N. 200 SENTENZA 11 ottobre - 15 novembre 2018
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
Previdenza - Dipendenti pubblici collocati in quiescenza nel
quadriennio 2011-2014 - Incidenza sul trattamento pensionistico
delle misure limitative delle pensioni.
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di
stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica) -
convertito, con modificazioni, in legge 30 luglio 2010, n. 122 -
art. 9, comma 21, terzo periodo; decreto-legge 6 luglio 2011, n.
98, (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria) -
convertito, con modificazioni, in legge 15 luglio 2011, n. 111 -
art. 16, comma 1, lettera b), come integrato dall'art. 1, comma 1,
lettera a), primo periodo, del d.P.R. 4 settembre 2013, n. 122
(Regolamento in materia di proroga del blocco della contrattazione
e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti, a norma
dell'articolo 16, commi 1, 2, e 3, del decreto-legge 6 luglio 2011,
n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011,
n. 111).
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(GU n.46 del 21-11-2018 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Giorgio LATTANZI;
Giudici :Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI,
Giancarlo CORAGGIO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo'
ZANON, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni
AMOROSO, Francesco VIGANO',
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma
21, terzo periodo, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure
urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita'
economica), convertito, con modificazioni, in legge 30 luglio 2010,
n. 122; dell'art. 16, comma 1, lettera b), del decreto-legge 6 luglio
2011, n. 98, (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione
finanziaria), convertito, con modificazioni, in legge 15 luglio 2011,
n. 111, come specificato dall'art. 1, comma 1, lettera a), primo
periodo, del d.P.R. 4 settembre 2013, n. 122 (Regolamento in materia
di proroga del blocco della contrattazione e degli automatismi
stipendiali per i pubblici dipendenti, a norma dell'articolo 16,
commi 1, 2, e 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito,
con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111), promosso
dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Liguria, nel
procedimento vertente tra F. S. e il Ministero della difesa, con
ordinanza del 13 gennaio 2017, iscritta al n. 71 del registro
ordinanze 2017 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 21, prima serie speciale, dell'anno 2017.
Visti l'atto di costituzione di F. S., nonche' l'atto di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 20 giugno 2018 il Giudice
relatore Giulio Prosperetti, sostituito per la redazione della
decisione dal Giudice Giovanni Amoroso;
uditi gli avvocati Umberto Verdacchi e Alba Giordano per F. S. e
l'avvocato dello Stato Vincenzo Nunziata per il Presidente del
Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.- La Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Liguria,
con ordinanza del 13 gennaio 2017 ha sollevato questioni di
legittimita' costituzionale, per violazione dell'art. 3 della
Costituzione, dell'art. 9, comma 21, terzo periodo, del decreto-legge
31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione
finanziaria e di competitivita' economica), convertito, con
modificazioni, in legge 30 luglio 2010, n. 122, e dell'art. 16, comma
l, lettera b), del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni
urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con
modificazioni, in legge 15 luglio 2011, n. 111, come integrato
dall'art. l, comma l, lettera a), primo periodo, del d.P.R. 4
settembre 2013, n. 122 (Regolamento in materia di proroga del blocco
della contrattazione e degli automatismi stipendia1i per i pubblici
dipendenti, a norma dell'articolo 16, commi l, 2 e 3, del
decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni,
dalla legge 15 luglio 2011, n. 111), nella parte in cui «dette norme
non hanno previsto, nei confronti dei soggetti che sarebbero cessati
dal servizio nell'arco temporale della "cristallizzazione", la
valorizzazione in quiescenza, a decorrere dalla data di cessazione
del blocco, degli emolumenti pensionabili derivanti dalle
progressioni di carriera conseguite durante il blocco stesso».
Espone il giudice rimettente che S. F., ufficiale della Marina
militare, e' cessato dal servizio per limiti di eta' a decorrere
dall'8 febbraio 2014, essendo stato collocato in ausiliaria dalla
stessa data, ai sensi degli artt. 886, comma 1, e 992, comma l, del
decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell'ordinamento
militare). Lo stesso ha convenuto in giudizio il Ministero della
difesa avverso il rifiuto opposto all'istanza di rideterminazione
della pensione e ha chiesto l'annullamento del provvedimento di
determinazione della pensione provvisoria nella parte in cui assume,
nella base pensionabile, lo stipendio e gli altri assegni
pensionabili propri del grado di ammiraglio ispettore, anziche'
quelli propri del grado di ammiraglio ispettore capo, grado
attribuitogli a seguito della promozione conseguita il 30 agosto
2012. Il ricorrente ha lamentato di non aver avuto il trattamento
economico del grado di ammiraglio ispettore capo, conseguito durante
il periodo di blocco, disposto dalle predette norme, degli incrementi
retributivi derivanti dalle progressioni di carriera, e di aver avuto
la pensione determinata in relazione alla base pensionabile correlata
al trattamento economico inferiore al grado rivestito alla data di
cessazione dal servizio.
Prosegue il giudice a quo che il Ministero della difesa -
Direzione generale della previdenza militare e della leva, si era
costituito contestando, in via pregiudiziale, la giurisdizione della
Corte dei conti e, nel merito, chiedendo il rigetto del ricorso.
Il giudice a quo, all'udienza del 18 novembre 2016, con sentenza
parziale n. 109 del 2016, ha rigettato le eccezioni proposte dal
Ministero della difesa, affermando la giurisdizione della Corte dei
conti, e, dichiarata quindi l'ammissibilita' del gravame, ha
sollevato, con separata ordinanza, la suddetta questione di
legittimita', peraltro prospettata dal ricorrente in via subordinata.
2.- Osserva il rimettente che il periodo di efficacia del blocco
degli effetti economici derivanti dalle progressioni di carriera si
e' concluso al 31 dicembre 2014. Conseguentemente, a decorrere dal l°
gennaio 2015, il personale in servizio ha potuto godere degli
emolumenti derivanti dalle progressioni di carriera conseguite nel
periodo del blocco.
Illustrate le disposizioni applicabili alla fattispecie in esame,
il rimettente, nell'evidenziare che la questione dedotta in giudizio
verte dunque sul quantum del diritto a pensione, assume che la
pretesa avanzata nel giudizio principale dal ricorrente di vedersi
determinata la pensione sulla base della retribuzione corrispondente
al grado di ammiraglio ispettore capo - conseguito il 30 agosto 2012,
ovvero in vigenza del blocco del correlato incremento stipendiale
disposto dalle norme censurate - non puo', tuttavia, essere accolta
atteso il contesto normativo vigente.
Il giudice a quo, al riguardo, deduce che - secondo la
giurisprudenza della Corte dei conti - il trattamento stipendiale
corrispondente alla progressione di carriera conseguita «ai fini
esclusivamente giuridici» nel periodo del blocco, non essendo entrato
a far parte della base retributiva e contributiva del ricorrente, non
puo', in assenza di un'espressa previsione in tal senso, entrare nel
calcolo della base pensionabile e nella determinazione del
trattamento di quiescenza. Infatti, ai sensi dell'art. 1866 del
d.lgs. n. 66 del 2010 e dell'art. 53 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n.
1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di
quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), la base
pensionabile si determina con riferimento allo stipendio e agli
emolumenti retributivi pensionabili integralmente percepiti in
attivita' di servizio. Anche per effetto delle disposizioni in
materia di ampliamento della base contributiva e pensionabile
previste dall'art. 2, commi 9, 10 e 11, della legge 8 agosto 1995, n.
335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare),
il trattamento di quiescenza va rapportato alla contribuzione versata
durante il rapporto lavorativo e, quindi, agli emolumenti percepiti
in servizio.
Il legislatore, tuttavia, introducendo un temporaneo e transeunte
blocco degli effetti economici delle progressioni di carriera, non ha
considerato la posizione di coloro che sarebbero cessati dal servizio
prima della cessazione della «cristallizzazione economica»,
trascurando, in tal modo, che gli stessi avrebbero subito una
«vanificazione» della conseguita progressione di carriera, con
definitiva perdita della retribuzione discendente dalla progressione
stessa.
La mancata previsione della valorizzazione in quiescenza degli
emolumenti pensionabili derivanti dalle progressioni di carriera, a
far data dalla cessazione del regime di blocco, determina - secondo
il giudice rimettente - il contrasto della disciplina censurata con
l'art. 3 Cost., sotto il duplice aspetto della contrarieta' al
principio della ragionevolezza e al principio di uguaglianza.
Infatti, da una parte tale disciplina si appalesa irragionevole a
causa degli effetti definitivi che si producono nei confronti dei
soggetti che, cessando dal servizio prima della cessazione del
blocco, non possono godere, neanche ai fini pensionistici, degli
effetti economici delle conseguite promozioni. Il sacrificio loro
imposto, non avendo carattere temporaneo, va oltre la giustificata
necessita' di risparmi immediati per il contenimento della spesa
pubblica e, quindi, va oltre la insindacabile discrezionalita' del
legislatore, sfociando in una arbitraria, e comunque sproporzionata,
compromissione, solo per alcuni, degli interessi colpiti dalla
«cristallizzazione» degli adeguamenti retributivi.
D'altra parte, vi e' una disciplina ingiustificatamente
differenziata: i dipendenti rimasti in servizio possono godere degli
effetti economici della progressione alla data di cessazione del
blocco, mentre altri, come il ricorrente, cessati dal servizio per
limiti di eta' nel periodo del blocco, non possono goderne neanche ai
fini della determinazione della base pensionabile. Ne' la diversa
eta' anagrafica o la sopravvenuta cessazione dal servizio dopo il
periodo di blocco rappresentano elementi idonei a giustificare il
trattamento differenziato a fronte di identiche situazioni giuridiche
caratterizzate dalla stessa anzianita' di servizio e dall'avvenuto
conseguimento della medesima progressione.
3.- Con atto di intervento depositato in data 13 giugno 2017, il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, ha chiesto di dichiarare
infondate le questioni di legittimita' costituzionale sollevate.
La difesa statale ricorda la giurisprudenza di questa Corte, in
base alla quale e' stata dichiarata la legittimita' delle
disposizioni che hanno introdotto il blocco degli incrementi
stipendiali, in quanto giustificate dalle esigenze di contenimento
della spesa pubblica, e assume che «eventuali discrasie, come quelle
evidenziate dal giudice remittente in ordine alle discriminazioni tra
dipendenti, costituiscono ostacoli di fatto, tali comunque da non
vanificare le predette inderogabili esigenze di contenimento della
spesa pubblica per far fronte alla grave crisi economica».
4.- Con atto depositato in data 13 giugno 2017, si e' costituito
S. F., aderendo alla richiesta declaratoria di illegittimita'
costituzionale avanzata dal giudice rimettente, per le ragioni e i
profili indicati nell'ordinanza.
Aggiunge, inoltre, la parte costituita che «un ulteriore profilo
di incostituzionalita' si appalesa per violazione dei parametri
desumibili dagli articoli 36 e 38 della Costituzione. Ed infatti: e'
pacifica la natura di retribuzione differita della pensione; non
trova giustificazione la mancata determinazione della base
pensionabile, tenendo conto del trattamento economico corrispondente
al grado rivestito, per effetto della progressione di carriera
maturata anche nel periodo inciso dalla "cristallizzazione", perche'
l'art. 9, comma 21, terzo periodo del D.L. n. 78/2010, non lo prevede
espressamente».
5.- In prossimita' dell'udienza, la medesima parte ha depositato
una memoria nella quale ha ribadito le argomentazioni gia' svolte a
sostegno della fondatezza della dedotta questione di legittimita'
costituzionale.
Considerato in diritto
1.- Con ordinanza del 13 gennaio 2017 la Corte dei conti, sezione
giurisdizionale per la Liguria, ha sollevato questioni incidentali di
legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 21, terzo periodo, del
decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di
stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica),
convertito, con modificazioni, in legge 30 luglio 2010, n. 122, e
dell'art. 16, comma 1 , lettera b), del decreto-legge 6 luglio 2011,
n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria),
convertito, con modificazioni, in legge 15 luglio 2011, n. 111, come
integrato dall'art. 1, comma 1, lettera a), primo periodo, del d.P.R.
4 settembre 2013, n. 122 (Regolamento in materia di proroga del
blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i
pubblici dipendenti, a norma dell'art. 16, commi 1, 2 e 3, del
decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni,
dalla legge 15 luglio 2011, n. 111).
Secondo la Corte dei conti rimettente, le disposizioni censurate
contrasterebbero con l'art. 3 della Costituzione nella parte in cui
non hanno previsto, nei confronti dei soggetti cessati dal servizio
nell'arco temporale della «cristallizzazione» degli incrementi
retributivi (relativo agli anni 2011-2014), la valorizzazione in
quiescenza, a decorrere dalla data di cessazione del blocco
stipendiale, degli emolumenti pensionabili derivanti dalle
progressioni di carriera conseguite durante il blocco stesso.
Le questioni sono state sollevate nel procedimento promosso da F.
S., ufficiale della Marina militare con il grado di ammiraglio
ispettore, cessato dal servizio per limiti di eta' a decorrere dall'8
febbraio 2014, contro il Ministero della difesa, per ottenere
l'annullamento del provvedimento (del 31 luglio 2015) di
determinazione della pensione provvisoria della Direzione di
commissariato Marina militare di Roma e la conseguente
rideterminazione della pensione, considerando, come base di calcolo
del trattamento di quiescenza, lo stipendio e gli altri assegni
pensionabili propri del grado di ammiraglio ispettore, anziche'
quelli propri del grado di ammiraglio ispettore capo, conseguito a
seguito della promozione del 30 agosto 2012. L'Amministrazione
militare non aveva tenuto conto, al fine della determinazione
provvisoria della pensione, della promozione conseguita dal
ricorrente, perche' ricadente nell'intervallo di tempo della vigenza
della disciplina censurata, che prevedeva che gli avanzamenti di
carriera avevano effetto «ai fini esclusivamente giuridici» e quindi
non anche economici.
2.- Preliminarmente, sotto il profilo dell'ammissibilita', va
considerato che la Corte dei conti rimettente deve fare applicazione
dell'art. 1, comma 1, lettera a), primo periodo, del d.P.R. n. 122
del 2013, che proroga il blocco stipendiale per l'anno 2014, perche'
il ricorrente e' cessato dal servizio per limiti di eta' a decorrere
dall'8 febbraio 2014, ossia proprio nel corso dell'anno che ha visto
prorogata la disciplina legale limitativa degli incrementi
retributivi.
E infatti, l'art. 16, comma 1, lettera b), del d.l. n. 98 del
2011, non ha prorogato direttamente il blocco disposto dall'art. 9,
comma 21, del d.l. n. 78 del 2010 per il triennio 2011-2013, ancora
in corso alla data di entrata in vigore del medesimo d.l. n. 98 del
2011, ma ha previsto che «[...] con uno o piu' regolamenti da emanare
ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n.
400, su proposta dei Ministri per la pubblica amministrazione e
l'innovazione e dell'economia e delle finanze, puo' essere disposta:
[...] b) la proroga fino al 31 dicembre 2014 delle vigenti
disposizioni che limitano la crescita dei trattamenti economici anche
accessori del personale delle pubbliche amministrazioni previste
dalle disposizioni medesime». Quindi, la proroga del blocco per
l'anno 2014 era rimessa a una scelta discrezionale del Governo,
proroga che - disponeva l'art. 16, comma 1, lettera b), citato -
«puo'» - non necessariamente deve - «essere disposta».
Approssimandosi la scadenza del triennio 2011-2013, il Governo e'
intervenuto con il regolamento emanato con il d.P.R. n. 122 del 2013,
che, all'art. 1, comma 1, lettera a), primo periodo, ha previsto: «le
disposizioni recate dall'articolo 9, commi 1, 2 nella parte vigente,
2-bis e 21 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con
modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, sono prorogate
fino al 31 dicembre 2014»; ossia per un ulteriore anno oltre
l'iniziale triennio (2011-2013) al quale si riferiva la disposizione
richiamata. La quale in tanto e' anch'essa applicabile nel caso di
specie in quanto richiamata dal combinato disposto dell'art. 16,
comma 1, lettera b), del citato d.l. n. 98 del 2011, e dell'art. 1,
comma 1, lettera a), primo periodo, del d.P.R. n. 122 del 2013.
Nella specie, il trattamento pensionistico spettante al
ricorrente, della cui esatta quantificazione si dibatte nel giudizio
a quo, decorre dalla data del collocamento in quiescenza (8 febbraio
2014) ed e' la disciplina del blocco stipendiale vigente a quella
data che viene in rilievo, anche se ai fini retributivi - ma di cio'
non si fa questione - il ricorrente ha subito il rigore del blocco
stipendiale pure nel corso del triennio precedente a partire dalla
data della progressione al grado superiore.
Quindi, nel giudizio a quo, essendo applicabile la disciplina
della proroga del blocco per l'anno 2014, viene in rilievo proprio
l'art. 1, comma 1, lettera a), primo periodo, del d.P.R. n. 122 del
2013, che prevede la proroga al 2014 della disciplina limitativa
degli incrementi retributivi, e non gia' direttamente l'originaria
disciplina del blocco stipendiale per il triennio 2011-2013,
quest'ultima, invece, di rango solo primario.
Il citato art. 1 ha pero' natura regolamentare, come
espressamente previsto dalla disposizione di legge (art. 16, comma 1,
lettera b, citato) che ha autorizzato il Governo a emanarla, e,
quindi, costituisce una norma subprimaria, priva di «forza di legge»
ai sensi dell'art. 134 Cost.
3.- Tale natura subprimaria della disciplina posta dal
regolamento citato potrebbe far dubitare dell'ammissibilita' delle
questioni sollevate dal giudice rimettente, in quanto verrebbe in
rilievo il limite del sindacato accentrato di costituzionalita' posto
dall'art. 134 Cost.
Questa Corte ha, infatti, gia' avuto modo di chiarire che la
propria giurisdizione e' limitata alla cognizione dell'illegittimita'
costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge e non
si estende a norme di natura regolamentare, neppure ai regolamenti di
delegificazione (sentenza n. 427 del 2000; ordinanze n. 254 del 2016,
n. 156 del 2013, n. 37 del 2007, n. 401 e n. 125 del 2006, e n. 389
del 2004). Il sindacato di costituzionalita' della normativa
subprimaria e' rimesso alla cognizione del giudice comune: alla
giurisdizione di annullamento del giudice amministrativo e al potere
di disapplicazione incidentale di ogni altro giudice.
4.- Non di meno, nella fattispecie, la disposizione censurata
puo' essere oggetto di questione incidentale di costituzionalita'
innanzi a questa Corte.
Vi e' infatti che, con l'arresto giurisprudenziale rappresentato
dalla sentenza n. 1104 del 1988, in seguito ripetutamente confermato
(da ultimo, sentenza n. 178 del 2015), questa Corte ha affermato che,
ove la regolamentazione censurata di illegittimita' costituzionale
sia rappresentata, nella sostanza, dal combinato disposto di una
norma primaria e di una subprimaria e se la prima «risulta in
concreto applicabile attraverso le specificazioni formulate nella
fonte secondaria», e' possibile il sindacato di costituzionalita'
sulla norma primaria tenendo conto che quella subprimaria ne
costituisce un «completamento del contenuto prescrittivo». La citata
pronuncia ha ritenuto sussistente questo nesso di specificazione
qualificata e, entrando nel merito delle censure, ha dichiarato
l'illegittimita' costituzionale della norma primaria.
Analogamente, la sentenza n. 34 del 2011 ha ritenuto che un
determinato regolamento ministeriale costituisse «specificazione di
una normativa di rango primario ed in particolare della disposizione
censurata sicche', unitamente a quest'ultima, puo' costituire oggetto
del giudizio incidentale di costituzionalita'». In senso conforme, e'
anche la sentenza n. 242 del 2014, che ha affermato che «le
disposizioni regolamentari contestualmente impugnate contribuiscono a
chiarire il contenuto applicativo della disposizione legislativa,
della quale costituiscono specificazione; pertanto, e' solo
unitamente a quest'ultima che le stesse possono rientrare nella
valutazione rimessa a questa Corte». Piu' recentemente, con sentenza
n. 178 del 2015, e' stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale
(sopravvenuta) del regime di sospensione della contrattazione
collettiva, risultante dalla norma primaria, come specificato dalla
norma subprimaria.
Anche nella fattispecie in esame sussiste questo nesso stretto di
specificazione qualificata, che lega la norma primaria e quella
subprimaria.
La regola che la Corte dei conti rimettente e' chiamata ad
applicare per stabilire se, anche ai fini pensionistici, operi, o no,
il limite agli incrementi retributivi nel corso del rapporto di
lavoro, e' recata dalla disposizione regolamentare che proroga il
blocco stipendiale anche per l'anno 2014, autorizzata a cio' dalla
disposizione di legge che demanda al regolamento - e quindi al potere
esecutivo - tale scelta di politica economica. Sicche', puo' ben
dirsi che la norma regolamentare costituisce il «completamento del
contenuto prescrittivo» della norma primaria (sentenza n. 1104 del
1988).
E' la disposizione regolamentare (subprimaria) che riempie di
contenuto la disposizione di legge (primaria). La regola della
limitazione degli incrementi retributivi nel corso del 2014 e' recata
dal loro stretto combinato disposto, sicche' la disposizione avente
forza di legge attrae al livello primario la disposizione
regolamentare, quantunque di rango subprimario.
La norma di risulta, che tale regola reca, puo' pertanto essere
oggetto di questione incidentale di legittimita' costituzionale, la
quale pertanto e' ammissibile.
5.- Nel merito, la questione sollevata dal giudice rimettente,
con riferimento all'art. 3 Cost., non e' fondata.
Non rilevano, invece, gli altri parametri indicati dalla parte
privata costituita che ha chiesto di valutare la legittimita'
costituzionale della normativa censurata anche con riferimento agli
artt. 36 e 38 Cost., non avendo in generale le parti costituite o
intervenute in giudizio il potere di ampliare il thema decidendum,
quale posto dal giudice rimettente (ex plurimis, sentenze n. 231, n.
83, n. 37 e n. 34 del 2015, n. 271 del 2011, n. 236 e n. 56 del
2009).
6.- Va rilevato, anzitutto, che la regola limitativa degli
incrementi stipendiali - applicabile nel giudizio a quo per il
tramite del rinvio del combinato disposto dell'art. 16, comma 1,
lettera b), del d.l. n. 98 del 2011, e dell'art. 1, comma 1, lettera
a), primo periodo, del d.P.R. n. 122 del 2013 - e' posta dall'art. 9,
comma 21, del d.l. n. 78 del 2010, dichiaratamente al fine di
contenere le spese in materia di impiego pubblico, come risulta dalla
stessa rubrica della disposizione.
Tale disposizione stabilisce: «I meccanismi di adeguamento
retributivo per il personale non contrattualizzato di cui
all'articolo 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, cosi'
come previsti dall'articolo 24 della legge 23 dicembre 1998, n. 448,
non si applicano per gli anni 2011, 2012 e 2013 ancorche' a titolo di
acconto, e non danno comunque luogo a successivi recuperi. Per le
categorie di personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo
30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni, che fruiscono di un
meccanismo di progressione automatica degli stipendi, gli anni 2011,
2012 e 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle classi e
degli scatti di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti. Per il
personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo
2001, n. 165 e successive modificazioni le progressioni di carriera
comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e
2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente
giuridici. Per il personale contrattualizzato le progressioni di
carriera comunque denominate ed i passaggi tra le aree eventualmente
disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti
anni, ai fini esclusivamente giuridici».
Tutto il pubblico impiego e' stato coinvolto da questa articolata
regola di conformazione della retribuzione.
Infatti, si prevede che per il pubblico impiego non
contrattualizzato la retribuzione e' determinata senza tener conto
ne' dei meccanismi di adeguamento retributivo - quello di cui
all'art. 24 della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza
pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo), o altri di
progressione automatica degli stipendi - ne' delle «progressioni di
carriera comunque denominate».
Simmetricamente, per il lavoro pubblico contrattualizzato si
prevede che la retribuzione e' determinata senza tener conto ne'
delle «progressioni di carriera comunque denominate» (esattamente
come per il pubblico impiego non contrattualizzato), ne' dei passaggi
tra le aree, che sono parimenti assimilabili a progressioni di
carriera.
Cosi' articolata, e' questa la regola complessiva per
determinare, in chiave di contenimento della spesa, la retribuzione
"spettante" in tutto il pubblico impiego, contrattualizzato e non,
nel triennio 2011-2013, regola prorogata all'anno 2014.
A cio' si sono aggiunte altre misure di contenimento delle spese
per il pubblico impiego, quale il blocco della contrattazione
collettiva con conseguente congelamento dei livelli retributivi. Lo
stesso art. 9, al precedente comma 17, ha previsto che «[n]on si da'
luogo, senza possibilita' di recupero, alle procedure contrattuali e
negoziali relative al triennio 2010-2012» per il pubblico impiego
contrattualizzato, aggiungendo che, per il successivo triennio
(2013-2015), la contrattazione sarebbe stata possibile per la sola
parte normativa e «senza possibilita' di recupero per la parte
economica». Il regime di sospensione della contrattazione collettiva
e' stato poi dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla sentenza
n. 178 del 2015, ma soltanto a partire dal giorno successivo alla sua
pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica.
L'ampia e complessiva manovra diretta al contenimento delle spese
per il pubblico impiego ha quindi superato il vaglio di
costituzionalita', quanto al congelamento delle retribuzioni previsto
dal comma 21 dell'art. 9 del d.l. n. 78 del 2010 (sentenze n. 96 del
2016, n. 154 del 2014, n. 310 e n. 304 del 2013; ordinanza n. 113 del
2014) e soltanto il regime di sospensione della contrattazione
collettiva, di cui al comma 17 della medesima disposizione, e' poi
stato dichiarato costituzionalmente illegittimo, ma unicamente a
partire dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza (n.
178 del 2015). Si e' confermato cosi' indirettamente il blocco per il
periodo precedente e, in particolare, per il 2014, che e' l'anno in
cui il ricorrente nel giudizio a quo e' stato collocato in quiescenza
e al quale occorre fare riferimento per stabilire la retribuzione
utile al fine della quantificazione del trattamento pensionistico,
calcolato sia con il criterio contributivo, sia residualmente ancora
secondo il sistema retributivo.
7.- Va subito precisato che la censurata disposizione dettata per
contenere la spesa per il pubblico impiego (art. 9, comma 21, del
d.l. n. 78 del 2010, citato) e' costruita come regola per conformare
la retribuzione spettante e non gia' come prelievo straordinario su
una retribuzione piu' elevata.
Ove si fosse trattato di un prelievo straordinario sulle
retribuzioni dei pubblici dipendenti, sarebbe venuta in rilievo la
sua possibile natura tributaria. Tuttavia la giurisprudenza di questa
Corte ha gia' esaminato la disposizione censurata e ne ha escluso la
valenza tributaria con conseguente infondatezza anche, in
particolare, delle questioni di costituzionalita' sollevate sulla
base di tale presupposto (sentenza n. 304 del 2013). Ha affermato la
Corte, in quest'ultima pronuncia, che «[l]a norma censurata [...] non
ha natura tributaria in quanto non prevede una decurtazione o un
prelievo a carico del dipendente pubblico» (in senso conforme, con
riferimento alla stessa disposizione, le sentenze n. 96 del 2016 e n.
154 del 2014).
L'articolazione testuale dell'art. 9, comma 21, citato e la sua
evidente ratio confermano l'esclusione della natura tributaria. Si
tratta, invece, di una regola legale conformativa della retribuzione
dei pubblici dipendenti nel quadriennio in questione, che integra,
temporaneamente e in via eccezionale, la disciplina, legale o
contrattuale, del trattamento retributivo, per perseguire la
finalita' di contenerne il costo complessivo.
Muovendo da tale presupposto, questa Corte ha dichiarato non
fondate varie questioni di costituzionalita', sollevate con
riferimento essenzialmente all'art. 36 Cost. (sentenza n. 304 del
2013). Il legislatore puo' temporaneamente congelare gli incrementi
retributivi che, senza la regola limitativa posta dall'art. 9, comma
21, sarebbero altrimenti spettati ai pubblici dipendenti, sempre che
la retribuzione di risulta assicuri comunque il rispetto del canone
di proporzionalita' e sufficienza di cui all'art. 36 Cost.
Con riferimento alla stessa disposizione censurata, ha affermato
questa Corte (sentenza n. 96 del 2016) che «esigenze di politica
economica giustificano interventi che, come quello in esame,
comprimono solo temporaneamente gli effetti retributivi della
progressione in carriera».
Questa Corte ha, quindi, gia' ritenuto che la limitazione degli
incrementi stipendiali non sia tale da compromettere l'adeguatezza
complessiva della retribuzione, sicche' non vi e' ragione di dubitare
della legittimita' di questa regola legale conformativa della
retribuzione dei pubblici dipendenti.
8.- Il contenimento della retribuzione nel quadriennio suddetto
ha comportato, come conseguenza, che la retribuzione calcolata con il
criterio limitativo in questione e' stata anche la base di calcolo
della contribuzione previdenziale ed e' quella rilevante al fine
della quantificazione del trattamento pensionistico, sia nel
generalizzato sistema contributivo, sia in quello residuale ancora
retributivo.
Il differenziale tra la retribuzione percepita (perche'
"spettante" in ragione del criterio limitativo suddetto) e quella che
altrimenti sarebbe stata percepita dal pubblico dipendente, ove tale
criterio non fosse stato applicabile, rappresenta una quota di
retribuzione virtuale non rilevante ai fini pensionistici, perche'
non spettante ne' percepita. Manca una disposizione che deroghi a
tale effetto naturale della limitazione legale della retribuzione
spettante nel quadriennio in questione, a differenza di quanto e'
invece previsto - come eccezione alla regola - da altre disposizioni
dello stesso censurato art. 9 del d.l. n. 78 del 2010, sia al comma 1
(secondo cui la riduzione percentuale delle retribuzioni superiori a
una determinata soglia «non opera ai fini previdenziali»), sia dal
comma 22, quanto alle soppressioni di acconti e conguagli per il
personale magistratuale, che parimenti «non opera ai fini
previdenziali» (e che, comunque, e' stata ritenuta costituzionalmente
illegittima, perche' «eccede i limiti del raffreddamento delle
dinamiche retributive»: sentenza n. 223 del 2012).
Ne', in generale, per il pubblico impiego e' prevista alcuna
contribuzione figurativa su tale quota differenziale, altrimenti
necessaria ove in ipotesi essa dovesse rilevare ai fini
pensionistici.
In realta', il giudice rimettente non dubita della legittimita'
della quantificazione del trattamento pensionistico al momento del
collocamento in quiescenza; cio' che manca nella disposizione
censurata - e comporterebbe la violazione del principio di
eguaglianza - e' un meccanismo di ricalcolo del trattamento
pensionistico al momento di cessazione di operativita' del blocco
stipendiale, ossia a partire dal 1° gennaio 2015, sulla base della
retribuzione che sarebbe spettata al ricorrente in ragione della
progressione di carriera.
Secondo il giudice rimettente tutti i trattamenti pensionistici
dei dipendenti pubblici non contrattualizzati, che abbiano avuto una
progressione di carriera nel quadriennio 2011-2014, dovrebbero essere
riliquidati con decorrenza a partire dalla data suddetta, perche' sia
rispettato il principio di eguaglianza, tenendo conto della superiore
posizione raggiunta.
9.- Indubbiamente - come giustamente rileva il giudice rimettente
- l'aver questa Corte gia' ritenuto infondate questioni di
legittimita' costituzionale di tale regime limitativo, quanto ai
trattamenti retributivi, non assicura di per se' la legittimita'
della norma censurata nella misura in cui incide anche sul rapporto
contributivo, e segnatamente sui trattamenti pensionistici.
Vi e' pero' che, come la tenuta della prevista limitazione degli
incrementi retributivi deve essere parametrata soprattutto al canone
costituzionale della retribuzione proporzionata e sufficiente (art.
36 Cost.) - e in passato varie questioni in tal senso sono state
sollevate, e da questa Corte dichiarate non fondate (per tutte,
sentenza n. 310 del 2013) - cosi' la ricaduta di tale limitazione sui
trattamenti pensionistici ha come parametro di riferimento
essenzialmente l'art. 38 Cost., unitamente allo stesso art. 36 Cost.
Il trattamento pensionistico risultante dalla ricaduta, sul piano del
rapporto previdenziale, della regola limitativa degli incrementi
retributivi deve comunque, se complessivamente considerato, essere
proporzionale alla contribuzione previdenziale, nonche' sufficiente
ad assicurare al pensionato una vita dignitosa.
Al contrario, il giudice rimettente non invoca questi parametri
(lo fa - inammissibilmente - la parte costituita); non dubita,
dunque, della complessiva adeguatezza del trattamento pensionistico
spettante al ricorrente in ragione dell'applicazione del blocco
stipendiale.
10.- La Corte dei conti rimettente invoca un diverso parametro -
l'art. 3 Cost. - e pone (solo) una questione di ingiustificato
trattamento differenziato di situazioni che invece, in ragione del
principio di eguaglianza, andrebbero trattate allo stesso modo.
Infatti, pone in comparazione i pubblici dipendenti che sono stati
collocati in quiescenza nel quadriennio (e segnatamente nel 2014,
come il ricorrente nel giudizio a quo) e quelli collocati dopo tale
quadriennio.
Inoltre, non puo' non rilevarsi che la Corte dei conti rimettente
ritaglia la sollevata questione di costituzionalita' riferendola alla
piu' limitata categoria dei pubblici dipendenti non
contrattualizzati. Infatti, il dispositivo dell'ordinanza di
rimessione limita la censura di illegittimita' costituzionale alla
fattispecie del terzo periodo del comma 21 dell'art. 9 citato che -
come gia' detto - prescrive che per tale personale le «progressioni
di carriera comunque denominate», disposte nel triennio (puoi
divenuto quadriennio) in questione, abbiano effetto «ai fini
esclusivamente giuridici» e quindi non comportino incrementi
retributivi.
Ma il successivo quarto periodo del censurato comma 21 dell'art.
9 citato pone la stessa regola limitativa anche per le medesime
«progressioni di carriera comunque denominate» conseguite in tale
periodo dal personale contrattualizzato, a esse, inoltre, parificando
i «passaggi tra le aree» che costituiscono parimenti una progressione
di carriera.
La normativa del blocco stipendiale riguarda quindi,
all'evidenza, tutto il pubblico impiego, sia quello non
contrattualizzato preso specificamente in considerazione dalla Corte
dei conti rimettente, sia quello contrattualizzato, perche' la regola
limitativa che il giudice rimettente censura e' la stessa.
Per il resto, l'ordinanza di rimessione pone la questione in
termini generali, ossia con riferimento a qualsiasi ricaduta sul
trattamento pensionistico - a prescindere dal criterio di calcolo, se
contributivo o, residualmente, retributivo - del «congelamento» delle
retribuzioni previsto dall'art. 9, comma 21, terzo periodo, del d.l.
n. 78 del 2010, essendo quest'ultimo censurato, unitamente alle altre
disposizioni sopra richiamate, nella parte in cui non e' prevista, in
favore dei dipendenti pubblici, cessati dal servizio nell'arco
temporale della cristallizzazione degli incrementi retributivi, la
«valorizzazione in quiescenza, a decorrere dalla data di cessazione
del blocco, degli emolumenti pensionabili derivanti dalle
progressioni di carriera conseguite durante il blocco stesso».
Puo' anche aggiungersi che nel giudizio a quo viene in rilievo,
in particolare, il trattamento pensionistico del personale militare,
per il quale ai sensi dell'art. 1866 del decreto legislativo 15 marzo
2010, n. 66 (Codice dell'ordinamento militare), e dell'art. 53 del
D.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1092 (Approvazione del testo unico delle
norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari
dello Stato), la base pensionabile si determina con riferimento allo
stipendio e agli emolumenti retributivi pensionabili integralmente
percepiti in attivita' di servizio. Questa peculiarita', pero', non
rileva al fine dello scrutinio della questione di costituzionalita',
che dal giudice rimettente e' posta con riferimento alla disposizione
censurata che riguarda tutto il personale non contrattualizzato, tra
cui quello militare.
11.- Cio' posto, e' determinante considerare che il "fluire del
tempo" differenzia il regime pensionistico prima e dopo la scadenza
del quadriennio e giustifica il fatto che per i dipendenti collocati
in quiescenza nel quadriennio la retribuzione pensionabile -
calcolata vuoi con il sistema contributivo, vuoi ancora residualmente
con il sistema retributivo - debba tener conto della retribuzione
"spettante" secondo la disciplina applicabile ratione temporis,
mentre per i dipendenti collocati dopo la scadenza del quadriennio il
parametro di riferimento e' la retribuzione spettante fino alla data
del loro pensionamento.
Una volta sterilizzati ex lege, per effetto della disposizione
censurata, gli automatismi retributivi nel quadriennio in questione,
la retribuzione utile ai fini previdenziali e' quella risultante
dall'applicazione di tale regola limitativa, senza che a tal fine
rilevi il momento del collocamento in quiescenza, se nel corso del
quadriennio o successivamente alla sua scadenza.
Parimenti, una volta posta la regola dell'invarianza della
retribuzione dei pubblici dipendenti in caso di progressione di
carriera - senza che si dubiti della legittimita' costituzionale di
tale regola di iniziale immodificabilita' in melius della
retribuzione, vuoi perche' non ne dubita la Corte dei conti
rimettente, vuoi perche' questa Corte ha gia' ritenuto non fondate
questioni di costituzionalita' riguardanti la retribuzione e non gia'
la pensione (per tutte, sentenza n. 310 del 2013) - la ricaduta sul
piano del rapporto previdenziale e' generalizzata e non consente di
porre utilmente a raffronto il trattamento pensionistico, spettante
ai dipendenti collocati in quiescenza nel corso del quadriennio in
questione, con quello riconosciuto ai dipendenti collocati in
quiescenza dopo la scadenza di tale periodo. Cosi' come, con
riferimento al blocco della contrattazione collettiva, non potrebbero
esser posti in comparazione i trattamenti pensionistici liquidati
prima e dopo un incremento retributivo previsto dalla contrattazione
collettiva, una volta cessato il periodo di sospensione.
12.- E' solo in termini suggestivi che l'ordinanza di rimessione
lamenta che il dipendente collocato in quiescenza nel corso del
quadriennio subisca a tempo indeterminato il rigore della regola
censurata che congela solo temporaneamente gli incrementi
retributivi.
Questa prospettazione avrebbe una sua plausibilita' solo se la
regola posta dalla disposizione censurata fosse quella di un prelievo
straordinario sulle retribuzioni in caso di progressione di carriera:
cessata l'operativita' del prelievo, la retribuzione si riespande a
un livello superiore e si potrebbe dubitare della legittimita'
costituzionale di un prelievo che per una parte del pubblico impiego
in servizio nel quadriennio sarebbe ad tempus e per altra parte - i
pubblici dipendenti collocati in quiescenza nel corso del quadriennio
- sarebbe sofferta indefinitivamente senza limitazione di tempo.
Ma - come gia' sopra rilevato - la costruzione della disposizione
censurata come introduttiva di un prelievo straordinario sulle
retribuzioni dei pubblici dipendenti, con conseguente sua natura
tributaria, e' stata gia' esclusa da questa Corte (sentenze n. 154
del 2014 e n. 304 del 2013), a differenza della decurtazione
retributiva di cui al successivo comma 22 del medesimo art. 9, di cui
e' stata ritenuta invece la natura tributaria (con conseguente
fondatezza della questione di legittimita' costituzionale: sentenza
n. 223 del 2012).
La regola dell'iniziale invarianza della retribuzione in caso di
progressione di carriera (o di passaggio a un'area superiore) - ossia
la regola che cosi' fissa la retribuzione del pubblico dipendente
"promosso", privo inizialmente di anzianita' di servizio nella piu'
elevata posizione di lavoro conseguita - vale a definire la
retribuzione d'ingresso ad esso spettante, in quanto il soggetto
interessato ha diritto non gia' a una retribuzione superiore su cui
grava un prelievo forzoso, ma proprio a quella retribuzione che
percepiva prima della "promozione"; regola questa che e' si' di
rigore, ma la cui legittimita' costituzionale, o no, va verificata
sul piano del rapporto di impiego in corso e della disciplina del
trattamento retributivo. Ma una volta che non si dubita
dell'adeguatezza della retribuzione spettante al pubblico dipendente
"promosso", la stessa varra' anche sul piano (contributivo e)
previdenziale, al fine di quantificare il trattamento pensionistico
al quale il dipendente stesso ha diritto, quale che sia il sistema di
calcolo, se contributivo o ancora residualmente retributivo. Questa
Corte, con riferimento alla stessa disposizione attualmente censurata
(art. 9, comma 21, terzo periodo, citato) ha affermato che «non e'
prevista l'obbligatoria corrispondenza tra grado e funzioni e,
conseguentemente, tra grado e trattamento economico collegato
all'esercizio delle funzioni» (sentenza n. 304 del 2013). E ha
ritenuto anche che non fosse violato il principio di eguaglianza in
ragione della denunciata disparita' di trattamento tra dipendenti che
avevano conseguito una progressione di carriera raggiungendo un grado
piu' elevato prima o dopo l'inizio del blocco stipendiale (sentenza
n. 154 del 2014). Piu' recentemente, con riferimento alla stessa
normativa, si e' ribadito (sentenza n. 96 del 2016) che «questa Corte
ha valorizzato il criterio oggettivo che si ricava dalla maggiore
anzianita' di servizio dei soggetti destinatari di un miglior
trattamento economico corrispondente all'ottenuta promozione
(sentenza n. 304 del 2013), criterio cui si affianca quello della
maggiore anzianita' nel grado (sentenza n. 154 del 2014)».
La circostanza che, superato il quadriennio, al dipendente
"promosso" sia attribuita una retribuzione superiore, rilevante anche
sul piano (contributivo e) previdenziale e del trattamento
pensionistico, si giustifica - senza che percio' sia leso il
principio di eguaglianza - per l'incidenza del "fluire del tempo" che
costituisce sufficiente elemento idoneo a differenziare situazioni
non comparabili e a rendere applicabile alle stesse una disciplina
diversa (ex plurimis, sentenze n. 104 del 2018, n. 53 del 2017, n.
254 del 2014).
13.- Conclusivamente, le questioni di costituzionalita' sollevate
dalla Corte dei conti rimettente vanno dichiarate non fondate.
Spetterebbe comunque al legislatore, nell'esercizio discrezionale
delle scelte di politica economica e di compatibilita' con l'esigenza
di equilibrio della finanza pubblica, prevedere eventualmente quanto
richiede il giudice rimettente: la riliquidazione dei trattamenti
pensionistici dei pubblici dipendenti, collocati in quiescenza nel
quadriennio del blocco degli incrementi stipendiali, e che nello
stesso periodo abbiano conseguito una progressione di carriera o un
passaggio a un'area superiore.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni di legittimita' costituzionale
dell'art. 9, comma 21, terzo periodo, del decreto-legge 31 maggio
2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria
e di competitivita' economica), convertito, con modificazioni, in
legge 30 luglio 2010, n. 122, e dell'art. 16, comma 1, lettera b),
del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la
stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, in legge
15 luglio 2011, n. 111, come integrato dall'art. 1, comma 1, lettera
a), primo periodo, del d.P.R. 4 settembre 2013, n. 122 (Regolamento
in materia di proroga del blocco della contrattazione e degli
automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti, a norma dell'art.
16, commi 1, 2 e 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98,
convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111),
sollevate, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dalla Corte
dei conti, sezione giurisdizionale per la Liguria, con l'ordinanza
indicata in epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, l'11 ottobre 2018.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Giovanni AMOROSO, Redattore
Filomena PERRONE, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 15 novembre 2018.
Il Cancelliere
F.to: Filomena PERRONE
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mercoledì 21 novembre 2018
N. 200 SENTENZA 11 ottobre - 15 novembre 2018 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Previdenza - Dipendenti pubblici collocati in quiescenza nel quadriennio 2011-2014 - Incidenza sul trattamento pensionistico delle misure limitative delle pensioni. - Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica) - convertito, con modificazioni, in legge 30 luglio 2010, n. 122 - art. 9, comma 21, terzo periodo; decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria) - convertito, con modificazioni, in legge 15 luglio 2011, n. 111 - art. 16, comma 1, lettera b), come integrato dall'art. 1, comma 1, lettera a), primo periodo, del d.P.R. 4 settembre 2013, n. 122 (Regolamento in materia di proroga del blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti, a norma dell'articolo 16, commi 1, 2, e 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111). - (T-180200) (GU 1a Serie Speciale - Corte Costituzionale n.46 del 21-11-2018)
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