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mercoledì 21 novembre 2018

N. 200 SENTENZA 11 ottobre - 15 novembre 2018 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Previdenza - Dipendenti pubblici collocati in quiescenza nel quadriennio 2011-2014 - Incidenza sul trattamento pensionistico delle misure limitative delle pensioni. - Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica) - convertito, con modificazioni, in legge 30 luglio 2010, n. 122 - art. 9, comma 21, terzo periodo; decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria) - convertito, con modificazioni, in legge 15 luglio 2011, n. 111 - art. 16, comma 1, lettera b), come integrato dall'art. 1, comma 1, lettera a), primo periodo, del d.P.R. 4 settembre 2013, n. 122 (Regolamento in materia di proroga del blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti, a norma dell'articolo 16, commi 1, 2, e 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111). - (T-180200) (GU 1a Serie Speciale - Corte Costituzionale n.46 del 21-11-2018)

N. 200 SENTENZA 11 ottobre - 15 novembre 2018

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Previdenza  -  Dipendenti  pubblici  collocati  in   quiescenza   nel
  quadriennio 2011-2014 -  Incidenza  sul  trattamento  pensionistico
  delle misure limitative delle pensioni.
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in  materia  di
  stabilizzazione  finanziaria  e  di  competitivita'  economica)   -
  convertito, con modificazioni, in legge 30 luglio 2010,  n.  122  -
  art. 9, comma 21, terzo periodo; decreto-legge 6  luglio  2011,  n.
  98, (Disposizioni urgenti per  la  stabilizzazione  finanziaria)  -
  convertito, con modificazioni, in legge 15 luglio 2011,  n.  111  -
  art. 16, comma 1, lettera b), come integrato dall'art. 1, comma  1,
  lettera a), primo periodo, del d.P.R.  4  settembre  2013,  n.  122
  (Regolamento in materia di proroga del blocco della  contrattazione
  e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti, a  norma
  dell'articolo 16, commi 1, 2, e 3, del decreto-legge 6 luglio 2011,
  n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15  luglio  2011,
  n. 111).

(GU n.46 del 21-11-2018 )
 

                       LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
Presidente:Giorgio LATTANZI;
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo CORAGGIO,  Silvana  SCIARRA,  Daria  de  PRETIS,  Nicolo'
  ZANON,  Augusto  Antonio  BARBERA,  Giulio  PROSPERETTI,   Giovanni
  AMOROSO, Francesco VIGANO',
     
    ha pronunciato la seguente

                              SENTENZA

    nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  9,  comma
21, terzo periodo, del decreto-legge 31 maggio 2010,  n.  78  (Misure
urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita'
economica), convertito, con modificazioni, in legge 30  luglio  2010,
n. 122; dell'art. 16, comma 1, lettera b), del decreto-legge 6 luglio
2011,  n.  98,   (Disposizioni   urgenti   per   la   stabilizzazione
finanziaria), convertito, con modificazioni, in legge 15 luglio 2011,
n. 111, come specificato dall'art. 1,  comma  1,  lettera  a),  primo
periodo, del d.P.R. 4 settembre 2013, n. 122 (Regolamento in  materia
di proroga  del  blocco  della  contrattazione  e  degli  automatismi
stipendiali per i pubblici  dipendenti,  a  norma  dell'articolo  16,
commi 1, 2, e 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98,  convertito,
con modificazioni, dalla legge 15  luglio  2011,  n.  111),  promosso
dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per  la  Liguria,  nel
procedimento vertente tra F. S. e  il  Ministero  della  difesa,  con
ordinanza del 13  gennaio  2017,  iscritta  al  n.  71  del  registro
ordinanze 2017 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 21, prima serie speciale, dell'anno 2017.
    Visti  l'atto  di  costituzione  di  F.  S.,  nonche'  l'atto  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    udito  nell'udienza  pubblica  del  20  giugno  2018  il  Giudice
relatore  Giulio  Prosperetti,  sostituito  per  la  redazione  della
decisione dal Giudice Giovanni Amoroso;
    uditi gli avvocati Umberto Verdacchi e Alba Giordano per F. S.  e
l'avvocato dello  Stato  Vincenzo  Nunziata  per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.- La Corte dei conti, sezione giurisdizionale per  la  Liguria,
con  ordinanza  del  13  gennaio  2017  ha  sollevato  questioni   di
legittimita'  costituzionale,  per  violazione  dell'art.   3   della
Costituzione, dell'art. 9, comma 21, terzo periodo, del decreto-legge
31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia  di  stabilizzazione
finanziaria  e  di   competitivita'   economica),   convertito,   con
modificazioni, in legge 30 luglio 2010, n. 122, e dell'art. 16, comma
l, lettera b), del decreto-legge 6 luglio 2011, n.  98  (Disposizioni
urgenti  per  la  stabilizzazione   finanziaria),   convertito,   con
modificazioni, in legge  15  luglio  2011,  n.  111,  come  integrato
dall'art. l, comma  l,  lettera  a),  primo  periodo,  del  d.P.R.  4
settembre 2013, n. 122 (Regolamento in materia di proroga del  blocco
della contrattazione e degli automatismi stipendia1i per  i  pubblici
dipendenti,  a  norma  dell'articolo  16,  commi  l,  2  e   3,   del
decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98,  convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 15 luglio 2011, n. 111), nella parte in cui «dette  norme
non hanno previsto, nei confronti dei soggetti che sarebbero  cessati
dal  servizio  nell'arco  temporale  della  "cristallizzazione",   la
valorizzazione in quiescenza, a decorrere dalla  data  di  cessazione
del   blocco,   degli   emolumenti   pensionabili   derivanti   dalle
progressioni di carriera conseguite durante il blocco stesso».
    Espone il giudice rimettente che S. F.,  ufficiale  della  Marina
militare, e' cessato dal servizio per  limiti  di  eta'  a  decorrere
dall'8 febbraio 2014, essendo stato  collocato  in  ausiliaria  dalla
stessa data, ai sensi degli artt. 886, comma 1, e 992, comma  l,  del
decreto legislativo 15 marzo 2010,  n.  66  (Codice  dell'ordinamento
militare). Lo stesso ha convenuto  in  giudizio  il  Ministero  della
difesa avverso il rifiuto  opposto  all'istanza  di  rideterminazione
della pensione e  ha  chiesto  l'annullamento  del  provvedimento  di
determinazione della pensione provvisoria nella parte in cui  assume,
nella  base  pensionabile,  lo  stipendio   e   gli   altri   assegni
pensionabili propri  del  grado  di  ammiraglio  ispettore,  anziche'
quelli  propri  del  grado  di  ammiraglio  ispettore   capo,   grado
attribuitogli a seguito della  promozione  conseguita  il  30  agosto
2012. Il ricorrente ha lamentato di non  aver  avuto  il  trattamento
economico del grado di ammiraglio ispettore capo, conseguito  durante
il periodo di blocco, disposto dalle predette norme, degli incrementi
retributivi derivanti dalle progressioni di carriera, e di aver avuto
la pensione determinata in relazione alla base pensionabile correlata
al trattamento economico inferiore al grado rivestito  alla  data  di
cessazione dal servizio.
    Prosegue il giudice  a  quo  che  il  Ministero  della  difesa  -
Direzione generale della previdenza militare e  della  leva,  si  era
costituito contestando, in via pregiudiziale, la giurisdizione  della
Corte dei conti e, nel merito, chiedendo il rigetto del ricorso.
    Il giudice a quo, all'udienza del 18 novembre 2016, con  sentenza
parziale n. 109 del 2016, ha  rigettato  le  eccezioni  proposte  dal
Ministero della difesa, affermando la giurisdizione della  Corte  dei
conti,  e,  dichiarata  quindi  l'ammissibilita'  del   gravame,   ha
sollevato,  con  separata  ordinanza,  la   suddetta   questione   di
legittimita', peraltro prospettata dal ricorrente in via subordinata.
    2.- Osserva il rimettente che il periodo di efficacia del  blocco
degli effetti economici derivanti dalle progressioni di  carriera  si
e' concluso al 31 dicembre 2014. Conseguentemente, a decorrere dal l°
gennaio 2015,  il  personale  in  servizio  ha  potuto  godere  degli
emolumenti derivanti dalle progressioni di  carriera  conseguite  nel
periodo del blocco.
    Illustrate le disposizioni applicabili alla fattispecie in esame,
il rimettente, nell'evidenziare che la questione dedotta in  giudizio
verte dunque sul quantum  del  diritto  a  pensione,  assume  che  la
pretesa avanzata nel giudizio principale dal  ricorrente  di  vedersi
determinata la pensione sulla base della retribuzione  corrispondente
al grado di ammiraglio ispettore capo - conseguito il 30 agosto 2012,
ovvero in vigenza del blocco  del  correlato  incremento  stipendiale
disposto dalle norme censurate - non puo', tuttavia,  essere  accolta
atteso il contesto normativo vigente.
    Il  giudice  a  quo,  al  riguardo,  deduce  che  -  secondo   la
giurisprudenza della Corte dei conti  -  il  trattamento  stipendiale
corrispondente alla progressione  di  carriera  conseguita  «ai  fini
esclusivamente giuridici» nel periodo del blocco, non essendo entrato
a far parte della base retributiva e contributiva del ricorrente, non
puo', in assenza di un'espressa previsione in tal senso, entrare  nel
calcolo  della  base  pensionabile   e   nella   determinazione   del
trattamento di quiescenza.  Infatti,  ai  sensi  dell'art.  1866  del
d.lgs. n. 66 del 2010 e dell'art. 53 del d.P.R. 29 dicembre 1973,  n.
1092 (Approvazione del testo unico delle  norme  sul  trattamento  di
quiescenza dei dipendenti civili e militari  dello  Stato),  la  base
pensionabile si determina  con  riferimento  allo  stipendio  e  agli
emolumenti  retributivi  pensionabili  integralmente   percepiti   in
attivita' di  servizio.  Anche  per  effetto  delle  disposizioni  in
materia  di  ampliamento  della  base  contributiva  e   pensionabile
previste dall'art. 2, commi 9, 10 e 11, della legge 8 agosto 1995, n.
335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare),
il trattamento di quiescenza va rapportato alla contribuzione versata
durante il rapporto lavorativo e, quindi, agli  emolumenti  percepiti
in servizio.
    Il legislatore, tuttavia, introducendo un temporaneo e transeunte
blocco degli effetti economici delle progressioni di carriera, non ha
considerato la posizione di coloro che sarebbero cessati dal servizio
prima   della   cessazione   della   «cristallizzazione   economica»,
trascurando, in  tal  modo,  che  gli  stessi  avrebbero  subito  una
«vanificazione»  della  conseguita  progressione  di  carriera,   con
definitiva perdita della retribuzione discendente dalla  progressione
stessa.
    La mancata previsione della valorizzazione  in  quiescenza  degli
emolumenti pensionabili derivanti dalle progressioni di  carriera,  a
far data dalla cessazione del regime di blocco, determina  -  secondo
il giudice rimettente - il contrasto della disciplina  censurata  con
l'art. 3 Cost.,  sotto  il  duplice  aspetto  della  contrarieta'  al
principio della ragionevolezza e al principio di uguaglianza.
    Infatti, da una parte tale disciplina si appalesa irragionevole a
causa degli effetti definitivi che si  producono  nei  confronti  dei
soggetti che,  cessando  dal  servizio  prima  della  cessazione  del
blocco, non possono godere,  neanche  ai  fini  pensionistici,  degli
effetti economici delle conseguite  promozioni.  Il  sacrificio  loro
imposto, non avendo carattere temporaneo, va  oltre  la  giustificata
necessita' di risparmi immediati  per  il  contenimento  della  spesa
pubblica e, quindi, va oltre la  insindacabile  discrezionalita'  del
legislatore, sfociando in una arbitraria, e comunque  sproporzionata,
compromissione,  solo  per  alcuni,  degli  interessi  colpiti  dalla
«cristallizzazione» degli adeguamenti retributivi.
    D'altra  parte,  vi   e'   una   disciplina   ingiustificatamente
differenziata: i dipendenti rimasti in servizio possono godere  degli
effetti economici della progressione  alla  data  di  cessazione  del
blocco, mentre altri, come il ricorrente, cessati  dal  servizio  per
limiti di eta' nel periodo del blocco, non possono goderne neanche ai
fini della determinazione della base  pensionabile.  Ne'  la  diversa
eta' anagrafica o la sopravvenuta cessazione  dal  servizio  dopo  il
periodo di blocco rappresentano elementi  idonei  a  giustificare  il
trattamento differenziato a fronte di identiche situazioni giuridiche
caratterizzate dalla stessa anzianita' di  servizio  e  dall'avvenuto
conseguimento della medesima progressione.
    3.- Con atto di intervento depositato in data 13 giugno 2017,  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  ha  chiesto  di  dichiarare
infondate le questioni di legittimita' costituzionale sollevate.
    La difesa statale ricorda la giurisprudenza di questa  Corte,  in
base  alla  quale  e'  stata   dichiarata   la   legittimita'   delle
disposizioni  che  hanno  introdotto  il  blocco   degli   incrementi
stipendiali, in quanto giustificate dalle  esigenze  di  contenimento
della spesa pubblica, e assume che «eventuali discrasie, come  quelle
evidenziate dal giudice remittente in ordine alle discriminazioni tra
dipendenti, costituiscono ostacoli di fatto,  tali  comunque  da  non
vanificare le predette inderogabili esigenze  di  contenimento  della
spesa pubblica per far fronte alla grave crisi economica».
    4.- Con atto depositato in data 13 giugno 2017, si e'  costituito
S.  F.,  aderendo  alla  richiesta  declaratoria  di   illegittimita'
costituzionale avanzata dal giudice rimettente, per le  ragioni  e  i
profili indicati nell'ordinanza.
    Aggiunge, inoltre, la parte costituita che «un ulteriore  profilo
di incostituzionalita'  si  appalesa  per  violazione  dei  parametri
desumibili dagli articoli 36 e 38 della Costituzione. Ed infatti:  e'
pacifica la natura di  retribuzione  differita  della  pensione;  non
trova  giustificazione   la   mancata   determinazione   della   base
pensionabile, tenendo conto del trattamento economico  corrispondente
al grado  rivestito,  per  effetto  della  progressione  di  carriera
maturata anche nel periodo inciso dalla "cristallizzazione",  perche'
l'art. 9, comma 21, terzo periodo del D.L. n. 78/2010, non lo prevede
espressamente».
    5.- In prossimita' dell'udienza, la medesima parte ha  depositato
una memoria nella quale ha ribadito le argomentazioni gia'  svolte  a
sostegno della fondatezza della  dedotta  questione  di  legittimita'
costituzionale.

                       Considerato in diritto

    1.- Con ordinanza del 13 gennaio 2017 la Corte dei conti, sezione
giurisdizionale per la Liguria, ha sollevato questioni incidentali di
legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 21, terzo periodo, del
decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure  urgenti  in  materia  di
stabilizzazione   finanziaria   e   di   competitivita'   economica),
convertito, con modificazioni, in legge 30 luglio  2010,  n.  122,  e
dell'art. 16, comma 1 , lettera b), del decreto-legge 6 luglio  2011,
n. 98 (Disposizioni  urgenti  per  la  stabilizzazione  finanziaria),
convertito, con modificazioni, in legge 15 luglio 2011, n. 111,  come
integrato dall'art. 1, comma 1, lettera a), primo periodo, del d.P.R.
4 settembre 2013, n. 122  (Regolamento  in  materia  di  proroga  del
blocco della contrattazione e degli  automatismi  stipendiali  per  i
pubblici dipendenti, a norma dell'art.  16,  commi  1,  2  e  3,  del
decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98,  convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 15 luglio 2011, n. 111).
    Secondo la Corte dei conti rimettente, le disposizioni  censurate
contrasterebbero con l'art. 3 della Costituzione nella parte  in  cui
non hanno previsto, nei confronti dei soggetti cessati  dal  servizio
nell'arco  temporale  della  «cristallizzazione»   degli   incrementi
retributivi (relativo agli  anni  2011-2014),  la  valorizzazione  in
quiescenza,  a  decorrere  dalla  data  di  cessazione   del   blocco
stipendiale,   degli   emolumenti   pensionabili   derivanti    dalle
progressioni di carriera conseguite durante il blocco stesso.
    Le questioni sono state sollevate nel procedimento promosso da F.
S., ufficiale della  Marina  militare  con  il  grado  di  ammiraglio
ispettore, cessato dal servizio per limiti di eta' a decorrere dall'8
febbraio  2014,  contro  il  Ministero  della  difesa,  per  ottenere
l'annullamento  del   provvedimento   (del   31   luglio   2015)   di
determinazione  della  pensione  provvisoria   della   Direzione   di
commissariato   Marina   militare   di   Roma   e   la    conseguente
rideterminazione della pensione, considerando, come base  di  calcolo
del trattamento di quiescenza,  lo  stipendio  e  gli  altri  assegni
pensionabili propri  del  grado  di  ammiraglio  ispettore,  anziche'
quelli propri del grado di ammiraglio ispettore  capo,  conseguito  a
seguito  della  promozione  del  30  agosto  2012.  L'Amministrazione
militare  non  aveva  tenuto  conto,  al  fine  della  determinazione
provvisoria  della  pensione,   della   promozione   conseguita   dal
ricorrente, perche' ricadente nell'intervallo di tempo della  vigenza
della disciplina censurata, che  prevedeva  che  gli  avanzamenti  di
carriera avevano effetto «ai fini esclusivamente giuridici» e  quindi
non anche economici.
    2.- Preliminarmente, sotto  il  profilo  dell'ammissibilita',  va
considerato che la Corte dei conti rimettente deve fare  applicazione
dell'art. 1, comma 1, lettera a), primo periodo, del  d.P.R.  n.  122
del 2013, che proroga il blocco stipendiale per l'anno 2014,  perche'
il ricorrente e' cessato dal servizio per limiti di eta' a  decorrere
dall'8 febbraio 2014, ossia proprio nel corso dell'anno che ha  visto
prorogata  la   disciplina   legale   limitativa   degli   incrementi
retributivi.
    E infatti, l'art. 16, comma 1, lettera b), del  d.l.  n.  98  del
2011, non ha prorogato direttamente il blocco disposto  dall'art.  9,
comma 21, del d.l. n. 78 del 2010 per il triennio  2011-2013,  ancora
in corso alla data di entrata in vigore del medesimo d.l. n.  98  del
2011, ma ha previsto che «[...] con uno o piu' regolamenti da emanare
ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23  agosto  1988,  n.
400, su proposta dei  Ministri  per  la  pubblica  amministrazione  e
l'innovazione e dell'economia e delle finanze, puo' essere  disposta:
[...]  b)  la  proroga  fino  al  31  dicembre  2014  delle   vigenti
disposizioni che limitano la crescita dei trattamenti economici anche
accessori del  personale  delle  pubbliche  amministrazioni  previste
dalle disposizioni medesime».  Quindi,  la  proroga  del  blocco  per
l'anno 2014 era rimessa  a  una  scelta  discrezionale  del  Governo,
proroga che - disponeva l'art. 16, comma  1,  lettera  b),  citato  -
«puo'» - non necessariamente deve - «essere disposta».
    Approssimandosi la scadenza del triennio 2011-2013, il Governo e'
intervenuto con il regolamento emanato con il d.P.R. n. 122 del 2013,
che, all'art. 1, comma 1, lettera a), primo periodo, ha previsto: «le
disposizioni recate dall'articolo 9, commi 1, 2 nella parte  vigente,
2-bis e 21 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010,  n.  122,  sono  prorogate
fino al  31  dicembre  2014»;  ossia  per  un  ulteriore  anno  oltre
l'iniziale triennio (2011-2013) al quale si riferiva la  disposizione
richiamata. La quale in tanto e' anch'essa applicabile  nel  caso  di
specie in quanto richiamata  dal  combinato  disposto  dell'art.  16,
comma 1, lettera b), del citato d.l. n. 98 del 2011, e  dell'art.  1,
comma 1, lettera a), primo periodo, del d.P.R. n. 122 del 2013.
    Nella  specie,  il   trattamento   pensionistico   spettante   al
ricorrente, della cui esatta quantificazione si dibatte nel  giudizio
a quo, decorre dalla data del collocamento in quiescenza (8  febbraio
2014) ed e' la disciplina del blocco  stipendiale  vigente  a  quella
data che viene in rilievo, anche se ai fini retributivi - ma di  cio'
non si fa questione - il ricorrente ha subito il  rigore  del  blocco
stipendiale pure nel corso del triennio precedente  a  partire  dalla
data della progressione al grado superiore.
    Quindi, nel giudizio a quo,  essendo  applicabile  la  disciplina
della proroga del blocco per l'anno 2014, viene  in  rilievo  proprio
l'art. 1, comma 1, lettera a), primo periodo, del d.P.R. n.  122  del
2013, che prevede la proroga  al  2014  della  disciplina  limitativa
degli incrementi retributivi, e non  gia'  direttamente  l'originaria
disciplina  del  blocco  stipendiale  per  il   triennio   2011-2013,
quest'ultima, invece, di rango solo primario.
    Il  citato  art.  1   ha   pero'   natura   regolamentare,   come
espressamente previsto dalla disposizione di legge (art. 16, comma 1,
lettera b, citato) che ha  autorizzato  il  Governo  a  emanarla,  e,
quindi, costituisce una norma subprimaria, priva di «forza di  legge»
ai sensi dell'art. 134 Cost.
    3.-  Tale  natura  subprimaria   della   disciplina   posta   dal
regolamento citato potrebbe far  dubitare  dell'ammissibilita'  delle
questioni sollevate dal giudice rimettente,  in  quanto  verrebbe  in
rilievo il limite del sindacato accentrato di costituzionalita' posto
dall'art. 134 Cost.
    Questa Corte ha, infatti, gia' avuto  modo  di  chiarire  che  la
propria giurisdizione e' limitata alla cognizione dell'illegittimita'
costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge  e  non
si estende a norme di natura regolamentare, neppure ai regolamenti di
delegificazione (sentenza n. 427 del 2000; ordinanze n. 254 del 2016,
n. 156 del 2013, n. 37 del 2007, n. 401 e n. 125 del 2006, e  n.  389
del  2004).  Il  sindacato  di  costituzionalita'   della   normativa
subprimaria e' rimesso  alla  cognizione  del  giudice  comune:  alla
giurisdizione di annullamento del giudice amministrativo e al  potere
di disapplicazione incidentale di ogni altro giudice.
    4.- Non di meno, nella  fattispecie,  la  disposizione  censurata
puo' essere oggetto di  questione  incidentale  di  costituzionalita'
innanzi a questa Corte.
    Vi e' infatti che, con l'arresto giurisprudenziale  rappresentato
dalla sentenza n. 1104 del 1988, in seguito ripetutamente  confermato
(da ultimo, sentenza n. 178 del 2015), questa Corte ha affermato che,
ove la regolamentazione censurata  di  illegittimita'  costituzionale
sia rappresentata, nella sostanza,  dal  combinato  disposto  di  una
norma primaria e di  una  subprimaria  e  se  la  prima  «risulta  in
concreto applicabile attraverso  le  specificazioni  formulate  nella
fonte secondaria», e' possibile  il  sindacato  di  costituzionalita'
sulla  norma  primaria  tenendo  conto  che  quella  subprimaria   ne
costituisce un «completamento del contenuto prescrittivo». La  citata
pronuncia ha ritenuto  sussistente  questo  nesso  di  specificazione
qualificata e, entrando  nel  merito  delle  censure,  ha  dichiarato
l'illegittimita' costituzionale della norma primaria.
    Analogamente, la sentenza n. 34  del  2011  ha  ritenuto  che  un
determinato regolamento ministeriale costituisse  «specificazione  di
una normativa di rango primario ed in particolare della  disposizione
censurata sicche', unitamente a quest'ultima, puo' costituire oggetto
del giudizio incidentale di costituzionalita'». In senso conforme, e'
anche la  sentenza  n.  242  del  2014,  che  ha  affermato  che  «le
disposizioni regolamentari contestualmente impugnate contribuiscono a
chiarire il contenuto  applicativo  della  disposizione  legislativa,
della  quale  costituiscono   specificazione;   pertanto,   e'   solo
unitamente a quest'ultima  che  le  stesse  possono  rientrare  nella
valutazione rimessa a questa Corte». Piu' recentemente, con  sentenza
n. 178 del 2015, e' stata dichiarata l'illegittimita'  costituzionale
(sopravvenuta)  del  regime  di  sospensione   della   contrattazione
collettiva, risultante dalla norma primaria, come  specificato  dalla
norma subprimaria.
    Anche nella fattispecie in esame sussiste questo nesso stretto di
specificazione qualificata, che  lega  la  norma  primaria  e  quella
subprimaria.
    La regola che la  Corte  dei  conti  rimettente  e'  chiamata  ad
applicare per stabilire se, anche ai fini pensionistici, operi, o no,
il limite agli incrementi  retributivi  nel  corso  del  rapporto  di
lavoro, e' recata dalla disposizione  regolamentare  che  proroga  il
blocco stipendiale anche per l'anno 2014, autorizzata  a  cio'  dalla
disposizione di legge che demanda al regolamento - e quindi al potere
esecutivo - tale scelta di  politica  economica.  Sicche',  puo'  ben
dirsi che la norma regolamentare costituisce  il  «completamento  del
contenuto prescrittivo» della norma primaria (sentenza  n.  1104  del
1988).
    E' la disposizione regolamentare  (subprimaria)  che  riempie  di
contenuto la  disposizione  di  legge  (primaria).  La  regola  della
limitazione degli incrementi retributivi nel corso del 2014 e' recata
dal loro stretto combinato disposto, sicche' la  disposizione  avente
forza  di  legge  attrae  al   livello   primario   la   disposizione
regolamentare, quantunque di rango subprimario.
    La norma di risulta, che tale regola reca, puo'  pertanto  essere
oggetto di questione incidentale di legittimita'  costituzionale,  la
quale pertanto e' ammissibile.
    5.- Nel merito, la questione sollevata  dal  giudice  rimettente,
con riferimento all'art. 3 Cost., non e' fondata.
    Non rilevano, invece, gli altri parametri  indicati  dalla  parte
privata  costituita  che  ha  chiesto  di  valutare  la  legittimita'
costituzionale della normativa censurata anche con  riferimento  agli
artt. 36 e 38 Cost., non avendo in generale  le  parti  costituite  o
intervenute in giudizio il potere di ampliare  il  thema  decidendum,
quale posto dal giudice rimettente (ex plurimis, sentenze n. 231,  n.
83, n. 37 e n. 34 del 2015, n. 271 del 2011,  n.  236  e  n.  56  del
2009).
    6.- Va  rilevato,  anzitutto,  che  la  regola  limitativa  degli
incrementi stipendiali -  applicabile  nel  giudizio  a  quo  per  il
tramite del rinvio del combinato  disposto  dell'art.  16,  comma  1,
lettera b), del d.l. n. 98 del 2011, e dell'art. 1, comma 1,  lettera
a), primo periodo, del d.P.R. n. 122 del 2013 - e' posta dall'art. 9,
comma 21, del d.l.  n.  78  del  2010,  dichiaratamente  al  fine  di
contenere le spese in materia di impiego pubblico, come risulta dalla
stessa rubrica della disposizione.
    Tale  disposizione  stabilisce:  «I  meccanismi  di   adeguamento
retributivo  per  il   personale   non   contrattualizzato   di   cui
all'articolo 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165,  cosi'
come previsti dall'articolo 24 della legge 23 dicembre 1998, n.  448,
non si applicano per gli anni 2011, 2012 e 2013 ancorche' a titolo di
acconto, e non danno comunque luogo a  successivi  recuperi.  Per  le
categorie di personale di cui all'articolo 3 del decreto  legislativo
30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni, che fruiscono di un
meccanismo di progressione automatica degli stipendi, gli anni  2011,
2012 e 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle  classi  e
degli scatti di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti. Per il
personale di cui all'articolo 3  del  decreto  legislativo  30  marzo
2001, n. 165 e successive modificazioni le progressioni  di  carriera
comunque denominate eventualmente disposte negli anni  2011,  2012  e
2013 hanno effetto, per  i  predetti  anni,  ai  fini  esclusivamente
giuridici. Per il  personale  contrattualizzato  le  progressioni  di
carriera comunque denominate ed i passaggi tra le aree  eventualmente
disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per  i  predetti
anni, ai fini esclusivamente giuridici».
    Tutto il pubblico impiego e' stato coinvolto da questa articolata
regola di conformazione della retribuzione.
    Infatti,  si  prevede   che   per   il   pubblico   impiego   non
contrattualizzato la retribuzione e' determinata  senza  tener  conto
ne' dei  meccanismi  di  adeguamento  retributivo  -  quello  di  cui
all'art. 24 della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure  di  finanza
pubblica  per  la  stabilizzazione  e  lo  sviluppo),  o   altri   di
progressione automatica degli stipendi - ne' delle  «progressioni  di
carriera comunque denominate».
    Simmetricamente, per  il  lavoro  pubblico  contrattualizzato  si
prevede che la retribuzione e'  determinata  senza  tener  conto  ne'
delle «progressioni di  carriera  comunque  denominate»  (esattamente
come per il pubblico impiego non contrattualizzato), ne' dei passaggi
tra le aree,  che  sono  parimenti  assimilabili  a  progressioni  di
carriera.
    Cosi'  articolata,  e'   questa   la   regola   complessiva   per
determinare, in chiave di contenimento della spesa,  la  retribuzione
"spettante" in tutto il pubblico impiego,  contrattualizzato  e  non,
nel triennio 2011-2013, regola prorogata all'anno 2014.
    A cio' si sono aggiunte altre misure di contenimento delle  spese
per  il  pubblico  impiego,  quale  il  blocco  della  contrattazione
collettiva con conseguente congelamento dei livelli  retributivi.  Lo
stesso art. 9, al precedente comma 17, ha previsto che «[n]on si  da'
luogo, senza possibilita' di recupero, alle procedure contrattuali  e
negoziali relative al triennio 2010-2012»  per  il  pubblico  impiego
contrattualizzato,  aggiungendo  che,  per  il  successivo   triennio
(2013-2015), la contrattazione sarebbe stata possibile  per  la  sola
parte normativa e  «senza  possibilita'  di  recupero  per  la  parte
economica». Il regime di sospensione della contrattazione  collettiva
e' stato poi dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla sentenza
n. 178 del 2015, ma soltanto a partire dal giorno successivo alla sua
pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica.
    L'ampia e complessiva manovra diretta al contenimento delle spese
per  il  pubblico  impiego  ha   quindi   superato   il   vaglio   di
costituzionalita', quanto al congelamento delle retribuzioni previsto
dal comma 21 dell'art. 9 del d.l. n. 78 del 2010 (sentenze n. 96  del
2016, n. 154 del 2014, n. 310 e n. 304 del 2013; ordinanza n. 113 del
2014) e  soltanto  il  regime  di  sospensione  della  contrattazione
collettiva, di cui al comma 17 della medesima  disposizione,  e'  poi
stato dichiarato  costituzionalmente  illegittimo,  ma  unicamente  a
partire dal giorno successivo alla pubblicazione della  sentenza  (n.
178 del 2015). Si e' confermato cosi' indirettamente il blocco per il
periodo precedente e, in particolare, per il 2014, che e'  l'anno  in
cui il ricorrente nel giudizio a quo e' stato collocato in quiescenza
e al quale occorre fare riferimento  per  stabilire  la  retribuzione
utile al fine della quantificazione  del  trattamento  pensionistico,
calcolato sia con il criterio contributivo, sia residualmente  ancora
secondo il sistema retributivo.
    7.- Va subito precisato che la censurata disposizione dettata per
contenere la spesa per il pubblico impiego (art.  9,  comma  21,  del
d.l. n. 78 del 2010, citato) e' costruita come regola per  conformare
la retribuzione spettante e non gia' come prelievo  straordinario  su
una retribuzione piu' elevata.
    Ove  si  fosse  trattato  di  un  prelievo  straordinario   sulle
retribuzioni dei pubblici dipendenti, sarebbe venuta  in  rilievo  la
sua possibile natura tributaria. Tuttavia la giurisprudenza di questa
Corte ha gia' esaminato la disposizione censurata e ne ha escluso  la
valenza   tributaria   con   conseguente   infondatezza   anche,   in
particolare, delle questioni  di  costituzionalita'  sollevate  sulla
base di tale presupposto (sentenza n. 304 del 2013). Ha affermato  la
Corte, in quest'ultima pronuncia, che «[l]a norma censurata [...] non
ha natura tributaria in quanto non  prevede  una  decurtazione  o  un
prelievo a carico del dipendente pubblico» (in  senso  conforme,  con
riferimento alla stessa disposizione, le sentenze n. 96 del 2016 e n.
154 del 2014).
    L'articolazione testuale dell'art. 9, comma 21, citato e  la  sua
evidente ratio confermano l'esclusione della  natura  tributaria.  Si
tratta, invece, di una regola legale conformativa della  retribuzione
dei pubblici dipendenti nel quadriennio in  questione,  che  integra,
temporaneamente  e  in  via  eccezionale,  la  disciplina,  legale  o
contrattuale,  del  trattamento  retributivo,   per   perseguire   la
finalita' di contenerne il costo complessivo.
    Muovendo da tale presupposto,  questa  Corte  ha  dichiarato  non
fondate  varie  questioni   di   costituzionalita',   sollevate   con
riferimento essenzialmente all'art. 36 Cost.  (sentenza  n.  304  del
2013). Il legislatore puo' temporaneamente congelare  gli  incrementi
retributivi che, senza la regola limitativa posta dall'art. 9,  comma
21, sarebbero altrimenti spettati ai pubblici dipendenti, sempre  che
la retribuzione di risulta assicuri comunque il rispetto  del  canone
di proporzionalita' e sufficienza di cui all'art. 36 Cost.
    Con riferimento alla stessa disposizione censurata, ha  affermato
questa Corte (sentenza n. 96 del  2016)  che  «esigenze  di  politica
economica  giustificano  interventi  che,  come  quello   in   esame,
comprimono  solo  temporaneamente  gli  effetti   retributivi   della
progressione in carriera».
    Questa Corte ha, quindi, gia' ritenuto che la  limitazione  degli
incrementi stipendiali non sia tale  da  compromettere  l'adeguatezza
complessiva della retribuzione, sicche' non vi e' ragione di dubitare
della  legittimita'  di  questa  regola  legale  conformativa   della
retribuzione dei pubblici dipendenti.
    8.- Il contenimento della retribuzione nel  quadriennio  suddetto
ha comportato, come conseguenza, che la retribuzione calcolata con il
criterio limitativo in questione e' stata anche la  base  di  calcolo
della contribuzione previdenziale ed  e'  quella  rilevante  al  fine
della  quantificazione  del  trattamento   pensionistico,   sia   nel
generalizzato sistema contributivo, sia in  quello  residuale  ancora
retributivo.
    Il  differenziale  tra   la   retribuzione   percepita   (perche'
"spettante" in ragione del criterio limitativo suddetto) e quella che
altrimenti sarebbe stata percepita dal pubblico dipendente, ove  tale
criterio non  fosse  stato  applicabile,  rappresenta  una  quota  di
retribuzione virtuale non rilevante ai  fini  pensionistici,  perche'
non spettante ne' percepita. Manca una  disposizione  che  deroghi  a
tale effetto naturale della  limitazione  legale  della  retribuzione
spettante nel quadriennio in questione, a  differenza  di  quanto  e'
invece previsto - come eccezione alla regola - da altre  disposizioni
dello stesso censurato art. 9 del d.l. n. 78 del 2010, sia al comma 1
(secondo cui la riduzione percentuale delle retribuzioni superiori  a
una determinata soglia «non opera ai fini  previdenziali»),  sia  dal
comma 22, quanto alle soppressioni di  acconti  e  conguagli  per  il
personale  magistratuale,  che   parimenti   «non   opera   ai   fini
previdenziali» (e che, comunque, e' stata ritenuta costituzionalmente
illegittima,  perche'  «eccede  i  limiti  del  raffreddamento  delle
dinamiche retributive»: sentenza n. 223 del 2012).
    Ne', in generale, per il  pubblico  impiego  e'  prevista  alcuna
contribuzione figurativa  su  tale  quota  differenziale,  altrimenti
necessaria  ove  in   ipotesi   essa   dovesse   rilevare   ai   fini
pensionistici.
    In realta', il giudice rimettente non dubita  della  legittimita'
della quantificazione del trattamento pensionistico  al  momento  del
collocamento  in  quiescenza;  cio'  che  manca  nella   disposizione
censurata  -  e  comporterebbe  la  violazione   del   principio   di
eguaglianza  -  e'  un  meccanismo  di  ricalcolo   del   trattamento
pensionistico al momento di cessazione  di  operativita'  del  blocco
stipendiale, ossia a partire dal 1° gennaio 2015,  sulla  base  della
retribuzione che sarebbe spettata  al  ricorrente  in  ragione  della
progressione di carriera.
    Secondo il giudice rimettente tutti i  trattamenti  pensionistici
dei dipendenti pubblici non contrattualizzati, che abbiano avuto  una
progressione di carriera nel quadriennio 2011-2014, dovrebbero essere
riliquidati con decorrenza a partire dalla data suddetta, perche' sia
rispettato il principio di eguaglianza, tenendo conto della superiore
posizione raggiunta.
    9.- Indubbiamente - come giustamente rileva il giudice rimettente
-  l'aver  questa  Corte  gia'  ritenuto   infondate   questioni   di
legittimita' costituzionale di  tale  regime  limitativo,  quanto  ai
trattamenti retributivi, non assicura  di  per  se'  la  legittimita'
della norma censurata nella misura in cui incide anche  sul  rapporto
contributivo, e segnatamente sui trattamenti pensionistici.
    Vi e' pero' che, come la tenuta della prevista limitazione  degli
incrementi retributivi deve essere parametrata soprattutto al  canone
costituzionale della retribuzione proporzionata e  sufficiente  (art.
36 Cost.) - e in passato varie questioni  in  tal  senso  sono  state
sollevate, e da questa  Corte  dichiarate  non  fondate  (per  tutte,
sentenza n. 310 del 2013) - cosi' la ricaduta di tale limitazione sui
trattamenti  pensionistici   ha   come   parametro   di   riferimento
essenzialmente l'art. 38 Cost., unitamente allo stesso art. 36  Cost.
Il trattamento pensionistico risultante dalla ricaduta, sul piano del
rapporto previdenziale,  della  regola  limitativa  degli  incrementi
retributivi deve comunque, se  complessivamente  considerato,  essere
proporzionale alla contribuzione previdenziale,  nonche'  sufficiente
ad assicurare al pensionato una vita dignitosa.
    Al contrario, il giudice rimettente non invoca  questi  parametri
(lo fa -  inammissibilmente  -  la  parte  costituita);  non  dubita,
dunque, della complessiva adeguatezza del  trattamento  pensionistico
spettante al  ricorrente  in  ragione  dell'applicazione  del  blocco
stipendiale.
    10.- La Corte dei conti rimettente invoca un diverso parametro  -
l'art. 3 Cost. -  e  pone  (solo)  una  questione  di  ingiustificato
trattamento differenziato di situazioni che invece,  in  ragione  del
principio di  eguaglianza,  andrebbero  trattate  allo  stesso  modo.
Infatti, pone in comparazione i pubblici dipendenti  che  sono  stati
collocati in quiescenza nel quadriennio  (e  segnatamente  nel  2014,
come il ricorrente nel giudizio a quo) e quelli collocati  dopo  tale
quadriennio.
    Inoltre, non puo' non rilevarsi che la Corte dei conti rimettente
ritaglia la sollevata questione di costituzionalita' riferendola alla
piu'    limitata    categoria    dei    pubblici    dipendenti    non
contrattualizzati.  Infatti,   il   dispositivo   dell'ordinanza   di
rimessione limita la censura di  illegittimita'  costituzionale  alla
fattispecie del terzo periodo del comma 21 dell'art. 9 citato  che  -
come gia' detto - prescrive che per tale personale  le  «progressioni
di  carriera  comunque  denominate»,  disposte  nel  triennio   (puoi
divenuto  quadriennio)  in  questione,  abbiano  effetto   «ai   fini
esclusivamente  giuridici»  e  quindi   non   comportino   incrementi
retributivi.
    Ma il successivo quarto periodo del censurato comma 21  dell'art.
9 citato pone la stessa  regola  limitativa  anche  per  le  medesime
«progressioni di carriera comunque  denominate»  conseguite  in  tale
periodo dal personale contrattualizzato, a esse, inoltre, parificando
i «passaggi tra le aree» che costituiscono parimenti una progressione
di carriera.
    La   normativa   del   blocco   stipendiale   riguarda    quindi,
all'evidenza,   tutto   il   pubblico   impiego,   sia   quello   non
contrattualizzato preso specificamente in considerazione dalla  Corte
dei conti rimettente, sia quello contrattualizzato, perche' la regola
limitativa che il giudice rimettente censura e' la stessa.
    Per il resto, l'ordinanza di  rimessione  pone  la  questione  in
termini generali, ossia con  riferimento  a  qualsiasi  ricaduta  sul
trattamento pensionistico - a prescindere dal criterio di calcolo, se
contributivo o, residualmente, retributivo - del «congelamento» delle
retribuzioni previsto dall'art. 9, comma 21, terzo periodo, del  d.l.
n. 78 del 2010, essendo quest'ultimo censurato, unitamente alle altre
disposizioni sopra richiamate, nella parte in cui non e' prevista, in
favore  dei  dipendenti  pubblici,  cessati  dal  servizio  nell'arco
temporale della cristallizzazione degli  incrementi  retributivi,  la
«valorizzazione in quiescenza, a decorrere dalla data  di  cessazione
del   blocco,   degli   emolumenti   pensionabili   derivanti   dalle
progressioni di carriera conseguite durante il blocco stesso».
    Puo' anche aggiungersi che nel giudizio a quo viene  in  rilievo,
in particolare, il trattamento pensionistico del personale  militare,
per il quale ai sensi dell'art. 1866 del decreto legislativo 15 marzo
2010, n. 66 (Codice dell'ordinamento militare), e  dell'art.  53  del
D.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1092 (Approvazione del testo  unico  delle
norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e  militari
dello Stato), la base pensionabile si determina con riferimento  allo
stipendio e agli emolumenti  retributivi  pensionabili  integralmente
percepiti in attivita' di servizio. Questa peculiarita',  pero',  non
rileva al fine dello scrutinio della questione di  costituzionalita',
che dal giudice rimettente e' posta con riferimento alla disposizione
censurata che riguarda tutto il personale non contrattualizzato,  tra
cui quello militare.
    11.- Cio' posto, e' determinante considerare che il  "fluire  del
tempo" differenzia il regime pensionistico prima e dopo  la  scadenza
del quadriennio e giustifica il fatto che per i dipendenti  collocati
in  quiescenza  nel  quadriennio  la  retribuzione   pensionabile   -
calcolata vuoi con il sistema contributivo, vuoi ancora residualmente
con il sistema retributivo - debba  tener  conto  della  retribuzione
"spettante"  secondo  la  disciplina  applicabile  ratione  temporis,
mentre per i dipendenti collocati dopo la scadenza del quadriennio il
parametro di riferimento e' la retribuzione spettante fino alla  data
del loro pensionamento.
    Una volta sterilizzati ex lege, per  effetto  della  disposizione
censurata, gli automatismi retributivi nel quadriennio in  questione,
la retribuzione utile ai  fini  previdenziali  e'  quella  risultante
dall'applicazione di tale regola limitativa, senza  che  a  tal  fine
rilevi il momento del collocamento in quiescenza, se  nel  corso  del
quadriennio o successivamente alla sua scadenza.
    Parimenti,  una  volta  posta  la  regola  dell'invarianza  della
retribuzione dei pubblici  dipendenti  in  caso  di  progressione  di
carriera - senza che si dubiti della legittimita'  costituzionale  di
tale  regola  di   iniziale   immodificabilita'   in   melius   della
retribuzione,  vuoi  perche'  non  ne  dubita  la  Corte  dei   conti
rimettente, vuoi perche' questa Corte ha gia'  ritenuto  non  fondate
questioni di costituzionalita' riguardanti la retribuzione e non gia'
la pensione (per tutte, sentenza n. 310 del 2013) - la  ricaduta  sul
piano del rapporto previdenziale e' generalizzata e non  consente  di
porre utilmente a raffronto il trattamento  pensionistico,  spettante
ai dipendenti collocati in quiescenza nel corso  del  quadriennio  in
questione,  con  quello  riconosciuto  ai  dipendenti  collocati   in
quiescenza  dopo  la  scadenza  di  tale  periodo.  Cosi'  come,  con
riferimento al blocco della contrattazione collettiva, non potrebbero
esser posti in comparazione  i  trattamenti  pensionistici  liquidati
prima e dopo un incremento retributivo previsto dalla  contrattazione
collettiva, una volta cessato il periodo di sospensione.
    12.- E' solo in termini suggestivi che l'ordinanza di  rimessione
lamenta che il dipendente  collocato  in  quiescenza  nel  corso  del
quadriennio subisca a tempo  indeterminato  il  rigore  della  regola
censurata   che   congela   solo   temporaneamente   gli   incrementi
retributivi.
    Questa prospettazione avrebbe una sua plausibilita'  solo  se  la
regola posta dalla disposizione censurata fosse quella di un prelievo
straordinario sulle retribuzioni in caso di progressione di carriera:
cessata l'operativita' del prelievo, la retribuzione si  riespande  a
un livello  superiore  e  si  potrebbe  dubitare  della  legittimita'
costituzionale di un prelievo che per una parte del pubblico  impiego
in servizio nel quadriennio sarebbe ad tempus e per altra parte  -  i
pubblici dipendenti collocati in quiescenza nel corso del quadriennio
- sarebbe sofferta indefinitivamente senza limitazione di tempo.
    Ma - come gia' sopra rilevato - la costruzione della disposizione
censurata  come  introduttiva  di  un  prelievo  straordinario  sulle
retribuzioni dei pubblici  dipendenti,  con  conseguente  sua  natura
tributaria, e' stata gia' esclusa da questa Corte  (sentenze  n.  154
del 2014  e  n.  304  del  2013),  a  differenza  della  decurtazione
retributiva di cui al successivo comma 22 del medesimo art. 9, di cui
e' stata  ritenuta  invece  la  natura  tributaria  (con  conseguente
fondatezza della questione di legittimita'  costituzionale:  sentenza
n. 223 del 2012).
    La regola dell'iniziale invarianza della retribuzione in caso  di
progressione di carriera (o di passaggio a un'area superiore) - ossia
la regola che cosi' fissa la  retribuzione  del  pubblico  dipendente
"promosso", privo inizialmente di anzianita' di servizio  nella  piu'
elevata  posizione  di  lavoro  conseguita  -  vale  a  definire   la
retribuzione d'ingresso ad esso  spettante,  in  quanto  il  soggetto
interessato ha diritto non gia' a una retribuzione superiore  su  cui
grava un prelievo forzoso,  ma  proprio  a  quella  retribuzione  che
percepiva prima della "promozione";  regola  questa  che  e'  si'  di
rigore, ma la cui legittimita' costituzionale, o  no,  va  verificata
sul piano del rapporto di impiego in corso  e  della  disciplina  del
trattamento  retributivo.  Ma   una   volta   che   non   si   dubita
dell'adeguatezza della retribuzione spettante al pubblico  dipendente
"promosso",  la  stessa  varra'  anche  sul  piano  (contributivo  e)
previdenziale, al fine di quantificare il  trattamento  pensionistico
al quale il dipendente stesso ha diritto, quale che sia il sistema di
calcolo, se contributivo o ancora residualmente  retributivo.  Questa
Corte, con riferimento alla stessa disposizione attualmente censurata
(art. 9, comma 21, terzo periodo, citato) ha affermato  che  «non  e'
prevista  l'obbligatoria  corrispondenza  tra  grado  e  funzioni  e,
conseguentemente,  tra  grado  e  trattamento   economico   collegato
all'esercizio delle funzioni»  (sentenza  n.  304  del  2013).  E  ha
ritenuto anche che non fosse violato il principio di  eguaglianza  in
ragione della denunciata disparita' di trattamento tra dipendenti che
avevano conseguito una progressione di carriera raggiungendo un grado
piu' elevato prima o dopo l'inizio del blocco  stipendiale  (sentenza
n. 154 del 2014). Piu'  recentemente,  con  riferimento  alla  stessa
normativa, si e' ribadito (sentenza n. 96 del 2016) che «questa Corte
ha valorizzato il criterio oggettivo che  si  ricava  dalla  maggiore
anzianita'  di  servizio  dei  soggetti  destinatari  di  un  miglior
trattamento   economico   corrispondente   all'ottenuta    promozione
(sentenza n. 304 del 2013), criterio cui  si  affianca  quello  della
maggiore anzianita' nel grado (sentenza n. 154 del 2014)».
    La  circostanza  che,  superato  il  quadriennio,  al  dipendente
"promosso" sia attribuita una retribuzione superiore, rilevante anche
sul  piano  (contributivo  e)   previdenziale   e   del   trattamento
pensionistico,  si  giustifica  -  senza  che  percio'  sia  leso  il
principio di eguaglianza - per l'incidenza del "fluire del tempo" che
costituisce sufficiente elemento idoneo  a  differenziare  situazioni
non comparabili e a rendere applicabile alle  stesse  una  disciplina
diversa (ex plurimis, sentenze n. 104 del 2018, n. 53  del  2017,  n.
254 del 2014).
    13.- Conclusivamente, le questioni di costituzionalita' sollevate
dalla Corte dei conti rimettente vanno dichiarate non fondate.
    Spetterebbe comunque al legislatore, nell'esercizio discrezionale
delle scelte di politica economica e di compatibilita' con l'esigenza
di equilibrio della finanza pubblica, prevedere eventualmente  quanto
richiede il giudice rimettente:  la  riliquidazione  dei  trattamenti
pensionistici dei pubblici dipendenti, collocati  in  quiescenza  nel
quadriennio del blocco degli  incrementi  stipendiali,  e  che  nello
stesso periodo abbiano conseguito una progressione di carriera  o  un
passaggio a un'area superiore.
     

                          per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE

    dichiara non fondate le questioni di legittimita'  costituzionale
dell'art. 9, comma 21, terzo periodo,  del  decreto-legge  31  maggio
2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria
e di competitivita' economica),  convertito,  con  modificazioni,  in
legge 30 luglio 2010, n. 122, e dell'art. 16, comma  1,  lettera  b),
del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti  per  la
stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, in legge
15 luglio 2011, n. 111, come integrato dall'art. 1, comma 1,  lettera
a), primo periodo, del d.P.R. 4 settembre 2013, n.  122  (Regolamento
in materia  di  proroga  del  blocco  della  contrattazione  e  degli
automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti, a norma  dell'art.
16, commi 1,  2  e  3,  del  decreto-legge  6  luglio  2011,  n.  98,
convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011,  n.  111),
sollevate, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dalla  Corte
dei conti, sezione giurisdizionale per la  Liguria,  con  l'ordinanza
indicata in epigrafe.
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, l'11 ottobre 2018.

                                F.to:
                    Giorgio LATTANZI, Presidente
                     Giovanni AMOROSO, Redattore
                    Filomena PERRONE, Cancelliere

    Depositata in Cancelleria il 15 novembre 2018.

                           Il Cancelliere
                       F.to: Filomena PERRONE

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