N. 202 ORDINANZA 26 settembre - 15 novembre 2018
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
Esecuzione forzata - Pignorabilita' dei crediti retributivi presso il
terzo datore di lavoro.
- Codice di procedura civile, art. 545, commi terzo, quarto e ottavo.
-
(GU n.46 del 21-11-2018 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Giorgio LATTANZI;
Giudici :Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Giuliano AMATO, Silvana
SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco MODUGNO, Augusto
Antonio BARBERA, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca
ANTONINI,
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 545, commi
terzo, quarto e ottavo, del codice di procedura civile, promossi dal
Tribunale ordinario di Chieti e dal Tribunale ordinario di Trento, in
funzione di giudici dell'esecuzione, con ordinanze del 14 e del 6
febbraio 2017, iscritte rispettivamente ai nn. 106 e 143 del registro
ordinanze 2017 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
nn. 34 e 42, prima serie speciale, dell'anno 2017.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nella camera di consiglio del 26 settembre 2018 il Giudice
relatore Aldo Carosi.
Ritenuto che il Tribunale ordinario di Chieti, in funzione di
giudice dell'esecuzione, con ordinanza del 14 febbraio 2017, ha
sollevato questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 545,
terzo e quarto comma, del codice di procedura civile in riferimento
agli artt. 3 e 36 della Costituzione, nella parte in cui non
prevedono l'impignorabilita' assoluta di quella parte della
retribuzione necessaria a garantire al lavoratore i mezzi
indispensabili alle sue esigenze di vita, nonche' per la disparita'
di trattamento che si verrebbe a determinare tra il pignoramento
della retribuzione effettuato alla fonte presso il datore di lavoro e
quello effettuato sulle stesse somme confluite sul conto corrente
anteriormente al pignoramento;
che, secondo quanto riferito dal giudice a quo, le questioni sono
sorte nell'ambito di una procedura esecutiva promossa da Banca
Coopcredito scarl, ai danni di L. L., debitore della somma di euro
3.879,66, per compensi professionali, in seguito alla sua condanna a
rifondere alla controparte le spese di giudizio come stabilito nella
sentenza del Tribunale ordinario di Chieti n. 61 del 2013;
che il terzo pignorato, datore di lavoro dell'esecutato, ha reso
dichiarazione positiva del suo obbligo di corrispondere al medesimo
uno stipendio mensile di euro 538,00 (al netto delle ritenute
previste dalla legge);
che il rimettente dubita della legittimita' costituzionale
dell'art. 545, terzo e quarto comma, cod. proc. civ., nella parte in
cui non prevedono l'impignorabilita' assoluta di quella parte della
retribuzione necessaria a garantire al lavoratore i mezzi
indispensabili alle sue esigenze di vita e in relazione al diverso
trattamento riservato al pignoramento di somme dovute a titolo di
pensioni o di indennita' che tengono luogo a pensioni, per effetto
sia della sentenza n. 506 del 2002 di questa Corte, sia della
sopravvenienza dell'art. 13, comma 1, lettera l), del decreto-legge
27 giugno 2015, n. 83 (Misure urgenti in materia fallimentare, civile
e processuale civile e di organizzazione e funzionamento
dell'amministrazione giudiziaria), convertito, con modificazioni,
nella legge 6 agosto 2015, n. 132, il quale ha aggiunto, tra l'altro,
all'art. 545 cod. proc. civ, un settimo comma, secondo il quale «[l]e
somme da chiunque dovute a titolo di pensione, di indennita' che
tengono luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza, non
possono essere pignorate per un ammontare corrispondente alla misura
massima mensile dell'assegno sociale, aumentato della meta'. La parte
eccedente tale ammontare e' pignorabile nei limiti previsti dal
terzo, quarto e quinto comma nonche' dalle speciali disposizioni di
legge»;
che lo stesso giudice rimettente deduce anche la violazione del
principio di eguaglianza, per la disparita' di trattamento che si
verrebbe a determinare tra il pignoramento della retribuzione
effettuato alla fonte presso il datore di lavoro e quello effettuato
sulle stesse somme confluite sul conto corrente anteriormente al
pignoramento, come previsto dal medesimo art. 545, ottavo comma,
primo periodo - parimenti introdotto dall'art. 13, comma 1, lettera
l), del d.l. n. 83 del 2015, come convertito -, il quale dispone che
«[l]e somme dovute a titolo di stipendio, salario, altre indennita'
relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a
causa di licenziamento, nonche' a titolo di pensione, di indennita'
che tengono luogo di pensione, o di assegni di quiescenza, nel caso
di accredito su conto bancario o postale intestato al debitore,
possono essere pignorate, per l'importo eccedente il triplo
dell'assegno sociale, quando l'accredito ha luogo in data anteriore
al pignoramento»;
che e' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, sostenendo l'inammissibilita' e, comunque, la non fondatezza
delle questioni sollevate;
che il Tribunale ordinario di Trento, in funzione di giudice
dell'esecuzione, con ordinanza del 6 febbraio 2017 ha sollevato
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 545, quarto e
ottavo comma, cod. proc. civ., in riferimento agli artt. 1, 2, 3, 4 e
36 Cost., nella parte in cui non prevedono l'impignorabilita'
assoluta della retribuzione al di sotto del minimo vitale, nonche'
per la disparita' di trattamento che si verrebbe a determinare tra il
pignoramento della retribuzione effettuato alla fonte presso il
datore di lavoro e quello effettuato sulle stesse somme confluite sul
conto corrente successivamente al pignoramento;
che, secondo quanto riferito dal giudice a quo, le questioni sono
sorte nell'ambito di una procedura esecutiva promossa da M. M. nei
confronti di L. P. con pignoramento presso terzi per un credito di
euro 19.101,28;
che il terzo pignorato, la G. G. snc, ha reso dichiarazione
positiva del suo obbligo di corrispondere all'esecutato uno stipendio
mensile di circa euro 900,00, al netto delle ritenute previste dalla
legge;
che, dovendo applicarsi il regime di pignorabilita' degli
stipendi e altri emolumenti riguardanti il rapporto di lavoro, ai
sensi dell'art. 545, quarto comma, cod. proc. civ., lo stipendio di
L. P. sarebbe pignorabile fino a un quinto, per cui residuerebbero al
debitore euro 720,00 da destinare alla sua sopravvivenza, non
risultando agli atti che questi disponga di altre fonti di
sostentamento;
che, pertanto, secondo il giudice a quo, l'art. 545, quarto
comma, cod. proc. civ., nella parte in cui non prevede
l'impignorabilita' assoluta di quella parte della retribuzione
necessaria a garantire al lavoratore i mezzi indispensabili alle sue
primarie esigenze di vita e una retribuzione «in ogni caso
sufficiente ad assicurare a se' ed alla famiglia una esistenza libera
e dignitosa», violerebbe gli artt. 1, 2, 3 e 36 Cost., con
particolare riferimento alle esigenze di un reddito minimo che gli
consenta di sostenere le spese necessarie al suo stesso sostentamento
in vita e in condizioni adeguate a consentirgli la stessa produzione
di un reddito;
che, inoltre, secondo il Tribunale ordinario di Trento,
l'introduzione del nuovo ottavo comma nell'art. 545 cod. proc. civ.
determinerebbe un'ingiustificata disparita' di trattamento delle
retribuzioni, a seconda che siano pignorati i crediti retributivi (ai
sensi dell'art. 545, quarto comma, cod. proc. civ.) o, invece, le
somme relative una volta che le medesime siano confluite nel conto
corrente bancario o postale, e tanto in ragione del combinato
disposto dei commi settimo e ottavo dell'art. 545 cod. proc. civ.,
che limiterebbe la base di calcolo del quinto alla differenza tra
quanto percepito e il minimo vitale stabilito dal settimo comma del
medesimo articolo;
che, prosegue il rimettente, tale ingiustificata disparita' si
avvertirebbe ancor piu' per le retribuzioni di importo meno elevato,
come quella percepita dall'esecutato (pari a circa euro 900,00),
tenuto conto che l'art. 12 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201
(Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' e il consolidamento
dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 22
dicembre 2011, n. 214, impone che siano corrisposti con il versamento
in conto corrente bancario o postale solo gli stipendi superiori a
euro 1.000,00, sicche' soltanto qualora il loro pagamento avvenga con
tali modalita' il lavoratore potrebbe approfittare del trattamento
maggiormente favorevole riservato appunto alle somme versate in conto
corrente;
che, pertanto, il giudice a quo dubita della legittimita'
costituzionale dell'art. 545, ottavo comma, cod. proc. civ., nella
parte in cui non prevede che gli stessi limiti posti alla
pignorabilita' delle somme versate in conto corrente (per effetto del
pagamento pro rata di retribuzioni o di pensioni), contemporaneamente
o successivamente al pignoramento, debbano valere anche per il
pignoramento dei crediti retributivi presso il datore di lavoro, per
i quali invece restano vigenti le limitazioni di cui all'art. 545,
quarto comma, cod. proc. civ.;
che anche in questo giudizio ha spiegato intervento il Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura
generale dello Stato, deducendo l'inammissibilita' e, comunque,
l'infondatezza delle questioni sollevate.
Considerato che il Tribunale ordinario di Chieti, in funzione di
giudice dell'esecuzione, ha sollevato questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 545, terzo e quarto comma, del codice di
procedura civile, in riferimento agli artt. 3 e 36 della
Costituzione, nella parte in cui non prevedono l'impignorabilita'
assoluta di quella parte della retribuzione necessaria a garantire al
lavoratore i mezzi indispensabili alle sue esigenze di vita, nonche'
per la disparita' di trattamento che si verrebbe a determinare tra il
pignoramento della retribuzione effettuato alla fonte presso il
datore di lavoro e quello effettuato sulle stesse somme confluite sul
conto corrente anteriormente al pignoramento;
che, secondo il rimettente, sussisterebbe una disparita' di
trattamento in relazione al diverso regime riservato al pignoramento
di somme dovute a titolo di pensioni o di indennita' che tengono
luogo a pensioni, per effetto sia della sentenza n. 506 del 2002 di
questa Corte, sia della sopravvenienza dell'art. 13, comma 1, lettera
l), del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83 (Misure urgenti in
materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione
e funzionamento dell'amministrazione giudiziaria), convertito, con
modificazioni, nella legge 6 agosto 2015, n. 132, il quale ha
aggiunto, tra l'altro, all'art. 545 cod. proc. civ un settimo comma,
secondo il quale «[l]e somme da chiunque dovute a titolo di pensione,
di indennita' che tengono luogo di pensione o di altri assegni di
quiescenza, non possono essere pignorate per un ammontare
corrispondente alla misura massima mensile dell'assegno sociale,
aumentato della meta'. La parte eccedente tale ammontare e'
pignorabile nei limiti previsti dal terzo, quarto e quinto comma
nonche' dalle speciali disposizioni di legge»;
che lo stesso rimettente deduce anche la violazione del principio
di eguaglianza, per la disparita' di trattamento che si verrebbe a
determinare tra il pignoramento della retribuzione effettuato alla
fonte presso il datore di lavoro e quello effettuato sulle stesse
somme confluite sul conto corrente bancario o postale anteriormente
al pignoramento come previsto dal medesimo art. 545, ottavo comma,
primo periodo - parimenti introdotto dall'art. 13, comma 1, lettera
l), del d.l. n. 83 del 2015 - il quale dispone che «[l]e somme dovute
a titolo di stipendio, salario, altre indennita' relative al rapporto
di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di
licenziamento, nonche' a titolo di pensione, di indennita' che
tengono luogo di pensione, o di assegni di quiescenza, nel caso di
accredito su conto bancario o postale intestato al debitore, possono
essere pignorate, per l'importo eccedente il triplo dell'assegno
sociale, quando l'accredito ha luogo in data anteriore al
pignoramento»;
che il Tribunale ordinario di Trento, in funzione di giudice
dell'esecuzione, ha sollevato questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 545, quarto e ottavo comma, cod. proc. civ.,
in riferimento agli artt. 1, 2, 3, 4 e 36 Cost., nella parte in cui
non prevedono l'impignorabilita' assoluta della retribuzione al di
sotto del minimo vitale, nonche' per la disparita' di trattamento che
si verrebbe a determinare tra il pignoramento della retribuzione
effettuato alla fonte presso il datore di lavoro e quello effettuato
sulle stesse somme confluite sul conto corrente successivamente al
pignoramento;
che, pertanto, secondo il giudice a quo, l'art. 545, quarto
comma, cod. proc. civ., nella parte in cui non prevede
l'impignorabilita' assoluta di quella parte della retribuzione
necessaria a garantire al lavoratore i mezzi indispensabili alle sue
primarie esigenze di vita e una retribuzione «in ogni caso
sufficiente ad assicurare a se' ed alla famiglia una esistenza libera
e dignitosa», violerebbe gli artt. 1, 2, 3, 4 e 36 Cost., con
particolare riferimento alle esigenze di un reddito minimo che gli
consenta di sostenere le spese minime necessarie al suo stesso
sostentamento in vita e in condizioni adeguate a consentirgli la
stessa produzione di un reddito;
che, inoltre, secondo il Tribunale ordinario di Trento,
l'introduzione del nuovo ottavo comma nell'art. 545 cod. proc. civ.
determinerebbe un'ingiustificata disparita' di trattamento delle
retribuzioni, a seconda che siano pignorati i crediti retributivi (ai
sensi dell'art. 545, quarto comma, cod. proc. civ.) o invece le somme
relative, una volta che le medesime siano confluite in conto corrente
bancario o postale, e tanto in ragione del combinato disposto dei
commi settimo e ottavo dell'art. 545 cod. proc. civ., che limiterebbe
la base di calcolo del quinto alla differenza tra quanto percepito e
il minimo vitale stabilito dal settimo comma del medesimo articolo;
che, inoltre, tale ingiustificata disparita' si avvertirebbe
ancor piu' per le retribuzioni di importo meno elevato, come quella
percepita dall'esecutato (pari a circa euro 900,00), tenuto conto che
l'art. 12 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni
urgenti per la crescita, l'equita' e il consolidamento dei conti
pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre
2011, n. 214, impone che siano corrisposti con il versamento in conto
corrente bancario o postale solo gli stipendi superiori a euro
1.000,00, sicche' soltanto qualora il loro pagamento avvenga con tali
modalita' il lavoratore potrebbe approfittare del trattamento
maggiormente favorevole riservato alle somme versate in conto
corrente;
che, pertanto, il giudice a quo dubita della legittimita'
costituzionale dell'art. 545, ottavo comma, cod. proc. civ., nella
parte in cui non prevede che gli stessi limiti posti alla
pignorabilita' delle somme versate nel conto corrente (per effetto
del pagamento pro rata di retribuzioni o di pensioni),
contemporaneamente o successivamente al pignoramento, debbano valere
anche per il pignoramento dei crediti retributivi presso il datore di
lavoro, per i quali invece restano vigenti le limitazioni di cui
all'art. 545, quarto comma, cod. proc. civ.;
che, in considerazione della parziale sovrapponibilita' delle
disposizioni censurate e dei parametri evocati, nonche' delle
analoghe considerazioni svolte dai rimettenti, i due giudizi possono
essere uniti per essere definiti con unica decisione;
che le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 545,
terzo comma, cod. proc. civ., sollevate dal Tribunale ordinario di
Chieti risultano manifestamente inammissibili, in quanto il
rimettente ha omesso completamente di indicare le ragioni per cui la
norma censurata, che concerne il caso del pignoramento di stipendi e
pensioni per crediti alimentari, debba applicarsi nel giudizio a quo,
ne' ha spiegato adeguatamente perche' la decisione sulla questione di
legittimita' costituzionale sollevata risulti pregiudiziale ai fini
della definizione del giudizio principale;
che le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 545,
quarto e ottavo comma, cod. proc. civ., sollevate dal Tribunale
ordinario di Trento in riferimento agli artt. 1, 2, e 4 Cost., sono
manifestamente inammissibili, in quanto prive di un'argomentazione
esaustiva delle ragioni del preteso contrasto con i parametri
evocati;
che le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 545,
ottavo comma, cod. proc. civ., sollevate dal Tribunale ordinario di
Trento in riferimento all'art. 3 Cost., laddove, con riguardo alle
somme confluite in conto corrente (per effetto del pagamento pro rata
di retribuzioni o di pensioni), contemporaneamente o successivamente
al pignoramento, la norma censurata prevede che «[...] quando
l'accredito ha luogo alla data del pignoramento o successivamente, le
predette somme possono essere pignorate nei limiti previsti dal
terzo, quarto, quinto e settimo comma, nonche' dalle speciali
disposizioni di legge», sono manifestamente inammissibili per
aberratio ictus, in quanto la norma concerne il pignoramento delle
somme confluite nel conto corrente quando terzo pignorato e'
l'istituto bancario o postale, in forza del rapporto di conto
corrente esistente tra l'istituto e l'esecutato, mentre nel giudizio
a quo il creditore procedente ha pignorato il credito retributivo
presso il datore di lavoro, in ragione del diverso rapporto di lavoro
tra questi e il lavoratore esecutato;
che, quindi, il Tribunale ordinario di Trento non deve fare
alcuna applicazione dell'art. 545, ottavo comma, cod. proc. civ., ma
solamente dell'art. 545, quarto comma, cod. proc. civ., sicche'
questi avrebbe dovuto impugnare il quarto comma e - semmai - evocare
il successivo ottavo comma come tertium comparationis;
che, comunque, la predetta questione e' manifestamente
inammissibile, per l'evidente errore commesso dal giudice rimettente
sul presupposto interpretativo, in quanto l'art. 545, ottavo comma,
cod. proc. civ., nel disciplinare il regime di pignorabilita' delle
somme confluite nel conto corrente bancario o postale, siccome
derivanti da pensioni o retribuzioni, non estende alle medesime la
regola contenuta nel settimo comma dell'art. 545 cod. proc. civ., che
determina l'impignorabilita' assoluta delle pensioni per un ammontare
corrispondente alla misura massima mensile dell'assegno sociale
aumentato della meta', poiche' il richiamo cumulativo ai commi terzo,
quarto e settimo sottintende il riferimento alle rispettive
discipline per i diversi crediti ivi considerati;
che, quindi, al contrario di quanto assume il giudice a quo, il
legislatore non intende estendere alle somme confluite sul conto per
il pagamento pro rata delle retribuzioni il diverso trattamento
riservato ai soli crediti pensionistici;
che tale erronea e incompleta ricostruzione del quadro normativo
di riferimento inficia l'iter logico-argomentativo posto a base della
valutazione di non manifesta infondatezza della questione di
legittimita' costituzionale sollevata, determinandone la manifesta
inammissibilita' (ex multis, ordinanze n. 136 del 2018, n. 88 del
2017 e n. 209 del 2015);
che le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 545,
quarto comma, cod. proc. civ., sollevate da entrambi i rimettenti in
riferimento agli artt. 3 e 36 Cost., coincidono con quelle dichiarate
non fondate dalla sentenza n. 248 del 2015 di questa Corte;
che tale sentenza ha precisato, tra l'altro, che «la tutela della
certezza dei rapporti giuridici, in quanto collegata agli strumenti
di protezione del credito personale, non consente di negare in radice
la pignorabilita' degli emolumenti ma di attenuarla per particolari
situazioni la cui individuazione e' riservata alla discrezionalita'
del legislatore», mentre, con riguardo alla questione sollevata in
riferimento all'art. 3 Cost., sia in relazione al regime di
impignorabilita' delle pensioni, sia - in via subordinata - all'art.
72-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973,
n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), le
argomentazioni del giudice rimettente non sono state condivise «in
ragione della eterogeneita' dei tertia comparationis rispetto alla
disposizione impugnata» e che «[...] non puo' essere esteso ai
crediti retributivi - come pretenderebbe il rimettente - quanto
affermato da questa Corte nella sentenza n. 506 del 2002 con riguardo
alla pignorabilita' delle pensioni: proprio detta sentenza - come
gia' rilevato - esclude la estensibilita' della fattispecie ai
crediti di lavoro per la diversa configurazione della tutela prevista
dall'art. 38 rispetto a quella dell'art. 36 Cost.»;
che, anche in ordine alla questione di legittimita'
costituzionale sollevata dal Tribunale ordinario di Trento in
riferimento all'art. 3 Cost., sotto il profilo della disparita' di
trattamento, questa Corte ha gia' chiarito nella citata sentenza n.
248 del 2015 che la nuova disciplina introdotta dal d.l. n. 83 del
2015, concernente la pignorabilita' delle somme confluite in conto
corrente per effetto del pagamento pro rata di retribuzioni o
pensioni, non puo' costituire un idoneo tertium comparationis, in
quanto «[c]io' e' inconfutabile indizio del fatto che - nell'ambito
delle soluzioni costituzionalmente conformi, cioe' caratterizzate dal
bilanciamento tra le ragioni del credito e quelle del percettore di
redditi di lavoro esigui - il legislatore sta esercitando la sua
discrezionalita' in modo articolato, valorizzando gli elementi
peculiari delle singole situazioni giuridiche piuttosto che una
riconduzione a parametri uniformi»;
che pertanto, alla luce di quanto evidenziato, le questioni di
legittimita' costituzionale dell'art. 545, quarto comma, cod. proc.
civ., in riferimento agli artt. 3 e 36 Cost., devono essere
dichiarate manifestamente infondate.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87, e 9, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla
Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi;
1) dichiara la manifesta inammissibilita' delle questioni di
legittimita' costituzionale dell'art. 545, terzo comma, del codice di
procedura civile, sollevate dal Tribunale ordinario di Chieti, in
funzione di giudice dell'esecuzione, in riferimento agli artt. 3 e 36
Cost., con l'ordinanza indicata in epigrafe;
2) dichiara la manifesta inammissibilita' delle questioni di
legittimita' costituzionale dell'art. 545, quarto e ottavo comma,
cod. proc. civ., sollevate dal Tribunale ordinario di Trento, in
funzione di giudice dell'esecuzione, in riferimento agli artt. 1, 2 e
4 Cost., con l'ordinanza indicata in epigrafe;
3) dichiara la manifesta inammissibilita' delle questioni di
legittimita' costituzionale dell'art. 545, ottavo comma, cod. proc.
civ., sollevate dal medesimo Tribunale ordinario di Trento, in
riferimento all'art. 3 Cost., con l'ordinanza indicata in epigrafe;
4) dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di
legittimita' costituzionale dell'art. 545, quarto comma, cod. proc.
civ., sollevate dal medesimo Tribunale ordinario di Trento, in
riferimento agli artt. 3 e 36 Cost., con l'ordinanza indicata in
epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 26 settembre 2018.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Aldo CAROSI, Redattore
Filomena PERRONE, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 15 novembre 2018.
Il Cancelliere
F.to: Filomena PERRONE
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mercoledì 21 novembre 2018
N. 202 ORDINANZA 26 settembre - 15 novembre 2018 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Esecuzione forzata - Pignorabilita' dei crediti retributivi presso il terzo datore di lavoro. - Codice di procedura civile, art. 545, commi terzo, quarto e ottavo. - (T-180202) (GU 1a Serie Speciale - Corte Costituzionale n.46 del 21-11-2018)
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