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mercoledì 21 novembre 2018

N. 163 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 luglio 2018 Ordinanza del 24 luglio 2018 del Tribunale amministrativo regionale per le Marche sul ricorso proposto da A. R. contro Prefettura di Pesaro e Urbino. Circolazione stradale - Patente di guida - Requisiti morali per ottenere il rilascio - Soggetti sottoposti a misure di sicurezza personali - Previsione che il prefetto "provvede", anziche' "puo' provvedere", alla revoca della patente. - Decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), art. 120, comma 2. (18C00244) (GU 1a Serie Speciale - Corte Costituzionale n.46 del 21-11-2018)

N. 163 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 luglio 2018

Ordinanza del 24 luglio 2018 del Tribunale  amministrativo  regionale
per le Marche sul ricorso proposto da  A.  R.  contro  Prefettura  di
Pesaro e Urbino.

Circolazione stradale - Patente  di  guida  -  Requisiti  morali  per
  ottenere il rilascio - Soggetti sottoposti a  misure  di  sicurezza
  personali - Previsione che il prefetto "provvede",  anziche'  "puo'
  provvedere", alla revoca della patente.
- Decreto legislativo 30 aprile 1992,  n.  285  (Nuovo  codice  della
  strada), art. 120, comma 2.
(GU n.46 del 21-11-2018 )

         IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LE MARCHE
                            Sezione prima

    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 203 del 2018, proposto da A.  R.,  rappresentato  e
difeso dall'avvocato Paolo Ghiselli, con domicilio digitale  come  da
PEC da registri di giustizia e domicilio eletto presso il suo  studio
in Tavullia, via  Foglia  n.  5  -  Frazione  Rio  Salso;  contro  la
Prefettura di Pesaro-Urbino - Ufficio territoriale  del  Governo,  in
persona  del   prefetto   pro   tempore,   rappresentata   e   difesa
dall'Avvocatura distrettuale  dello  Stato,  domiciliata  in  Ancona,
piazza Cavour n.  29;  per  l'annullamento  del  provvedimento  prot.
0074495 del  30  novembre  2017,  notificato  all'interessato  il  25
febbraio 2018, con cui la Prefettura di Pesaro-Urbino ha disposto  la
revoca della patente rilasciata al ricorrente.
    Visti il ricorso e i relativi allegati;
    Visti tutti gli atti della causa;
    Visto l'atto di costituzione  in  giudizio  della  Prefettura  di
Pesaro-Urbino;
    Relatore nella camera di consiglio del giorno 13 giugno  2018  il
dott.  Gianluca  Morri  e  uditi  per  le  parti  i  difensori   come
specificato nel verbale;
    Rilevato e considerato quanto segue in fatto e in diritto.
    1. Con ordinanza del magistrato  di  sorveglianza  di  Ancona  n.
2107/1089, depositata in data 14 novembre 2017, il ricorrente  veniva
sottoposto alla misura di sicurezza della liberta' vigilata per  anni
uno con decorrenza dal 18 novembre 2017. In conseguenza  di  cio'  il
prefetto di Ancona, con il provvedimento qui impugnato, disponeva  la
revoca della patente di guida ai sensi dell'art. 120, commi  1  e  2,
del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285  (Nuovo  codice  della
strada), secondo cui:
    «1. Non possono conseguire la  patente  di  guida  i  delinquenti
abituali, professionali o per tendenza e coloro che sono o sono stati
sottoposti  a  misure  di  sicurezza  personali  o  alle  misure   di
prevenzione previste dalla  legge  27  dicembre  1956,  n.  1423,  ad
eccezione di quella di cui all'art. 2, e dalla legge 31 maggio  1965,
n. 575, le persone condannate per i reati di cui agli articoli  73  e
74 del testo unico di cui al decreto del Presidente della  Repubblica
9 ottobre 1990, n. 309, fatti  salvi  gli  effetti  di  provvedimenti
riabilitativi, nonche' i soggetti destinatari dei divieti di cui agli
articoli 75, comma 1, lettera a), e 75-bis, comma 1, lettera f),  del
medesimo  testo  unico  di  cui  al  decreto  del  Presidente   della
Repubblica n. 309 del 1990 per tutta la durata dei predetti  divieti.
Non possono di nuovo conseguire la patente di guida le persone a  cui
sia applicata per la seconda volta, con sentenza di condanna  per  il
reato di cui al terzo periodo del comma 2 dell'art.  222,  la  revoca
della patente ai sensi del quarto periodo del medesimo comma.
    2. Fermo restando quanto previsto dall'art. 75, comma 1,  lettera
a), del citato testo unico di cui al  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 309 del 1990, se le condizioni soggettive  indicate  al
primo periodo del comma 1 del presente articolo intervengono in  data
successiva al  rilascio,  il  prefetto  provvede  alla  revoca  della
patente di  guida.  La  revoca  non  puo'  essere  disposta  se  sono
trascorsi piu' di tre anni dalla data di applicazione delle misure di
prevenzione, o di quella del passaggio in giudicato della sentenza di
condanna per i reati indicati al primo periodo del medesimo comma 1».
    Si  e'  costituita  per  resistere  al  gravame,  chiedendone  il
rigetto, la Prefettura di Ancona.
    Nella camera di consiglio del 13 giugno 2018 il collegio avvisava
le parti della possibilita' di definire il giudizio con  sentenza  in
forma semplificata ai sensi dell'art.  60  del  codice  del  processo
amministrativo.
    2. Il ricorso e' affidato ad un'unica censura  di  violazione  di
legge ed eccesso di potere per contraddittorieta' e  illogicita'.  In
particolare  parte  ricorrente  sostiene  che  il  provvedimento  del
prefetto si pone in contrasto con la sopra citata ordinanza  n.  2107
del 1089 del tribunale di sorveglianza, nella parte in cui essa cosi'
stabilisce: «quanto all'utilizzo della patente di guida,  nulla  osta
da parte di questa A. G. a che il soggetto possa continuare  a  farne
uso  in  costanza  di  misura  di  sicurezza   per   ragioni   legate
all'attivita' lavorativa». Inoltre il provvedimento impugnato sarebbe
illegittimo perche' non indica la durata della revoca della patente e
cio' si porrebbe in contrasto con la durata della misura di sicurezza
limitata ad anni uno.
    L'amministrazione resistente  riferisce  di  aver  esercitato  un
potere vincolato nei presupposti e negli effetti: acquisito il parere
del magistrato di sorveglianza di Ancona e preso  atto  dell'avvenuta
sottoposizione del ricorrente alla misura di sicurezza,  ha  disposto
la revoca del titolo di guida ai sensi del citato art. 120, comma  2,
del Codice della strada.
    Sul punto va in effetti osservato che il prevalente  orientamento
della giurisprudenza sia amministrativa, sia civile, ritiene  che  il
provvedimento prefettizio di revoca della patente  in  dipendenza  di
misure  di  sicurezza  personali,  come  nel  caso  in   esame,   sia
espressione  di  discrezionalita'  amministrativa,  cioe'  di  potere
idoneo a degradare la posizione di diritto soggettivo  della  persona
abilitata alla guida, ma costituisca un  atto  dovuto,  nel  concorso
delle condizioni all'uopo stabilite dalla  norma  (cfr.  Cass.  Civ.,
SS.UU., 14 maggio 2014, n. 10406; TAR Lazio, Roma, I-ter, 17  gennaio
2018, n. 548).  Di  conseguenza,  il  prevalente  orientamento  della
giurisprudenza esclude la giurisdizione  del  giudice  amministrativo
(cfr. tra le ultime, Cass. 10406 del 2014 cit.; TAR Campania, Napoli,
sez. V, 24 gennaio 2018, n. 487; TAR Lazio, n. 548 del 2018 cit.).
    3. Il collegio rileva, tuttavia, che tale  orientamento  potrebbe
essere rivisitato per effetto della  recente  pronuncia  della  Corte
costituzionale 9 febbraio 2018, n. 22 (nella  Gazzetta  Ufficiale  14
febbraio 2018, n. 7), che ha  dichiarato  l'illegittimita'  dell'art.
120, comma 2, del richiamato decreto legislativo  n.  285  del  1992,
come sostituito dall'art. 3, comma 52, lettera  a),  della  legge  15
luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di  sicurezza  pubblica),
nella parte in cui dispone che il prefetto «provvede»  -  invece  che
«puo' provvedere» - alla revoca della patente.
    La citata declaratoria  di  incostituzionalita'  veniva  tuttavia
pronunciata «con riguardo all'ipotesi di condanna per  reati  di  cui
agli articoli 73 e 74 del decreto del Presidente della  Repubblica  9
ottobre  1990,  n.  309  (Testo  unico  delle  leggi  in  materia  di
disciplina degli stupefacenti  e  sostanze  psicotrope,  prevenzione,
cura e riabilitazione  dei  relativi  stati  di  tossicodipendenza)»,
mentre, in questa sede, il presupposto della decisione amministrativa
riguarda l'applicazione di misure di sicurezza personali.
    A giudizio del  collegio  emergono  tuttavia  i  presupposti  per
affermare  la  non  manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita' costituzionale  dell'art.  120,  comma  2,  del  decreto
legislativo n. 285 del 1992,  nella  parte  in  cui  dispone  che  il
prefetto «provvede» - invece che  «puo'  provvedere»  -  alla  revoca
della patente  anche  quando  il  relativo  presupposto  riguardi  la
sottoposizione dell'interessato a misure di sicurezza personali  come
nel caso in esame.
        3.1. Sul punto e' utile ricordare le seguenti  considerazioni
che si leggono al paragrafo 7  della  citata  pronuncia  della  Corte
costituzionale n. 22 del 2018:
    «7. La seconda questione - relativa all'automatismo della  revoca
della patente, da parte dell'autorita'  amministrativa,  in  caso  di
sopravvenuta condanna del suo  titolare,  per  reati  in  materia  di
stupefacenti - e', invece, fondata per  violazione  dei  principi  di
eguaglianza, proporzionalita' e  ragionevolezza  di  cui  all'art.  3
Cost.
    La   disposizione   denunciata   -   sul   presupposto   di   una
indifferenziata  valutazione  di  sopravvenienza  di  una  condizione
ostativa al mantenimento del titolo  di  abilitazione  alla  guida  -
ricollega, infatti, in via automatica, il medesimo effetto, la revoca
di quel titolo, ad una varieta' di fattispecie,  non  sussumibili  in
termini di omogeneita', atteso che  la  condanna,  cui  la  norma  fa
riferimento, puo' riguardare reati di diversa, se non addirittura  di
lieve, entita'. Reati che, per di piu', possono (come  nella  specie)
essere assai risalenti nel tempo, rispetto alla data  di  definizione
del giudizio. Il che dovrebbe escluderne l'attitudine a fondare,  nei
confronti del condannato,  dopo  un  tale  intervallo  temporale,  un
giudizio, di assenza dei requisiti soggettivi per il mantenimento del
titolo di abilitazione  alla  guida,  riferito,  in  via  automatica,
all'attualita'.
    Ulteriore profilo di irragionevolezza della disposizione in esame
e', poi, ravvisabile nell'automatismo della  «revoca»  amministrativa
rispetto alla discrezionalita' della parallela  misura  del  "ritiro"
della patente che, ai sensi dell'art. 85 del decreto  del  Presidente
della Repubblica n.  309  del  1990,  il  giudice  che  pronuncia  la
condanna per i reati in questione "puo' disporre", motivandola,  "per
un periodo non superiore a tre anni".
    E' pur vero che tali due misure - come gia' evidenziato - operano
su piani diversi e rispondono a diverse finalita'.
    Ma la contraddizione non sta nel fatto che la condanna per  reati
in materia di stupefacenti possa rilevare come condizione  soggettiva
ostativa al mantenimento del titolo di abilitazione alla guida,  agli
effetti   della   sua   revocabilita'   da    parte    dell'autorita'
amministrativa, anche quando il giudice  penale  (non  ritenendo  che
detto titolo sia strumentale al reato commesso o che possa  agevolare
la commissione  di  nuovi  reati)  decida  di  non  disporre  (ovvero
disponga per un piu' breve periodo) la sanzione accessoria del ritiro
della patente.
    La contraddizione  sta,  invece,  in  cio'  che  -  agli  effetti
dell'adozione delle misure di loro rispettiva competenza (che pur  si
ricollegano al medesimo fatto-reato e, sul piano pratico, incidono in
senso identicamente  negativo  sulla  titolarita'  della  patente)  -
mentre il giudice penale ha la «facolta'» di disporre, ove lo ritenga
opportuno, il ritiro della patente, il prefetto ha invece il «dovere»
di disporne la revoca.
    Per tali profili di contrasto  con  l'art.  3  Cost.  (nei  quali
restano  assorbite  le  altre  formulate   censure)   va,   pertanto,
dichiarata l'illegittimita'  costituzionale  dell'esaminato  comma  2
dell'art. 120 del Codice della strada, nella parte in cui dispone che
il prefetto "provvede" - invece che "puo' provvedere" -  alla  revoca
della patente di guida, in caso  di  sopravvenuta  condanna  del  suo
titolare per reati di cui agli articoli  73  e  74  del  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 309 del 1990».
        3.2. Anche in caso di misure di sicurezza personali l'odierno
collegio rileva la disomogeneita' di tali misure applicabili in  base
alle circostanze (liberta' vigilata, ex articoli 228-232  del  codice
penale; divieto di soggiorno, ex art. 233 del codice penale;  divieto
di frequentare osterie e pubblici spacci  di  bevande  alcoliche,  ex
art. 234 del codice penale), ma tutte compatibili con la possibilita'
di utilizzare il titolo di guida.
    La durata complessiva delle misure di sicurezza e' poi  variabile
in relazione  alla  pericolosita'  sociale  del  destinatario,  ferma
restando la loro durata minima.
    L'automatismo delineato dall'art. 120, comma 2, del Codice  della
strada risulterebbe quindi irragionevole di fronte alla molteplicita'
di situazioni (pericolosita' del soggetto piu' o  meno  grave)  e  di
misure di sicurezza che potrebbero  essere  applicate  (piu'  o  meno
rigorose e piu' o meno protratte nel tempo).
        3.3. Emerge inoltre l'ulteriore profilo  di  irragionevolezza
dell'art. 120, comma 2, del Codice della strada, nella contraddizione
tra scopi e poteri esercitati  dalle  diverse  autorita'  (giudice  e
prefetto) di fronte alla medesima vicenda.
    Il magistrato di sorveglianza esercita un  potere  discrezionale,
ai sensi degli articoli 228 del codice penale e 190  disp.  att.  del
codice di procedura penale,  nello  stabilire  le  prescrizioni  alle
quali deve attenersi la persona sottoposta  a  liberta'  vigilata.  A
norma dell'art. 228 del codice penale «la  sorveglianza  deve  essere
esercitata in modo da agevolare, mediante il lavoro, il riadattamento
della  persona  alla  vita  sociale».  Analogo  indirizzo  si   legge
nell'ultimo comma del citato art. 190 secondo cui  «La  vigilanza  e'
esercitata in modo da non rendere difficoltosa alla persona che vi e'
sottoposta la ricerca di un lavoro e da consentirle di attendervi con
la necessaria tranquillita'».
    L'art. 62,  comma  2,  della  legge  24  novembre  1981,  n.  689
(Modifiche al sistema penale) prevede, con  riferimento  alle  misure
della liberta' controllata e della  semidetenzione,  che  «quando  il
condannato svolge  un  lavoro  per  il  quale  la  patente  di  guida
costituisce indispensabile requisito, il magistrato  di  sorveglianza
puo' disciplinare la sospensione in modo da non ostacolare il  lavoro
del condannato».
    Proprio  per  garantire  tali   finalita',   il   magistrato   di
sorveglianza di Ancona, con la  citata  ordinanza  n.  2107/1089,  si
esprimeva anche sulla patente del ricorrente, rilasciando nulla  osta
«a che il soggetto possa continuare a farne uso in costanza di misura
di sicurezza per ragioni legate all'attivita' lavorativa».
    Tale   possibilita',   specificatamente   legata    all'attivita'
lavorativa favorita attraverso la liberta' vigilata, veniva  tuttavia
vanificata dalla revoca del titolo di guida disposta dal prefetto  di
Ancona nell'esercizio del potere - appunto vincolato -  previsto  dal
richiamato art. 120, comma 2, del Codice della strada.
        3.4. La norma che prevede un tale potere vincolato  evidenzia
quindi  profili,  non  manifestamente  infondati,  di  disparita'  di
trattamento, sproporzionalita'  e  irragionevolezza  incidenti  sulla
liberta' personale,  sul  diritto  al  lavoro  e  sulla  liberta'  di
circolazione in contrasto con gli  articoli  3,  4,  16  e  35  della
Costituzione.
    4. L'attuale formulazione dell'art.  120,  comma  2,  del  Codice
della strada,  determinerebbe  il  rigetto  del  ricorso  poiche'  il
prefetto di Ancona ha  esercitato  un  potere  vincolato,  ovvero  un
automatismo.
    L'eventuale  incostituzionalita'  dell'art.  120,  comma  2,  del
Codice della strada, nella parte  in  cui  dispone  che  il  prefetto
«provvede» -  invece  che  «puo'  provvedere»  -  alla  revoca  della
patente, ne determinerebbe invece l'accoglimento, poiche' l'autorita'
amministrativa   dovrebbe   rideterminarsi   sulla   scorta   di   un
apprezzamento discrezionale della specifica situazione.
    La questione di incostituzionalita' dell'art. 120, comma  2,  del
Codice della strada risulta quindi  rilevante  al  fine  di  decidere
l'odierno giudizio.
    5. Tale questione, se fondata, esplicherebbe  poi  effetti  anche
sulla giurisdizione, radicando quella del giudice amministrativo.
    Come  ricordato  nel  precedente  paragrafo   2,   l'orientamento
antecedente alla pronuncia della Corte costituzionale n. 22 del  2018
affermava la giurisdizione  del  giudice  ordinario  non  venendo  in
rilievo l'esercizio  di  discrezionalita'  amministrative,  cioe'  di
poteri idonei a degradare la posizione di  diritto  soggettivo  della
persona abilitata alla guida.
    Al contrario, la declaratoria  di  incostituzionalita'  dell'art.
120, comma 2, del Codice della strada, nella parte in cui dispone che
il prefetto «provvede» - invece che «puo' provvedere» -  alla  revoca
della  patente,  renderebbe  la  posizione  soggettiva  di  interesse
legittimo di fronte all'esercizio di poteri discrezionali, cosi' come
gia' affermato dalla giurisprudenza amministrativa dopo la  ricordata
sentenza n. 22 del 2018 (cfr. TAR Lombardia,  Brescia,  I,  26  marzo
2018, n. 343; TAR Friuli-Venezia Giulia, 31  maggio  2018,  n.  181),
ancorche' in fattispecie parzialmente diverse in quanto la revoca del
titolo di guida veniva disposta  a  seguito  di  condanne  per  reati
inerenti agli stupefacenti.

                               P.Q.M.

    Il Tribunale amministrativo regionale  per  le  Marche,  dichiara
rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 120, comma 2,  del  decreto  legislativo  30
aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada),  per  contrasto  con
gli articoli 3, 4, 16 e 35 della Costituzione,  nella  parte  in  cui
dispone che il prefetto «provvede» - invece che «puo'  provvedere»  -
alla revoca della patente nei confronti  di  coloro  che  sono  stati
sottoposti a misure di sicurezza personali.
    Conferma, fino alla definizione del ricorso nel merito, la misura
cautelare disposta con decreto presidenziale n. 93/2018 a  sua  volta
confermata, fino all'esito  dell'odierna  camera  di  consiglio,  con
ordinanza collegiale 10 maggio 2018, n. 105.
    Dispone la sospensione del presente giudizio e ordina l'immediata
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
    Ordina che, a cura della segreteria del  tribunale,  la  presente
ordinanza sia notificata alle parti in  causa  e  al  Presidente  del
Consiglio dei ministri, nonche' comunicata ai Presidenti della Camera
dei Deputati e del Senato della Repubblica.
    Cosi' deciso in Ancona nella camera di consiglio  del  giorno  13
giugno 2018 con l'intervento dei magistrati:
        Maddalena Filippi, Presidente;
        Gianluca Morri, consigliere, estensore;
        Giovanni Ruiu, consigliere.

                       Il Presidente: Filippi


                                                   L'estensore: Morri

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