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mercoledì 27 marzo 2019
N. 50 SENTENZA 4 dicembre 2018- 15 marzo 2019 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Straniero ‒ Assegno sociale per gli stranieri legalmente soggiornanti in Italia da almeno dieci anni e in possesso della carta o del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo. - Legge 23 dicembre 2000, n. 388, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2001)», art. 80, comma 19. - (GU n.12 del 20-3-2019 )
N. 50 SENTENZA 4 dicembre 2018- 15 marzo 2019
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
Straniero ‒ Assegno sociale per gli stranieri legalmente soggiornanti
in Italia da almeno dieci anni e in possesso della carta o del
permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo.
- Legge 23 dicembre 2000, n. 388, recante «Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge
finanziaria 2001)», art. 80, comma 19.
-
(GU n.12 del 20-3-2019 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Giorgio LATTANZI;
Giudici :Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI,
Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de
PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA,
Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca
ANTONINI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 80, comma
19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, recante «Disposizioni per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge
finanziaria 2001)», promossi dal Tribunale ordinario di Torino e dal
Tribunale ordinario di Bergamo, con ordinanze del 27 gennaio e del 26
settembre 2016, iscritte rispettivamente ai numeri 255 e 275 del
registro ordinanze 2016 e pubblicate, rispettivamente, nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 51, prima serie speciale, dell'anno
2016, e n. 4, prima serie speciale, dell'anno 2017.
Visti gli atti di costituzione di V. M. e dell'Istituto nazionale
della previdenza sociale (INPS), nonche' gli atti di intervento del
Presidente del Consiglio dei ministri e dell'Associazione per gli
studi giuridici sull'immigrazione (ASGI);
udito nella udienza pubblica del 4 dicembre 2018 il Giudice
relatore Mario Rosario Morelli, sostituito per la redazione della
decisione dal Giudice Giulio Prosperetti;
uditi gli avvocati Alberto Guariso per V. M., Clementina Pulli
per l'INPS e l'avvocato dello Stato Paolo Gentili per il Presidente
del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.- Il Tribunale ordinario di Torino, in funzione di giudice del
lavoro, ha sollevato, con ordinanza del 27 gennaio 2016, questioni
incidentali di legittimita' costituzionale dell'art. 80, comma 19,
della legge 23 dicembre 2000, n. 388, recante «Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge
finanziaria 2001)», nella parte in cui subordina il diritto a
percepire l'assegno sociale, per gli stranieri extracomunitari, alla
titolarita' della carta di soggiorno (ora permesso di soggiorno UE
per soggiornanti di lungo periodo), in riferimento agli artt. 3, 38 e
10, secondo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione
all'art. 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4
novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955,
n. 848.
Il giudice a quo riferisce di essere investito del ricorso che
una cittadina albanese (legalmente soggiornante in Italia dal 2001
con permesso di soggiorno rilasciato per motivi familiari) aveva
proposto avverso la determinazione amministrativa con cui l'Istituto
nazionale della previdenza sociale (INPS) aveva respinto la sua
domanda di riconoscimento dell'assegno sociale, perche' «non in
possesso della carta di soggiorno divenuta ora permesso di soggiorno
CE per i soggiornanti di lungo periodo».
Secondo il rimettente, la norma censurata violerebbe l'art. 3
della Cost., introducendo «una ingiustificata disparita' di
trattamento tra cittadini italiani e cittadini stranieri, entrambi
legalmente soggiornanti nel territorio nazionale, laddove soltanto
per i secondi e' previsto l'ulteriore requisito di essere in possesso
della carta o del permesso di soggiorno CE per i soggiornanti di
lungo periodo»; contrasterebbe, inoltre, con l'art. 10, secondo
comma, Cost., in relazione all'art. 14 CEDU, disattendendo il divieto
di ogni discriminazione in base all'origine nazionale; e violerebbe,
infine, l'art. 38 Cost., «in quanto il diritto al mantenimento e
all'assistenza sociale del cittadino straniero, legalmente
soggiornante in Italia da piu' di 10 anni [...] viene limitato dal
possesso di una certificazione di tipo amministrativo».
1.1.- L'INPS si e' costituita in giudizio, concludendo per
l'inammissibilita' o, comunque, per la non fondatezza delle questioni
di legittimita' costituzionale sollevate.
La difesa dell'Istituto ha rammentato come la Corte di
cassazione, sezione lavoro, abbia ritenuto non irragionevole, nella
parte che qui rileva, la previsione dell'art. 80, comma 19, della
legge n. 388 del 2000 (Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenze
6 dicembre 2016, n. 24981 e 30 ottobre 2015, n. 22261), richiamando
inoltre l'ordinanza n. 180 del 2016 con cui questa Corte ha
dichiarato manifestamente inammissibile analoga questione.
1.2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, che, a sua volta, ha concluso per l'inammissibilita' ovvero
per la manifesta infondatezza delle questioni sollevate dal giudice a
quo.
In punto di rilevanza, ha eccepito la carenza di motivazione in
ordine alla sussistenza dell'attuale condizione di indigenza
dell'interessata, richiesta ai fini dell'attribuzione della
prestazione dell'assegno sociale.
Nel merito, l'Avvocatura ha sottolineato «l'obiettiva
diversita'», che presenta l'assegno sociale, «rispetto alle altre
prestazioni assistenziali, in relazione alle quali si e' gia'
pronunciata [questa] Corte, dichiarando l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 80, comma 19, cit.»; ed ha individuato la
ragione di tale diversita' nel fatto che l'assegno sociale prescinde
«dalla prova dell'esistenza di minorazioni psico fisiche congenite o
acquisite (sordita', cecita', incapacita' al compimento degli atti
quotidiani della vita) e nella misura (totale o parziale) richiesta
per la concessione di ciascuna singola prestazione». Ne ha, quindi,
inferito che, in tema di assegno sociale «[i]l titolo di soggiorno
richiesto per gli stranieri non si risolve [...] nella richiesta di
un mero certificato amministrativo ...[ma] e' volto a scoraggiare
atteggiamenti di opportunita' consistenti nel c.d. turismo
assistenziale». Cio' anche «in considerazione della tipica natura di
diritto "finanziariamente condizionato" della prestazione in esame,
che impone un attento contemperamento dei diritti individuali con le
imprescindibili esigenze di compatibilita' finanziaria della relativa
spesa».
2.- Nel corso di analogo giudizio civile - promosso da un
cittadino di nazionalita' serba (del pari entrato in Italia con un
«permesso di soggiorno per motivi familiari» e qui vissuto
stabilmente per quasi venti anni), il quale chiedeva l'annullamento
della determinazione amministrativa con la quale l'INPS aveva
respinto la sua domanda di riconoscimento dell'assegno sociale per la
mancanza del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo
periodo - il Tribunale ordinario di Bergamo, in funzione di giudice
del lavoro, con ordinanza del 26 settembre 2016, ha sollevato, a sua
volta, questioni di legittimita' costituzionale del predetto art. 80,
comma 19, della legge n. 388 del 2000, «nella parte in cui subordina
la concessione dell'assegno sociale agli stranieri extracomunitari al
possesso del permesso di soggiorno di lungo periodo», per contrasto
con gli artt. 3, 10, primo comma, e 117, primo comma, Cost.,
quest'ultimo in relazione all'art. 14 CEDU.
In premessa, e ai fini della rilevanza delle questioni, il
giudice a quo ha esaminato il carattere "aggiuntivo" della disciplina
dettata dall'art. 20, comma 10, del decreto-legge 25 giugno 2008, n.
112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la
semplificazione, la competitivita', la stabilizzazione della finanza
pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con
modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133, il quale stabilisce
che «[a] decorrere dal 1° gennaio 2009, l'assegno sociale di cui
all'articolo 3, comma 6, della legge 8 agosto 1995, n. 335, e'
corrisposto agli aventi diritto a condizione che abbiano soggiornato
legalmente in via continuativa, per almeno dieci anni nel territorio
nazionale». E cio' al fine di escludere che il requisito del
soggiorno legale e continuativo nel territorio nazionale, cosi' ora
elevato (da cinque) a dieci anni, possa avere assorbito il requisito
del possesso della carta di soggiorno agli effetti della concessione
dell'assegno sociale.
Ha escluso, altresi', che nel caso di specie possa trovare
diretta applicazione l'art. 12 della direttiva 2011/98/UE del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, relativa a
una procedura unica di domanda per il rilascio di un permesso unico
che consente ai cittadini di paesi terzi di soggiornare e lavorare
nel territorio di uno Stato membro e a un insieme comune di diritti
per i lavoratori di paesi terzi che soggiornano regolarmente in uno
Stato membro, che impone la parita' di trattamento fra i "lavoratori"
stranieri e i cittadini dello Stato europeo che li ospita per quanto
riguarda il settore della sicurezza sociale. E cio' perche' - anche
ove si ritenga che una tale tutela del "lavoratore" possa essere
anticipata ad una situazione di potenzialita' lavorativa - il
ricorrente «non ha mai lavorato per tutta la durata della sua vita
lavorativa» e non puo', per questo, «in concreto essere qualificato
come un "lavoratore"».
Nel merito, la violazione dell'art. 3 Cost., sotto il profilo
della ragionevolezza, e' motivata, in particolare, in ragione della
contraddittorieta' intrinseca della disposizione censurata,
consistente «nel subordinare la prestazione al possesso di un
requisito che presuppone l'esistenza di un minimo reddituale, alla
cui mancanza la prestazione stessa dovrebbe sopperire».
Il vulnus all'art. 10, primo comma, Cost. muove poi dalla
considerazione che «al legislatore e' consentito dettare norme non
palesemente irragionevoli, che regolino l'ingresso e la permanenza di
extracomunitari in Italia, ma una volta che il diritto a soggiornare
non sia in discussione, non si possono discriminare gli stranieri,
stabilendo, nei loro confronti, particolari limitazioni per il
godimento dei diritti fondamentali della persona».
Infine, la violazione dell'art. 117, primo comma, Cost., in
relazione all'art. 14 CEDU, discenderebbe dal carattere «ridondante»
e «discriminatorio» del requisito ulteriore del permesso di soggiorno
di lunga durata, nel contesto della disposizione censurata.
2.1.- Si e' costituita la parte privata M. V., la quale ha
concluso per la fondatezza delle questioni di legittimita'
costituzionale sollevate o, in subordine, per la loro
inammissibilita', alla luce di una interpretazione costituzionalmente
conforme della norma censurata, ovvero per omessa considerazione del
diritto comunitario applicabile.
All'uopo ha evidenziato che il permesso di soggiorno UE per
soggiornanti di lungo periodo, rilasciato ai sensi della direttiva
2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status
dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo,
richiede, oltre al regolare soggiorno quinquennale, anche due
requisiti patrimoniali-reddituali, ossia la titolarita' di un
alloggio idoneo e la titolarita' di un reddito non inferiore
all'importo annuo dell'assegno sociale. Sicche' il reddito necessario
per ottenere il permesso UE sarebbe esattamente coincidente con il
beneficio che da quel permesso e' condizionato.
Ha prospettato, inoltre, che il presupposto del pregresso
radicamento del richiedente sul territorio nazionale possa ritenersi
ora ampiamente soddisfatto dall'ulteriore requisito della consolidata
residenza decennale, come introdotto dall'art. 20, comma 10, del d.l.
n. 112 del 2008.
In subordine, ha sostenuto che, alla luce di una «lettura
costituzionalmente conforme all'assetto normativo vigente», «il
requisito della residenza decennale introdotto dall'art. 20, c. 10,
D.L. 112/2008 - proprio per la sua incompatibilita' logica con un
requisito di regolare soggiorno di durata almeno quinquennale -
potrebbe aver abrogato quello previsto dal citato art. 80, c. 19»,
come sarebbe dato arguire dall'ordinanza di questa Corte n. 180 del
2016. E, in via ulteriormente gradata, ha espresso l'avviso che
possano, nella specie, ritenersi sussistenti tutti i presupposti,
soggettivi ed oggettivi, per ritenere direttamente applicabile l'art.
12 della direttiva 2011/98/UE, che richiama il regolamento (CE) n.
883/04 del 29 aprile 2004, relativo al coordinamento dei sistemi di
sicurezza sociale, ai fini della equiparazione degli stranieri
extracomunitari ai cittadini italiani, agli effetti della concessione
dell'assegno per cui e' causa.
2.2.- Si e' costituito l'INPS, che ha eccepito, anche in questo
caso, l'inammissibilita' e la non fondatezza delle questioni di
legittimita' costituzionale sollevate, sulla base di argomentazioni
analoghe a quelle gia' illustrate in relazione all'ordinanza del
Tribunale di Torino.
2.3.- Nel giudizio e' intervenuta l'Associazione per gli studi
giuridici sull'immigrazione (ASGI), la quale ha argomentato circa la
propria legittimazione ad intervenire in ragione dello scopo
statutario perseguito di promuovere l'informazione sulla tutela
contro la discriminazione degli stranieri. Nel merito, ha argomentato
riprendendo le deduzioni e le conclusioni della parte privata.
2.4.- E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha
concluso, anche in questo giudizio, per l'inammissibilita' o, in
subordine, per la manifesta infondatezza delle questioni di
legittimita' costituzionale sollevate.
2.5.- L'ASGI e la parte privata hanno depositato memorie
integrative. La prima ha dedotto in ordine all'ammissibilita'
dell'intervento, in quanto portatrice diretta della medesima
posizione giuridica della parte privata. Quest'ultima ha rilevato che
gia' piu' Corti di merito, aderendo ad una lettura conforme alla
Costituzione e alla normativa sovranazionale, hanno interpretato la
disposizione censurata nel senso che il requisito del soggiorno
legale e decennale in Italia avrebbe superato l'esigenza del possesso
della carta di soggiorno di lungo periodo per i cittadini
extracomunitari. Ha, inoltre, evidenziato che altre pronunce di
merito hanno equiparato la posizione degli stranieri a quella degli
italiani, applicando direttamente l'art. 12 della direttiva
2011/98/UE.
Considerato in diritto
1.- Il Tribunale ordinario di Torino, in funzione di giudice del
lavoro, con ordinanza del 27 gennaio 2016 (r.o. n. 255 del 2016), ha
sollevato questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 80,
comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, recante «Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato
(legge finanziaria 2001)», nella parte in cui subordina il diritto a
percepire l'assegno sociale, per gli stranieri extracomunitari, alla
titolarita' della carta di soggiorno (ora permesso di soggiorno UE
per soggiornanti di lungo periodo), in riferimento agli artt. 3, 38 e
10, secondo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione
all'art. 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4
novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955,
n. 848.
A sua volta, il Tribunale ordinario di Bergamo, in funzione di
giudice del lavoro, con ordinanza del 26 settembre 2016 (r.o. n. 275
del 2016), ha denunciato la medesima disposizione, sotto analogo
profilo, in riferimento agli artt. 3, 10, primo comma, e 117, primo
comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 14 CEDU.
La disposizione censurata testualmente dispone che «[a]i sensi
dell'articolo 41 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286
[Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina
dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero],
l'assegno sociale e le provvidenze economiche che costituiscono
diritti soggettivi in base alla legislazione vigente in materia di
servizi sociali sono concessi, alle condizioni previste dalla
legislazione medesima, agli stranieri che siano titolari di carta di
soggiorno [...]».
La carta di soggiorno e' stata sostituita dal permesso di
soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo (id est, soggiornanti
da almeno cinque anni), di cui all'art. 9 del d.lgs. n. 286 del 1998,
come sostituito dall'art. 1 del decreto legislativo 8 gennaio 2007,
n. 3 (Attuazione della direttiva 2003/109/CE relativa allo status di
cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo), e ha,
quindi, assunto la denominazione di «[p]ermesso di soggiorno UE per
soggiornanti di lungo periodo», a seguito della modifica in tal senso
apportata alla rubrica dell'art. 9 del d.lgs. n. 286 del 1998 dalla
disposizione finale di cui all'art. 3 del decreto legislativo 13
febbraio 2014, n. 12 (Attuazione della direttiva 2011/51/UE, che
modifica la direttiva 2003/109/CE del Consiglio per estenderne
l'ambito di applicazione ai beneficiari di protezione
internazionale).
L'art. 20, comma 10, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112
(Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione,
la competitivita', la stabilizzazione della finanza pubblica e la
perequazione Tributaria), convertito, con modificazioni, nella legge
6 agosto 2008, n. 133, ha poi stabilito che «[a] decorrere dal 1°
gennaio 2009, l'assegno sociale di cui all'articolo 3, comma 6, della
legge 8 agosto 1995, n. 335 [Riforma del sistema pensionistico
obbligatorio e complementare], e' corrisposto agli aventi diritto a
condizione che abbiano soggiornato legalmente, in via continuativa,
per almeno 10 anni nel territorio nazionale».
2.- Con due distinte ordinanze - che, per la sostanziale
coincidenza del petitum, possono riunirsi per essere congiuntamente
decise - i giudici a quibus dubitano della legittimita'
costituzionale del predetto art. 80, comma 19, della legge n. 388 del
2000, nella parte in cui la concessione dell'assegno sociale agli
stranieri (che abbiano compiuto 65 anni e si trovino nelle condizioni
reddituali previste dalla legge), legalmente e continuativamente
(ora, da almeno dieci anni) soggiornanti in Italia e' subordinata al
requisito "ulteriore" della titolarita' della carta di soggiorno,
divenuta permesso CE (ora UE) per soggiornanti di lungo periodo.
2.1.- Per entrambi i rimettenti la disposizione denunciata si
porrebbe in contrasto con l'art. 3 Cost., e con l'art. 14 CEDU,
quest'ultimo richiamato come norma interposta ai fini della
violazione dell'art. 10, secondo comma, e dell'art. 117, primo comma,
Cost., rispettivamente, dal Tribunale di Torino e dal Tribunale di
Bergamo.
Sarebbero, inoltre, violati l'art. 38 Cost., secondo il Tribunale
di Torino, e l'art. 10, primo comma, Cost. secondo il Tribunale di
Bergamo.
2.2.- In entrambi i giudizi si e' costituito l'Istituto nazionale
della previdenza sociale (INPS), che ha contestato l'ammissibilita' e
la fondatezza della questione; ed e' intervenuto il Presidente del
Consiglio dei ministri che ne ha, a sua volta, chiesto una
declaratoria di inammissibilita' o di manifesta infondatezza.
2.3.- Nel giudizio promosso dal Tribunale di Bergamo si e'
costituita la parte privata per aderire, in via principale, alla
prospettazione del giudice a quo e per eccepire, in via subordinata,
l'inammissibilita' della questione «per omessa interpretazione
costituzionalmente orientata» ovvero «per omessa considerazione del
diritto comunitario applicabile».
3.- Preliminarmente va dichiarata l'inammissibilita'
dell'intervento ad adiuvandum proposto dall'Associazione per gli
studi giuridici sull'immigrazione (ASGI). Cio' in quanto detta
associazione fa valere, a tal fine, un mero indiretto, e piu'
generale, interesse, connesso al suo scopo statutario, a «promuovere
l'informazione, la documentazione e lo studio dei problemi, di
carattere giuridico, attinenti all'immigrazione, alla condizione
dello straniero (nonche' dell'apolide e del rifugiato), alla
disciplina della cittadinanza nell'ordinamento italiano, alla tutela
contro la discriminazione, il razzismo e la xenofobia»; e non e',
quindi, titolare di un interesse direttamente riconducibile al
presente giudizio, quale unicamente potrebbe legittimarne
l'intervento, come soggetto terzo, nel giudizio stesso, senza
contraddirne l'incidentalita'.
4.- Ancora in via preliminare vengono in esame le eccezioni -
formulate, in entrambi i giudizi, sia dall'INPS, sia dal Presidente
del Consiglio dei ministri - di inammissibilita' delle questioni
sollevate, per difetto di motivazione sulla loro rilevanza e non
manifesta infondatezza.
4.1.- Quanto al dedotto difetto di motivazione sulla rilevanza
delle questioni formulate dal Tribunale di Torino, esso deriverebbe
dal fatto che il giudice a quo non avrebbe motivato in ordine alla
sussistenza degli ulteriori requisiti previsti ai fini della
concessione dell'assegno sociale, sicche' l'accoglimento del dubbio
di costituzionalita' potrebbe non produrre effetti concreti nel
giudizio principale. L'eccezione non appare fondata in punto di
rilevanza, giacche' il Tribunale di Torino ha accertato la ricorrenza
dei requisiti, con particolare riferimento alle pregresse condizioni
reddituali (di poche centinaia di euro annui), peraltro non piu'
esistenti all'epoca della richiesta delle provvidenze in questione.
E' altresi' adeguatamente motivata la non manifesta infondatezza
delle questioni.
4.2.- Infondate sono anche le analoghe eccezioni proposte con
riguardo alle questioni sollevate dal Tribunale di Bergamo.
4.2.1.- In punto di rilevanza, il rimettente - con riferimento ad
un cittadino serbo che, dopo l'ingresso in Italia con permesso di
soggiorno per motivi familiari, ha qui «vissuto stabilmente da quasi
vent'anni» - non ha mancato, infatti, in questo caso, di motivare, in
primo luogo, in ordine al requisito dell'attuale condizione di
indigenza dell'interessato e, in secondo luogo, in ordine
all'interpretazione dell'art. 20, comma 10, del d.l. n. 112 del 2018,
uniformandosi al diritto vivente secondo il quale (Corte di
cassazione, sezione lavoro, sentenze 6 dicembre 2016, n. 24981 e 30
ottobre 2015, n. 22261) la permanenza continuativa in Italia per
dieci anni con permesso di soggiorno rappresenta un requisito
aggiuntivo e non sostitutivo rispetto al fondamentale requisito della
titolarita' del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo
periodo.
Aggiunge il Tribunale di Bergamo che l'immigrato non aveva mai
lavorato, per cui non poteva certamente essere qualificato come un
lavoratore e cio' agli effetti della tutela di cui all'art. 12 della
direttiva (UE) 2011/98 del Parlamento europeo e del Consiglio del 13
dicembre 2011, che impone la parita' di trattamento fra i
"lavoratori" stranieri e i cittadini dello Stato europeo che li
ospita, per quanto riguarda la sicurezza sociale.
4.2.2.- Nel merito, il Tribunale di Bergamo ritiene che l'assegno
sociale sia da ritenersi comunque una prestazione assistenziale
analoga alle provvidenze riconosciute per effetto della
giurisprudenza di questa Corte ai cittadini stranieri, prescindendo
dal requisito costituito dalla titolarita' del permesso di soggiorno
UE per soggiornanti di lungo periodo.
Ritiene, conseguentemente, «non condivisibile il recente
orientamento della Corte di cassazione [...], che con la sentenza
22261/2015 ha ritenuto non irragionevole subordinare il godimento
dell'assegno sociale per gli stranieri alla titolarita' del permesso
di soggiorno di lungo periodo». E prospetta che l'irragionevolezza
della disposizione denunciata, che ne comporterebbe il contrasto con
l'art. 3 Cost., «risied[a] nel subordinare la prestazione al possesso
di un requisito che presuppone l'esistenza di un minimo reddituale,
alla cui mancanza la prestazione stessa dovrebbe sopperire».
Sarebbe, ad avviso del Tribunale di Bergamo, violato anche l'art.
10, primo comma, Cost., «dal momento che tra le norme del diritto
internazionale generalmente riconosciute rientrano quelle che, nel
garantire i diritti inviolabili indipendentemente dalle appartenenze
a determinate entita' politiche, vietano la discriminazione nei
confronti degli stranieri, legittimamente soggiornanti nel territorio
dello Stato», per cui «al legislatore e' consentito dettare norme non
palesemente irragionevoli, che regolino l'ingresso e la permanenza di
extracomunitari in Italia, ma, una volta che il diritto a soggiornare
non sia in discussione, non si possono discriminare gli stranieri,
stabilendo, nei loro confronti, particolari limitazioni per il
godimento dei diritti fondamentali della persona».
E violato sarebbe, infine, l'art. 117, primo comma, Cost., in
relazione all'art. 14 CEDU, «in quanto l'assegno sociale e' comunque
subordinato sia allo stato di bisogno del richiedente e della sua
famiglia, che allo stabile soggiorno ultradecennale in Italia,
sicche' l'ulteriore requisito del possesso del permesso di soggiorno
di lungo periodo (ineliminabile in via interpretativa, ad avviso di
[esso] giudice), [sarebbe] ridondante e quindi ancor piu'
discriminatorio in quanto richiesto per i soli stranieri».
4.2.3.- Analoghe censure, stavolta con riferimento agli artt. 3,
10, secondo comma, quest'ultimo in relazione all'art. 14 CEDU, e 38
Cost., sono sviluppate dal Tribunale di Torino.
5.- La difesa dell'INPS ha posto l'accento sulla differenza
sostanziale tra il titolo di legittimazione ad essere equiparato ad
un cittadino ai fini dell'accesso al sistema di assistenza sociale, a
seguito di provvedimento amministrativo, e il mero requisito
anagrafico della residenza continuativa e si e' riportato alle sopra
ricordate sentenze della Corte di cassazione, sezione lavoro.
L'Avvocatura dello Stato ha sottolineato la diversita' ontologica
della prestazione dell'assegno sociale rispetto alle altre di cui
alla ricordata giurisprudenza di questa Corte, tutte implicanti la
prova dell'esistenza di minorazioni psicofisiche.
6.- Tutte le questioni non sono fondate.
Va innanzitutto chiarita la portata della norma dell'art. 20,
comma 10, del d.l. n. 112 del 2008, che dispone che l'assegno
sociale, a decorrere dal 1° gennaio 2009, e' corrisposto «agli aventi
diritto, a condizione che abbiano soggiornato legalmente in via
continuativa per almeno dieci anni nel territorio nazionale».
Si e' posto il problema se tale norma detti un criterio
sostitutivo rispetto al possesso del requisito del permesso UE per
soggiornanti di lungo periodo (ex carta di soggiorno) previsto dal
censurato comma 19 dell'art. 80 della legge n. 388 del 2000, nel
senso che la legale permanenza in Italia per dieci anni potrebbe
essere considerata sostitutiva della titolarita' del permesso di
soggiorno UE.
La risposta a tale quesito, da cui dipende la rilevanza stessa
delle questioni, deve essere negativa, essendo i requisiti
cumulativi.
Il riferimento agli «aventi diritto» presuppone la ricorrenza, in
capo a questi ultimi, di tutti i requisiti espressamente previsti
dalla legge, tra i quali la titolarita' del permesso di soggiorno UE
per soggiornanti di lungo periodo, cui si aggiunge la condizione del
soggiorno continuativo per almeno dieci anni.
7.- I ricorrenti reputano discriminatorio e irragionevole che la
disposizione impugnata subordini il godimento per gli stranieri
dell'assegno sociale alla titolarita' del permesso UE per
soggiornanti di lungo periodo.
La questione non e' fondata.
La giurisprudenza costituzionale ha gia' chiarito che «entro i
limiti consentiti dall'art. 11 della direttiva 25 novembre 2003, n.
2003/109/CE (Direttiva del Consiglio relativa allo status di
cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo),
cui ha conferito attuazione il decreto legislativo 8 gennaio 2007, n.
3 [...], e comunque nel rispetto dei diritti fondamentali
dell'individuo assicurati dalla Costituzione e dalla normativa
internazionale, il legislatore [puo'] riservare talune prestazioni
assistenziali ai soli cittadini e alle persone ad essi equiparate
soggiornanti in Italia, il cui status vale di per se' a generare un
adeguato nesso tra la partecipazione alla organizzazione politica,
economica e sociale della Repubblica, e l'erogazione della
provvidenza» (sentenza n. 222 del 2013).
Ne segue che la Costituzione impone di preservare l'uguaglianza
nell'accesso all'assistenza sociale tra cittadini italiani e
comunitari da un lato, e cittadini extracomunitari dall'altro,
soltanto con riguardo a servizi e prestazioni che, nella
soddisfazione di «un bisogno primario dell'individuo che non tollera
un distinguo correlato al radicamento territoriale» (sentenza n. 222
del 2013), riflettano il godimento dei diritti inviolabili della
persona.
Per questa parte, infatti, la prestazione non e' tanto una
componente dell'assistenza sociale (che l'art. 38, primo comma, Cost.
riserva al «cittadino»), quanto un necessario strumento di garanzia
di un diritto inviolabile della persona (art. 2 Cost.).
Stante la limitatezza delle risorse disponibili, al di la' del
confine invalicabile appena indicato, rientra dunque nella
discrezionalita' del legislatore graduare con criteri restrittivi, o
financo di esclusione, l'accesso dello straniero extracomunitario a
provvidenze ulteriori. Per esse, laddove e' la cittadinanza stessa,
italiana o comunitaria, a presupporre e giustificare l'erogazione
della prestazione ai membri della comunita', viceversa ben puo' il
legislatore esigere in capo al cittadino extracomunitario ulteriori
requisiti, non manifestamente irragionevoli, che ne comprovino un
inserimento stabile e attivo.
In tal modo, le provvidenze divengono il corollario dello stabile
inserimento dello straniero in Italia, nel senso che la Repubblica
con esse ne riconosce e valorizza il concorso al progresso della
societa', grazie alla partecipazione alla vita di essa in un
apprezzabile arco di tempo.
A tale proposito, la titolarita' del permesso UE per soggiornanti
di lungo periodo, diversamente dalla mera residenza legale in Italia,
e' subordinata a requisiti (la produzione di un reddito; la
disponibilita' di un alloggio; la conoscenza della lingua italiana:
art. 9 del d.lgs. n. 286 del 1998) che sono in se' indici non
irragionevoli di una simile partecipazione. Essa percio' rappresenta
l'attribuzione di un peculiare status che comporta diritti aggiuntivi
rispetto al solo permesso di soggiorno; infatti, consente (art. 9,
comma 12, del d.lgs. n. 286 del 1998) di entrare in Italia senza
visto, di svolgervi qualsiasi attivita' lavorativa autonoma o
subordinata, di accedere ai servizi e alle prestazioni della pubblica
amministrazione in materia sanitaria, scolastica, sociale e
previdenziale, e di partecipare alla vita pubblica locale.
Il permesso di cui all'art. 9 del d.lgs. n. 286 del 1998, che ha
durata indeterminata, consente l'inclusione dello straniero nella
comunita' nazionale ben distinguendo il relativo status dalla
provvisorieta' in cui resta confinato il titolare di permesso di
soggiorno di cui all'art. 5 del d.lgs. n. 286 del 1998.
Non e' percio' ne' discriminatorio, ne' manifestamente
irragionevole che il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di
lungo periodo sia il presupposto per godere di una provvidenza
economica, quale l'assegno sociale, che si rivolge a chi abbia
compiuto 65 anni di eta'. Tali persone ottengono infatti, alle soglie
dell'uscita dal mondo del lavoro, un sostegno da parte della
collettivita' nella quale hanno operato (non a caso il legislatore
esige in capo al cittadino stesso una residenza almeno decennale in
Italia), che e' anche un corrispettivo solidaristico per quanto
doverosamente offerto al progresso materiale o spirituale della
societa' (art. 4 Cost.).
Rientra dunque nella discrezionalita' del legislatore riconoscere
una prestazione economica al solo straniero, indigente e privo di
pensione, il cui stabile inserimento nella comunita' lo ha reso
meritevole dello stesso sussidio concesso al cittadino italiano.
Pertanto sotto nessun profilo puo' ritenersi violato l'art. 3 Cost.
con riferimento a quegli stranieri che invece tale status non hanno.
8.- Neppure e' convincente il rilievo, secondo il quale sarebbe
manifestamente irragionevole subordinare il conseguimento
dell'assegno sociale al possesso del permesso UE per soggiornanti di
lungo periodo, posto che quest'ultimo viene ottenuto solo se si ha un
reddito di importo pari all'assegno sociale stesso. Non e' infatti
detto che lo straniero, una volta conseguito il permesso di soggiorno
di lunga durata, che e' di regola permanente (art. 8 della direttiva
2003/109/CE), sia poi in grado di preservare le condizioni economiche
che glielo hanno consentito. In tali casi, la vocazione solidaristica
dell'assegno sociale torna a manifestarsi, in quanto esso soccorre
chi, nonostante l'ingresso stabile nella collettivita' nazionale, sia
poi incorso in difficolta' che ne hanno determinato l'indigenza.
E' di tutta evidenza che l'assegno sociale, in questi casi,
presuppone la perdita di quel reddito la cui esistenza aveva concorso
al perfezionamento dei requisiti per l'ottenimento del permesso di
soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo.
9.- Un obbligo costituzionale di attribuire l'assegno sociale
allo straniero privo della (ex) carta di soggiorno non deriva neppure
dall'art. 12 della direttiva 2011/98/UE del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 13 dicembre 2011, che, ai fini della equiparazione dei
cittadini stranieri extracomunitari ai cittadini italiani, richiama
il regolamento (CE) n. 883/2004 del Parlamento europeo e del
Consiglio del 29 aprile 2004, relativo al coordinamento dei sistemi
di sicurezza sociale, che impone la parita' di trattamento tra i
lavoratori stranieri e i cittadini dello Stato europeo che li ospita
per quanto riguarda il settore della sicurezza sociale, non venendo
qui in considerazione la posizione di lavoratori.
10.- La questione relativa all'art. 38 Cost., che sarebbe violato
perche' la norma impugnata subordina il godimento del diritto
all'assegno sociale al «possesso di una certificazione di tipo
amministrativo», e' anch'essa infondata.
Si e' gia' infatti posto in luce che la titolarita' del permesso
UE per soggiornanti di lungo periodo comporta la ricorrenza di
requisiti ai quali non e' manifestamente irragionevole legare il
riconoscimento della prestazione assistenziale.
11.- Quanto appena detto comporta l'infondatezza anche delle
ulteriori censure, riferite agli artt. 10, primo e secondo comma, e
117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 14 CEDU, e sviluppate
sulla base dell'erronea premessa che la cittadinanza italiana ed
europea non costituisca un elemento idoneo per selezionare gli aventi
diritto alla prestazione, escludendone gli stranieri privi del
permesso UE per soggiornanti di lungo periodo.
In particolare, non risulta violato l'art. 117, primo comma,
Cost., in relazione all'art. 14 CEDU, essendo non discriminatorio,
per le ragioni enunciate, il criterio adottato quanto alla
parificazione dei cittadini stranieri a quelli italiani in una
prestazione di welfare sganciata dallo status lavorativo.
Come si e' detto, l'assegno sociale per chi abbia 65 anni (che
dal 1° gennaio 2019 spetta a coloro che abbiano raggiunto l'eta' di
67 anni) e' una prestazione sociale riservata a coloro che, privi di
reddito adeguato e di pensione, abbiano raggiunto un'eta' in linea di
massima non piu' idonea alla ricerca di un'attivita' lavorativa e che
mantengano comunque la effettiva residenza in Italia; tale
prestazione e' pertanto legittimamente riservata ai cittadini
italiani, ai cittadini europei e ai cittadini extracomunitari solo se
titolari di permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo
periodo.
Nella giurisprudenza di questa Corte l'elemento di discrimine
basato sulla cittadinanza e' stato ritenuto in contrasto con l'art. 3
Cost. e con lo stesso divieto di discriminazione formulato dall'art.
14 CEDU, solo con riguardo a prestazioni destinate al soddisfacimento
di bisogni primari e volte alla «garanzia per la stessa sopravvivenza
del soggetto» (sentenza n. 187 del 2010) o comunque destinate alla
tutela della salute e al sostentamento connesso all'invalidita'
(sentenza n. 230 del 2015), di volta in volta con specifico riguardo
alla pensione di inabilita', all'assegno di invalidita',
all'indennita' per ciechi e per sordi e all'indennita' di
accompagnamento (sentenze n. 230 e n. 22 del 2015, n. 40 del 2013, n.
329 del 2011, n. 187 del 2010, n. 11 del 2009 e n. 306 del 2008).
Come si e' visto, l'assegno sociale non e' equiparabile a tali
prestazioni.
In conclusione, il legislatore puo' legittimamente prevedere
specifiche condizioni per il godimento delle prestazioni
assistenziali eccedenti i bisogni primari della persona, purche' tali
condizioni non siano manifestamente irragionevoli ne' intrinsecamente
discriminatorie, com'e' appunto nella specie la considerazione
dell'inserimento socio-giuridico del cittadino extracomunitario nel
contesto nazionale, come certificata dal permesso di soggiorno UE di
lungo periodo, al quale l'ordinamento fa conseguire il riconoscimento
di peculiari situazioni giuridiche che equiparano il cittadino
extracomunitario - a determinati fini - ai cittadini italiani e
comunitari.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara non fondata la questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000,
n. 388, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale
e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2001)», sollevata, in
riferimento agli artt. 3, 10, secondo comma, quest'ultimo in
relazione all'art. 14 della Convenzione europea per la salvaguardia
dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a
Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4
agosto 1955, e 38 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di
Torino con l'ordinanza indicata in epigrafe;
2) dichiara non fondata la questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 80, comma 19, della legge n. 388 del 2000,
sollevata, in riferimento agli artt. 3, 10, primo comma, e 117, primo
comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 14
CEDU, dal Tribunale ordinario di Bergamo con l'ordinanza indicata in
epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 4 dicembre 2018.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Giulio PROSPERETTI, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 15 marzo 2019.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA
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