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mercoledì 27 marzo 2019

N. 50 SENTENZA 4 dicembre 2018- 15 marzo 2019 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Straniero ‒ Assegno sociale per gli stranieri legalmente soggiornanti in Italia da almeno dieci anni e in possesso della carta o del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo. - Legge 23 dicembre 2000, n. 388, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2001)», art. 80, comma 19. - (GU n.12 del 20-3-2019 )



N. 50 SENTENZA 4 dicembre 2018- 15 marzo 2019

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Straniero ‒ Assegno sociale per gli stranieri legalmente soggiornanti
  in Italia da almeno dieci anni e in  possesso  della  carta  o  del
  permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo.
- Legge 23 dicembre  2000,  n.  388,  recante  «Disposizioni  per  la
  formazione del bilancio annuale e pluriennale  dello  Stato  (legge
  finanziaria 2001)», art. 80, comma 19.


(GU n.12 del 20-3-2019 )

 

                       LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
Presidente:Giorgio LATTANZI;
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo CORAGGIO,  Giuliano  AMATO,  Silvana  SCIARRA,  Daria  de
  PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,
  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca
  ANTONINI,

     
    ha pronunciato la seguente

                              SENTENZA

    nei giudizi di legittimita' costituzionale  dell'art.  80,  comma
19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, recante  «Disposizioni  per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello  Stato  (legge
finanziaria 2001)», promossi dal Tribunale ordinario di Torino e  dal
Tribunale ordinario di Bergamo, con ordinanze del 27 gennaio e del 26
settembre 2016, iscritte rispettivamente ai  numeri  255  e  275  del
registro ordinanze 2016 e pubblicate, rispettivamente, nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 51,  prima  serie  speciale,  dell'anno
2016, e n. 4, prima serie speciale, dell'anno 2017.
    Visti gli atti di costituzione di V. M. e dell'Istituto nazionale
della previdenza sociale (INPS), nonche' gli atti di  intervento  del
Presidente del Consiglio dei ministri  e  dell'Associazione  per  gli
studi giuridici sull'immigrazione (ASGI);
    udito nella udienza pubblica  del  4  dicembre  2018  il  Giudice
relatore Mario Rosario Morelli, sostituito  per  la  redazione  della
decisione dal Giudice Giulio Prosperetti;
    uditi gli avvocati Alberto Guariso per V.  M.,  Clementina  Pulli
per l'INPS e l'avvocato dello Stato Paolo Gentili per  il  Presidente
del Consiglio dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.- Il Tribunale ordinario di Torino, in funzione di giudice  del
lavoro, ha sollevato, con ordinanza del 27  gennaio  2016,  questioni
incidentali di legittimita' costituzionale dell'art.  80,  comma  19,
della legge 23 dicembre 2000, n. 388, recante  «Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale  e  pluriennale  dello  Stato  (legge
finanziaria 2001)»,  nella  parte  in  cui  subordina  il  diritto  a
percepire l'assegno sociale, per gli stranieri extracomunitari,  alla
titolarita' della carta di soggiorno (ora permesso  di  soggiorno  UE
per soggiornanti di lungo periodo), in riferimento agli artt. 3, 38 e
10, secondo comma,  della  Costituzione,  quest'ultimo  in  relazione
all'art.  14  della  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a Roma  il  4
novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4  agosto  1955,
n. 848.
    Il giudice a quo riferisce di essere investito  del  ricorso  che
una cittadina albanese (legalmente soggiornante in  Italia  dal  2001
con permesso di soggiorno  rilasciato  per  motivi  familiari)  aveva
proposto avverso la determinazione amministrativa con cui  l'Istituto
nazionale della previdenza  sociale  (INPS)  aveva  respinto  la  sua
domanda di  riconoscimento  dell'assegno  sociale,  perche'  «non  in
possesso della carta di soggiorno divenuta ora permesso di  soggiorno
CE per i soggiornanti di lungo periodo».
    Secondo il rimettente, la norma  censurata  violerebbe  l'art.  3
della  Cost.,  introducendo   «una   ingiustificata   disparita'   di
trattamento tra cittadini italiani e  cittadini  stranieri,  entrambi
legalmente soggiornanti nel territorio  nazionale,  laddove  soltanto
per i secondi e' previsto l'ulteriore requisito di essere in possesso
della carta o del permesso di soggiorno  CE  per  i  soggiornanti  di
lungo periodo»;  contrasterebbe,  inoltre,  con  l'art.  10,  secondo
comma, Cost., in relazione all'art. 14 CEDU, disattendendo il divieto
di ogni discriminazione in base all'origine nazionale; e  violerebbe,
infine, l'art. 38 Cost., «in quanto  il  diritto  al  mantenimento  e
all'assistenza   sociale   del   cittadino   straniero,    legalmente
soggiornante in Italia da piu' di 10 anni [...]  viene  limitato  dal
possesso di una certificazione di tipo amministrativo».
    1.1.- L'INPS  si  e'  costituita  in  giudizio,  concludendo  per
l'inammissibilita' o, comunque, per la non fondatezza delle questioni
di legittimita' costituzionale sollevate.
    La  difesa  dell'Istituto  ha  rammentato  come   la   Corte   di
cassazione, sezione lavoro, abbia ritenuto non  irragionevole,  nella
parte che qui rileva, la previsione dell'art.  80,  comma  19,  della
legge n. 388 del 2000 (Corte di cassazione, sezione lavoro,  sentenze
6 dicembre 2016, n. 24981 e 30 ottobre 2015, n.  22261),  richiamando
inoltre  l'ordinanza  n.  180  del  2016  con  cui  questa  Corte  ha
dichiarato manifestamente inammissibile analoga questione.
    1.2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, che, a sua volta, ha concluso  per  l'inammissibilita'  ovvero
per la manifesta infondatezza delle questioni sollevate dal giudice a
quo.
    In punto di rilevanza, ha eccepito la carenza di  motivazione  in
ordine  alla  sussistenza  dell'attuale   condizione   di   indigenza
dell'interessata,   richiesta   ai   fini   dell'attribuzione   della
prestazione dell'assegno sociale.
    Nel   merito,   l'Avvocatura   ha    sottolineato    «l'obiettiva
diversita'», che presenta l'assegno  sociale,  «rispetto  alle  altre
prestazioni  assistenziali,  in  relazione  alle  quali  si  e'  gia'
pronunciata    [questa]    Corte,    dichiarando     l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 80, comma 19, cit.»; ed  ha  individuato  la
ragione di tale diversita' nel fatto che l'assegno sociale  prescinde
«dalla prova dell'esistenza di minorazioni psico fisiche congenite  o
acquisite (sordita', cecita', incapacita' al  compimento  degli  atti
quotidiani della vita) e nella misura (totale o  parziale)  richiesta
per la concessione di ciascuna singola prestazione». Ne  ha,  quindi,
inferito che, in tema di assegno sociale «[i]l  titolo  di  soggiorno
richiesto per gli stranieri non si risolve [...] nella  richiesta  di
un mero certificato amministrativo ...[ma]  e'  volto  a  scoraggiare
atteggiamenti  di   opportunita'   consistenti   nel   c.d.   turismo
assistenziale». Cio' anche «in considerazione della tipica natura  di
diritto "finanziariamente condizionato" della prestazione  in  esame,
che impone un attento contemperamento dei diritti individuali con  le
imprescindibili esigenze di compatibilita' finanziaria della relativa
spesa».
    2.- Nel corso  di  analogo  giudizio  civile  -  promosso  da  un
cittadino di nazionalita' serba (del pari entrato in  Italia  con  un
«permesso  di  soggiorno  per  motivi  familiari»   e   qui   vissuto
stabilmente per quasi venti anni), il quale  chiedeva  l'annullamento
della  determinazione  amministrativa  con  la  quale  l'INPS   aveva
respinto la sua domanda di riconoscimento dell'assegno sociale per la
mancanza del permesso di  soggiorno  UE  per  soggiornanti  di  lungo
periodo - il Tribunale ordinario di Bergamo, in funzione  di  giudice
del lavoro, con ordinanza del 26 settembre 2016, ha sollevato, a  sua
volta, questioni di legittimita' costituzionale del predetto art. 80,
comma 19, della legge n. 388 del 2000, «nella parte in cui  subordina
la concessione dell'assegno sociale agli stranieri extracomunitari al
possesso del permesso di soggiorno di lungo periodo»,  per  contrasto
con gli artt.  3,  10,  primo  comma,  e  117,  primo  comma,  Cost.,
quest'ultimo in relazione all'art. 14 CEDU.
    In premessa, e  ai  fini  della  rilevanza  delle  questioni,  il
giudice a quo ha esaminato il carattere "aggiuntivo" della disciplina
dettata dall'art. 20, comma 10, del decreto-legge 25 giugno 2008,  n.
112   (Disposizioni   urgenti   per   lo   sviluppo   economico,   la
semplificazione, la competitivita', la stabilizzazione della  finanza
pubblica   e   la   perequazione   tributaria),    convertito,    con
modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133, il quale stabilisce
che «[a] decorrere dal 1° gennaio  2009,  l'assegno  sociale  di  cui
all'articolo 3, comma 6, della  legge  8  agosto  1995,  n.  335,  e'
corrisposto agli aventi diritto a condizione che abbiano  soggiornato
legalmente in via continuativa, per almeno dieci anni nel  territorio
nazionale». E  cio'  al  fine  di  escludere  che  il  requisito  del
soggiorno legale e continuativo nel territorio nazionale,  cosi'  ora
elevato (da cinque) a dieci anni, possa avere assorbito il  requisito
del possesso della carta di soggiorno agli effetti della  concessione
dell'assegno sociale.
    Ha escluso, altresi',  che  nel  caso  di  specie  possa  trovare
diretta  applicazione  l'art.  12  della  direttiva  2011/98/UE   del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, relativa  a
una procedura unica di domanda per il rilascio di un  permesso  unico
che consente ai cittadini di paesi terzi di  soggiornare  e  lavorare
nel territorio di uno Stato membro e a un insieme comune  di  diritti
per i lavoratori di paesi terzi che soggiornano regolarmente  in  uno
Stato membro, che impone la parita' di trattamento fra i "lavoratori"
stranieri e i cittadini dello Stato europeo che li ospita per  quanto
riguarda il settore della sicurezza sociale. E cio' perche'  -  anche
ove si ritenga che una tale  tutela  del  "lavoratore"  possa  essere
anticipata  ad  una  situazione  di  potenzialita'  lavorativa  -  il
ricorrente «non ha mai lavorato per tutta la durata  della  sua  vita
lavorativa» e non puo', per questo, «in concreto  essere  qualificato
come un "lavoratore"».
    Nel merito, la violazione dell'art. 3  Cost.,  sotto  il  profilo
della ragionevolezza, e' motivata, in particolare, in  ragione  della
contraddittorieta'   intrinseca   della    disposizione    censurata,
consistente  «nel  subordinare  la  prestazione  al  possesso  di  un
requisito che presuppone l'esistenza di un  minimo  reddituale,  alla
cui mancanza la prestazione stessa dovrebbe sopperire».
    Il vulnus  all'art.  10,  primo  comma,  Cost.  muove  poi  dalla
considerazione che «al legislatore e' consentito  dettare  norme  non
palesemente irragionevoli, che regolino l'ingresso e la permanenza di
extracomunitari in Italia, ma una volta che il diritto a  soggiornare
non sia in discussione, non si possono  discriminare  gli  stranieri,
stabilendo,  nei  loro  confronti,  particolari  limitazioni  per  il
godimento dei diritti fondamentali della persona».
    Infine, la violazione  dell'art.  117,  primo  comma,  Cost.,  in
relazione all'art. 14 CEDU, discenderebbe dal carattere  «ridondante»
e «discriminatorio» del requisito ulteriore del permesso di soggiorno
di lunga durata, nel contesto della disposizione censurata.
    2.1.- Si e' costituita la  parte  privata  M.  V.,  la  quale  ha
concluso  per  la  fondatezza   delle   questioni   di   legittimita'
costituzionale   sollevate   o,   in   subordine,   per    la    loro
inammissibilita', alla luce di una interpretazione costituzionalmente
conforme della norma censurata, ovvero per omessa considerazione  del
diritto comunitario applicabile.
    All'uopo ha evidenziato che  il  permesso  di  soggiorno  UE  per
soggiornanti di lungo periodo, rilasciato ai  sensi  della  direttiva
2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status
dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo,
richiede,  oltre  al  regolare  soggiorno  quinquennale,  anche   due
requisiti  patrimoniali-reddituali,  ossia  la  titolarita'   di   un
alloggio  idoneo  e  la  titolarita'  di  un  reddito  non  inferiore
all'importo annuo dell'assegno sociale. Sicche' il reddito necessario
per ottenere il permesso UE sarebbe esattamente  coincidente  con  il
beneficio che da quel permesso e' condizionato.
    Ha  prospettato,  inoltre,  che  il  presupposto  del   pregresso
radicamento del richiedente sul territorio nazionale possa  ritenersi
ora ampiamente soddisfatto dall'ulteriore requisito della consolidata
residenza decennale, come introdotto dall'art. 20, comma 10, del d.l.
n. 112 del 2008.
    In subordine,  ha  sostenuto  che,  alla  luce  di  una  «lettura
costituzionalmente  conforme  all'assetto  normativo  vigente»,   «il
requisito della residenza decennale introdotto dall'art. 20,  c.  10,
D.L. 112/2008 - proprio per la sua  incompatibilita'  logica  con  un
requisito di regolare  soggiorno  di  durata  almeno  quinquennale  -
potrebbe aver abrogato quello previsto dal citato art.  80,  c.  19»,
come sarebbe dato arguire dall'ordinanza di questa Corte n.  180  del
2016. E, in via  ulteriormente  gradata,  ha  espresso  l'avviso  che
possano, nella specie, ritenersi  sussistenti  tutti  i  presupposti,
soggettivi ed oggettivi, per ritenere direttamente applicabile l'art.
12 della direttiva 2011/98/UE, che richiama il  regolamento  (CE)  n.
883/04 del 29 aprile 2004, relativo al coordinamento dei  sistemi  di
sicurezza  sociale,  ai  fini  della  equiparazione  degli  stranieri
extracomunitari ai cittadini italiani, agli effetti della concessione
dell'assegno per cui e' causa.
    2.2.- Si e' costituito l'INPS, che ha eccepito, anche  in  questo
caso, l'inammissibilita' e  la  non  fondatezza  delle  questioni  di
legittimita' costituzionale sollevate, sulla base  di  argomentazioni
analoghe a quelle gia'  illustrate  in  relazione  all'ordinanza  del
Tribunale di Torino.
    2.3.- Nel giudizio e' intervenuta l'Associazione  per  gli  studi
giuridici sull'immigrazione (ASGI), la quale ha argomentato circa  la
propria  legittimazione  ad  intervenire  in  ragione   dello   scopo
statutario  perseguito  di  promuovere  l'informazione  sulla  tutela
contro la discriminazione degli stranieri. Nel merito, ha argomentato
riprendendo le deduzioni e le conclusioni della parte privata.
    2.4.- E' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato,  che  ha
concluso, anche in questo  giudizio,  per  l'inammissibilita'  o,  in
subordine,  per  la  manifesta  infondatezza   delle   questioni   di
legittimita' costituzionale sollevate.
    2.5.-  L'ASGI  e  la  parte  privata  hanno  depositato   memorie
integrative.  La  prima  ha  dedotto  in  ordine   all'ammissibilita'
dell'intervento,  in  quanto  portatrice   diretta   della   medesima
posizione giuridica della parte privata. Quest'ultima ha rilevato che
gia' piu' Corti di merito, aderendo  ad  una  lettura  conforme  alla
Costituzione e alla normativa sovranazionale, hanno  interpretato  la
disposizione censurata nel  senso  che  il  requisito  del  soggiorno
legale e decennale in Italia avrebbe superato l'esigenza del possesso
della  carta  di  soggiorno  di  lungo  periodo   per   i   cittadini
extracomunitari. Ha,  inoltre,  evidenziato  che  altre  pronunce  di
merito hanno equiparato la posizione degli stranieri a  quella  degli
italiani,  applicando  direttamente   l'art.   12   della   direttiva
2011/98/UE.

                       Considerato in diritto

    1.- Il Tribunale ordinario di Torino, in funzione di giudice  del
lavoro, con ordinanza del 27 gennaio 2016 (r.o. n. 255 del 2016),  ha
sollevato questioni  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  80,
comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, recante «Disposizioni
per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale  dello  Stato
(legge finanziaria 2001)», nella parte in cui subordina il diritto  a
percepire l'assegno sociale, per gli stranieri extracomunitari,  alla
titolarita' della carta di soggiorno (ora permesso  di  soggiorno  UE
per soggiornanti di lungo periodo), in riferimento agli artt. 3, 38 e
10, secondo comma,  della  Costituzione,  quest'ultimo  in  relazione
all'art.  14  della  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a Roma  il  4
novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4  agosto  1955,
n. 848.
    A sua volta, il Tribunale ordinario di Bergamo,  in  funzione  di
giudice del lavoro, con ordinanza del 26 settembre 2016 (r.o. n.  275
del 2016), ha denunciato  la  medesima  disposizione,  sotto  analogo
profilo, in riferimento agli artt. 3, 10, primo comma, e  117,  primo
comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 14 CEDU.
    La disposizione censurata testualmente dispone  che  «[a]i  sensi
dell'articolo 41 del decreto  legislativo  25  luglio  1998,  n.  286
[Testo   unico   delle   disposizioni   concernenti   la   disciplina
dell'immigrazione  e  norme  sulla   condizione   dello   straniero],
l'assegno sociale  e  le  provvidenze  economiche  che  costituiscono
diritti soggettivi in base alla legislazione vigente  in  materia  di
servizi  sociali  sono  concessi,  alle  condizioni  previste   dalla
legislazione medesima, agli stranieri che siano titolari di carta  di
soggiorno [...]».
    La carta  di  soggiorno  e'  stata  sostituita  dal  permesso  di
soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo (id est,  soggiornanti
da almeno cinque anni), di cui all'art. 9 del d.lgs. n. 286 del 1998,
come sostituito dall'art. 1 del decreto legislativo 8  gennaio  2007,
n. 3 (Attuazione della direttiva 2003/109/CE relativa allo status  di
cittadini di Paesi  terzi  soggiornanti  di  lungo  periodo),  e  ha,
quindi, assunto la denominazione di «[p]ermesso di soggiorno  UE  per
soggiornanti di lungo periodo», a seguito della modifica in tal senso
apportata alla rubrica dell'art. 9 del d.lgs. n. 286 del  1998  dalla
disposizione finale di cui all'art.  3  del  decreto  legislativo  13
febbraio 2014, n. 12  (Attuazione  della  direttiva  2011/51/UE,  che
modifica  la  direttiva  2003/109/CE  del  Consiglio  per  estenderne
l'ambito   di   applicazione    ai    beneficiari    di    protezione
internazionale).
    L'art. 20, comma 10, del decreto-legge 25  giugno  2008,  n.  112
(Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la  semplificazione,
la competitivita', la stabilizzazione della  finanza  pubblica  e  la
perequazione Tributaria), convertito, con modificazioni, nella  legge
6 agosto 2008, n. 133, ha poi stabilito che  «[a]  decorrere  dal  1°
gennaio 2009, l'assegno sociale di cui all'articolo 3, comma 6, della
legge 8 agosto  1995,  n.  335  [Riforma  del  sistema  pensionistico
obbligatorio e complementare], e' corrisposto agli aventi  diritto  a
condizione che abbiano soggiornato legalmente, in  via  continuativa,
per almeno 10 anni nel territorio nazionale».
    2.-  Con  due  distinte  ordinanze  -  che,  per  la  sostanziale
coincidenza del petitum, possono riunirsi per  essere  congiuntamente
decise  -  i   giudici   a   quibus   dubitano   della   legittimita'
costituzionale del predetto art. 80, comma 19, della legge n. 388 del
2000, nella parte in cui la  concessione  dell'assegno  sociale  agli
stranieri (che abbiano compiuto 65 anni e si trovino nelle condizioni
reddituali previste  dalla  legge),  legalmente  e  continuativamente
(ora, da almeno dieci anni) soggiornanti in Italia e' subordinata  al
requisito "ulteriore" della titolarita'  della  carta  di  soggiorno,
divenuta permesso CE (ora UE) per soggiornanti di lungo periodo.
    2.1.- Per entrambi i rimettenti  la  disposizione  denunciata  si
porrebbe in contrasto con l'art. 3  Cost.,  e  con  l'art.  14  CEDU,
quest'ultimo  richiamato  come  norma  interposta   ai   fini   della
violazione dell'art. 10, secondo comma, e dell'art. 117, primo comma,
Cost., rispettivamente, dal Tribunale di Torino e  dal  Tribunale  di
Bergamo.
    Sarebbero, inoltre, violati l'art. 38 Cost., secondo il Tribunale
di Torino, e l'art. 10, primo comma, Cost. secondo  il  Tribunale  di
Bergamo.
    2.2.- In entrambi i giudizi si e' costituito l'Istituto nazionale
della previdenza sociale (INPS), che ha contestato l'ammissibilita' e
la fondatezza della questione; ed e' intervenuto  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri  che  ne  ha,  a  sua  volta,  chiesto   una
declaratoria di inammissibilita' o di manifesta infondatezza.
    2.3.- Nel giudizio  promosso  dal  Tribunale  di  Bergamo  si  e'
costituita la parte privata per  aderire,  in  via  principale,  alla
prospettazione del giudice a quo e per eccepire, in via  subordinata,
l'inammissibilita'  della  questione  «per   omessa   interpretazione
costituzionalmente orientata» ovvero «per omessa  considerazione  del
diritto comunitario applicabile».
    3.-    Preliminarmente    va    dichiarata     l'inammissibilita'
dell'intervento ad  adiuvandum  proposto  dall'Associazione  per  gli
studi  giuridici  sull'immigrazione  (ASGI).  Cio'  in  quanto  detta
associazione fa valere,  a  tal  fine,  un  mero  indiretto,  e  piu'
generale, interesse, connesso al suo scopo statutario, a  «promuovere
l'informazione, la  documentazione  e  lo  studio  dei  problemi,  di
carattere  giuridico,  attinenti  all'immigrazione,  alla  condizione
dello  straniero  (nonche'  dell'apolide  e  del   rifugiato),   alla
disciplina della cittadinanza nell'ordinamento italiano, alla  tutela
contro la discriminazione, il razzismo e la  xenofobia»;  e  non  e',
quindi,  titolare  di  un  interesse  direttamente  riconducibile  al
presente   giudizio,   quale   unicamente    potrebbe    legittimarne
l'intervento,  come  soggetto  terzo,  nel  giudizio  stesso,   senza
contraddirne l'incidentalita'.
    4.- Ancora in via preliminare vengono in  esame  le  eccezioni  -
formulate, in entrambi i giudizi, sia dall'INPS, sia  dal  Presidente
del Consiglio dei ministri  -  di  inammissibilita'  delle  questioni
sollevate, per difetto di motivazione  sulla  loro  rilevanza  e  non
manifesta infondatezza.
    4.1.- Quanto al dedotto difetto di  motivazione  sulla  rilevanza
delle questioni formulate dal Tribunale di Torino,  esso  deriverebbe
dal fatto che il giudice a quo non avrebbe motivato  in  ordine  alla
sussistenza  degli  ulteriori  requisiti  previsti  ai   fini   della
concessione dell'assegno sociale, sicche' l'accoglimento  del  dubbio
di costituzionalita'  potrebbe  non  produrre  effetti  concreti  nel
giudizio principale. L'eccezione  non  appare  fondata  in  punto  di
rilevanza, giacche' il Tribunale di Torino ha accertato la ricorrenza
dei requisiti, con particolare riferimento alle pregresse  condizioni
reddituali (di poche centinaia di  euro  annui),  peraltro  non  piu'
esistenti all'epoca della richiesta delle provvidenze  in  questione.
E' altresi' adeguatamente  motivata  la  non  manifesta  infondatezza
delle questioni.
    4.2.- Infondate sono anche le  analoghe  eccezioni  proposte  con
riguardo alle questioni sollevate dal Tribunale di Bergamo.
    4.2.1.- In punto di rilevanza, il rimettente - con riferimento ad
un cittadino serbo che, dopo l'ingresso in  Italia  con  permesso  di
soggiorno per motivi familiari, ha qui «vissuto stabilmente da  quasi
vent'anni» - non ha mancato, infatti, in questo caso, di motivare, in
primo luogo,  in  ordine  al  requisito  dell'attuale  condizione  di
indigenza  dell'interessato  e,   in   secondo   luogo,   in   ordine
all'interpretazione dell'art. 20, comma 10, del d.l. n. 112 del 2018,
uniformandosi  al  diritto  vivente  secondo  il  quale   (Corte   di
cassazione, sezione lavoro, sentenze 6 dicembre 2016, n. 24981  e  30
ottobre 2015, n. 22261) la  permanenza  continuativa  in  Italia  per
dieci  anni  con  permesso  di  soggiorno  rappresenta  un  requisito
aggiuntivo e non sostitutivo rispetto al fondamentale requisito della
titolarita' del permesso di soggiorno UE per  soggiornanti  di  lungo
periodo.
    Aggiunge il Tribunale di Bergamo che l'immigrato  non  aveva  mai
lavorato, per cui non poteva certamente essere  qualificato  come  un
lavoratore e cio' agli effetti della tutela di cui all'art. 12  della
direttiva (UE) 2011/98 del Parlamento europeo e del Consiglio del  13
dicembre  2011,  che  impone  la  parita'  di   trattamento   fra   i
"lavoratori" stranieri e i  cittadini  dello  Stato  europeo  che  li
ospita, per quanto riguarda la sicurezza sociale.
    4.2.2.- Nel merito, il Tribunale di Bergamo ritiene che l'assegno
sociale sia  da  ritenersi  comunque  una  prestazione  assistenziale
analoga   alle   provvidenze   riconosciute   per    effetto    della
giurisprudenza di questa Corte ai cittadini  stranieri,  prescindendo
dal requisito costituito dalla titolarita' del permesso di  soggiorno
UE per soggiornanti di lungo periodo.
    Ritiene,  conseguentemente,   «non   condivisibile   il   recente
orientamento della Corte di cassazione [...],  che  con  la  sentenza
22261/2015 ha ritenuto non  irragionevole  subordinare  il  godimento
dell'assegno sociale per gli stranieri alla titolarita' del  permesso
di soggiorno di lungo periodo». E  prospetta  che  l'irragionevolezza
della disposizione denunciata, che ne comporterebbe il contrasto  con
l'art. 3 Cost., «risied[a] nel subordinare la prestazione al possesso
di un requisito che presuppone l'esistenza di un  minimo  reddituale,
alla cui mancanza la prestazione stessa dovrebbe sopperire».
    Sarebbe, ad avviso del Tribunale di Bergamo, violato anche l'art.
10, primo comma, Cost., «dal momento che tra  le  norme  del  diritto
internazionale generalmente riconosciute rientrano  quelle  che,  nel
garantire i diritti inviolabili indipendentemente dalle  appartenenze
a determinate  entita'  politiche,  vietano  la  discriminazione  nei
confronti degli stranieri, legittimamente soggiornanti nel territorio
dello Stato», per cui «al legislatore e' consentito dettare norme non
palesemente irragionevoli, che regolino l'ingresso e la permanenza di
extracomunitari in Italia, ma, una volta che il diritto a soggiornare
non sia in discussione, non si possono  discriminare  gli  stranieri,
stabilendo,  nei  loro  confronti,  particolari  limitazioni  per  il
godimento dei diritti fondamentali della persona».
    E violato sarebbe, infine, l'art. 117,  primo  comma,  Cost.,  in
relazione all'art. 14 CEDU, «in quanto l'assegno sociale e'  comunque
subordinato sia allo stato di bisogno del  richiedente  e  della  sua
famiglia,  che  allo  stabile  soggiorno  ultradecennale  in  Italia,
sicche' l'ulteriore requisito del possesso del permesso di  soggiorno
di lungo periodo (ineliminabile in via interpretativa, ad  avviso  di
[esso]  giudice),  [sarebbe]   ridondante   e   quindi   ancor   piu'
discriminatorio in quanto richiesto per i soli stranieri».
    4.2.3.- Analoghe censure, stavolta con riferimento agli artt.  3,
10, secondo comma, quest'ultimo in relazione all'art. 14 CEDU,  e  38
Cost., sono sviluppate dal Tribunale di Torino.
    5.- La difesa  dell'INPS  ha  posto  l'accento  sulla  differenza
sostanziale tra il titolo di legittimazione ad essere  equiparato  ad
un cittadino ai fini dell'accesso al sistema di assistenza sociale, a
seguito  di  provvedimento  amministrativo,  e  il   mero   requisito
anagrafico della residenza continuativa e si e' riportato alle  sopra
ricordate sentenze della Corte di cassazione, sezione lavoro.
    L'Avvocatura dello Stato ha sottolineato la diversita' ontologica
della prestazione dell'assegno sociale rispetto  alle  altre  di  cui
alla ricordata giurisprudenza di questa Corte,  tutte  implicanti  la
prova dell'esistenza di minorazioni psicofisiche.
    6.- Tutte le questioni non sono fondate.
    Va innanzitutto chiarita la portata  della  norma  dell'art.  20,
comma 10, del d.l.  n.  112  del  2008,  che  dispone  che  l'assegno
sociale, a decorrere dal 1° gennaio 2009, e' corrisposto «agli aventi
diritto, a condizione  che  abbiano  soggiornato  legalmente  in  via
continuativa per almeno dieci anni nel territorio nazionale».
    Si  e'  posto  il  problema  se  tale  norma  detti  un  criterio
sostitutivo rispetto al possesso del requisito del  permesso  UE  per
soggiornanti di lungo periodo (ex carta di  soggiorno)  previsto  dal
censurato comma 19 dell'art. 80 della legge  n.  388  del  2000,  nel
senso che la legale permanenza in  Italia  per  dieci  anni  potrebbe
essere considerata sostitutiva  della  titolarita'  del  permesso  di
soggiorno UE.
    La risposta a tale quesito, da cui dipende  la  rilevanza  stessa
delle  questioni,  deve  essere   negativa,   essendo   i   requisiti
cumulativi.
    Il riferimento agli «aventi diritto» presuppone la ricorrenza, in
capo a questi ultimi, di tutti  i  requisiti  espressamente  previsti
dalla legge, tra i quali la titolarita' del permesso di soggiorno  UE
per soggiornanti di lungo periodo, cui si aggiunge la condizione  del
soggiorno continuativo per almeno dieci anni.
    7.- I ricorrenti reputano discriminatorio e irragionevole che  la
disposizione impugnata  subordini  il  godimento  per  gli  stranieri
dell'assegno  sociale  alla   titolarita'   del   permesso   UE   per
soggiornanti di lungo periodo.
    La questione non e' fondata.
    La giurisprudenza costituzionale ha gia' chiarito  che  «entro  i
limiti consentiti dall'art. 11 della direttiva 25 novembre  2003,  n.
2003/109/CE  (Direttiva  del  Consiglio  relativa  allo   status   di
cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti  di  lungo  periodo),
cui ha conferito attuazione il decreto legislativo 8 gennaio 2007, n.
3  [...],  e  comunque  nel   rispetto   dei   diritti   fondamentali
dell'individuo  assicurati  dalla  Costituzione  e  dalla   normativa
internazionale, il legislatore [puo']  riservare  talune  prestazioni
assistenziali ai soli cittadini e alle  persone  ad  essi  equiparate
soggiornanti in Italia, il cui status vale di per se' a  generare  un
adeguato nesso tra la partecipazione  alla  organizzazione  politica,
economica  e  sociale  della   Repubblica,   e   l'erogazione   della
provvidenza» (sentenza n. 222 del 2013).
    Ne segue che la Costituzione impone di  preservare  l'uguaglianza
nell'accesso  all'assistenza  sociale  tra   cittadini   italiani   e
comunitari  da  un  lato,  e  cittadini  extracomunitari  dall'altro,
soltanto  con  riguardo  a   servizi   e   prestazioni   che,   nella
soddisfazione di «un bisogno primario dell'individuo che non  tollera
un distinguo correlato al radicamento territoriale» (sentenza n.  222
del 2013), riflettano il  godimento  dei  diritti  inviolabili  della
persona.
    Per questa parte,  infatti,  la  prestazione  non  e'  tanto  una
componente dell'assistenza sociale (che l'art. 38, primo comma, Cost.
riserva al «cittadino»), quanto un necessario strumento  di  garanzia
di un diritto inviolabile della persona (art. 2 Cost.).
    Stante la limitatezza delle risorse disponibili, al  di  la'  del
confine  invalicabile   appena   indicato,   rientra   dunque   nella
discrezionalita' del legislatore graduare con criteri restrittivi,  o
financo di esclusione, l'accesso dello straniero  extracomunitario  a
provvidenze ulteriori. Per esse, laddove e' la  cittadinanza  stessa,
italiana o comunitaria, a  presupporre  e  giustificare  l'erogazione
della prestazione ai membri della comunita', viceversa  ben  puo'  il
legislatore esigere in capo al cittadino  extracomunitario  ulteriori
requisiti, non manifestamente irragionevoli,  che  ne  comprovino  un
inserimento stabile e attivo.
    In tal modo, le provvidenze divengono il corollario dello stabile
inserimento dello straniero in Italia, nel senso  che  la  Repubblica
con esse ne riconosce e valorizza  il  concorso  al  progresso  della
societa',  grazie  alla  partecipazione  alla  vita  di  essa  in  un
apprezzabile arco di tempo.
    A tale proposito, la titolarita' del permesso UE per soggiornanti
di lungo periodo, diversamente dalla mera residenza legale in Italia,
e'  subordinata  a  requisiti  (la  produzione  di  un  reddito;   la
disponibilita' di un alloggio; la conoscenza della  lingua  italiana:
art. 9 del d.lgs. n. 286  del  1998)  che  sono  in  se'  indici  non
irragionevoli di una simile partecipazione. Essa percio'  rappresenta
l'attribuzione di un peculiare status che comporta diritti aggiuntivi
rispetto al solo permesso di soggiorno; infatti,  consente  (art.  9,
comma 12, del d.lgs. n. 286 del 1998)  di  entrare  in  Italia  senza
visto,  di  svolgervi  qualsiasi  attivita'  lavorativa  autonoma   o
subordinata, di accedere ai servizi e alle prestazioni della pubblica
amministrazione  in  materia   sanitaria,   scolastica,   sociale   e
previdenziale, e di partecipare alla vita pubblica locale.
    Il permesso di cui all'art. 9 del d.lgs. n. 286 del 1998, che  ha
durata indeterminata, consente  l'inclusione  dello  straniero  nella
comunita'  nazionale  ben  distinguendo  il  relativo  status   dalla
provvisorieta' in cui resta confinato  il  titolare  di  permesso  di
soggiorno di cui all'art. 5 del d.lgs. n. 286 del 1998.
    Non  e'   percio'   ne'   discriminatorio,   ne'   manifestamente
irragionevole che il permesso di soggiorno  UE  per  soggiornanti  di
lungo periodo sia  il  presupposto  per  godere  di  una  provvidenza
economica, quale l'assegno  sociale,  che  si  rivolge  a  chi  abbia
compiuto 65 anni di eta'. Tali persone ottengono infatti, alle soglie
dell'uscita  dal  mondo  del  lavoro,  un  sostegno  da  parte  della
collettivita' nella quale hanno operato (non a  caso  il  legislatore
esige in capo al cittadino stesso una residenza almeno  decennale  in
Italia), che e'  anche  un  corrispettivo  solidaristico  per  quanto
doverosamente offerto  al  progresso  materiale  o  spirituale  della
societa' (art. 4 Cost.).
    Rientra dunque nella discrezionalita' del legislatore riconoscere
una prestazione economica al solo straniero,  indigente  e  privo  di
pensione, il cui stabile  inserimento  nella  comunita'  lo  ha  reso
meritevole dello stesso  sussidio  concesso  al  cittadino  italiano.
Pertanto sotto nessun profilo puo' ritenersi violato l'art.  3  Cost.
con riferimento a quegli stranieri che invece tale status non hanno.
    8.- Neppure e' convincente il rilievo, secondo il  quale  sarebbe
manifestamente    irragionevole    subordinare    il    conseguimento
dell'assegno sociale al possesso del permesso UE per soggiornanti  di
lungo periodo, posto che quest'ultimo viene ottenuto solo se si ha un
reddito di importo pari all'assegno sociale stesso.  Non  e'  infatti
detto che lo straniero, una volta conseguito il permesso di soggiorno
di lunga durata, che e' di regola permanente (art. 8 della  direttiva
2003/109/CE), sia poi in grado di preservare le condizioni economiche
che glielo hanno consentito. In tali casi, la vocazione solidaristica
dell'assegno sociale torna a manifestarsi, in  quanto  esso  soccorre
chi, nonostante l'ingresso stabile nella collettivita' nazionale, sia
poi incorso in difficolta' che ne hanno determinato l'indigenza.
    E' di tutta evidenza  che  l'assegno  sociale,  in  questi  casi,
presuppone la perdita di quel reddito la cui esistenza aveva concorso
al perfezionamento dei requisiti per l'ottenimento  del  permesso  di
soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo.
    9.- Un obbligo costituzionale  di  attribuire  l'assegno  sociale
allo straniero privo della (ex) carta di soggiorno non deriva neppure
dall'art. 12 della direttiva 2011/98/UE del Parlamento europeo e  del
Consiglio, del 13 dicembre 2011, che, ai fini della equiparazione dei
cittadini stranieri extracomunitari ai cittadini  italiani,  richiama
il  regolamento  (CE)  n.  883/2004  del  Parlamento  europeo  e  del
Consiglio del 29 aprile 2004, relativo al coordinamento  dei  sistemi
di sicurezza sociale, che impone la  parita'  di  trattamento  tra  i
lavoratori stranieri e i cittadini dello Stato europeo che li  ospita
per quanto riguarda il settore della sicurezza sociale,  non  venendo
qui in considerazione la posizione di lavoratori.
    10.- La questione relativa all'art. 38 Cost., che sarebbe violato
perche'  la  norma  impugnata  subordina  il  godimento  del  diritto
all'assegno sociale  al  «possesso  di  una  certificazione  di  tipo
amministrativo», e' anch'essa infondata.
    Si e' gia' infatti posto in luce che la titolarita' del  permesso
UE per soggiornanti  di  lungo  periodo  comporta  la  ricorrenza  di
requisiti ai quali non  e'  manifestamente  irragionevole  legare  il
riconoscimento della prestazione assistenziale.
    11.- Quanto appena  detto  comporta  l'infondatezza  anche  delle
ulteriori censure, riferite agli artt. 10, primo e secondo  comma,  e
117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 14 CEDU, e  sviluppate
sulla base dell'erronea premessa  che  la  cittadinanza  italiana  ed
europea non costituisca un elemento idoneo per selezionare gli aventi
diritto  alla  prestazione,  escludendone  gli  stranieri  privi  del
permesso UE per soggiornanti di lungo periodo.
    In particolare, non risulta  violato  l'art.  117,  primo  comma,
Cost., in relazione all'art. 14 CEDU,  essendo  non  discriminatorio,
per  le  ragioni  enunciate,  il  criterio   adottato   quanto   alla
parificazione dei  cittadini  stranieri  a  quelli  italiani  in  una
prestazione di welfare sganciata dallo status lavorativo.
    Come si e' detto, l'assegno sociale per chi abbia  65  anni  (che
dal 1° gennaio 2019 spetta a coloro che abbiano raggiunto  l'eta'  di
67 anni) e' una prestazione sociale riservata a coloro che, privi  di
reddito adeguato e di pensione, abbiano raggiunto un'eta' in linea di
massima non piu' idonea alla ricerca di un'attivita' lavorativa e che
mantengano  comunque  la  effettiva   residenza   in   Italia;   tale
prestazione  e'  pertanto  legittimamente  riservata   ai   cittadini
italiani, ai cittadini europei e ai cittadini extracomunitari solo se
titolari di permesso  di  soggiorno  UE  per  soggiornanti  di  lungo
periodo.
    Nella giurisprudenza di questa  Corte  l'elemento  di  discrimine
basato sulla cittadinanza e' stato ritenuto in contrasto con l'art. 3
Cost. e con lo stesso divieto di discriminazione formulato  dall'art.
14 CEDU, solo con riguardo a prestazioni destinate al soddisfacimento
di bisogni primari e volte alla «garanzia per la stessa sopravvivenza
del soggetto» (sentenza n. 187 del 2010) o  comunque  destinate  alla
tutela della  salute  e  al  sostentamento  connesso  all'invalidita'
(sentenza n. 230 del 2015), di volta in volta con specifico  riguardo
alla   pensione   di   inabilita',   all'assegno   di    invalidita',
all'indennita'  per  ciechi  e  per   sordi   e   all'indennita'   di
accompagnamento (sentenze n. 230 e n. 22 del 2015, n. 40 del 2013, n.
329 del 2011, n. 187 del 2010, n. 11 del 2009 e n. 306 del 2008).
    Come si e' visto, l'assegno sociale non e'  equiparabile  a  tali
prestazioni.
    In conclusione,  il  legislatore  puo'  legittimamente  prevedere
specifiche   condizioni   per   il   godimento   delle    prestazioni
assistenziali eccedenti i bisogni primari della persona, purche' tali
condizioni non siano manifestamente irragionevoli ne' intrinsecamente
discriminatorie,  com'e'  appunto  nella  specie  la   considerazione
dell'inserimento socio-giuridico del cittadino  extracomunitario  nel
contesto nazionale, come certificata dal permesso di soggiorno UE  di
lungo periodo, al quale l'ordinamento fa conseguire il riconoscimento
di  peculiari  situazioni  giuridiche  che  equiparano  il  cittadino
extracomunitario - a determinati  fini  -  ai  cittadini  italiani  e
comunitari.

     

                          per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE

    riuniti i giudizi,
    1)  dichiara   non   fondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 80, comma 19, della legge 23 dicembre  2000,
n. 388, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale
e pluriennale dello Stato (legge finanziaria  2001)»,  sollevata,  in
riferimento  agli  artt.  3,  10,  secondo  comma,  quest'ultimo   in
relazione all'art. 14 della Convenzione europea per  la  salvaguardia
dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a
Roma il 4 novembre 1950, ratificata e  resa  esecutiva  con  legge  4
agosto 1955, e 38 della  Costituzione,  dal  Tribunale  ordinario  di
Torino con l'ordinanza indicata in epigrafe;
    2)  dichiara   non   fondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 80, comma 19, della legge n. 388  del  2000,
sollevata, in riferimento agli artt. 3, 10, primo comma, e 117, primo
comma, della Costituzione,  quest'ultimo  in  relazione  all'art.  14
CEDU, dal Tribunale ordinario di Bergamo con l'ordinanza indicata  in
epigrafe.
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 4 dicembre 2018.

                                F.to:
                    Giorgio LATTANZI, Presidente
                    Giulio PROSPERETTI, Redattore
                     Roberto MILANA, Cancelliere

    Depositata in Cancelleria il 15 marzo 2019.

                   Il Direttore della Cancelleria
                        F.to: Roberto MILANA


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