioni e le Province
autonome, non solo sono coinvolte, ma sono titolari della potesta' di
determinazione delle tariffe.
15.- Le Regioni Lombardia, Abruzzo e Calabria impugnano l'art. 27
del d.lgs. n. 104 del 2017, recante la clausola di invarianza
finanziaria. Il comma 1 di tale disposizione stabilisce che
«[d]all'attuazione del presente decreto non devono derivare nuovi o
maggiori oneri a carico della finanza pubblica»; il comma 2 prescrive
che «[f]ermo il disposto di cui all'articolo 21» - relativo, come si
e' appena visto, alle tariffe da applicare ai proponenti per la
copertura dei costi delle procedure di verifica di assoggettabilita'
a VIA, di VIA e di VAS - «le attivita' di cui al presente decreto
sono svolte con le risorse umane, strumentali e finanziarie
disponibili a legislazione vigente».
15.1.- Tutte e tre le ricorrenti denunciano la violazione
dell'art. 76 Cost., assumendo che la disposizione impugnata si pone
in contrasto con l'art. 1, comma 4, della legge delega n. 114 del
2015, che prevede la possibilita' di riconoscere risorse in relazione
a spese non contemplate dalle leggi vigenti e che non riguardino
l'attivita' ordinaria delle amministrazioni, nei limiti occorrenti
per l'adeguamento alla direttiva europea.
La sola Regione Calabria denuncia, altresi', la violazione
dell'art. 81 Cost., assumendo che, nella specie, la clausola di
invarianza finanziaria risulterebbe «palesemente aleatoria», posto
che le modifiche alle procedure di VIA implicherebbero nuovi oneri a
carico dell'autorita' competente per effetto degli ulteriori
adempimenti procedurali previsti, «con presumibili esigenze di
risorse aggiuntive».
Le Regioni Lombardia e Abruzzo lamentano ulteriormente, a loro
volta, la violazione degli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost. Il
d.lgs. n. 104 del 2017 avrebbe, infatti, imposto alle Regioni nuovi
adempimenti, con conseguenti nuovi oneri, intervenendo anche su
materie di competenza concorrente, senza alcuna previsione
finanziaria e imponendo, anzi, il «blocco delle risorse».
15.2.- L'Avvocatura generale dello Stato ha eccepito
l'inammissibilita' di tutte le questioni, per genericita' e difetto
di motivazione in punto di violazione dei parametri costituzionali
evocati.
L'eccezione e' fondata.
Le ricorrenti sostengono che la nuova disciplina posta dal d.lgs.
n. 104 del 2017 ha determinato un incremento di adempimenti
procedimentali a loro carico, ma, oltre a non precisare quali
sarebbero tali nuovi adempimenti, neppure identificano puntualmente i
maggiori oneri economici che ne deriverebbero.
Le evocate censure, peraltro, finiscono per rivelarsi anche
contraddittorie rispetto alla doglianza principale delle stesse
ricorrenti, ovvero l'avvenuta contrazione, ad opera del decreto
legislativo impugnato, delle competenze regionali in materia di VIA.
A una tale contrazione, infatti, dovrebbe logicamente conseguire un
decremento, e non gia' un incremento, delle esigenze finanziarie
delle Regioni, sicche' tanto piu' sarebbe stata necessaria la
specifica indicazione dei lamentati maggiori oneri economici.
16.- Scrutinate e decise le questioni sollevate dalle Regioni a
statuto ordinario, e' ora possibile affrontare le censure proposte
dagli enti ad autonomia differenziata.
17.- Le Regioni autonome Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste,
Friuli-Venezia Giulia e Sardegna, e le Province autonome di Trento e
di Bolzano impugnano, sotto vari profili, gli artt. 5, 22 e 26 del
d.lgs. n. 104 del 2017, i quali, come si e' gia' visto, modificano le
competenze in tema di VIA e di assoggettabilita' a VIA.
17.1.- Le Regioni Friuli-Venezia Giulia e Sardegna, con
argomentazioni pressoche' identiche, lamentano la violazione, da
parte delle disposizioni censurate, di norme dei rispettivi statuti
speciali attributive di competenze, nonche' dell'art. 117, secondo e
terzo comma, Cost.
La Regione Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste censura i soli artt. 5 e
22, commi 1, 2, 3 e 4, del d.lgs. n. 104 del 2017, in riferimento a
diversi parametri del proprio statuto speciale, in combinato disposto
con l'art. 117, primo e terzo comma, Cost., in quanto sarebbero state
sottratte competenze ad essa spettanti, nonche' in riferimento agli
artt. 3, 97 e 118 Cost., poiche' la nuova disciplina, avendo adottato
criteri privi di valore sintomatico riguardo alla dimensione
regionale o sovraregionale dell'intervento, non risponderebbe ad
alcun canone di razionalita', ma soltanto a «un'ispirazione tutoria e
centralistica fine a se' stessa», cosi' disattendendo anche i
principi di buon andamento e sussidiarieta'.
17.1.1.- Le questioni non sono fondate.
Si e' gia' posto in luce come, in linea di principio e salva la
valutazione da condurre sulle singole norme, il decreto legislativo
impugnato, adottato nella materia «tutela dell'ambiente» e
«dell'ecosistema», debba essere ascritto alla categoria delle norme
fondamentali di riforma economico-sociale, in quanto tale capace di
condizionare e limitare anche le competenze statutariamente
attribuite alle Regioni speciali e alle Province autonome.
Tale qualificazione indubbiamente deve essere attribuita al
censurato art. 5, che, lo si e' gia' diffusamente rilevato,
costituisce il nucleo essenziale della riforma, realizzata dal
legislatore statale, in tema di VIA e di assoggettabilita' a VIA,
istituti chiave per la tutela dell'ambiente, la quale necessita di un
livello di protezione uniforme sul territorio nazionale. L'art. 22 e'
strettamente connesso con la disciplina posta dall'art. 5, poiche'
detta le modifiche agli Allegati alla Parte seconda cod. ambiente
conseguenti alla rivisitazione delle competenze di cui al novellato
art. 7-bis del medesimo codice. L'art. 26, per conto suo, dispone
l'espressa abrogazione della previgente disciplina.
Inoltre, come pure si e' gia' posto in evidenza, la profonda
rivisitazione delle competenze in materia e' diretta conseguenza
dell'attuazione degli obiettivi posti dalla direttiva dell'Unione
europea, sicche' la normativa impugnata e' altresi' da ricondurre al
limite degli obblighi europei, che pure condiziona le competenze
statutarie.
Quanto, invece, alle censure, proposte dalla Regione Valle
d'Aosta/Vallee d'Aoste, per violazione degli artt. 3, 97 e 118 Cost.,
va rilevato che le opzioni del legislatore statale in materia non
necessariamente devono rimanere ancorate a criteri meramente
territoriali, potendo ritenersi preferibile ripartire le competenze,
nel perseguimento degli obiettivi di salvaguardia ambientale, in base
all'intensita' di impatto sull'ambiente che un determinato progetto
puo' presentare.
17.2.- La Provincia autonoma di Trento impugna gli artt. 5, 22,
commi 1, 2, 3 e 4, e 26, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 104 del
2017 in riferimento a diversi parametri dello statuto speciale della
Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol e relative norme di attuazione,
in quanto sarebbero state sottratte competenze ad essa spettanti,
nonche' in riferimento: a) agli artt. 117, terzo, quarto e quinto
comma, e 120, secondo comma, Cost., per come attuato dalla legge n.
234 del 2012, nonche' in riferimento all'art. 7 del d.P.R. 19
novembre 1987, n. 526 (Estensione alla regione Trentino Alto-Adige ed
alle province autonome di Trento e Bolzano delle disposizioni del
decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616),
disponendo la Provincia autonoma del potere di dare diretta
attuazione alle direttive dell'Unione europea, nelle materie di
propria competenza, con la conseguenza che le norme censurate
verrebbero a sovrapporsi e condizionare la disciplina provinciale,
senza presentare i caratteri di suppletivita' e cedevolezza richiesti
per la funzione sostitutiva di cui all'art. 41, comma 1, della legge
n. 234 del 2012; b) in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., per
violazione dei principi di ragionevolezza e difetto di
proporzionalita', in quanto verrebbero introdotte norme di dettaglio
che costringono la legislazione provinciale ad un grado di
uniformita' eccessivo rispetto al fine di attuare la direttiva
europea e che non consentono alle autonomie speciali di tenere conto
delle proprie peculiarita' istituzionali, in tal modo rivelandosi
fonte di cattiva amministrazione.
La Provincia autonoma di Bolzano impugna soltanto gli artt. 5,
comma 1, e 22, commi 1, 2, 3 e 4, del d.lgs. n. 104 del 2017, in
riferimento a diversi parametri dello statuto speciale della Regione
Trentino-Alto Adige/Südtirol e relative norme di attuazione, in
quanto sarebbero state sottratte competenze ad essa spettanti,
nonche' in riferimento: a) all'art. 118 Cost., per violazione del
principio di sussidiarieta' e delle regole che disciplinano la
chiamata in sussidiarieta'; b) all'art. 117, quinto comma, Cost. e
agli artt. 7 e 8 del d.P.R. n. 526 del 1987, che riconoscono alle
Province autonome il potere di dare diretta attuazione alle direttive
dell'Unione europea nelle materie di loro competenza; c) all'art.
117, primo comma, Cost., in correlazione alla direttiva 2014/52/UE,
non potendo il decreto legislativo «vincolare le autonomie
territoriali al di la' di quanto discende dagli obblighi derivanti
dall'ordinamento dell'Unione europea»; d) agli artt. 3 e 97 Cost.,
per contrasto con il principio di ragionevolezza, non essendo
giustificato uno spostamento cosi' massiccio di competenze dalle
Regioni allo Stato in funzione di un miglioramento della qualita' del
procedimento, della semplificazione e della maggiore efficienza, non
comprendendosi come una gestione accentrata e unitaria a livello
statale possa essere piu' efficiente di una decentrata e
diversificata nelle varie autonomie territoriali; e) all'art. 4 del
d.lgs. n. 266 del 1992, che esclude, in via generale, che la legge
possa attribuire ad organi statali l'esercizio di funzioni
amministrative nelle materie statutariamente di competenza delle
Province autonome.
17.2.1.- In via preliminare, il Presidente del Consiglio dei
ministri ha eccepito l'inammissibilita' delle questioni di
legittimita' proposte, dalla Provincia autonoma di Trento, in
riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., per genericita' e apoditticita'
degli argomenti addotti.
L'eccezione e' fondata.
La ricorrente non ha adeguatamente chiarito quali sarebbero le
proprie peculiarita' istituzionali limitate dalla disciplina
impugnata, la quale avrebbe l'effetto di compromettere il buon
andamento dell'attivita' amministrativa. Le argomentazioni spese sul
punto, inoltre, non sono sufficienti neppure a motivare la ridondanza
su competenze provinciali della supposta violazione dei parametri
costituzionali evocati.
17.2.2.- Nel merito, le residue questioni non sono fondate.
Le disposizioni impugnate, come si e' gia' posto in luce, sono
state adottate nella materia di competenza esclusiva statale «tutela
dell'ambiente» e «dell'ecosistema» e devono essere qualificate quali
norme di riforma economico-sociale, capaci di limitare le competenze
statutariamente attribuite alle Province autonome. Ne consegue che
non viene in considerazione la potesta' di queste ultime di dare
diretta attuazione, nelle materie di loro competenza, alle direttive
dell'Unione europea, ne' si verte in un caso di chiamata in
sussidiarieta', ne', ancora, trova applicazione l'art. 4 del d.lgs.
n. 266 del 1992.
Non sussiste, poi, la violazione dell'art. 117, primo comma,
Cost., lamentata dalla Provincia autonoma di Bolzano, in quanto le
disposizioni impugnate, lo si e' gia' rilevato, sono attuative degli
obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea e
non pongono a carico delle autonomie alcun vincolo ulteriore rispetto
a tali obblighi.
Neppure fondata e', infine, la questione proposta dalla medesima
Provincia autonoma di Bolzano in relazione agli artt. 3 e 97 Cost. A
prescindere da ogni valutazione circa la corretta evocazione a
parametro di quest'ultima disposizione costituzionale, insistendo la
censura soltanto sulla ragionevolezza della scelta di accentramento
delle competenze, deve ribadirsi quanto si e' gia' osservato: il
legislatore statale, nel rivisitare le competenze in materia di VIA e
di assoggettabilita' a VIA, non doveva prendere in considerazione
criteri meramente territoriali, in quanto gli obiettivi di
salvaguardia ambientale, che ha ritenuto di perseguire attraverso una
migliore qualita' ed efficienza dei procedimenti, ben giustificavano
l'adozione di un criterio orientato alla valutazione dell'intensita'
di impatto ambientale che i singoli progetti, di la' dall'allocazione
geografica, possono presentare.
18.- Le Province autonome di Trento e Bolzano censurano gli artt.
8, 16, commi 1 e 2, e 24 del d.lgs. n. 104 del 2017, nella parte in
cui siano da considerarsi ad esse applicabili.
18.1.- L'art. 8, sostitutivo dell'art. 19 cod. ambiente, pone una
nuova disciplina delle modalita' di svolgimento del procedimento di
verifica di assoggettabilita' a VIA, secondo una serie di articolati
passaggi procedurali.
Nel caso in cui venga stabilito di non sottoporre il progetto a
VIA, l'autorita' deve motivare tenendo conto delle eventuali
osservazioni del Ministro dei beni e delle attivita' culturali e del
turismo.
Secondo le Province autonome, detto art. 8 porrebbe una
disciplina estremamente dettagliata del procedimento di verifica di
assoggettabilita' a VIA, dalle modalita' di trasmissione dello studio
preliminare alle modalita' di pubblicazione, alla istruttoria, ai
termini del procedimento, ai modi, ai tempi e ai limiti delle
possibilita' di interlocuzione con gli interessati. Stesso discorso
varrebbe per il comma 2 dell'art. 16 del d.lgs. n. 104 del 2017,
introduttivo, come si e' visto, del provvedimento unico regionale, il
quale recherebbe una disciplina - ugualmente analitica e minuziosa -
del procedimento di VIA di competenza regionale. Secondo la Provincia
autonoma di Bolzano, tali disposizioni si porrebbero in irrimediabile
contrasto con la normativa comunitaria, cosi' violando i vincoli
derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea.
18.2.- Analoghe censure sono riferite anche all'art. 24 del
decreto legislativo impugnato, che sostituisce il comma 4 dell'art.
14 della legge n. 241 del 1990, affidando alla conferenza di servizi,
convocata in modalita' sincrona ai sensi dell'art. 14-ter della
medesima legge, l'adozione di tutti provvedimenti legati alla
procedura di VIA.
Tali disposizioni si porrebbero in contrasto con una serie di
competenze legislative proprie (primarie e concorrenti) riconosciute
alle Province autonome dallo statuto reg. Trentino-Alto Adige.
In particolare, la disciplina statale contrasterebbe con l'art.
8, comma 1, dello statuto, che assegna una generale potesta' primaria
di auto-organizzazione alla Provincia autonoma, comprensiva del
procedimento di valutazione di impatto ambientale, e con l'art. 16 di
detto statuto, che affida alle Province autonome le funzioni
amministrative corrispondenti alle competenze legislative, oltre che
con la «tutela della salute», spettante alle ricorrenti in virtu' del
combinato disposto dell'art. 117, terzo comma, Cost. e dell'art. 10
della legge cost. n. 3 del 2001.
Inoltre, la competenza delle Province autonome in materia di
disciplina del procedimento di VIA sarebbe espressamente riconosciuta
dalla normativa di attuazione dello statuto speciale (art. 19-bis del
d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381, recante «Norme di attuazione dello
statuto speciale per la regione Trentino Alto-Adige in materia di
urbanistica ed opere pubbliche»). Ai sensi di tale norma, per le
opere soltanto delegate dallo Stato, le Province autonome di Trento e
di Bolzano, per il rispettivo territorio, possono applicare la
normativa provinciale in materia di organizzazione degli uffici, di
contabilita', di attivita' contrattuale, di lavori pubblici e di
valutazione di impatto ambientale.
Le competenze statutarie non potrebbero essere limitate dalla
competenza statale in materia di tutela dell'ambiente ex art. 117,
secondo comma, lettera s), Cost., essendo un tale effetto precluso
dalla clausola di maggior favore sancita dall'art. 10 della legge
cost. n. 3 del 2001.
Sarebbero violati, inoltre, gli artt. 117, quinto comma, e 120,
secondo comma, Cost. Le Province autonome disporrebbero, infatti, del
potere di dare immediata attuazione alle direttive comunitarie nelle
materie di propria competenza fin dall'entrata in vigore dell'art. 7
del d.P.R. n. 526 del 1987, di attuazione dello statuto, potere che
e' stato esteso alle materie di competenza concorrente dall'art. 9,
commi 1 e 2, della legge 9 marzo 1989, n. 86 (Norme generali sulla
partecipazione dell'Italia al processo normativo comunitario e sulle
procedure di esecuzione degli obblighi comunitari). Tale potere
sarebbe ora previsto, in via generale, dall'art. 117, quinto comma,
Cost., la cui legge di attuazione - la n. 234 del 2012 - tiene fermo,
per le Regioni a statuto speciale e per le Province autonome, «quanto
previsto nei rispettivi statuti speciali e nelle relative norme di
attuazione» (art. 59).
Sarebbe leso, inoltre, il principio di ragionevolezza e
proporzionalita', ex artt. 3 e 97 Cost., in quanto la disciplina
impugnata vincolerebbe le Province autonome ad uniformarsi a norme
dettagliate che costringerebbero la legislazione regionale e
provinciale ad un grado di uniformita' eccessiva rispetto al fine
attuare la direttiva europea. Vi sarebbe, inoltre, la violazione
dell'art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, che vieta la sostituzione di
discipline statali alle discipline provinciali, prevedendo invece un
dovere di adeguamento di queste ultime, limitato dalle regole
statutarie e presidiato dalla Corte costituzionale.
18.3.- Le Province autonome hanno impugnato anche l'art. 16,
comma 1, del d.lgs. n. 104 del 2017, il quale ha sostituito l'art. 27
cod. ambiente.
Tale disposizione introduce il provvedimento unico statale in
materia ambientale. Viene cioe' previsto che, su iniziativa del
proponente, per i procedimenti di cui e' competente l'amministrazione
statale sia adottato un provvedimento autorizzatorio inclusivo di
ulteriori titoli abilitativi, specificamente individuati dal decreto
stesso.
18.4.- La Provincia autonoma di Trento ritiene che il
provvedimento unico statale, che comprende il rilascio di alcuni
titoli tra i quali l'autorizzazione in materia di scarichi nel
sottosuolo, l'autorizzazione paesaggistica, culturale e quella
riguardante il vincolo idrogeologico, invaderebbe le competenze
legislative e amministrative della ricorrente. Inoltre, la
disposizione sarebbe illegittima nella parte in cui richiama l'art.
14-ter della legge n. 241 del 1990, scegliendo cosi' il modulo
procedimentale della conferenza di servizi con modalita' sincrona,
senza rinviare anche all'art. 14-quinquies, che regola i rimedi in
caso di dissenso tra amministrazioni procedenti. Anche la Provincia
autonoma di Bolzano censura la disposizione, nella parte in cui non
consentirebbe un idoneo coinvolgimento delle Regioni e delle Province
autonome, secondo quanto prescritto dalla giurisprudenza
costituzionale in tema di chiamata in sussidiarieta'.
18.5.- La Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste ha
impugnato, a sua volta, gli artt. 16, comma 2, e 24 del d.lgs. n. 104
del 2017. Secondo la ricorrente, tali disposizioni contrasterebbero
con le competenze legislative riconosciute dallo statuto valdostano,
oltre che con gli artt. 3, 5, 97, 117, primo e terzo comma, 118 e 120
Cost., anche in relazione all'art. 10 della legge cost. n. 3 del
2001.
La pretesa del legislatore statale di disciplinare dal centro e
in modo uguale per tutto il suolo nazionale la VIA regionale, senza
tenere in alcuna considerazione le specificita' locali, sarebbe
manifestamente irragionevole e contraria ai principi di buon
andamento (art. 97 Cost.), sussidiarieta' e differenziazione (art.
118 Cost.).
18.6.- Devono essere rigettate, preliminarmente, alcune eccezioni
avanzate dalla difesa statale. In particolare, raggiungono la soglia
minima di chiarezza e completezza argomentativa le censure proposte
dalla Provincia autonoma di Bolzano relative alla violazione del
principio di sussidiarieta' e alla lesione del principio di legalita'
in relazione ai vincoli derivanti dall'appartenenza dell'Italia
all'Unione europea.
Analogamente, devono essere respinte le eccezioni di
inammissibilita' avanzate dalla difesa statale in merito alle censure
delle Province autonome relative ai principi di ragionevolezza e
proporzionalita' ex artt. 3 e 97 Cost. Le ricorrenti, al contrario,
hanno posto in evidenza con sufficiente precisione i prospettati vizi
di illegittimita' costituzionale e hanno adeguatamente dimostrato la
ridondanza delle violazioni di disposizioni costituzionali estranee
al Titolo V della Parte II della Costituzione sulle competenze
costituzionalmente garantite.
18.7.- Le questioni di legittimita' costituzionale, promosse
dalle Province autonome, riguardanti l'art. 8 del d.lgs. n. 104 del
2017, che disciplina il procedimento di verifica di assoggettabilita'
a VIA, non sono fondate.
La norma impugnata non risulta incongruente o eccedente rispetto
alla ratio complessiva della riforma. Per alcuni aspetti, peraltro,
essa e' direttamente riproduttiva della direttiva 2014/52/UE,
normativa che fa riferimento alla necessita' che la domanda,
adeguatamente pubblicizzata, del proponente evidenzi i punti chiave
del progetto (considerando n. 26; art. 1, paragrafo 4), ai criteri
che l'autorita' competente deve seguire per l'esclusione di un
progetto dalla VIA (considerando n. 28 e n. 29; art. 1, paragrafo 4,
Allegato III) e alla necessita' di concludere il procedimento entro
un termine complessivo di 90 giorni. Anche la possibilita' di
sospendere i termini per ragioni eccezionali trova una diretta
copertura sovranazionale (art. 1, paragrafo 4).
Come questa Corte ha gia' affermato in relazione alla prima
attuazione nazionale della disciplina comunitaria sulla VIA (legge 8
luglio 1986, n. 349, recante «Istituzione del Ministero dell'ambiente
e norme in materia di danno ambientale»), con riferimento proprio a
un ricorso presentato dalla Provincia autonoma di Bolzano, la mancata
attuazione della direttiva sull'intero territorio nazionale
esporrebbe lo Stato italiano al rischio di una procedura di
infrazione per violazione del diritto sovranazionale.
La nuova procedura relativa alla verifica di assoggettabilita' a
VIA si inserisce nel complessivo intervento di riforma realizzato dal
legislatore statale in attuazione degli obblighi europei, che le
Province autonome sono tenute a rispettare.
D'altro canto, l'eventuale accoglimento delle questioni, con
conseguente effetto di ritenere non applicabile la norma (o anche
solo parti di essa), rischierebbe non solo di minare la ratio
complessiva della riforma, ma anche la sua organicita', causando un
inammissibile frazionamento di una disciplina strettamente connessa
alla tutela ambientale. Per tale ragione, questa Corte ha attribuito
il rango di norma di riforma economico-sociale non solo a
norme-principio, cioe' a precetti vaghi e indeterminati, ma anche, e
piu' in generale, a tutte le norme «che rispondano complessivamente
ad un interesse unitario ed esigano, pertanto, un'attuazione su tutto
il territorio nazionale» (sentenza n. 1033 del 1988; in termini
analoghi, piu' recentemente, sentenze n. 229 e n. 212 del 2017, n.
170 del 2001, n. 477 del 2000 e n. 323 del 1998). In altri termini, a
rilevare e' che i principi fondamentali di riforma, ancorche' «non
espressamente enunciati, poss[a]no anche essere desunti dalla
disciplina di dettaglio, che ad essi si ispira o che necessariamente
li implica e presuppone. Nel contesto di una incisiva riforma, la
qualifica di fondamentale da attribuire alle norme della nuova
disciplina puo' derivare dal costituire esse un elemento coessenziale
alla riforma economico-sociale, in quanto la caratterizzano o formano
la base del suo sviluppo normativo» (sentenza n. 482 del 1995).
La nozione di norma fondamentale rifugge, infatti, da operazioni
ontologiche di catalogazione, legate al grado di indeterminatezza
lessicale della disposizione per accogliere, di converso, una
qualificazione funzionale e teleologica, connessa al rapporto di
strumentalita' con la ratio complessiva della riforma.
La disposizione censurata non produce, dunque, alcuna lesione
delle competenze legislative delle Province autonome, costituendo, al
tempo stesso, attuazione degli obblighi sovranazionali e norma
fondamentale di riforma economico-sociale nella materia «tutela
dell'ambiente» e «dell'ecosistema».
Conseguentemente, non vi e' violazione del potere, attribuito
alle Province autonome, di dare attuazione alla normativa europea
nelle materie di loro competenza.
Non sono fondate, poi, le censure relative alla violazione
dell'art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, posto che la norma impugnata
rientra a pieno titolo tra le norme cui le Province autonome sono
tenute a conformarsi.
18.8.- Alla luce di tali considerazioni, anche le questioni,
promosse dalla Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste e dalle
Province autonome sugli artt. 16, comma 2, e 24 del d.lgs. n. 104 del
2017, devono dichiararsi non fondate. Come gia' visto, la prima
disposizione disciplina il procedimento unico regionale, finalizzato
all'adozione del provvedimento unico; la seconda, sostitutiva
dell'art. 14, comma 4, della legge n. 241 del 1990, stabilisce che
«tutte le autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri,
concerti, nulla osta e assensi comunque denominati, necessari alla
realizzazione e all'esercizio del medesimo progetto, vengono
acquisiti nell'ambito di apposita conferenza di servizi, convocata in
modalita' sincrona ai sensi dell'articolo 14-ter, secondo quanto
previsto dall'articolo 27-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006,
n. 152».
Le norme impugnate attengono al nucleo centrale di una riforma
volta a semplificare, razionalizzare e velocizzare la valutazione di
impatto ambientale regionale, inserendo in un provvedimento unico,
adottato in conferenza di servizi, tutte le autorizzazioni necessarie
alla realizzazione dell'opera. Come gia' visto, la determinazione
della conferenza di servizi non assorbe i singoli titoli
autorizzatori, ma li ricomprende, elencandoli. La decisione di
concedere i titoli abilitativi e' assunta sulla base del
provvedimento di VIA successivo alla determinazione della conferenza
di servizi (comma 7, del nuovo art. 27-bis, introdotto dall'art. 16,
comma 2, del censurato d.lgs. n. 104 del 2017), e non sostituisce le
altre autorizzazioni necessarie alla realizzazione del progetto.
Da cio' deriva, quindi, la non fondatezza delle censure avanzate
dalle Province autonome e dalla Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallee
d'Aoste con riferimento alle competenze legislative statutariamente
previste. Queste, infatti, devono essere esercitate nei limiti degli
obblighi internazionali e delle norme fondamentali di riforma
economico-sociale, come previsto dall'art. 2 dello statuto reg. Valle
d'Aosta/Vallee d'Aoste e dagli artt. 4, 5, 8 e 9 dello statuto reg.
Trentino-Alto Adige. Peraltro, il procedimento di VIA e le funzioni
amministrative ad esso connesse non sono riconducibili sic et
simpliciter ad alcuna specifica attribuzione degli enti ad autonomia
differenziata, ma sono strumentali all'inveramento del bene
ambientale, valore di rango costituzionale tutelato anche dalla
normativa europea.
Per le medesime ragioni, il complessivo intervento di riforma non
e' in contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost., stante la non
frazionabilita' della tutela dell'ambiente sull'intero territorio
nazionale. A tale riguardo, non puo' dirsi, come invece sostengono le
ricorrenti, che le norme impugnate siano eccessivamente dettagliate.
Osta a tale conclusione quanto si e' gia' detto sulla portata delle
norme fondamentali di riforma economico-sociale. In tale ambito,
infatti, cio' che rileva e' il nesso che la prescrizione normativa
intrattiene con la ratio complessiva della riforma.
In ogni caso, non potrebbe essere evocata, a supporto della
fondatezza delle questioni, la sentenza n. 212 del 2017, con cui
questa Corte ha disposto l'inapplicabilita' alle Province autonome di
alcune norme della legge 28 giugno 2016, n. 132 (Istituzione del
Sistema nazionale a rete per la protezione dell'ambiente e disciplina
dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) in
materia di agenzie regionali e provinciali per l'ambiente, pronuncia
richiamata a piu' riprese nelle memorie illustrative depositate dalle
ricorrenti.
La menzionata decisione ha dichiarato l'illegittimita'
costituzionale di disposizioni statali volte a disciplinare i
requisiti di selezione dei direttori generali delle agenzie e le
modalita' di organizzazione del personale e delle funzioni interne
delle agenzie provinciali, norme eccedenti la finalita' ambientale
del complessivo disegno predisposto dallo Stato. Le disposizioni
invadevano, infatti, la competenza primaria delle Province autonome
in materia di ordinamento degli uffici e del personale (art. 8, n. 1,
statuto reg. Trentino-Alto Adige).
Nulla di tutto questo avviene, invece, nel caso di specie, ove le
norme censurate disciplinano il procedimento e le funzioni
amministrative preordinate alla miglior tutela del bene ambientale e
al contemperamento degli interessi pubblici e privati che vengono in
gioco nella procedura di VIA.
Di qui, la non fondatezza delle questioni concernenti gli artt.
16, comma 2, e 24 del d.lgs. n. 104 del 2017.
18.9.- Le questioni, promosse dalle Province autonome,
riguardanti l'art. 16, comma 1, del d.lgs. n. 104 del 2017, non sono
fondate.
La disposizione impugnata, che sostituisce l'art. 27 cod.
ambiente, rappresenta diretta attuazione della direttiva 2014/52/UE,
la quale sollecita procedure coordinate e comuni nel caso in cui la
procedura di VIA incroci altri provvedimenti autorizzatori previsti
dalla normativa europea (art. 2, paragrafo 3), richiedendo agli Stati
di adoperarsi perche', in tali frangenti, sia adottato un unico
provvedimento.
Anche il provvedimento unico in materia di VIA statale fa parte
del nucleo della complessiva riforma delle procedure di impatto
ambientale, in coerenza con le esigenze di semplificazione e
razionalizzazione poste dalla normativa sovranazionale.
Inoltre, come posto in evidenza dall'Avvocatura dello Stato, il
provvedimento unico ambientale non realizza alcuna surroga o
espropriazione delle competenze delle amministrazioni provinciali.
Rinviando l'assunzione del provvedimento alla conferenza di servizi
in forma simultanea con modalita' sincrona, la disciplina individua
un modulo procedimentale che coinvolge al massimo grado le
amministrazioni interessate. Queste, infatti, sono chiamate a
presentare la propria posizione in relazione ai procedimenti sui
quali decide la conferenza, organo che delibera all'unanimita' o
sulla base delle cosiddette posizioni prevalenti delle
amministrazioni partecipanti (art. 14-ter, comma 7, e art. 14-quater,
comma 4, della legge n. 241 del 1990). Nel provvedimento unico
confluiscono i «titoli abilitativi» indicati dal decreto legislativo
(comma 8 dell'art. 27 cod. ambiente, come novellato dall'art. 16,
comma 1, del d.lgs. n. 104 del 2017), a conferma della natura
comprensiva, e non meramente sostituiva, del provvedimento in esame.
D'altronde, come riconosciuto dalla difesa statale, asseverando
l'auspicio della difesa trentina, il richiamo all'art. 14-ter della
legge n. 241 del 1990 richiede che si applichino i rimedi per le
amministrazioni dissenzienti. Il rinvio a tale disposizione implica
necessariamente l'applicazione degli artt. 14-quater e 14-quinquies
della medesima legge, in base alla concatenazione di rinvii normativi
presupposta e avallata dalla disposizione censurata.
In tal senso, nel caso in cui non si raggiungesse l'unanimita' in
conferenza di servizi, la decisione conclusiva del procedimento unico
sarebbe presa sulla base delle posizioni prevalenti, in virtu' del
peso specifico, valutato e ponderato dall'amministrazione procedente,
che ciascuna amministrazione partecipante possiede in relazione agli
interessi pubblici di cui e' portatrice. Tale procedura, se evita
stasi ed eccessivi rallentamenti nei processi decisionali, consente
altresi' alle amministrazioni in disaccordo di manifestare il proprio
dissenso, sospendendo l'efficacia della decisione e attivando i
rimedi previsti dall'art. 14-quinquies della legge n. 241 del 1990.
La disposizione da ultimo menzionata prevede, in caso di mancato
accordo, una reiterazione delle riunioni della conferenza di servizi,
in vista del raggiungimento di una posizione comune.
Nell'eventualita' in cui i dissensi permangano, la questione e' posta
all'ordine del giorno della prima riunione del Consiglio dei ministri
successiva alla scadenza del termine previsto per raggiungere
l'intesa. Alla riunione del Consiglio dei ministri partecipano anche
i Presidenti delle Regioni o delle Province autonome interessate.
E' appena il caso di precisare come non vi sia alcuna chiamata in
sussidiarieta', come pure sostenuto dalla Provincia autonoma di
Bolzano. Tale istituto, come correttamente messo in luce dalla difesa
statale, presuppone che l'intervento legislativo attragga funzioni in
materie di competenze regionali o provinciali. Nulla di tutto cio' e'
avvenuto nel caso di specie, poiche' lo Stato ha esercitato la
propria competenza esclusiva in materia di ambiente, la cui
disciplina condiziona gli ordinamenti provinciali in virtu' dei
limiti degli obblighi internazionali e delle norme fondamentali di
riforma.
19.- La sola Provincia autonoma di Bolzano impugna il comma 1
dell'art. 23 del d.lgs. n. 104 del 2017, recante le «[d]isposizioni
transitorie e finali».
La norma in questione stabilisce che le disposizioni del medesimo
d.lgs. n. 104 del 2017 «si applicano ai procedimenti di verifica di
assoggettabilita' a VIA e ai procedimenti di VIA avviati dal 16
maggio 2017»: dunque, a partire da una data anteriore a quella di
entrata in vigore del decreto (21 luglio 2017).
Secondo la ricorrente, essa, prevedendo un'applicazione
retroattiva delle disposizioni del decreto, si porrebbe in palese
contrasto con l'art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, il quale, da un
lato, stabilisce che «la legislazione regionale e provinciale deve
essere adeguata ai principi e norme costituenti limiti indicati dagli
articoli 4 e 5 dello statuto speciale e recati da atto legislativo
dello Stato entro i sei mesi successivi alla pubblicazione dell'atto
medesimo nella Gazzetta Ufficiale» e, dall'altro, nell'escludere la
diretta applicabilita' della nuova disciplina statale, prevede, una
volta decorso tale termine, la possibilita' d'impugnazione davanti a
questa Corte della legislazione che non sia stata adeguata.
19.1.- La questione e' fondata.
Si e' gia' piu' volte rilevato che la nuova disciplina posta dal
d.lgs. n. 104 del 2017 comporta un limite alle competenze legislative
degli enti ad autonomia differenziata, in quanto recante norme
fondamentali di riforma economico-sociale oltre che derivanti da
obblighi europei.
Il richiamato art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992 prevede, per la
Regione Trentino-Alto Adige e le due Province autonome di Trento e di
Bolzano, uno speciale meccanismo di adeguamento della legislazione
regionale e provinciale alle nuove norme, introdotte con atto
legislativo statale, che dettino limiti alle competenze
statutariamente previste. In particolare, come si e' visto, tale
norma di attuazione statutaria prevede che gli enti territoriali
adeguino la propria legislazione entro sei mesi dalla pubblicazione
sulla Gazzetta Ufficiale dell'atto legislativo statale, restando
applicabili le disposizioni preesistenti fino al loro adeguamento o,
in mancanza di quest'ultimo, sino al loro annullamento da parte di
questa Corte, su ricorso del Governo.
La norma censurata, nel prevedere l'applicabilita', non solo
immediata, ma addirittura a ritroso, della nuova disciplina statale
in materia di VIA e di assoggettabilita' a VIA, senza alcuna
eccezione, si pone dunque in contrasto con le garanzie accordate
dalla norma di attuazione, correttamente evocata a parametro di
legittimita' costituzionale (sentenze n. 212 e n. 191 del 2017, n.
121 e n. 28 del 2014).
Non vale opporre, come ha fatto il Presidente del Consiglio dei
ministri, che l'applicazione retroattiva del d.lgs. n. 104 del 2017
risponde all'esigenza di garantire una piena e tempestiva attuazione
della direttiva 2014/52/UE, collegandosi quindi al dovere, incombente
sul legislatore nazionale, di adempiere prontamente agli obblighi
sovranazionali. In caso di mancato adeguamento della normativa
regionale e provinciale alla direttiva europea, lo Stato - oltre al
potere d'impugnativa previsto dalla norma di attuazione - puo',
infatti, esercitare il potere sostitutivo previsto dall'art. 117,
quinto comma, Cost.
L'art. 23, comma 1, del d.lgs. n. 104 del 2017, dunque, deve
essere dichiarato costituzionalmente illegittimo, nella parte in cui
non contempla una clausola di salvaguardia che consenta alle Province
autonome di Trento e Bolzano di adeguare la propria legislazione alle
norme in esso contenute, secondo la procedura di cui all'art. 2 del
d.lgs. n. 266 del 1992.
20.- La Regione Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste e le Province
autonome di Trento e di Bolzano impugnano anche il comma 4 dell'art.
23 del d.lgs. n. 104 del 2017, che regola l'esercizio del potere
sostitutivo dello Stato in ordine all'adeguamento degli ordinamenti
delle Regioni e delle Province autonome prefigurato dall'art. 7-bis,
comma 8, del d.lgs. n. 152 del 2006, aggiunto dall'art. 5, comma 1,
del medesimo d.lgs. n. 104 del 2017.
La norma impugnata prevede che le Regioni e le Province autonome
adeguino i propri ordinamenti, esercitando le potesta' normative di
cui al citato art. 7-bis, comma 8, «entro il termine perentorio di
centoventi giorni dall'entrata in vigore» del d.lgs. n. 104 del 2017.
Essa altresi' prevede che, decorso tale termine, «in assenza di
disposizioni regionali o provinciali vigenti idonee allo scopo, si
applicano i poteri sostitutivi di cui all'articolo 117, quinto comma,
della Costituzione, secondo quanto previsto dagli articoli 41 e 43
della legge 24 dicembre 2012, n. 234».
20.1.- La Regione Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste reputa la norma de
qua in contrasto con plurime norme del proprio statuto speciale,
oltre che con gli artt. 3, 5, 117, primo, terzo e quinto comma, 118 e
120 Cost., anche in relazione all'art. 10 della legge cost. n. 3 del
2001.
Secondo la ricorrente, la disposizione violerebbe tutti i
parametri costituzionali evocati in ragione dell'assoluta genericita'
e vaghezza del presupposto al quale e' connessa l'attivazione del
potere sostitutivo dello Stato: vale a dire, il difetto di "idoneita'
allo scopo" delle norme regionali e provinciali adottate in forza del
nuovo art. 7-bis, comma 8, cod. ambiente.
Inoltre, tale ultima disposizione si riferirebbe a funzioni tutte
a esercizio eventuale e facoltativo, di modo che in relazione ad esse
non potrebbe essere esercitato il potere sostitutivo dello Stato, il
quale secondo la giurisprudenza costituzionale puo' essere attivato
solo in caso di mancata adozione di atti vincolati nell'an.
20.1.1.- Le questioni non sono fondate.
L'art. 23, comma 4, del d.lgs. n. 104 del 2017 richiama
espressamente l'art. 117, quinto comma, Cost., che prevede il potere
sostitutivo dello Stato nei casi di inadempienza delle Regioni e
delle Province autonome nell'attuazione del diritto dell'Unione
europea nelle materie di loro competenza. Sulla base di una piana
interpretazione letterale e sistematica della disposizione impugnata,
l'obiettivo dell'intervento sostitutivo - in caso di inidoneita' allo
scopo delle norme regionali e provinciali - puo' pertanto essere
individuato, conformemente a quanto sostiene l'Avvocatura dello
Stato, nell'esigenza di evitare che carenze organizzative a livello
regionale o provinciale compromettano la piena attuazione della
direttiva 2014/52/UE.
L'art. 7-bis, comma 8, cod. ambiente prevede espressamente che le
Regioni e le Province autonome disciplinino «l'organizzazione e le
modalita' di esercizio delle funzioni amministrative ad esse
attribuite in materia di VIA». Per questa parte, la disposizione
chiama gli enti territoriali allo svolgimento d'una funzione
vincolata nell'an, sicche' il potere sostitutivo previsto dalla norma
impugnata non va incontro alle censure di costituzionalita' mosse
dalla ricorrente.
20.2.- La Provincia autonoma di Trento lamenta che la norma
impugnata, qualificando il termine di adeguamento come «perentorio»,
precluda definitivamente alla Provincia l'esercizio della potesta'
normativa una volta che il termine sia spirato: il che sarebbe in
contrasto con gli artt. 8 e 9 dello statuto speciale, con l'art. 117,
quinto comma, Cost., come attuato dall'art. 41 della legge n. 234 del
2012, e con l'art. 120, secondo comma, Cost., i quali, invece,
pongono il principio per cui la sostituzione deve avere carattere
suppletivo.
20.2.1.- Le questioni non sono fondate.
L'art. 41 della legge n. 234 del 2012 - richiamato dalla norma
censurata e dunque, com'e' naturale che sia in ragione della sua
natura di disposizione a carattere generale, applicabile in caso di
esercizio del potere sostitutivo ora in discorso - prevede
espressamente che i provvedimenti statali di attuazione degli atti
dell'Unione europea, da un lato, «perdono comunque efficacia dalla
data di entrata in vigore dei provvedimenti di attuazione di ciascuna
regione e provincia autonoma» e, dall'altro, debbono recare
«l'esplicita indicazione della natura sostitutiva del potere
esercitato e del carattere cedevole delle disposizioni in essi
contenute». Cio' tanto basta a escludere il risultato ermeneutico cui
giunge la ricorrente.
20.3.- La Provincia autonoma di Trento ritiene illegittimo l'art.
23, comma 4, del d.lgs n. 104 del 2017 anche nella parte in cui
stabilisce che, decorso il termine «perentorio», si applicano i
poteri sostitutivi di cui all'art. 117, quinto comma, Cost. Ove tale
disposizione fosse intesa come diretta a consentire l'utilizzo del
potere sostitutivo per introdurre una disciplina di adeguamento al
decreto legislativo, e non soltanto alla direttiva europea, la
previsione considerata verrebbe a collidere, infatti, con l'art. 8
del d.P.R. n. 526 del 1987, il quale prevede l'esercizio del potere
in discorso solo nel caso di «accertata inattivita' degli organi
regionali e provinciali che comporti inadempimento agli obblighi
comunitari» e, comunque sia, previa concessione di un ulteriore
termine alla Regione o alla Provincia autonoma.
20.3.1.- La questione non e' fondata.
Come gia' ricordato, la disposizione impugnata regola l'esercizio
del potere sostitutivo dello Stato in confronto alle potesta'
normative delle Regioni e delle Province autonome di cui all'art.
7-bis, comma 8, cod. ambiente (aggiunto dall'art. 5, comma 1, del
d.lgs. n. 104 del 2017).
Vero e' che, ai sensi dell'art. 7-bis, comma 8, del d.lgs. n. 152
del 2006, le potesta' legislative devono essere esercitate dalle
Regioni e dalle Province autonome «in conformita' alla legislazione
europea e nel rispetto di quanto previsto nel [...] decreto»
medesimo. Tuttavia, poiche' il potere sostitutivo, come gia' messo in
luce, puo' essere esercitato nel solo caso in cui carenze
organizzative a livello regionale o provinciale compromettano la
piena attuazione della direttiva 2014/52/UE, la mancata osservanza
della normativa statale potra' si' rilevare quale presupposto
legittimante l'intervento sostitutivo, ma solo e soltanto qualora si
traduca in un difetto di conformita' alla direttiva europea.
Quanto alla necessita' che il Governo, prima di esercitare il
potere sostitutivo, assegni alla Regione o alla Provincia «un congruo
termine per provvedere», coglie nel segno la difesa dello Stato
quando osserva che il censurato art. 23, comma 4, richiamando l'art.
43 della legge n. 234 del 2012, rende operante il meccanismo di
"diffida" previsto dal comma 2 di tale articolo tramite il richiamo
all'art. 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per
l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3).
20.4.- Le Province autonome di Trento e di Bolzano, infine,
denunciano il contrasto della norma impugnata con il gia' ricordato
meccanismo di adeguamento della legislazione provinciale di cui
all'art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992. Si censura, in particolare,
che il termine previsto dalla norma impugnata, pari a 120 giorni, sia
piu' breve di quello stabilito dalla citata norma di attuazione
statutaria, pari invece a sei mesi.
20.4.1.- La questione e' fondata.
Come si e' gia' rilevato, l'art. 23, comma 4, del d.lgs. n. 104
del 2017 prescrive il necessario adeguamento delle legislazioni
regionali e provinciali alla nuova disciplina introdotta dalla
direttiva 2014/52/UE e dal medesimo decreto per mezzo dell'esercizio
della potesta' normativa di cui al citato art. 7-bis cod. ambiente.
Disposizione, quest'ultima, che, come si e' gia' visto, richiede agli
enti territoriali di disciplinare, in particolare, «l'organizzazione
e le modalita' di esercizio delle funzioni amministrative ad esse
attribuite in materia di VIA».
Si tratta, pertanto, di un onere di adeguamento della propria
legislazione che, per quel che riguarda le Province autonome di
Trento e di Bolzano, puo' essere assolto secondo i termini dettati
dall'art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992. La disposizione impugnata -
li' dove invece prevede, anche in riferimento a tali enti
territoriali, che l'adeguamento deve avvenire entro centoventi giorni
dall'entrata in vigore del d.lgs. n. 104 del 2017 - si pone dunque in
contrasto con la richiamata norma di attuazione statutaria, che
prevede il diverso e piu' ampio termine di sei mesi, e va
conseguentemente dichiarata illegittima limitatamente a tale parte.
21.- Le Regioni autonome Friuli-Venezia Giulia e Sardegna
impugnano l'art. 12, nella parte in cui sostituisce l'art. 23, comma
4, secondo periodo, cod. ambiente (ai sensi del quale deve essere
data comunicazione, a tutti gli enti potenzialmente interessati,
dell'avvenuta pubblicazione, sul sito web dell'autorita' competente,
della documentazione richiesta al proponente ai fini della VIA);
l'art. 13, nella parte in cui sostituisce l'art. 24, comma 3, secondo
periodo, del medesimo cod. ambiente (il quale stabilisce il termine
di sessanta giorni per la presentazione di osservazioni e pareri da
parte delle amministrazioni potenzialmente interessate a fronte di
modifiche o integrazioni apportate al progetto ad opera del
proponente); l'art. 14, nella parte in cui sostituisce l'art. 25,
comma 1, primo periodo (valutazione di impatto ambientale compiuta
tenendo conto dei pareri degli enti potenzialmente interessati), cod.
ambiente.
In via generale, le ricorrenti ritengono che, stando alla lettera
delle disposizioni, nella procedura di VIA statale l'amministrazione
centrale potra' escludere, a sua arbitraria discrezione, la Regione
interessata, coinvolgendo esclusivamente gli enti locali o ritenendo
irrilevante la partecipazione regionale.
Sotto tale profilo, le ricorrenti lamentano anzitutto la
violazione dell'art. 117, primo comma, Cost., atteso che il
legislatore statale ha disatteso un obbligo sancito dal diritto
europeo, al quale e' vincolato dalla predetta disposizione
costituzionale.
Vi sarebbe poi la violazione dei principi di ragionevolezza e di
buon andamento della pubblica amministrazione, ex artt. 3 e 97 Cost.,
atteso che il legislatore statale, lungi dall'individuare in astratto
gli enti da consultare, avrebbe lasciato l'amministrazione statale
domina dell'intero procedimento e arbitra del coinvolgimento o meno
degli enti da informare.
Infine, la disciplina della VIA realizzerebbe un intreccio di
competenze statali e regionali, riconosciute dagli statuti di
autonomia e dall'art. 117, terzo comma, Cost., applicabile alle
Regioni a statuto speciale ai sensi dell'art. 10 della legge cost. n.
3 del 2001, con conseguente compressione della sfera di autonomia
riconosciute alle ricorrenti.
Per le medesime ragioni, sarebbe poi illegittimo l'art. 24, comma
5, cod. ambiente, come novellato dall'art. 13 del d.lgs. n. 104 del
2017, nella parte in cui rimette alla discrezionalita'
dell'amministrazione dello Stato la richiesta di un supplemento di
parere da parte delle altre amministrazioni consultate. Vi sarebbe un
illegittimo esercizio della competenza legislativa statale in materia
di «tutela dell'ambiente», ex art. 117, secondo comma, lettera s),
Cost., e la violazione dei principi di ragionevolezza, buon andamento
e leale collaborazione tra Stato e Regione (artt. 3, 5, 97, 117 e 118
Cost.). Tali violazioni determinerebbero un'illegittima compressione
dell'autonomia regionale, nei gia' citati ambiti materiali di
competenza legislativa primaria e concorrente delle Regioni.
21.1.- Le censure non sono fondate.
In primo luogo, deve essere smentito l'assunto delle ricorrenti
secondo cui la disciplina della VIA realizzerebbe un intreccio
inestricabile di materie. Se e' vero, infatti, che sono sicuramente
incise competenze regionali, come e' insito nella natura trasversale
della materia «tutela dell'ambiente» e «dell'ecosistema»,
l'intervento statale ha un complessivo e prevalente intento di
riforma di un procedimento funzionale alla salvaguardia ambientale.
Se a questo si aggiunge l'origine sovranazionale della relativa
disciplina, e' allora evidente come anche con riguardo alle Regioni
autonome Friuli-Venezia Giulia e Sardegna la normativa possa essere
pienamente ricondotta alle clausole limitative previste dagli statuti
speciali degli obblighi internazionali e delle norme fondamentali di
riforma economico-sociale.
Lo stesso criterio dell'interesse potenziale, fatto proprio dalla
disciplina impugnata ai fini dell'individuazione degli enti da
coinvolgere nel procedimento di VIA statale, e' mutuato dalla
disciplina sovranazionale. L'art. 6, paragrafo 1, della direttiva
2011/92/UE, come modificato dalla direttiva 2014/52/UE, stabilisce:
«[g]li Stati membri adottano le misure necessarie affinche' le
autorita' che possono essere interessate al progetto, per la loro
specifica responsabilita' in materia di ambiente o in virtu' delle
loro competenze locali o regionali, abbiano la possibilita' di
esprimere il loro parere sulle informazioni fornite dal committente e
sulla domanda di autorizzazione, tenendo conto, ove opportuno, dei
casi di cui all'articolo 8 bis, paragrafo 3. A tal fine, gli Stati
membri designano le autorita' da consultare, in generale o caso per
caso. Queste autorita' ricevono le informazioni raccolte a norma
dell'articolo 5. Le modalita' della consultazione sono fissate dagli
Stati membri».
Tale disposizione concorre a realizzare uno degli obiettivi della
nuova disciplina di VIA, e cioe' la piu' ampia partecipazione delle
istituzioni e del pubblico al processo decisionale. In tal senso, i
censurati artt. 12, 13 e 14, laddove fanno riferimento agli enti
territoriali potenzialmente interessati e alle altre amministrazioni
competenti, mirano a declinare, nell'ordinamento interno, il
principio della piu' ampia partecipazione possibile richiesto dalla
normativa sovranazionale (sugli obblighi di trasmissione agli enti
territoriali della domanda e della documentazione del procedimento di
VIA come obbligo comunitariamente necessario, sentenza n. 234 del
2009). Nell'ottica di valorizzare gli obblighi informativi in tema di
VIA, peraltro, si muove gia' da tempo la giurisprudenza
costituzionale, che ha ritenuto tali obblighi inderogabili dalle
Regioni, proprio per il nesso di strumentalita' tra questi ultimi e
il principio della piu' ampia partecipazione possibile da parte dei
soggetti interessati (sentenze n. 178 e n. 93 del 2013 e n. 227 del
2011).
E', dunque, errato il presupposto interpretativo da cui muovono
le ricorrenti: le norme impugnate, nel riferirsi, a diverso titolo,
agli «enti territorialmente interessati e comunque competenti ad
esprimersi sulla realizzazione del progetto», non lasciano
all'amministrazione statale alcuna scelta discrezionale nella
trasmissione dei progetti, dovendo questa necessariamente coinvolgere
anche le Regioni nel cui territorio saranno realizzati gli
interventi. Di conseguenza, anche le censure, sollevate con
riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., non sono fondate.
Non va dimenticato inoltre, come correttamente posto in evidenza
dalla difesa statale, che, nei procedimenti relativi a VIA di
competenza dello Stato, l'art. 6 del d.lgs. n. 104 del 2017 prevede,
per i procedimenti per i quali sia riconosciuto un concorrente
interesse regionale, la designazione, da parte delle Regioni (e delle
Province autonome) interessate dal progetto, di un proprio
rappresentante nella Commissione tecnica di verifica di impatto
ambientale insediata presso il Ministero dell'ambiente e della tutela
del territorio e del mare. In tal senso, non solo le Regioni sono
pienamente coinvolte nello stadio iniziale, di instaurazione della
procedura, ma anche nella fase istruttoria finalizzata all'adozione
del provvedimento finale.
Per le medesime ragioni deve ritenersi non fondata l'ulteriore
censura relativa all'art. 24, comma 5, cod. ambiente, come novellato
dall'art. 13 del d.lgs. n. 104 del 2017, nella parte in cui
rimetterebbe alla discrezionalita' dell'amministrazione dello Stato
la richiesta di un supplemento di parere da parte delle altre
amministrazioni consultate. La norma, infatti, non esclude in radice
nuove osservazioni da parte degli enti territoriali, che invece
saranno convolti tutte le volte in cui le integrazioni progettuali
abbiano una portata innovativa rispetto all'originaria proposta.
22.- Ad avviso delle Regioni autonome Friuli-Venezia Giulia e
Sardegna, sarebbero altresi' illegittimi gli artt. 3, 5, 8, 9, 12,
13, 14, 16, 17, 22 e 26 del d.lgs. n. 104 del 2017, per violazione
del principio di leale collaborazione, desumibile dagli artt. 5, 117
e 118 Cost., in combinato disposto con le competenze statutarie,
perche' il decreto, oltre a non essere stato preceduto dall'intesa,
non avrebbe accolto le proposte emendative avanzate in sede di
Conferenza Stato-Regioni.
22.1.- Inammissibili, per le ragioni gia' esposte, le censure
circa la mancata previa intesa, non sono fondate le questioni
relative alla violazione del principio di leale collaborazione per il
mancato recepimento, da parte del Governo, delle indicazioni espresse
nel parere favorevole condizionato adottato dalla Conferenza
Stato-Regioni.
Il Governo, infatti, non era obbligato a recepire tutte le
richieste avanzate dalle Regioni in Conferenza permanente. La formula
del parere non richiede quella reiterazione delle trattative
finalizzate al raggiungimento dell'accordo che questa Corte richiede,
invece, nelle ipotesi di intreccio inestricabile di competenze o di
chiamata in sussidiarieta' (ex plurimis, sentenze n. 74 del 2018, n.
251 e n. 1 del 2016). D'altro canto, va pure rilevato che il Governo
non ha mostrato, in concreto, un atteggiamento di radicale
preclusione rispetto alle esigenze regionali, come mostra
l'accettazione di parte delle indicazioni emerse in Conferenza (con
riguardo, ad esempio, alla consultazione pubblica in materia di
verifica di assoggettabilita' a VIA o all'inserimento, a seguito di
apposito coordinamento normativo, del procedimento unico regionale in
materia ambientale nel corpo cod. ambiente).
23.- La Regione autonoma Sardegna ha impugnato, inoltre, gli
artt. 3, comma 1, lettere g) e h), 8, 14, 16 e 17 del d.lgs. n. 104
del 2017, per violazione del principio di leale collaborazione ex
artt. 5, 117 e 118 Cost., dell'art. 3 della legge cost. n. 3 del
1948, dell'art. 6 del decreto del Presidente della Repubblica 22
maggio 1975, n. 480 (Nuove norme di attuazione dello Statuto speciale
della regione autonoma della Sardegna) e degli artt. 3, 97 e 117
Cost.
Le norme impugnate sarebbero illegittime per aver previsto il
coinvolgimento del Ministro dei beni e delle attivita' culturali e
del turismo e non della Regione autonoma Sardegna, per gli interventi
di VIA statale da realizzare nel territorio sardo.
Tale censura varrebbe per l'esonero dei progetti che hanno come
unico fine quello della difesa nazionale o quello di rispondere ad
emergenze di protezione civile, che deve avvenire di concerto con il
Ministro dei beni culturali (art. 3, comma 1, lettera g); per
l'esonero, in casi eccezionali, di progetti specifici, previo parere
del Ministro dei beni culturali (art. 3, comma 1, lettera h); per
l'art. 8 del d.lgs. n. 104 del 2017, che sostituisce l'art. 19, comma
8, cod. ambiente, nella parte in cui prevede che, nella procedura di
verifica di assoggettabilita' a VIA, qualora si ritenga di non
assoggettare il progetto a VIA, il Ministro dell'ambiente, tenendo
conto delle osservazioni del Ministro dei beni culturali, specifica
le condizioni ambientali necessarie a evitare o prevenire quelli che
potrebbero altrimenti rappresentare impatti ambientali significativi;
per l'art. 14, che sostituisce l'art. 25 cod. ambiente in relazione
all'adozione dei provvedimenti di VIA statale, da adottare previa
acquisizione del concerto con il Ministro dei beni culturali; per
l'art. 16, comma 1, nella parte in cui introduce nell'art. 27, comma
8, cod. ambiente il provvedimento unico statale, adottato dal
Ministero dell'ambiente di concerto con il Ministro dei beni
culturali; per l'art. 17, che sostituisce l'art. 28, comma 2, cod.
ambiente, nella parte in cui stabilisce che l'autorita' competente,
in collaborazione con il Ministero dei beni culturali per i profili
di competenza, verifica l'ottemperanza delle condizioni ambientali di
cui al comma 1 al fine di identificare tempestivamente gli impatti
ambientali significativi e negativi imprevisti e di adottare le
opportune misure correttive.
La Regione Sardegna ha censurato, infine, l'art. 3, comma 1,
lettera g) del d.lgs. n. 104 del 2017, nella parte in cui consente al
Ministro dell'ambiente di esonerare dalla procedura di VIA specifici
progetti che hanno come unico obiettivo la risposta da emergenze di
protezione civile. Tale disposizione sarebbe invasiva della
competenza concorrente in materia di protezione civile ex art. 117,
comma terzo, Cost., da riconoscere alla Regione autonoma in virtu'
della clausola di maggior favore prevista dall'art. 10 della legge
cost. n. 3 del 2001.
23.1.- Le questioni di legittimita' costituzionale non sono
fondate.
Le censure relative all'intero art. 3, comma 1, lettera g),
relative all'esonero in caso di progetti che rispondono ad emergenze
di protezione civile, sono destituite di fondamento per ragioni
analoghe a quanto gia' esposto con riferimento ai ricorsi delle
Regioni Lombardia, Puglia, Abruzzo, Veneto e Calabria.
Deve ribadirsi che la disposizione non e' incongruente rispetto
alla finalita' complessiva della riforma, volta a fornire uno
standard uniforme di tutela ambientale, e dunque a concentrare, in
capo al vertice dell'apparato statale, la scelta dell'esonero in caso
di emergenze che rendono necessari interventi di protezione civile.
Non puo' neanche sostenersi che la disposizione abbia violato il
principio di leale collaborazione, posto che la Conferenza
Stato-Regioni e' stata chiamata ad esprimere il parere sullo schema
di decreto legislativo che gia' annoverava tale norme.
Come gia' argomentato, la leale collaborazione viene
salvaguardata anche a "valle" del procedimento amministrativo, alla
luce di un inquadramento sistematico della norma: la delibera dello
stato di emergenza viene infatti decisa dal Consiglio dei ministri,
ai sensi dell'art. 24 del d.lgs. n. 1 del 2018 (che riproduce sul
punto quanto stabiliva l'art. 5 della legge n. 225 del 1992), previa
intesa con la Regione interessata. L'esonero da VIA deve dunque
logicamente succedere alla decisione di realizzare interventi di
protezione civile concertati con gli enti territoriali interessati.
Anche le censure relative agli artt. 3, comma 1, lettera h), 8,
14, 16 e 17 del d.lgs. n. 104 del 2017, non sono fondate. Quanto
all'asserita violazione delle norme statutarie, e' insita in una
fondamentale riforma in materia ambientale la compressione delle
competenze regionali. I limiti delle norme di riforma
economico-sociale e degli obblighi internazionali hanno proprio
questo scopo: consentire che norme statali sprigionino efficacia
precettiva anche nell'ambito degli ordinamenti degli enti ad
autonomia differenziata. Cio' che conta e', come piu' volte ribadito,
che non vi sia una sostanziale incoerenza con lo scopo complessivo
della riforma o con gli obblighi europei.
Quanto alla supposta violazione del principio di leale
collaborazione, la finalita' riformatrice in materia di tutela
ambientale rende non costituzionalmente necessitato il coinvolgimento
della Regione quando si tratti di progetti di competenza dello Stato.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 23, comma
1, del decreto legislativo 16 giugno 2017, n. 104 (Attuazione della
direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16
aprile 2014, che modifica la direttiva 2011/92/UE, concernente la
valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici
e privati, ai sensi degli artt. 1 e 14 della legge 9 luglio 2015, n.
114), nella parte in cui non contempla una clausola di salvaguardia
che consenta alle Province autonome di Trento e di Bolzano di
adeguare la propria legislazione alle norme in esso contenute,
secondo la procedura di cui all'art. 2 del decreto legislativo 16
marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il
Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra gli atti legislativi
statali e leggi regionali e provinciali, nonche' la potesta' statale
di indirizzo e coordinamento);
2) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 23, comma
4, del d.lgs. n. 104 del 2017, nella parte in cui prevede che le
Province autonome di Trento e di Bolzano adeguino i propri
ordinamenti entro il termine di «centoventi giorni» anziche' entro
quello di sei mesi dall'entrata in vigore del medesimo decreto
legislativo;
3) dichiara inammissibile la questione di legittimita'
costituzionale dell'intero d.lgs. n. 104 del 2017, promossa, in
riferimento all'art. 120 della Costituzione, dalla Regione Puglia con
il ricorso indicato in epigrafe;
4) dichiara inammissibili le questioni di legittimita'
costituzionale degli artt. 3, 5, 8, 9, 12, 13, 16, 17, 22 e 26 del
d.lgs. n. 104 del 2017, promosse, in riferimento al principio di
leale collaborazione, dalle Regioni autonome Valle d'Aosta/Vallee
d'Aoste, Friuli-Venezia Giulia e Sardegna, dalle Regioni Veneto e
Calabria e dalle Province autonome di Trento e di Bolzano con i
ricorsi indicati in epigrafe;
5) dichiara inammissibili le questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 18, comma 3, in combinato disposto con
l'art. 3, comma 1, lettera g), del d.lgs. n. 104 del 2017, promosse,
in riferimento agli artt. 3, 9, 24 e 97 Cost., dalla Regione Puglia
con il ricorso indicato in epigrafe;
6) dichiara inammissibili le questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 16, comma 1, del d.lgs. n. 104 del 2017,
promosse, in riferimento agli artt. 5, 76, 117, 118 e 120 Cost.,
dalla Regione Calabria con il ricorso indicato in epigrafe;
7) dichiara inammissibili le questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 27 del d.lgs. n. 104 del 2017, promosse, in
riferimento agli artt. 76, 81, 117, terzo comma, e 118 Cost., dalle
Regioni Lombardia, Abruzzo e Calabria con i ricorsi indicati in
epigrafe;
8) dichiara inammissibili le questioni di legittimita'
costituzionale degli artt. 5, comma 1, 22, commi 1, 2, 3 e 4, e 26
del d.lgs. n. 104 del 2017, promosse, in riferimento agli artt. 3 e
97 Cost., dalla Provincia autonoma di Trento con il ricorso indicato
in epigrafe;
9) dichiara inammissibili le questioni di legittimita'
costituzionale degli artt. 5, comma l, 8, 16, commi l e 2, 22, commi
l, 2, 3 e 4, 23, commi l e 4, e 24 del d.lgs. n. 104 del 2017,
promosse, in riferimento all'art. 76 Cost., dalla Provincia autonoma
di Bolzano con il ricorso indicato in epigrafe;
10) dichiara non fondate le questioni di legittimita'
costituzionale dell'intero d.lgs. n. 104 del 2017, promosse, in
riferimento agli artt. 76, 77 e 117, primo comma, Cost., dalla
Regione Puglia e dalle Province autonome di Trento e di Bolzano con i
ricorsi indicati in epigrafe;
11) dichiara non fondate le questioni di legittimita'
costituzionale degli artt. 3, 4, 5, 8, 12, 13, 14, 16, 17, 22 e 26
del d.lgs. n. 104 del 2017, promosse, in riferimento all'art. 76
Cost., dalle Regioni autonome Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste,
Friuli-Venezia Giulia e Sardegna, dalle Regioni Lombardia, Abruzzo,
Puglia, Veneto e Calabria e dalle Province autonome di Trento e di
Bolzano con i ricorsi indicati in epigrafe;
12) dichiara non fondate le questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 3, comma 1, lettera g), del d.lgs. n. 104
del 2017, promosse, in riferimento agli artt. 3, 5, 32, 97, 117,
terzo comma, 118 e 120 Cost., nonche' al principio di leale
collaborazione, dalle Regioni Lombardia, Puglia, Abruzzo, Veneto e
Calabria con i ricorsi indicati in epigrafe;
13) dichiara non fondate le questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 3, comma 1, lettera h), del d.lgs. n. 104
del 2017, promosse, in riferimento agli artt. 3, 97, 117, terzo
comma, e 118 Cost., nonche' al principio di leale collaborazione,
dalla Regione Veneto con il ricorso indicato in epigrafe;
14) dichiara non fondate le questioni di legittimita'
costituzionale degli artt. 5, 22, commi 1, 2, 3 e 4, e 26 del d.lgs.
n. 104 del 2017, promosse, in riferimento agli artt. 3, 117, terzo e
quarto comma, e 118 Cost., nonche' al principio di leale
collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost., dalle Regioni
Lombardia, Abruzzo, Calabria e Veneto con i ricorsi indicati in
epigrafe;
15) dichiara non fondata la questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 14 del d.lgs. n. 104 del 2017, promossa, in
riferimento al principio di leale collaborazione, dalla Regione
Puglia con il ricorso indicato in epigrafe;
16) dichiara non fondate le questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 16, comma 2, del d.lgs. n. 104 del 2017,
promosse, in riferimento agli artt. 3, 97 e 117, terzo comma, Cost.,
nonche' del principio di leale collaborazione, dalle Regioni
Lombardia, Abruzzo e Calabria con i ricorsi indicati in epigrafe;
17) dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 21 del d.lgs. n.
104 del 2017, promosse, in riferimento agli artt. 3, 97, 117, terzo e
quarto comma, 118 e 119 Cost., nonche' al principio di leale
collaborazione, dalle Regioni Lombardia, Abruzzo, Veneto e Calabria
con i ricorsi indicati in epigrafe;
18) dichiara non fondate le questioni di legittimita'
costituzionale degli artt. 5 e 22, commi 1, 2, 3 e 4, del d.lgs. n.
104 del 2017, promosse, in riferimento agli artt. 2, primo comma,
lettere a), d), f) e m), 3 e 4 della legge costituzionale 26 febbraio
1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d'Aosta), nonche' agli
artt. 3, 97, 117, primo e terzo comma, e 118, Cost., anche in
relazione all'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.
3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione),
dalla Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste con il ricorso
indicato in epigrafe;
19) dichiara non fondate le questioni di legittimita'
costituzionale degli artt. 5, 22 e 26 del d.lgs. n. 104 del 2017,
promosse, in riferimento agli artt. 4 e 5 della legge costituzionale
31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia
Giulia), nonche' agli artt. 117, secondo e terzo comma, Cost., dalla
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia con il ricorso indicato in
epigrafe;
20) dichiara non fondate le questioni di legittimita'
costituzionale degli artt. 5, 22 e 26 del d.lgs. n. 104 del 2017,
promosse, in riferimento agli artt. 3 e 4 della legge costituzionale
26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), nonche'
agli artt. 117, secondo e terzo comma, Cost., dalla Regione autonoma
Sardegna con il ricorso indicato in epigrafe;
21) dichiara non fondate le questioni di legittimita'
costituzionale degli artt. 5, 22, commi 1, 2, 3 e 4, e 26, comma 1,
lettera a), del d.lgs. n. 104 del 2017, promosse, in riferimento agli
artt. 8, numeri 1), 3), 5), 6), 11), 13), 14), 16), 17), 18), 20) e
21), 9, numeri 3), 9) e 10), e 16 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670
(Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti
lo statuto speciale per il Trentino Alto-Adige), all'art. 19-bis del
d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381 (Norme di attuazione dello statuto
speciale per la Regione Trentino Alto-Adige in materia di urbanistica
ed opere pubbliche), all'art. 7 del d.P.R. 19 novembre 1987, n. 526
(Estensione alla regione Trentino-Alto Adige ed alle province
autonome di Trento e Bolzano delle disposizioni del decreto del
Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616), agli artt. 117,
terzo, quarto e quinto comma, anche in relazione all'art. 10 della
legge cost. n. 3 del 2001, 118 e 120, secondo comma, Cost., dalla
Provincia autonoma di Trento con il ricorso indicato in epigrafe;
22) dichiara non fondate le questioni di legittimita'
costituzionale degli artt. 5, comma 1, e 22, commi 1, 2, 3 e 4, del
d.lgs. n. 104 del 2017, promosse, in riferimento agli artt. 8, numeri
3), 5), 6), 9), 11), 13), 16), 17), 18), 20), 21) e 24), 9, numeri
3), 9) e 10), e 16 del d.P.R. n. 670 del 1972, all'art. 19-bis del
d.P.R. n. 381 del 1974, agli artt. 7 e 8 del d.P.R. n. 526 del 1987,
all'art. 4 del d.lgs. n. 266 del 1992, nonche' agli artt. 3, 97, 117,
primo, terzo, quarto e quinto comma, Cost., anche in relazione
all'art. 10 della legge. cost. n. 3 del 2001, dalla Provincia
autonoma di Bolzano, con il ricorso indicato in epigrafe;
23) dichiara non fondate le questioni di legittimita'
costituzionale degli artt. 8, 16, commi 1 e 2, e 24 del d.lgs. n. 104
del 2017, promosse, in riferimento agli artt. 8, numeri 1), 3), 5),
6), 11), 13), 16), 17), 18), 20), 21) e 9, numeri 3), 9) e 10) del
d.P.R. n. 670 del 1972, all'art. 19-bis del d.P.R. n. 381 del 1974,
all'art. 7 del d.P.R. n. 526 del 1987, all'art. 2 del d.lgs. n. 266
del 1992, agli artt. 3, 97, 117, primo e quinto comma, e 120, secondo
comma, Cost., anche in relazione all'art. 10 della legge cost. n. 3
del 2001, dalle Province autonome di Trento e di Bolzano, con i
ricorsi indicati in epigrafe;
24) dichiara non fondate le questioni di legittimita'
costituzionale degli artt. 16, comma 2, e 24 del d.lgs. n. 104 del
2017, promosse, in riferimento agli artt. 2, primo comma, lettere a),
d), f) e m), 3 e 4 della legge cost. n. 4 del 1948, nonche' agli
artt. 3, 5, 97, 117, primo e terzo comma, 118 e 120 Cost., anche in
relazione all'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, dalla Regione
autonoma Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste, con il ricorso indicato in
epigrafe;
25) dichiara non fondate le questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 23, comma 4, del d.lgs. n. 104 del 2017,
promosse - in riferimento all'art. 2, primo comma, lettere a), d), f)
e m) della legge cost. n. 4 del 1948, nonche' agli artt. 3, 5, 117,
primo, terzo e quarto comma, 118 e 120 Cost., anche in relazione
all'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001 - dalla Regione autonoma
Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste, con il ricorso indicato in epigrafe;
26) dichiara non fondate le questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 23, comma 4, del d.lgs. n. 104 del 2017,
promosse, in riferimento agli artt. 8 e 9 del d.P.R. n. 670 del 1972,
all'art. 8 del d.P.R. n. 526 del 1987, nonche' agli artt. 117, quinto
comma, e 120, secondo comma, Cost., dalla Provincia autonoma di
Trento, con il ricorso indicato in epigrafe;
27) dichiara non fondate le questioni di legittimita'
costituzionale degli artt. 12, 13 e 14 del d.lgs. n. 104 del 2017,
promosse, in riferimento agli artt. 4, numeri 6), 9), 10), 11), 12),
13), e 5, numeri 7), 10), 12), 14), 16), 20) e 22) della legge cost.
n. 1 del 1963, nonche' agli artt. 3, 5, 97 e 117, primo comma, Cost.,
anche in relazione all'art. 1, comma 6, lettera a), della direttiva
2014/52/UE, e agli artt. 117, secondo comma, lettera s), e terzo
comma, e 118 Cost., anche in relazione all'art. 10 della legge cost.
n. 3 del 2001, promosse dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia,
con il ricorso indicato in epigrafe;
28) dichiara non fondate le questioni di legittimita'
costituzionale degli artt. 5, 12, 13, 14, 22 e 26 del d.lgs. n. 104
del 2017, promosse, in riferimento agli artt. 4 e 5 della legge cost.
n. 1 del 1963, nonche' agli artt. 5, 117 e 118 Cost. e al principio
di leale collaborazione, dalla Regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia, con il ricorso indicato in epigrafe;
29) dichiara non fondate le questioni di legittimita'
costituzionale degli artt. 12, 13 e 14 del d.lgs. n. 104 del 2017,
promosse, in riferimento agli artt. 3 e 4 della legge cost. n. 3 del
1948, nonche' agli artt. 5, 97 e 117, primo comma, Cost., anche in
relazione all'art. 1, comma 6, lettera a), della direttiva
2014/52/UE, e agli artt. 117, secondo comma, lettera s), e terzo
comma, e 118 Cost., anche in relazione all'art. 10 della legge cost.
n. 3 del 2001, promosse dalla Regione autonoma Sardegna, con il
ricorso indicato in epigrafe;
30) dichiara non fondate le questioni di legittimita'
costituzionale degli artt. 3, 5, 12, 13, 14, 22 e 26 del d.lgs. n.
104 del 2017, promosse, in riferimento agli artt. 3 e 4 della legge
cost. n. 3 del 1948, nonche' agli artt. 5, 117 e 118 Cost. e al
principio di leale collaborazione, dalla Regione autonoma Sardegna,
con il ricorso indicato in epigrafe;
31) dichiara non fondate le questioni di legittimita'
costituzionale degli artt. 3, comma 1, lettere g) e h), 8, 14, 16 e
17 del d.lgs. n. 104 del 2017, promosse, in riferimento all'art. 3
della legge cost. n. 3 del 1948, all'art. 6 del d.P.R. 22 maggio
1975, n. 480 (Nuove norme di attuazione dello statuto speciale della
regione autonoma della Sardegna), agli artt. 3, 97 e 117 Cost, anche
in riferimento all'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, nonche'
al principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5, 117 e 118
Cost., dalla Regione autonoma Sardegna, con il ricorso indicato in
epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 19 giugno 2018.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Franco MODUGNO - Augusto Antonio BARBERA, Redattori
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 14 novembre 2018.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA
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mercoledì 21 novembre 2018
N. 198 SENTENZA 19 giugno - 14 novembre 2018 Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. Ambiente - Delega legislativa per l'attuazione di direttive comunitarie - Modifiche alla disciplina delle procedure di valutazione di impatto ambientale (VIA) e di verifica di assoggettabilita' a VIA contenuta nel codice dell'ambiente, introdotte con d.lgs. 104 del 2017. - Decreto legislativo 16 giugno 2017, n. 104 (Attuazione della direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, che modifica la direttiva 2011/92/UE, concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, ai sensi degli articoli 1 e 14 della legge 9 luglio 2015, n. 114), intero testo, nonche' artt. 3, comma 1, lettere g) e h); 4; 5; 8; 9; 12; 13, comma 1; 14; 16, commi 1 e 2; 17; 18, comma 3; 21; 22, commi 1, 2, 3 e 4; 23, commi 1, 2, 3 e 4; 24; 26, comma 1, lettera a), e 27. - (T-180198) (GU 1a Serie Speciale - Corte Costituzionale n.46 del 21-11-2018)
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