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mercoledì 19 ottobre 2022

Aspetti generali Applicabilità della normativa prevenzionale al settore pubblico

 

Nuova pagina 7

Aspetti generali
  Applicabilità della normativa prevenzionale al settore pubblico

 

2 Il principio della "circolarità" della sicurezza

Questo principio cd. di "circolarità" della sicurezza (per tale intendendosi l'applicazione con valenza trasversale delle varie normative ai vari settori della vita associata), se non consente aree extraterritoriali esenti da tutela, per altro verso era stato oggetto di una rivisitazione con l'emanazione del D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, che ne aveva meglio specificato lo statuto pubblicistico. E anche con riguardo a tale decreto, la giurisprudenza aveva ritenuto ad esempio che "l' art. 4D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, che detta norme per il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro, è applicabile anche alle pubbliche amministrazioni" (Cons. Stato sez. II, 14 giugno 1995).
Se uno dei tratti salienti del D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626 era quello relativo al suo campo di applicazione, non v'è dubbio che all' art. 1, comma 1 di detto decreto il legislatore italiano, in ciò capovolgendo per la prima volta la tendenza della normativa di settore precedente (1), aveva espresso chiaramente e senza riserve il principio della generale, indifferenziata applicabilità della normativa in tema di sicurezza e di salute sul luogo di lavoro a tutti i settori di attività, compresi quelli aventi natura pubblica, rendendo in tal modo il modello di impresa sicura, di derivazione comunitaria, corrispondente ad uno "standard" concettualmente e normativamente omogeneo. Del resto l'esigenza di uno statuto normativo unico è conseguenziale all'assetto della normativa comunitaria in tema di prevenzione degli infortuni e di igiene del lavoro, i cui atti, adottati dal Consiglio europeo, trovano il loro riferimento fondamentale nel citato art. 118 A del Trattato istitutivo CEE, e nella Dir. 12 giugno 1989, n. 89/391/CEE (Direttiva-quadro) che dal primo ha tratto origine. Ne deriva che anche la legislazione degli Stati membri, tra cui l'Italia, non poteva che poggiare su questo corpo normativo che ne costituiva nucleo di riferimento e, al tempo stesso, propulsore.
Se dunque l'enunciazione di carattere generale del comma 1 dell' art. 1, D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626 metteva in chiara e non equivoca evidenza come anche la pubblica Amministrazione fosse stata messa sullo stesso piano dei datori di lavoro privati, quanto alla definizione degli obblighi di sicurezza e di salute (a nulla rilevando - in linea tendenziale - la natura pubblicistica dei servizi, delle funzioni e delle mansioni svolte) (2), va rilevato come neppure al successivo comma 2 - nonostante le modifiche apportate dal D.Lgs. 19 marzo 1996, n. 242 e successivamente dal D.L. 1 ottobre 1996, n. 510 - il legislatore, pur essendosi posto il problema dell'assoggettabilità alla disciplina ordinaria dei settori cd. particolari, aveva inteso porre un'eccezione al citato principio di "circolarità" della sicurezza. Detta norma infatti, nello stabilire che "nei riguardi delle Forze armate e di Polizia, dei servizi di protezione civile, nonché nell'ambito delle strutture giudiziarie, penitenziarie, di quelle destinate per finalità istituzionali alle attività degli organi con compiti in materia di ordine e sicurezza pubblica, delle università, degli istituti di istruzione universitaria, degli istituti di istruzione ed educazione di ogni ordine e grado, degli archivi, delle biblioteche, dei musei e delle aree archeologiche dello Stato, delle rappresentanze diplomatiche e consolari e dei mezzi di trasporto aerei e marittimi, le norme del presente decreto sono applicate tenendo conto delle particolari esigenze connesse al servizio espletato, individuate con decreto del Ministro competente di concerto con i Ministri del lavoro e della previdenza sociale, della sanità e della funzione pubblica", manteneva fermo, sia pure con riserva, il principio della generale applicabilità del decreto legislativo in esame. Infatti la riserva, come esplicitata nella norma, non era riserva di applicabilità, ma, più limitatamente, riserva di compatibilità (3).
Dunque si coglieva chiaramente la sensibilità dell'approccio legislativo: diversamente da come si atteggiava la disciplina contenuta nell' art. 2D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547 e nell' art. 2D.P.R. 19 marzo 1956, n. 303 (la quale - come abbiamo visto - esclude in modo specifico ed esplicito alcuni settori di attività dall'applicazione della normativa), l' art. 1, comma 2, D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626 aveva confermato senza eccezioni il principio della sua generale applicabilità.
L'art. 3D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 ha confermato sia il principio di "circolarità" della sicurezza sia l'esigenza di dettare una disciplina specifica per i settori cd. particolari. L'attuale indicazione normativa è riportata nella Tabella 1.
Tabella 1
 

D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81


 

Articolo 3


 

Campo di applicazione


1. Il presente decreto legislativo si applica a tutti i settori di attività, privati e pubblici, e a tutte le tipologie di rischio.
2. Nei riguardi delle Forze armate e di Polizia, del Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, dei servizi di protezione civile, nonché nell'ambito delle strutture giudiziarie, penitenziarie, di quelle destinate per finalità istituzionali alle attività degli organi con compiti in materia di ordine e sicurezza pubblica, delle università, degli istituti di istruzione universitaria, delle istituzioni dell'alta formazione artistica e coreutica, degli istituti di istruzione ed educazione di ogni ordine e grado, degli uffici all'estero di cui all'art. 30, D.P.R. 5 gennaio 1967, n. 18, e dei mezzi di trasporto aerei e marittimi, le disposizioni del presente decreto legislativo sono applicate tenendo conto delle effettive particolari esigenze connesse al servizio espletato o alle peculiarità organizzative ivi comprese quelle per la tutela della salute e sicurezza del personale nel corso di operazioni ed attività condotte dalla Forze armate, compresa l'Arma dei Carabinieri, nonché dalle altre Forze di polizia e dal Corpo dei Vigili del fuoco, nonché dal Dipartimento della protezione civile fuori dal territorio nazionale, individuate entro e non oltre ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo con decreti emanati, ai sensi dell'art. 17, comma 3, L. 23 agosto 1988, n. 400, dai Ministri competenti di concerto con i Ministri del lavoro e della previdenza sociale, della salute e delle riforme e innovazioni nella pubblica amministrazione, acquisito il parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, sentite le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale nonché, relativamente agli schemi di decreti di interesse delle Forze armate, compresa l'Arma dei carabinieri ed il Corpo della Guardia di Finanza, gli organismi a livello nazionale rappresentativi del personale militare; analogamente si provvede per quanto riguarda gli archivi, le biblioteche e i musei solo nel caso siano sottoposti a particolari vincoli di tutela dei beni artistici storici e culturali. Con i successivi decreti, da emanare entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, ai sensi dell'art. 17, comma 3, L. 23 agosto 1988, n. 400, su proposta dei Ministri competenti, di concerto con i Ministri del lavoro e della previdenza sociale e della salute, acquisito il parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, si provvede a dettare le disposizioni necessarie a consentire il coordinamento con la disciplina recata dal presente decreto della normativa relativa alle attività lavorative a bordo delle navi, di cui al D.Lgs. 27 luglio 1999, n. 271, ed in ambito portuale, di cui al D.Lgs. 27 luglio 1999, n. 272, e l'armonizzazione delle disposizioni tecniche di cui ai titoli dal II al XII del medesimo decreto con la disciplina in tema di trasporto ferroviario contenuta nella L. 26 aprile 1974, n. 191 e relativi decreti di attuazione.
3. Fino alla scadenza del termine di cui al comma 2, sono fatte salve le disposizioni attuative dell'art. 1, comma 2, D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, nonché le disposizioni di cui al D.Lgs. 27 luglio 1999, n. 271, al D.Lgs. 27 luglio 1999, n. 272 e le disposizioni tecniche del D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, e del D.P.R. 7 gennaio 1956, n. 164, richiamate dalla L. 26 aprile 1974, n. 191 e dai relativi decreti di attuazione; decorso inutilmente tale termine, trovano applicazione le disposizioni di cui al presente decreto.
 

(omissis)


3-bis. Nei riguardi delle cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381, e delle organizzazioni di volontariato della protezione civile, ivi compresi i volontari della Croce Rossa Italiana e del Corpo Nazionale soccorso alpino e speleologico, e i volontari dei vigili del fuoco, le disposizioni del presente decreto legislativo sono applicate tenendo conto delle particolari modalità di svolgimento delle rispettive attività, individuate entro il 31 dicembre 2010 con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Dipartimento della protezione civile e il Ministero dell'interno, sentita la Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro
La totalizzante indicazione contenuta prima nel D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, e successivamente nel D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 - anche in chiave culturale rappresenta un fatto improntato ad una ben definita gerarchia di valori (4) - va addirittura oltre le indicazioni della Dir. 12 giugno 1989, n. 89/391/CEE (art. 2, paragrafo 2).
L'esame in chiave di comparazione ci porta dunque ad affermare che il legislatore italiano, nel trasfondere e nel recepire l'indicazione della Direttiva europea prime nel testo dell' art. 1, comma 2, D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, e poi nel testo dell'art. 3, comma 2, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (come modificato dal D.Lgs. 3 agosto 2009, n. 106), le ha non solo dato corpo ed attuazione, ma ha anche innalzato il livello della tutela prevista dallo standard comunitario. E ciò in ossequio alla regola - parimenti codificata nel già più volte menzionato art. 118 A del Trattato CEE - in base alla quale le prescrizioni contenute nelle Direttive comunitarie fissano in ogni caso quello che è il livello minimo di tutela; livello che il legislatore di ciascuno Stato membro è comunque tenuto a rispettare e che può - in ipotesi - solo innalzare con effetto migliorativo (in melius(5).
A questo riguardo si può dire che il legislatore italiano, nel recepire l'indicazione contenuta nella citata Dir. 12 giugno 1989, n. 89/391/CEE (Direttiva-quadro) ha completamente ribaltato la prospettiva del legislatore europeo (da "inapplicabilità" a "applicabilità compatibile"), con l'effetto di determinare un innalzamento del livello di tutela rispetto allo standard fissato nella sede comunitaria.
Non esistendo aree di esenzione, o di extraterritorialità giuridica, ma solo la determinazione di statuti giuridici differenziati, compatibili con le "particolari esigenze connesse al servizio espletato" nei settori oggetto della riserva legislativa, a ragione può affermarsi che il principio di "circolarità" della sicurezza, il quale permea ormai indistintamente ogni ambito della disciplina, costituisce un vero e proprio principium iuris.
Volendo riassumere quanto finora detto, può affermarsi che, all'interno della più generale nozione di "campo di applicazione" del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, si deve distinguere concettualmente e operativamente,
 

 

 

dal


 
 

A. l'ambito


 
 

B. modo


 
 

di applicazione:


 
 
il primo non soggetto in nessun caso a deroghe od eccezioni,
 
 

il secondo limitato da una clausola di compatibilità con le "particolari esigenze connesse al servizio espletato ".


 
   
 
La riserva di compatibilità che i principi generali del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 devono avere, rispetto a quelle che sono le "effettive particolari esigenze connesse al servizio espletato o alle peculiarità organizzative", rappresenta il limite di applicabilità della normativa antinfortunistica e di igiene del lavoro ai settori particolari indicati nel comma 2 dell' art. 3 del decreto (6). Limite tuttavia che va inteso in senso positivo, testimoniando in ogni caso lo sforzo, operato dal legislatore italiano, al fine di estendere al massimo il campo di applicazione del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81.
Infatti, rispetto all'approccio del legislatore comunitario, la prospettiva appare completamente ribaltata: le "effettive particolari esigenze connesse al servizio espletato o alle peculiarità organizzative" non fungono da cartina di tornasole per l'inapplicabilità della disciplina; ma, al contrario, sono la variabile specifica che presuppone - seppur condizionandola - l'applicabilità della normativa generale (7).
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(1) L' art. 2D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547 (Norme generali per la prevenzione degli infortuni sul lavoro) individuava infatti aree di lavoro consapevolmente non assoggettate alla tutela di carattere generale ("Attività escluse"); e ciò anche nel caso in cui non fossero state ancora emanate discipline specifiche, come era per esempio per l'esercizio della navigazione marittima. Analogamente si esprimeva l' art. 2D.P.R. 19 marzo 1956 , n. 303 (Norme generali per l'igiene del lavoro). Di modo che, in alcuni settori, poteva determinarsi, nella stessa previsione del legislatore, un "vuoto" di tutela, sia sotto l'aspetto della vigilanza, sia - quel che è più grave - sotto l'aspetto del controllo e dell'attività di prevenzione.
 

(2) Va detto che a ciò peraltro induceva necessariamente il dettato lapidario del testo della Direttiva comunitaria ( art. 2, paragrafo 1).
 

(3) L'ulteriore esigenza di rispettare altri due fondamentali criteri e principi direttivi contenuti nella L. 19 febbraio 1992, n. 142 (art. 43, lett. f): definizione di misure "standard" di sicurezza in presenza di condizioni particolari di rischio - art. 43, lett. g): adozione di unitarietà di indirizzi ed omogeneità di comportamenti in tutto il territorio nazionale nell'applicazione delle disposizioni in materia di sicurezza del lavoro] è stata soddisfatta attraverso il ricorso allo strumento di normazione secondaria (più snello e flessibile) costituito dal decreto ministeriale. Allo stato attuale risultano emanati il D.M. 29 agosto 1997, n. 338 (Giustizia) (Strutture giudiziarie e penitenziarie); il D.M. 21 novembre 1997, n. 497 (Affari esteri) (Rappresentanze diplomatiche e consolari all'estero); il D.M. 5 agosto 1998, n. 363 (Università e Ricerca scientifica) (Università e istituti di istruzione universitaria); il D.M. 13 agosto 1998, n. 325 (Finanze) (Guardia di Finanza); il D.M. 29 settembre 1998, n. 382 (Pubblica istruzione) (Istituti di istruzione e di educazione); il D.M. 14 giugno 1999, n. 450 (Interni) (Polizia di Stato, Corpo nazionale dei vigili del fuoco e uffici centrali e periferici dell'Amministrazione della pubblica sicurezza); il D.M. 14 giugno 2000, n. 284 (Difesa) (Forze armate); il D.M. 6 febbraio 2001, n. 110 (Politiche agricole e forestali) (Corpo forestale dello Stato); il D.P.C.M. 23 luglio 2003 (Presidenza del consiglio dei ministri).
 

(4) Il principio della generale ed indifferenziata applicabilità della normativa di prevenzione degli infortuni e di tutela della salute durante il lavoro è infatti affermazione della preminenza - e prevalenza - dell'esigenza di tutela dei beni costituiti dalla sicurezza e dalla salute dei lavoratori in ambiente di lavoro. In tale prospettiva l'esigenza di tutela è posta dal legislatore quale obiettivo non rinunciabile, sia pure tenendo conto "... delle particolari esigenze connesse al servizio espletato ...", e valutando altresì che ci sono anche altri valori in gioco, come le esigenze occupazionali e quelle legate alla libera iniziativa economica ed imprenditoriale, facente capo al datore di lavoro.
 

(5) Deve inoltre essere ricordato che uno dei criteri e dei principi direttivi contenuti sia nella Legge delega 19 febbraio 1992, n. 142, (dalla quale il D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626 traeva la sua legittimazione), sia nella Legge delega 3 agosto 2007, n. 123 (art. 1, comma 3), è quello del cd. rispetto del livello minimo di protezione più favorevole eventualmente previsto dalla legislazione italiana). Tale obiettivo, sancito anche nel secondo "considerando" della Dir. 12 giugno 1989, n. 89/391/CEE (Direttiva-quadro), tende a scongiurare l'effetto "paradossale" e negativo che si avrebbe laddove, per assicurare il livello minimo di protezione stabilito da una Direttiva comunitaria, si dovesse ridurre il sistema di tutela più avanzato assicurato dalla legislazione già vigente.
 

(6) Il regime di "applicazione compatibile" della normativa di tutela della sicurezza e della salute nei settori particolari è stato confermato anche in tema di esercizio dell'attività di vigilanza. Infatti l' art. 13, comma 3, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, nel fare salve le particolari competenze in materia, ha avuto riguardo ad organismi e strutture (Forze armate, Forze di polizia, Vigili del fuoco, Amministrazione della giustizia, Amministrazione penitenziaria) tutti già soggetti al suddetto regime di cui all' art. 1, comma 2, del decreto.
 

(7) La scelta legislativa di adottare uno statuto normativo e una regolamentazione unitariamente involgenti tanto il settore privato quanto quello pubblico, non costituisce un portato con valenza assoluta: mentre il principio che detta scelta sottende è stato chiaramente affermato nel testo del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, lo stesso non può dirsi con riguardo ad altri settori particolari, oggetto di specifiche discipline, quali il settore delle industrie estrattive, regolato dal D.Lgs. 25 novembre 1996, n. 624; il settore del lavoro a bordo delle navi da pesca, regolato dal D.Lgs. 17 agosto 1999, n. 298; invero, nel corpo delle normative testè citate non è dato infatti rinvenire quella locuzione di generale indifferenziata applicabilità espressa all'art. 3, comma 2, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81. Ciò pone forse ipotetiche eccezioni al principio di "circolarità" esaminato nel testo? La risposta, sul punto, non può che essere negativa: infatti tanto l' art. 1, comma 3, D.Lgs. 25 novembre 1996, n. 624, quanto l' art. 1, comma 2, D.Lgs. 17 agosto 1999, n. 298, contengono una specifica "clausola di rinvio", che fa salva - sia pure in regime di compatibilità - le disposizioni "... del D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626 ..." (ora da intendersi riferite alle corrispondenti disposizioni del Testo Unico); il che consente all'interprete di recepire, importandole, le norme del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 che non trovino più specifica o diversa regolamentazione nelle normative suddette (industrie estrattive, pescherecci), le quali del resto, in quanto trasposizione di Direttive comunitarie cd. "particolari" (emanate ai sensi dell' art. 16Dir. 12 giugno 1989, n. 89/391/CEE, dalla quale pure il D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 è derivato), sono tutte "figlie" del primo. Quanto al settore dei cantieri temporanei o mobili, va detto che la sicurezza negli appalti pubblici trova specifica disciplina, limitatamente ai Piani di sicurezza, nell' art. 131D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163.
 

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