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mercoledì 21 novembre 2018

N. 202 ORDINANZA 26 settembre - 15 novembre 2018 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Esecuzione forzata - Pignorabilita' dei crediti retributivi presso il terzo datore di lavoro. - Codice di procedura civile, art. 545, commi terzo, quarto e ottavo. - (T-180202) (GU 1a Serie Speciale - Corte Costituzionale n.46 del 21-11-2018)

N. 202 ORDINANZA 26 settembre - 15 novembre 2018

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Esecuzione forzata - Pignorabilita' dei crediti retributivi presso il
  terzo datore di lavoro.
- Codice di procedura civile, art. 545, commi terzo, quarto e ottavo.

(GU n.46 del 21-11-2018 )
 

                       LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
Presidente:Giorgio LATTANZI;
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Giuliano  AMATO,   Silvana
  SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON,  Franco  MODUGNO,  Augusto
  Antonio  BARBERA,  Giovanni  AMOROSO,   Francesco   VIGANO',   Luca
  ANTONINI,
     
    ha pronunciato la seguente

                              ORDINANZA

    nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art.  545,  commi
terzo, quarto e ottavo, del codice di procedura civile, promossi  dal
Tribunale ordinario di Chieti e dal Tribunale ordinario di Trento, in
funzione di giudici dell'esecuzione, con ordinanze del  14  e  del  6
febbraio 2017, iscritte rispettivamente ai nn. 106 e 143 del registro
ordinanze 2017 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
nn. 34 e 42, prima serie speciale, dell'anno 2017.
    Visti gli atti di intervento del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri;
    udito nella camera di consiglio del 26 settembre 2018 il  Giudice
relatore Aldo Carosi.
    Ritenuto che il Tribunale ordinario di  Chieti,  in  funzione  di
giudice dell'esecuzione, con  ordinanza  del  14  febbraio  2017,  ha
sollevato questioni di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  545,
terzo e quarto comma, del codice di procedura civile  in  riferimento
agli artt. 3  e  36  della  Costituzione,  nella  parte  in  cui  non
prevedono  l'impignorabilita'  assoluta   di   quella   parte   della
retribuzione  necessaria  a   garantire   al   lavoratore   i   mezzi
indispensabili alle sue esigenze di vita, nonche' per  la  disparita'
di trattamento che si verrebbe  a  determinare  tra  il  pignoramento
della retribuzione effettuato alla fonte presso il datore di lavoro e
quello effettuato sulle stesse somme  confluite  sul  conto  corrente
anteriormente al pignoramento;
    che, secondo quanto riferito dal giudice a quo, le questioni sono
sorte nell'ambito  di  una  procedura  esecutiva  promossa  da  Banca
Coopcredito scarl, ai danni di L. L., debitore della  somma  di  euro
3.879,66, per compensi professionali, in seguito alla sua condanna  a
rifondere alla controparte le spese di giudizio come stabilito  nella
sentenza del Tribunale ordinario di Chieti n. 61 del 2013;
    che il terzo pignorato, datore di lavoro dell'esecutato, ha  reso
dichiarazione positiva del suo obbligo di corrispondere  al  medesimo
uno stipendio  mensile  di  euro  538,00  (al  netto  delle  ritenute
previste dalla legge);
    che  il  rimettente  dubita  della  legittimita'   costituzionale
dell'art. 545, terzo e quarto comma, cod. proc. civ., nella parte  in
cui non prevedono l'impignorabilita' assoluta di quella  parte  della
retribuzione  necessaria  a   garantire   al   lavoratore   i   mezzi
indispensabili alle sue esigenze di vita e in  relazione  al  diverso
trattamento riservato al pignoramento di somme  dovute  a  titolo  di
pensioni o di indennita' che tengono luogo a  pensioni,  per  effetto
sia della sentenza n.  506  del  2002  di  questa  Corte,  sia  della
sopravvenienza dell'art. 13, comma 1, lettera l),  del  decreto-legge
27 giugno 2015, n. 83 (Misure urgenti in materia fallimentare, civile
e  processuale   civile   e   di   organizzazione   e   funzionamento
dell'amministrazione  giudiziaria),  convertito,  con  modificazioni,
nella legge 6 agosto 2015, n. 132, il quale ha aggiunto, tra l'altro,
all'art. 545 cod. proc. civ, un settimo comma, secondo il quale «[l]e
somme da chiunque dovute a titolo  di  pensione,  di  indennita'  che
tengono luogo di pensione o  di  altri  assegni  di  quiescenza,  non
possono essere pignorate per un ammontare corrispondente alla  misura
massima mensile dell'assegno sociale, aumentato della meta'. La parte
eccedente tale ammontare  e'  pignorabile  nei  limiti  previsti  dal
terzo, quarto e quinto comma nonche' dalle speciali  disposizioni  di
legge»;
    che lo stesso giudice rimettente deduce anche la  violazione  del
principio di eguaglianza, per la disparita'  di  trattamento  che  si
verrebbe  a  determinare  tra  il  pignoramento  della   retribuzione
effettuato alla fonte presso il datore di lavoro e quello  effettuato
sulle stesse somme confluite  sul  conto  corrente  anteriormente  al
pignoramento, come previsto dal  medesimo  art.  545,  ottavo  comma,
primo periodo - parimenti introdotto dall'art. 13, comma  1,  lettera
l), del d.l. n. 83 del 2015, come convertito -, il quale dispone  che
«[l]e somme dovute a titolo di stipendio, salario,  altre  indennita'
relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a
causa di licenziamento, nonche' a titolo di pensione,  di  indennita'
che tengono luogo di pensione, o di assegni di quiescenza,  nel  caso
di accredito su conto  bancario  o  postale  intestato  al  debitore,
possono  essere  pignorate,  per  l'importo   eccedente   il   triplo
dell'assegno sociale, quando l'accredito ha luogo in  data  anteriore
al pignoramento»;
    che e' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, sostenendo l'inammissibilita' e, comunque, la  non  fondatezza
delle questioni sollevate;
    che il Tribunale ordinario di  Trento,  in  funzione  di  giudice
dell'esecuzione, con ordinanza  del  6  febbraio  2017  ha  sollevato
questioni di legittimita'  costituzionale  dell'art.  545,  quarto  e
ottavo comma, cod. proc. civ., in riferimento agli artt. 1, 2, 3, 4 e
36  Cost.,  nella  parte  in  cui  non  prevedono  l'impignorabilita'
assoluta della retribuzione al di sotto del  minimo  vitale,  nonche'
per la disparita' di trattamento che si verrebbe a determinare tra il
pignoramento della  retribuzione  effettuato  alla  fonte  presso  il
datore di lavoro e quello effettuato sulle stesse somme confluite sul
conto corrente successivamente al pignoramento;
    che, secondo quanto riferito dal giudice a quo, le questioni sono
sorte nell'ambito di una procedura esecutiva promossa da  M.  M.  nei
confronti di L. P. con pignoramento presso terzi per  un  credito  di
euro 19.101,28;
    che il terzo pignorato, la  G.  G.  snc,  ha  reso  dichiarazione
positiva del suo obbligo di corrispondere all'esecutato uno stipendio
mensile di circa euro 900,00, al netto delle ritenute previste  dalla
legge;
    che,  dovendo  applicarsi  il  regime  di  pignorabilita'   degli
stipendi e altri emolumenti riguardanti il  rapporto  di  lavoro,  ai
sensi dell'art. 545, quarto comma, cod. proc. civ., lo  stipendio  di
L. P. sarebbe pignorabile fino a un quinto, per cui residuerebbero al
debitore  euro  720,00  da  destinare  alla  sua  sopravvivenza,  non
risultando  agli  atti  che  questi  disponga  di  altre   fonti   di
sostentamento;
    che, pertanto, secondo il  giudice  a  quo,  l'art.  545,  quarto
comma,  cod.  proc.  civ.,   nella   parte   in   cui   non   prevede
l'impignorabilita'  assoluta  di  quella  parte  della   retribuzione
necessaria a garantire al lavoratore i mezzi indispensabili alle  sue
primarie  esigenze  di  vita  e  una  retribuzione  «in   ogni   caso
sufficiente ad assicurare a se' ed alla famiglia una esistenza libera
e  dignitosa»,  violerebbe  gli  artt.  1,  2,  3  e  36  Cost.,  con
particolare riferimento alle esigenze di un reddito  minimo  che  gli
consenta di sostenere le spese necessarie al suo stesso sostentamento
in vita e in condizioni adeguate a consentirgli la stessa  produzione
di un reddito;
    che,  inoltre,  secondo  il  Tribunale   ordinario   di   Trento,
l'introduzione del nuovo ottavo comma nell'art. 545 cod.  proc.  civ.
determinerebbe  un'ingiustificata  disparita'  di  trattamento  delle
retribuzioni, a seconda che siano pignorati i crediti retributivi (ai
sensi dell'art. 545, quarto comma, cod. proc.  civ.)  o,  invece,  le
somme relative una volta che le medesime siano  confluite  nel  conto
corrente bancario  o  postale,  e  tanto  in  ragione  del  combinato
disposto dei commi settimo e ottavo dell'art. 545  cod.  proc.  civ.,
che limiterebbe la base di calcolo del  quinto  alla  differenza  tra
quanto percepito e il minimo vitale stabilito dal settimo  comma  del
medesimo articolo;
    che, prosegue il rimettente, tale  ingiustificata  disparita'  si
avvertirebbe ancor piu' per le retribuzioni di importo meno  elevato,
come quella percepita dall'esecutato  (pari  a  circa  euro  900,00),
tenuto conto che l'art. 12 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201
(Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' e il  consolidamento
dei conti pubblici), convertito, con modificazioni,  nella  legge  22
dicembre 2011, n. 214, impone che siano corrisposti con il versamento
in conto corrente bancario o postale solo gli  stipendi  superiori  a
euro 1.000,00, sicche' soltanto qualora il loro pagamento avvenga con
tali modalita' il lavoratore potrebbe  approfittare  del  trattamento
maggiormente favorevole riservato appunto alle somme versate in conto
corrente;
    che,  pertanto,  il  giudice  a  quo  dubita  della  legittimita'
costituzionale dell'art. 545, ottavo comma, cod.  proc.  civ.,  nella
parte  in  cui  non  prevede  che  gli  stessi  limiti   posti   alla
pignorabilita' delle somme versate in conto corrente (per effetto del
pagamento pro rata di retribuzioni o di pensioni), contemporaneamente
o successivamente  al  pignoramento,  debbano  valere  anche  per  il
pignoramento dei crediti retributivi presso il datore di lavoro,  per
i quali invece restano vigenti le limitazioni di  cui  all'art.  545,
quarto comma, cod. proc. civ.;
    che anche in questo giudizio ha spiegato intervento il Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale  dello  Stato,  deducendo  l'inammissibilita'  e,  comunque,
l'infondatezza delle questioni sollevate.
    Considerato che il Tribunale ordinario di Chieti, in funzione  di
giudice  dell'esecuzione,  ha  sollevato  questioni  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 545, terzo e quarto  comma,  del  codice  di
procedura  civile,  in  riferimento  agli  artt.   3   e   36   della
Costituzione, nella parte in  cui  non  prevedono  l'impignorabilita'
assoluta di quella parte della retribuzione necessaria a garantire al
lavoratore i mezzi indispensabili alle sue esigenze di vita,  nonche'
per la disparita' di trattamento che si verrebbe a determinare tra il
pignoramento della  retribuzione  effettuato  alla  fonte  presso  il
datore di lavoro e quello effettuato sulle stesse somme confluite sul
conto corrente anteriormente al pignoramento;
    che, secondo  il  rimettente,  sussisterebbe  una  disparita'  di
trattamento in relazione al diverso regime riservato al  pignoramento
di somme dovute a titolo di pensioni  o  di  indennita'  che  tengono
luogo a pensioni, per effetto sia della sentenza n. 506 del  2002  di
questa Corte, sia della sopravvenienza dell'art. 13, comma 1, lettera
l), del decreto-legge 27  giugno  2015,  n.  83  (Misure  urgenti  in
materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione
e funzionamento dell'amministrazione  giudiziaria),  convertito,  con
modificazioni, nella legge  6  agosto  2015,  n.  132,  il  quale  ha
aggiunto, tra l'altro, all'art. 545 cod. proc. civ un settimo  comma,
secondo il quale «[l]e somme da chiunque dovute a titolo di pensione,
di indennita' che tengono luogo di pensione o  di  altri  assegni  di
quiescenza,  non  possono   essere   pignorate   per   un   ammontare
corrispondente alla  misura  massima  mensile  dell'assegno  sociale,
aumentato  della  meta'.  La  parte  eccedente  tale   ammontare   e'
pignorabile nei limiti previsti dal  terzo,  quarto  e  quinto  comma
nonche' dalle speciali disposizioni di legge»;
    che lo stesso rimettente deduce anche la violazione del principio
di eguaglianza, per la disparita' di trattamento che  si  verrebbe  a
determinare tra il pignoramento della  retribuzione  effettuato  alla
fonte presso il datore di lavoro e  quello  effettuato  sulle  stesse
somme confluite sul conto corrente bancario o  postale  anteriormente
al pignoramento come previsto dal medesimo art.  545,  ottavo  comma,
primo periodo - parimenti introdotto dall'art. 13, comma  1,  lettera
l), del d.l. n. 83 del 2015 - il quale dispone che «[l]e somme dovute
a titolo di stipendio, salario, altre indennita' relative al rapporto
di  lavoro  o  di  impiego,  comprese  quelle  dovute  a   causa   di
licenziamento, nonche'  a  titolo  di  pensione,  di  indennita'  che
tengono luogo di pensione, o di assegni di quiescenza,  nel  caso  di
accredito su conto bancario o postale intestato al debitore,  possono
essere pignorate, per  l'importo  eccedente  il  triplo  dell'assegno
sociale,  quando  l'accredito  ha  luogo   in   data   anteriore   al
pignoramento»;
    che il Tribunale ordinario di  Trento,  in  funzione  di  giudice
dell'esecuzione,   ha    sollevato    questione    di    legittimita'
costituzionale dell'art. 545, quarto e ottavo comma, cod. proc. civ.,
in riferimento agli artt. 1, 2, 3, 4 e 36 Cost., nella parte  in  cui
non prevedono l'impignorabilita' assoluta della  retribuzione  al  di
sotto del minimo vitale, nonche' per la disparita' di trattamento che
si verrebbe a determinare  tra  il  pignoramento  della  retribuzione
effettuato alla fonte presso il datore di lavoro e quello  effettuato
sulle stesse somme confluite sul conto  corrente  successivamente  al
pignoramento;
    che, pertanto, secondo il  giudice  a  quo,  l'art.  545,  quarto
comma,  cod.  proc.  civ.,   nella   parte   in   cui   non   prevede
l'impignorabilita'  assoluta  di  quella  parte  della   retribuzione
necessaria a garantire al lavoratore i mezzi indispensabili alle  sue
primarie  esigenze  di  vita  e  una  retribuzione  «in   ogni   caso
sufficiente ad assicurare a se' ed alla famiglia una esistenza libera
e dignitosa», violerebbe gli artt.  1,  2,  3,  4  e  36  Cost.,  con
particolare riferimento alle esigenze di un reddito  minimo  che  gli
consenta di sostenere  le  spese  minime  necessarie  al  suo  stesso
sostentamento in vita e in  condizioni  adeguate  a  consentirgli  la
stessa produzione di un reddito;
    che,  inoltre,  secondo  il  Tribunale   ordinario   di   Trento,
l'introduzione del nuovo ottavo comma nell'art. 545 cod.  proc.  civ.
determinerebbe  un'ingiustificata  disparita'  di  trattamento  delle
retribuzioni, a seconda che siano pignorati i crediti retributivi (ai
sensi dell'art. 545, quarto comma, cod. proc. civ.) o invece le somme
relative, una volta che le medesime siano confluite in conto corrente
bancario o postale, e tanto in ragione  del  combinato  disposto  dei
commi settimo e ottavo dell'art. 545 cod. proc. civ., che limiterebbe
la base di calcolo del quinto alla differenza tra quanto percepito  e
il minimo vitale stabilito dal settimo comma del medesimo articolo;
    che, inoltre,  tale  ingiustificata  disparita'  si  avvertirebbe
ancor piu' per le retribuzioni di importo meno elevato,  come  quella
percepita dall'esecutato (pari a circa euro 900,00), tenuto conto che
l'art. 12 del decreto-legge 6 dicembre  2011,  n.  201  (Disposizioni
urgenti per la crescita, l'equita'  e  il  consolidamento  dei  conti
pubblici), convertito, con modificazioni,  nella  legge  22  dicembre
2011, n. 214, impone che siano corrisposti con il versamento in conto
corrente bancario o  postale  solo  gli  stipendi  superiori  a  euro
1.000,00, sicche' soltanto qualora il loro pagamento avvenga con tali
modalita'  il  lavoratore  potrebbe  approfittare   del   trattamento
maggiormente  favorevole  riservato  alle  somme  versate  in   conto
corrente;
    che,  pertanto,  il  giudice  a  quo  dubita  della  legittimita'
costituzionale dell'art. 545, ottavo comma, cod.  proc.  civ.,  nella
parte  in  cui  non  prevede  che  gli  stessi  limiti   posti   alla
pignorabilita' delle somme versate nel conto  corrente  (per  effetto
del  pagamento   pro   rata   di   retribuzioni   o   di   pensioni),
contemporaneamente o successivamente al pignoramento, debbano  valere
anche per il pignoramento dei crediti retributivi presso il datore di
lavoro, per i quali invece restano  vigenti  le  limitazioni  di  cui
all'art. 545, quarto comma, cod. proc. civ.;
    che, in considerazione  della  parziale  sovrapponibilita'  delle
disposizioni  censurate  e  dei  parametri  evocati,  nonche'   delle
analoghe considerazioni svolte dai rimettenti, i due giudizi  possono
essere uniti per essere definiti con unica decisione;
    che le questioni di legittimita'  costituzionale  dell'art.  545,
terzo comma, cod. proc. civ., sollevate dal  Tribunale  ordinario  di
Chieti  risultano  manifestamente   inammissibili,   in   quanto   il
rimettente ha omesso completamente di indicare le ragioni per cui  la
norma censurata, che concerne il caso del pignoramento di stipendi  e
pensioni per crediti alimentari, debba applicarsi nel giudizio a quo,
ne' ha spiegato adeguatamente perche' la decisione sulla questione di
legittimita' costituzionale sollevata risulti pregiudiziale  ai  fini
della definizione del giudizio principale;
    che le questioni di legittimita'  costituzionale  dell'art.  545,
quarto e ottavo comma,  cod.  proc.  civ.,  sollevate  dal  Tribunale
ordinario di Trento in riferimento agli artt. 1, 2, e 4  Cost.,  sono
manifestamente inammissibili, in quanto  prive  di  un'argomentazione
esaustiva  delle  ragioni  del  preteso  contrasto  con  i  parametri
evocati;
    che le questioni di legittimita'  costituzionale  dell'art.  545,
ottavo comma, cod. proc. civ., sollevate dal Tribunale  ordinario  di
Trento in riferimento all'art. 3 Cost., laddove,  con  riguardo  alle
somme confluite in conto corrente (per effetto del pagamento pro rata
di retribuzioni o di pensioni), contemporaneamente o  successivamente
al  pignoramento,  la  norma  censurata  prevede  che  «[...]  quando
l'accredito ha luogo alla data del pignoramento o successivamente, le
predette somme possono  essere  pignorate  nei  limiti  previsti  dal
terzo,  quarto,  quinto  e  settimo  comma,  nonche'  dalle  speciali
disposizioni  di  legge»,  sono  manifestamente   inammissibili   per
aberratio ictus, in quanto la norma concerne  il  pignoramento  delle
somme  confluite  nel  conto  corrente  quando  terzo  pignorato   e'
l'istituto bancario  o  postale,  in  forza  del  rapporto  di  conto
corrente esistente tra l'istituto e l'esecutato, mentre nel  giudizio
a quo il creditore procedente ha  pignorato  il  credito  retributivo
presso il datore di lavoro, in ragione del diverso rapporto di lavoro
tra questi e il lavoratore esecutato;
    che, quindi, il Tribunale  ordinario  di  Trento  non  deve  fare
alcuna applicazione dell'art. 545, ottavo comma, cod. proc. civ.,  ma
solamente dell'art. 545,  quarto  comma,  cod.  proc.  civ.,  sicche'
questi avrebbe dovuto impugnare il quarto comma e - semmai -  evocare
il successivo ottavo comma come tertium comparationis;
    che,  comunque,   la   predetta   questione   e'   manifestamente
inammissibile, per l'evidente errore commesso dal giudice  rimettente
sul presupposto interpretativo, in quanto l'art. 545,  ottavo  comma,
cod. proc. civ., nel disciplinare il regime di  pignorabilita'  delle
somme confluite  nel  conto  corrente  bancario  o  postale,  siccome
derivanti da pensioni o retribuzioni, non estende  alle  medesime  la
regola contenuta nel settimo comma dell'art. 545 cod. proc. civ., che
determina l'impignorabilita' assoluta delle pensioni per un ammontare
corrispondente  alla  misura  massima  mensile  dell'assegno  sociale
aumentato della meta', poiche' il richiamo cumulativo ai commi terzo,
quarto  e  settimo  sottintende  il   riferimento   alle   rispettive
discipline per i diversi crediti ivi considerati;
    che, quindi, al contrario di quanto assume il giudice a  quo,  il
legislatore non intende estendere alle somme confluite sul conto  per
il pagamento pro  rata  delle  retribuzioni  il  diverso  trattamento
riservato ai soli crediti pensionistici;
    che tale erronea e incompleta ricostruzione del quadro  normativo
di riferimento inficia l'iter logico-argomentativo posto a base della
valutazione  di  non  manifesta  infondatezza  della   questione   di
legittimita' costituzionale sollevata,  determinandone  la  manifesta
inammissibilita' (ex multis, ordinanze n. 136 del  2018,  n.  88  del
2017 e n. 209 del 2015);
    che le questioni di legittimita'  costituzionale  dell'art.  545,
quarto comma, cod. proc. civ., sollevate da entrambi i rimettenti  in
riferimento agli artt. 3 e 36 Cost., coincidono con quelle dichiarate
non fondate dalla sentenza n. 248 del 2015 di questa Corte;
    che tale sentenza ha precisato, tra l'altro, che «la tutela della
certezza dei rapporti giuridici, in quanto collegata  agli  strumenti
di protezione del credito personale, non consente di negare in radice
la pignorabilita' degli emolumenti ma di attenuarla  per  particolari
situazioni la cui individuazione e' riservata  alla  discrezionalita'
del legislatore», mentre, con riguardo alla  questione  sollevata  in
riferimento  all'art.  3  Cost.,  sia  in  relazione  al  regime   di
impignorabilita' delle pensioni, sia - in via subordinata -  all'art.
72-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973,
n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), le
argomentazioni del giudice rimettente non sono  state  condivise  «in
ragione della eterogeneita' dei tertia  comparationis  rispetto  alla
disposizione impugnata» e  che  «[...]  non  puo'  essere  esteso  ai
crediti retributivi -  come  pretenderebbe  il  rimettente  -  quanto
affermato da questa Corte nella sentenza n. 506 del 2002 con riguardo
alla pignorabilita' delle pensioni: proprio  detta  sentenza  -  come
gia' rilevato  -  esclude  la  estensibilita'  della  fattispecie  ai
crediti di lavoro per la diversa configurazione della tutela prevista
dall'art. 38 rispetto a quella dell'art. 36 Cost.»;
    che,   anche   in   ordine   alla   questione   di   legittimita'
costituzionale  sollevata  dal  Tribunale  ordinario  di  Trento   in
riferimento all'art. 3 Cost., sotto il profilo  della  disparita'  di
trattamento, questa Corte ha gia' chiarito nella citata  sentenza  n.
248 del 2015 che la nuova disciplina introdotta dal d.l.  n.  83  del
2015, concernente la pignorabilita' delle somme  confluite  in  conto
corrente per  effetto  del  pagamento  pro  rata  di  retribuzioni  o
pensioni, non puo' costituire un  idoneo  tertium  comparationis,  in
quanto «[c]io' e' inconfutabile indizio del fatto che  -  nell'ambito
delle soluzioni costituzionalmente conformi, cioe' caratterizzate dal
bilanciamento tra le ragioni del credito e quelle del  percettore  di
redditi di lavoro esigui - il  legislatore  sta  esercitando  la  sua
discrezionalita'  in  modo  articolato,  valorizzando  gli   elementi
peculiari delle  singole  situazioni  giuridiche  piuttosto  che  una
riconduzione a parametri uniformi»;
    che pertanto, alla luce di quanto evidenziato,  le  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 545, quarto comma,  cod.  proc.
civ.,  in  riferimento  agli  artt.  3  e  36  Cost.,  devono  essere
dichiarate manifestamente infondate.
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale.
     

                          per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE

    riuniti i giudizi;
    1) dichiara la  manifesta  inammissibilita'  delle  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 545, terzo comma, del codice di
procedura civile, sollevate dal Tribunale  ordinario  di  Chieti,  in
funzione di giudice dell'esecuzione, in riferimento agli artt. 3 e 36
Cost., con l'ordinanza indicata in epigrafe;
    2) dichiara la  manifesta  inammissibilita'  delle  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 545,  quarto  e  ottavo  comma,
cod. proc. civ., sollevate dal  Tribunale  ordinario  di  Trento,  in
funzione di giudice dell'esecuzione, in riferimento agli artt. 1, 2 e
4 Cost., con l'ordinanza indicata in epigrafe;
    3) dichiara la  manifesta  inammissibilita'  delle  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 545, ottavo comma,  cod.  proc.
civ., sollevate  dal  medesimo  Tribunale  ordinario  di  Trento,  in
riferimento all'art. 3 Cost., con l'ordinanza indicata in epigrafe;
    4)  dichiara  la  manifesta  infondatezza  delle   questioni   di
legittimita' costituzionale dell'art. 545, quarto comma,  cod.  proc.
civ., sollevate  dal  medesimo  Tribunale  ordinario  di  Trento,  in
riferimento agli artt. 3 e 36  Cost.,  con  l'ordinanza  indicata  in
epigrafe.
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 26 settembre 2018.

                                F.to:
                    Giorgio LATTANZI, Presidente
                       Aldo CAROSI, Redattore
                    Filomena PERRONE, Cancelliere

    Depositata in Cancelleria il 15 novembre 2018.

                           Il Cancelliere
                       F.to: Filomena PERRONE

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