N. 163 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 luglio 2018
Ordinanza del 24 luglio 2018 del Tribunale amministrativo regionale
per le Marche sul ricorso proposto da A. R. contro Prefettura di
Pesaro e Urbino.
Circolazione stradale - Patente di guida - Requisiti morali per
ottenere il rilascio - Soggetti sottoposti a misure di sicurezza
personali - Previsione che il prefetto "provvede", anziche' "puo'
provvedere", alla revoca della patente.
- Decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della
strada), art. 120, comma 2.
(GU n.46 del 21-11-2018 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LE MARCHE
Sezione prima
Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di
registro generale 203 del 2018, proposto da A. R., rappresentato e
difeso dall'avvocato Paolo Ghiselli, con domicilio digitale come da
PEC da registri di giustizia e domicilio eletto presso il suo studio
in Tavullia, via Foglia n. 5 - Frazione Rio Salso; contro la
Prefettura di Pesaro-Urbino - Ufficio territoriale del Governo, in
persona del prefetto pro tempore, rappresentata e difesa
dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliata in Ancona,
piazza Cavour n. 29; per l'annullamento del provvedimento prot.
0074495 del 30 novembre 2017, notificato all'interessato il 25
febbraio 2018, con cui la Prefettura di Pesaro-Urbino ha disposto la
revoca della patente rilasciata al ricorrente.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della Prefettura di
Pesaro-Urbino;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 13 giugno 2018 il
dott. Gianluca Morri e uditi per le parti i difensori come
specificato nel verbale;
Rilevato e considerato quanto segue in fatto e in diritto.
1. Con ordinanza del magistrato di sorveglianza di Ancona n.
2107/1089, depositata in data 14 novembre 2017, il ricorrente veniva
sottoposto alla misura di sicurezza della liberta' vigilata per anni
uno con decorrenza dal 18 novembre 2017. In conseguenza di cio' il
prefetto di Ancona, con il provvedimento qui impugnato, disponeva la
revoca della patente di guida ai sensi dell'art. 120, commi 1 e 2,
del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della
strada), secondo cui:
«1. Non possono conseguire la patente di guida i delinquenti
abituali, professionali o per tendenza e coloro che sono o sono stati
sottoposti a misure di sicurezza personali o alle misure di
prevenzione previste dalla legge 27 dicembre 1956, n. 1423, ad
eccezione di quella di cui all'art. 2, e dalla legge 31 maggio 1965,
n. 575, le persone condannate per i reati di cui agli articoli 73 e
74 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica
9 ottobre 1990, n. 309, fatti salvi gli effetti di provvedimenti
riabilitativi, nonche' i soggetti destinatari dei divieti di cui agli
articoli 75, comma 1, lettera a), e 75-bis, comma 1, lettera f), del
medesimo testo unico di cui al decreto del Presidente della
Repubblica n. 309 del 1990 per tutta la durata dei predetti divieti.
Non possono di nuovo conseguire la patente di guida le persone a cui
sia applicata per la seconda volta, con sentenza di condanna per il
reato di cui al terzo periodo del comma 2 dell'art. 222, la revoca
della patente ai sensi del quarto periodo del medesimo comma.
2. Fermo restando quanto previsto dall'art. 75, comma 1, lettera
a), del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della
Repubblica n. 309 del 1990, se le condizioni soggettive indicate al
primo periodo del comma 1 del presente articolo intervengono in data
successiva al rilascio, il prefetto provvede alla revoca della
patente di guida. La revoca non puo' essere disposta se sono
trascorsi piu' di tre anni dalla data di applicazione delle misure di
prevenzione, o di quella del passaggio in giudicato della sentenza di
condanna per i reati indicati al primo periodo del medesimo comma 1».
Si e' costituita per resistere al gravame, chiedendone il
rigetto, la Prefettura di Ancona.
Nella camera di consiglio del 13 giugno 2018 il collegio avvisava
le parti della possibilita' di definire il giudizio con sentenza in
forma semplificata ai sensi dell'art. 60 del codice del processo
amministrativo.
2. Il ricorso e' affidato ad un'unica censura di violazione di
legge ed eccesso di potere per contraddittorieta' e illogicita'. In
particolare parte ricorrente sostiene che il provvedimento del
prefetto si pone in contrasto con la sopra citata ordinanza n. 2107
del 1089 del tribunale di sorveglianza, nella parte in cui essa cosi'
stabilisce: «quanto all'utilizzo della patente di guida, nulla osta
da parte di questa A. G. a che il soggetto possa continuare a farne
uso in costanza di misura di sicurezza per ragioni legate
all'attivita' lavorativa». Inoltre il provvedimento impugnato sarebbe
illegittimo perche' non indica la durata della revoca della patente e
cio' si porrebbe in contrasto con la durata della misura di sicurezza
limitata ad anni uno.
L'amministrazione resistente riferisce di aver esercitato un
potere vincolato nei presupposti e negli effetti: acquisito il parere
del magistrato di sorveglianza di Ancona e preso atto dell'avvenuta
sottoposizione del ricorrente alla misura di sicurezza, ha disposto
la revoca del titolo di guida ai sensi del citato art. 120, comma 2,
del Codice della strada.
Sul punto va in effetti osservato che il prevalente orientamento
della giurisprudenza sia amministrativa, sia civile, ritiene che il
provvedimento prefettizio di revoca della patente in dipendenza di
misure di sicurezza personali, come nel caso in esame, sia
espressione di discrezionalita' amministrativa, cioe' di potere
idoneo a degradare la posizione di diritto soggettivo della persona
abilitata alla guida, ma costituisca un atto dovuto, nel concorso
delle condizioni all'uopo stabilite dalla norma (cfr. Cass. Civ.,
SS.UU., 14 maggio 2014, n. 10406; TAR Lazio, Roma, I-ter, 17 gennaio
2018, n. 548). Di conseguenza, il prevalente orientamento della
giurisprudenza esclude la giurisdizione del giudice amministrativo
(cfr. tra le ultime, Cass. 10406 del 2014 cit.; TAR Campania, Napoli,
sez. V, 24 gennaio 2018, n. 487; TAR Lazio, n. 548 del 2018 cit.).
3. Il collegio rileva, tuttavia, che tale orientamento potrebbe
essere rivisitato per effetto della recente pronuncia della Corte
costituzionale 9 febbraio 2018, n. 22 (nella Gazzetta Ufficiale 14
febbraio 2018, n. 7), che ha dichiarato l'illegittimita' dell'art.
120, comma 2, del richiamato decreto legislativo n. 285 del 1992,
come sostituito dall'art. 3, comma 52, lettera a), della legge 15
luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica),
nella parte in cui dispone che il prefetto «provvede» - invece che
«puo' provvedere» - alla revoca della patente.
La citata declaratoria di incostituzionalita' veniva tuttavia
pronunciata «con riguardo all'ipotesi di condanna per reati di cui
agli articoli 73 e 74 del decreto del Presidente della Repubblica 9
ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di
disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione,
cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza)»,
mentre, in questa sede, il presupposto della decisione amministrativa
riguarda l'applicazione di misure di sicurezza personali.
A giudizio del collegio emergono tuttavia i presupposti per
affermare la non manifesta infondatezza della questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 120, comma 2, del decreto
legislativo n. 285 del 1992, nella parte in cui dispone che il
prefetto «provvede» - invece che «puo' provvedere» - alla revoca
della patente anche quando il relativo presupposto riguardi la
sottoposizione dell'interessato a misure di sicurezza personali come
nel caso in esame.
3.1. Sul punto e' utile ricordare le seguenti considerazioni
che si leggono al paragrafo 7 della citata pronuncia della Corte
costituzionale n. 22 del 2018:
«7. La seconda questione - relativa all'automatismo della revoca
della patente, da parte dell'autorita' amministrativa, in caso di
sopravvenuta condanna del suo titolare, per reati in materia di
stupefacenti - e', invece, fondata per violazione dei principi di
eguaglianza, proporzionalita' e ragionevolezza di cui all'art. 3
Cost.
La disposizione denunciata - sul presupposto di una
indifferenziata valutazione di sopravvenienza di una condizione
ostativa al mantenimento del titolo di abilitazione alla guida -
ricollega, infatti, in via automatica, il medesimo effetto, la revoca
di quel titolo, ad una varieta' di fattispecie, non sussumibili in
termini di omogeneita', atteso che la condanna, cui la norma fa
riferimento, puo' riguardare reati di diversa, se non addirittura di
lieve, entita'. Reati che, per di piu', possono (come nella specie)
essere assai risalenti nel tempo, rispetto alla data di definizione
del giudizio. Il che dovrebbe escluderne l'attitudine a fondare, nei
confronti del condannato, dopo un tale intervallo temporale, un
giudizio, di assenza dei requisiti soggettivi per il mantenimento del
titolo di abilitazione alla guida, riferito, in via automatica,
all'attualita'.
Ulteriore profilo di irragionevolezza della disposizione in esame
e', poi, ravvisabile nell'automatismo della «revoca» amministrativa
rispetto alla discrezionalita' della parallela misura del "ritiro"
della patente che, ai sensi dell'art. 85 del decreto del Presidente
della Repubblica n. 309 del 1990, il giudice che pronuncia la
condanna per i reati in questione "puo' disporre", motivandola, "per
un periodo non superiore a tre anni".
E' pur vero che tali due misure - come gia' evidenziato - operano
su piani diversi e rispondono a diverse finalita'.
Ma la contraddizione non sta nel fatto che la condanna per reati
in materia di stupefacenti possa rilevare come condizione soggettiva
ostativa al mantenimento del titolo di abilitazione alla guida, agli
effetti della sua revocabilita' da parte dell'autorita'
amministrativa, anche quando il giudice penale (non ritenendo che
detto titolo sia strumentale al reato commesso o che possa agevolare
la commissione di nuovi reati) decida di non disporre (ovvero
disponga per un piu' breve periodo) la sanzione accessoria del ritiro
della patente.
La contraddizione sta, invece, in cio' che - agli effetti
dell'adozione delle misure di loro rispettiva competenza (che pur si
ricollegano al medesimo fatto-reato e, sul piano pratico, incidono in
senso identicamente negativo sulla titolarita' della patente) -
mentre il giudice penale ha la «facolta'» di disporre, ove lo ritenga
opportuno, il ritiro della patente, il prefetto ha invece il «dovere»
di disporne la revoca.
Per tali profili di contrasto con l'art. 3 Cost. (nei quali
restano assorbite le altre formulate censure) va, pertanto,
dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'esaminato comma 2
dell'art. 120 del Codice della strada, nella parte in cui dispone che
il prefetto "provvede" - invece che "puo' provvedere" - alla revoca
della patente di guida, in caso di sopravvenuta condanna del suo
titolare per reati di cui agli articoli 73 e 74 del decreto del
Presidente della Repubblica n. 309 del 1990».
3.2. Anche in caso di misure di sicurezza personali l'odierno
collegio rileva la disomogeneita' di tali misure applicabili in base
alle circostanze (liberta' vigilata, ex articoli 228-232 del codice
penale; divieto di soggiorno, ex art. 233 del codice penale; divieto
di frequentare osterie e pubblici spacci di bevande alcoliche, ex
art. 234 del codice penale), ma tutte compatibili con la possibilita'
di utilizzare il titolo di guida.
La durata complessiva delle misure di sicurezza e' poi variabile
in relazione alla pericolosita' sociale del destinatario, ferma
restando la loro durata minima.
L'automatismo delineato dall'art. 120, comma 2, del Codice della
strada risulterebbe quindi irragionevole di fronte alla molteplicita'
di situazioni (pericolosita' del soggetto piu' o meno grave) e di
misure di sicurezza che potrebbero essere applicate (piu' o meno
rigorose e piu' o meno protratte nel tempo).
3.3. Emerge inoltre l'ulteriore profilo di irragionevolezza
dell'art. 120, comma 2, del Codice della strada, nella contraddizione
tra scopi e poteri esercitati dalle diverse autorita' (giudice e
prefetto) di fronte alla medesima vicenda.
Il magistrato di sorveglianza esercita un potere discrezionale,
ai sensi degli articoli 228 del codice penale e 190 disp. att. del
codice di procedura penale, nello stabilire le prescrizioni alle
quali deve attenersi la persona sottoposta a liberta' vigilata. A
norma dell'art. 228 del codice penale «la sorveglianza deve essere
esercitata in modo da agevolare, mediante il lavoro, il riadattamento
della persona alla vita sociale». Analogo indirizzo si legge
nell'ultimo comma del citato art. 190 secondo cui «La vigilanza e'
esercitata in modo da non rendere difficoltosa alla persona che vi e'
sottoposta la ricerca di un lavoro e da consentirle di attendervi con
la necessaria tranquillita'».
L'art. 62, comma 2, della legge 24 novembre 1981, n. 689
(Modifiche al sistema penale) prevede, con riferimento alle misure
della liberta' controllata e della semidetenzione, che «quando il
condannato svolge un lavoro per il quale la patente di guida
costituisce indispensabile requisito, il magistrato di sorveglianza
puo' disciplinare la sospensione in modo da non ostacolare il lavoro
del condannato».
Proprio per garantire tali finalita', il magistrato di
sorveglianza di Ancona, con la citata ordinanza n. 2107/1089, si
esprimeva anche sulla patente del ricorrente, rilasciando nulla osta
«a che il soggetto possa continuare a farne uso in costanza di misura
di sicurezza per ragioni legate all'attivita' lavorativa».
Tale possibilita', specificatamente legata all'attivita'
lavorativa favorita attraverso la liberta' vigilata, veniva tuttavia
vanificata dalla revoca del titolo di guida disposta dal prefetto di
Ancona nell'esercizio del potere - appunto vincolato - previsto dal
richiamato art. 120, comma 2, del Codice della strada.
3.4. La norma che prevede un tale potere vincolato evidenzia
quindi profili, non manifestamente infondati, di disparita' di
trattamento, sproporzionalita' e irragionevolezza incidenti sulla
liberta' personale, sul diritto al lavoro e sulla liberta' di
circolazione in contrasto con gli articoli 3, 4, 16 e 35 della
Costituzione.
4. L'attuale formulazione dell'art. 120, comma 2, del Codice
della strada, determinerebbe il rigetto del ricorso poiche' il
prefetto di Ancona ha esercitato un potere vincolato, ovvero un
automatismo.
L'eventuale incostituzionalita' dell'art. 120, comma 2, del
Codice della strada, nella parte in cui dispone che il prefetto
«provvede» - invece che «puo' provvedere» - alla revoca della
patente, ne determinerebbe invece l'accoglimento, poiche' l'autorita'
amministrativa dovrebbe rideterminarsi sulla scorta di un
apprezzamento discrezionale della specifica situazione.
La questione di incostituzionalita' dell'art. 120, comma 2, del
Codice della strada risulta quindi rilevante al fine di decidere
l'odierno giudizio.
5. Tale questione, se fondata, esplicherebbe poi effetti anche
sulla giurisdizione, radicando quella del giudice amministrativo.
Come ricordato nel precedente paragrafo 2, l'orientamento
antecedente alla pronuncia della Corte costituzionale n. 22 del 2018
affermava la giurisdizione del giudice ordinario non venendo in
rilievo l'esercizio di discrezionalita' amministrative, cioe' di
poteri idonei a degradare la posizione di diritto soggettivo della
persona abilitata alla guida.
Al contrario, la declaratoria di incostituzionalita' dell'art.
120, comma 2, del Codice della strada, nella parte in cui dispone che
il prefetto «provvede» - invece che «puo' provvedere» - alla revoca
della patente, renderebbe la posizione soggettiva di interesse
legittimo di fronte all'esercizio di poteri discrezionali, cosi' come
gia' affermato dalla giurisprudenza amministrativa dopo la ricordata
sentenza n. 22 del 2018 (cfr. TAR Lombardia, Brescia, I, 26 marzo
2018, n. 343; TAR Friuli-Venezia Giulia, 31 maggio 2018, n. 181),
ancorche' in fattispecie parzialmente diverse in quanto la revoca del
titolo di guida veniva disposta a seguito di condanne per reati
inerenti agli stupefacenti.
P.Q.M.
Il Tribunale amministrativo regionale per le Marche, dichiara
rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 120, comma 2, del decreto legislativo 30
aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), per contrasto con
gli articoli 3, 4, 16 e 35 della Costituzione, nella parte in cui
dispone che il prefetto «provvede» - invece che «puo' provvedere» -
alla revoca della patente nei confronti di coloro che sono stati
sottoposti a misure di sicurezza personali.
Conferma, fino alla definizione del ricorso nel merito, la misura
cautelare disposta con decreto presidenziale n. 93/2018 a sua volta
confermata, fino all'esito dell'odierna camera di consiglio, con
ordinanza collegiale 10 maggio 2018, n. 105.
Dispone la sospensione del presente giudizio e ordina l'immediata
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
Ordina che, a cura della segreteria del tribunale, la presente
ordinanza sia notificata alle parti in causa e al Presidente del
Consiglio dei ministri, nonche' comunicata ai Presidenti della Camera
dei Deputati e del Senato della Repubblica.
Cosi' deciso in Ancona nella camera di consiglio del giorno 13
giugno 2018 con l'intervento dei magistrati:
Maddalena Filippi, Presidente;
Gianluca Morri, consigliere, estensore;
Giovanni Ruiu, consigliere.
Il Presidente: Filippi
L'estensore: Morri
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mercoledì 21 novembre 2018
N. 163 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 luglio 2018 Ordinanza del 24 luglio 2018 del Tribunale amministrativo regionale per le Marche sul ricorso proposto da A. R. contro Prefettura di Pesaro e Urbino. Circolazione stradale - Patente di guida - Requisiti morali per ottenere il rilascio - Soggetti sottoposti a misure di sicurezza personali - Previsione che il prefetto "provvede", anziche' "puo' provvedere", alla revoca della patente. - Decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), art. 120, comma 2. (18C00244) (GU 1a Serie Speciale - Corte Costituzionale n.46 del 21-11-2018)
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