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domenica 26 marzo 2023

Corte d'Appello 2023- Il Ministero dell'Interno aveva respinto la domanda di X diretta ad ottenere l'erogazione dei benefici riservati alle "vittime del dovere e soggetti ad esse equiparati" (art. 1, commi 562-565 della L. n. 266 del 2005). Il sig. S. era rimasto permanentemente invalido a seguito del tentativo, in data 7.9.2003, di sedare una rissa scoppiata fra due gruppi di detenuti in carcere allorché il S. prestava servizio come agente di Polizia Penitenziaria presso la C.C.P.: egli veniva aggredito, immobilizzato, minacciato prima di dare l'allarme. Il Ministero aveva motivato il rigetto con la ritenuta assenza del "maggior rischio" rispetto a quello insito negli ordinari compiti di istituto, nonché delle "particolari condizioni ambientali od operative" e dello stesso carattere di "missione" del servizio. L'assenza del rischio ultroneo è anche alla base del rigetto dell'impugnativa da parte del Tribunale di Cassino, di cui all'odierno gravame.

 


Corte d'Appello Roma Sez. lavoro, Sent., 07-03-2023

Fatto Diritto P.Q.M. 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE D'APPELLO DI ROMA

III SEZIONE LAVORO E PREVIDENZA

composta dai signori magistrati:

NETTIS dr. Vito Francesco - Presidente

DEDOLA dr. Enrico Sigfrido - Consigliere

COSENTINO dr.ssa Maria Giulia - Consigliere rel.

All'udienza di discussione del 22 febbraio 2023, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella controversia in materia di previdenza in grado di appello iscritta al n. 3290 del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell'anno 2019

TRA

OMISSIS, con l'Avv. Marina Perna

Appellante

E

MINISTERO DELL'INTERNO, con l'Avvocatura Generale dello Stato

Appellato

OGGETTO: appello avverso la sentenza n. 504/2019 pronunciata il 3.6.2019 dal Tribunale di Cassino.


Svolgimento del processo


Il Ministero dell'Interno aveva respinto la domanda di F.S. diretta ad ottenere l'erogazione dei benefici riservati alle "vittime del dovere e soggetti ad esse equiparati" (art. 1, commi 562-565 della L. n. 266 del 2005). Il sig. S. era rimasto permanentemente invalido a seguito del tentativo, in data 7.9.2003, di sedare una rissa scoppiata fra due gruppi di detenuti in carcere allorché il S. prestava servizio come agente di Polizia  Penitenziaria presso la C.C.P.: egli veniva aggredito, immobilizzato, minacciato prima di dare l'allarme. Il Ministero aveva motivato il rigetto con la ritenuta assenza del "maggior rischio" rispetto a quello insito negli ordinari compiti di istituto, nonché delle "particolari condizioni ambientali od operative" e dello stesso carattere di "missione" del servizio. L'assenza del rischio ultroneo è anche alla base del rigetto dell'impugnativa da parte del Tribunale di Cassino, di cui all'odierno gravame.

Nell'atto di appello il S. ribadisce la difficoltà e pericolosità delle condizioni ambientali ed operative in cui operava, a causa del sovraffollamento del carcere e della compresenza di soggetti di diverse etnie; ricorda che quel giorno vigilava da solo oltre 50 detenuti rientrati dal cortile e tenuti a celle aperte poiché in orario di "socialità"; che pertanto, essendo intervenuto a sedare una rissa fra gruppi rivali, era stato spintonato, immobilizzato, minacciato, costretto in una piccola cella ove i detenuti si picchiavano in quanto appartenenti a diverse organizzazioni criminali in lotta per il conseguimento del potere nella struttura; ribadisce di averne ricavato una grave forma di disturbo post-traumatico da stress con sindrome ansiosa e depressione reattiva e che infine il Centro Militare di Medicina Legale di Firenze CMO 3, con verbale n. 5296 del 14.4.2005 aveva posto diagnosi di "Disturbo post traumatico da stress cronicizzato con umore depresso", ascritto alla Tab. A (...) categoria ai fini dell'Equo Indennizzo e della Pensione Privilegiata, giudicando il ricorrente "non idoneo permanentemente ed ai compiti di istituto nella  Polizia  Penitenziaria; per cui infine egli transitava nei ruoli civili dell'Amministrazione penitenziaria e godeva del trattamento pensionistico privilegiato di (...) categoria a vita a decorrere dal 3.5.2006 per "disturbo post-traumatico da stress con umore depresso", poi di sesta categoria in ragione di successivo aggravamento, con riduzione della capacità lavorativa del 50%.

In diritto, censura la pronuncia per violazione e/o falsa applicazione dell'art. 1, comma 563 della L. n. 266 del 2005, nonché del successivo comma 564, nonché per errata interpretazione dei fatti e documenti di causa. Ad avviso dell'appellante, con il comma 563 il legislatore ha riconosciuto benefici assistenziali per i sacrifici richiesti agli operatori impegnati in alcune specifiche attività ritenute ex se più a rischio, per cui non occorrerebbe il ricorrere di un rischio specifico diverso ed aggiuntivo, come nella diversa ipotesi dei c.d. "equiparati" di cui al successivo comma 564. E deve dirsi che l'attività del S. rientrasse nello svolgimento di un servizio volto al "contrasto ad ogni tipo di criminalità", in "operazione di soccorso", e comunque, in conseguenza dell'attività di "vigilanza a infrastruttura militare", tutte ipotesi codificate dal comma 563.

In ogni caso, soggiunge l'appellante, il rischio aggiuntivo doveva dirsi integrato dalle peculiari condizioni di sicurezza del carcere, come descritte, superiori a quelle connesse col servizio ordinario, per cui potrebbe anche inquadrarsi la fattispecie fra le "missioni di qualunque natura" rese in "particolari condizioni ambientali od operative" richieste dall'art. 1, lettera c) D.P.R. n. 243 del 2006, integrando quelle "condizioni comunque implicanti l'esistenza o anche il sopravvenire di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi e fatiche in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti d'istituto".

Ha chiesto, pertanto, in riforma della sentenza gravata, tutti i benefici connessi con lo status di cui chiede l'accertamento, anche in relazione alla misura accertata dell'invalidità, superiore al 25%.

Si è costituito il Ministero dell'Interno per resistere all'appello, evidenziando che l'art. 1 comma 563 della L. n. 266 del 2005, richiama, quindi, l'art. 3 della L. n. 466 del 1980, con lo scopo di delineare compiutamente i destinatari e questa, a sua volta, rimanda agli artt. 1 e 2 della medesima L. n. 466 del 1980, nel cui contesto vengono fissati gli elementi strutturali della fattispecie: per cui è necessaria, per l'inserimento del soggetto fra le vittime del dovere, la compresenza dei requisiti della "Funzione Istituzionale", dello "Specifico elemento di rischio ultroneo rispetto alla normalità delle funzioni istituzionali", come sancito da giurisprudenza costante del Consiglio di Stato: come ha statuito la sentenza gravata, il concetto di vittima del dovere non può identificarsi con quello di "invalido per causa di servizio". Nella specie, il fatto rappresentato rientrerebbe nell'alea connaturata al servizio svolto. Ciò anche alla luce della sentenza n. 1671/2020 della Cassazione, resa in vicenda analoga; la S.C., in quella sede, ha anche chiarito che anche il comma 564 richiede il requisito della situazione di eccezionale pericolo.

Dopo il mutamento del Consigliere originariamente designato come relatore, in quanto assegnato ad altra Sezione come Presidente, all'udienza fissata le parti hanno discusso la causa con riferimento alle conclusioni rassegnate e riportate in epigrafe; la causa è stata quindi decisa con la pronuncia del dispositivo in calce.


Motivi della decisione


I fatti di causa così come il grado di invalidità che ne è conseguito sono pacifici.

Giova in primo luogo riportare la dizione dell'art. 1, commi 563 e 564 della L. n. 266 del 2005 di cui si discute:

"563. Per vittime del dovere devono intendersi i soggetti di cui all'articolo 3 della L. 13 agosto 1980, n. 466, e, in genere, gli altri dipendenti pubblici deceduti o che abbiano subito un'invalidità permanente in attività di servizio o nell'espletamento delle funzioni di istituto per effetto diretto di lesioni riportate in conseguenza di eventi verificatisi:

a) nel contrasto ad ogni tipo di criminalità;

b) nello svolgimento di servizi di ordine pubblico;

c) nella vigilanza ad infrastrutture civili e militari;

d) in operazioni di soccorso;

e) in attività di tutela della pubblica incolumità;

f) a causa di azioni recate nei loro confronti in contesti di impiego internazionale non aventi, necessariamente, caratteristiche di ostilità.

564. Sono equiparati ai soggetti di cui al comma 563 coloro che abbiano contratto infermità permanentemente invalidanti o alle quali consegua il decesso, in occasione o a seguito di missioni di qualunque natura, effettuate dentro e fuori dai confini nazionali e che siano riconosciute dipendenti da causa di servizio per le particolari condizioni ambientali od operative.".

In seguito, in attuazione di quanto stabilito dalla citata L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 565 è stato emesso, con D.P.R. 7 luglio 2006, n. 243, il regolamento concernente i termini e le modalità di corresponsione delle provvidenze alle vittime del dovere e ai soggetti equiparati, ai fini della progressiva estensione dei benefici già previsti in favore delle vittime della criminalità e de terrorismo, che all'art. 1, comma 1, definisce, agli effetti del regolamento: a) per benefici e provvidenze, le misure di sostegno e tutela previste dalle leggi L. 13 agosto 1980, n. 466, L. 20 ottobre 1990, n. 302, L. 23 novembre 1998, n. 407, e loro successive modificazioni, e dalla L. 3 agosto 2004, n. 206; b) per missioni di qualunque natura, le missioni, quali che ne siano gli scopi, autorizzate dall'autorità gerarchicamente o funzionalmente sopraordinata al dipendente; c) per particolari condizioni ambientali od operative, le condizioni comunque implicanti l'esistenza od anche il sopravvenire di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto.

Questa Corte non vede motivo di discostarsi dalla sentenza n. 1671/2020, resa in analoga vicenda (richiesta di riconoscimento dei benefici previsti per le vittime del dovere a vigilatrice del Corpo di  Polizia  Penitenziaria, per le lesioni permanenti derivate dall'aggressione subita ad opera di una detenuta del Carcere Circondariale di Milano, benefici negati dal Ministero dell'Interno in assenza di un rischio eccedente quello ordinario connesso all'attività di Istituto espletata dalla vigilatrice), rispetto alla quale il Tribunale di Cassino ha fatto buon governo delle evidenze istruttorie.

Di seguito i passi della motivazione della pronuncia rilevanti per l'esegesi del caso di specie, che si riportano condividendoli e che chiariscono anche la portata non decisiva dei precedenti di legittimità invocati dall'appellante (ad es. Cass. n. 10791 del 2017): "11. Da tale quadro normativo si ricava che il legislatore ha ritenuto di intervenire, a protezione delle vittime del dovere, con due diverse disposizioni, della L. n. 266 del 2005, art. 1, i commi 563 e 564 individuando, nel comma 563, talune attività che, ritenute dalla legge pericolose, nel caso in cui abbiano comportato l'insorgenza di infermità, possono automaticamente portare ad attribuire alle vittime i benefici quali vittime del dovere; elencando, nel comma 564, i "soggetti equiparati", ossia coloro che non abbiano riportato le lesioni o la morte in una delle attività - enumerate nelle lettere dalla a) alla f) sopra richiamate - che il legislatore ha ritenuto per loro natura pericolose, ma in altre attività che pericolose lo fossero o lo fossero diventate per circostanze eccezionali. 12. Il modello di selezione delle attività che è possibile equiparare, ai sensi del comma 564, non opera attraverso la tipizzazione di singole attività così caratterizzate, ma mediante la formulazione di una fattispecie aperta che tutela tutto ciò che sia avvenuto (per eccezionali situazioni) in occasione di missioni di qualunque natura. 13. E' stata, quindi, adottata una nozione lata del concetto di missione, nel senso che la stessa riguarda tutti i compiti e le attività istituzionali svolte dal personale militare, che si attuano nello svolgimento di funzioni o compiti operativi, addestrativi o logistici sui mezzi o nell'ambito di strutture, stabilimenti e siti militari. 14. Qualunque tipo di attività e compito istituzionale può portare, in caso di infermità, ai benefici in questione. 15. E' dunque essenziale - per la vittima del dovere che abbia contratto un'infermità in qualunque tipo di servizio, non essendo sufficiente lasemplice dipendenza da causa di servizio - che la dipendenza da causa di servizio sia legata alconcetto di "particolari condizioni", costituente una connotazione aggiuntiva e specifica chiarita, dal citato D.P.R. n. 243 del 2006, nel senso che rilevano: "condizioni comunque implicanti l'esistenza od anche il sopravvenire di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto". 16. Così premessa la cornice normativa ed escluso che si versi nella previsione aperta dettata dal comma 564 non ravvisandosi, nella specie, i requisiti previsti da detta disposizione e analiticamente indicati nei paragrafi che precedono, è necessario procedere alla verifica della riconducibilità della fattispecie all'ipotesi contraddistinta dai comma 563, lett. d) come ritenuto dalla Corte territoriale. 17. Invero, la definizione di ordine pubblico, agli effetti delle provvidenze previste per le vittime dei dovere, risulta acquisita e consolidata nella giurisprudenza di questa Corte che ha già rimarcato che il richiamato comma 563, a differenza dal comma successivo, non prevede la presenza d'un rischio specifico diverso da quello insito nelle ordinarie funzioni istituzionali, bastando anche soltanto che l'evento dannoso si sia verificato nel contrasto di ogni tipo di criminalità o nello svolgimento di servizi di ordine pubblico (v., fra ie altre, Cass., Sez. U., n. 10791 del 2017). 18. Il principio è stato ulteriormente ribadito, in riferimento ad agente della  Polizia  penitenziaria, dalle Sezioni unite della Corte, con la sentenza n. 10792 del 2017 che, in applicazione del comma 563, lett. c) ha ritenuto l'evento dannoso verificatosi "nella vigilanzaad infrastrutture civili e militari", tali ritenendo anche le case circondariali, in peculiarefattispecie in cui il sinistro occorso ad un agente della  Polizia  penitenziaria si era verificatodurante lo svolgimento dell'ordinaria attività di vigilanza all'esterno della infrastrutturacarceraria. 19. Nella vicenda ora all'esame del Collegio, la ricomprensione dell'attività divigilanza svolta all'interno della struttura carceraria nel novero dei servizi di ordine pubblicorisulta smentita dalle fonti normative che, fin dalla creazione del Corpo di  polizia  penitenziaria,hanno assegnato agli appartenenti compiti di ordine e vigilanza all'interno del carcere. 20. Invero, garantire l'ordine all'interno degli istituti di prevenzione e di pena e tutelarne la sicurezza sono stati posti dalla legge istitutiva del Corpo di  polizia  penitenziaria (L. 15 dicembre 1990, n. 395 che ha soppresso il Corpo degli agenti di custodia) tra i compiti istituzionali e dunque essenziali degli agenti di  polizia  penitenziaria. 21. La citata L. n. 395 del 1990, art. 5 recita: "1. Il Corpo di  polizia  penitenziaria espleta tutti i compiti conferitigli dalla presente legge, dalla L. 26 luglio 1975, n. 354, dal regolamento approvato con D.P.R. 29 aprile 1976, n. 431, e loro successive modificazioni, nonché dalle, altre leggi e regolamenti. 2. Il Corpo di  polizia  penitenziaria attende ad assicurare l'esecuzione dei provvedimenti restrittivi della libertà personale; garantisce l'ordine all'interno degli istituti di prevenzione e di pena e ne tutela la sicurezza;...". 22. La L. 26 luglio 1975, n. 354, di riforma dell'ordinamento penitenziario, alla quale la norma istitutiva del Corpo ha rinviato, prevede, dettando le regole cui deve conformarsi il trattamento penitenziario, il mantenimento dell'ordine e della disciplina nel rispetto dei diritti delle persone private della libertà (L. 26 luglio 1975, n. 354 cit., art. 1, commi 4 e 5: "4. Negli istituti l'ordine e la disciplina sono mantenuti nei rispetto dei diritti delle persone private della libertà. 5. Non possono essere adottate restrizioni non giustificabili con l'esigenza di mantenimento dell'ordine e della disciplina e, nei confronti degli imputati, non indispensabili a fini giudiziari"). 23. E' pur vero che gli appartenenti al Corpo di  polizia  penitenziaria possono "essere chiamati a concorrere nell'espletamento di servizi di ordine e sicurezza pubblica" ossia a svolgere compiti di  polizia  di sicurezza, ma ciò nell'ambito delle forze di  polizia , ai fini della tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica e in adempimento dell'espletamento dei relativi servizi di ordine e sicurezza pubblica nonché di pubblico soccorso (L. n. 121 del 1981, art. 16: "Ai fini della tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, oltre alla  polizia  di Stato sono forze di  polizia , fermi restando i rispettivi ordinamenti e dipendenze: a) l'Arma dei carabinieri" quale forza armata in servizio permanente di pubblica sicurezza; b) il Corpo della guardia di finanza, per il concorso al mantenimento dell'ordine e della sicurezza pubblica. Fatte salve le rispettive attribuzioni e le normative dei vigenti ordinamenti, sono altresì forze di  polizia  e possono essere chiamati a concorrere nell'espletamento di servizi di ordine e sicurezza pubblica il Corpo degli agenti di custodia e il Corpo forestale dello Stato. Le forze di  polizia  possono essere utilizzate anche per il servizio di pubblico soccorso". 24. Altro è, dunque, l'impiego della  polizia penitenziaria in servizi di ordine pubblico contraddistinto dal mantenimento dell'ordine e dalla tutela della sicurezza cui istituzionalmente attende all'interno degli istituti di prevenzione e pena.".

Portando a sintesi tali considerazioni in diritto ed applicando i descritti principi esegetici al caso di specie, si ha che l'evento occorso all'appellante:

- Non è connotato da "condizioni comunque implicanti l'esistenza od anche il sopravvenire di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto", come richiesto dal D.P.R. n. 243 del 2006 anche con riguardo alla definizione di cui al comma 563: tali non potendo considerarsi, ad avviso di questa Corte, il mero sovraffollamento delle carceri o la circostanza che l'appellante era solo a fronteggiare cinquanta detenuti, in assenza della allegazione e prova della rilevanza causale di questi elementi nella produzione del sinistro e della natura "straordinaria" di tali circostanze;

- Non può dirsi verificato nell'ambito di servizi di ordine pubblico (lettera b)), per quanto argomentato ai punti 16-24 della pronuncia della S.C.; né di servizi resi "nella vigilanza ad infrastrutture civili e militari" (lettera c)), come affermato, sì, dalla S.C., ma in fattispecie ritenuta, nella sentenza sopra riportata, del tutto eterogenea rispetto alla presente (sinistro occorso all'esterno della struttura carceraria); dunque non rientra fra le ipotesi di cui al comma 563;

- Non può rientrare fra le ipotesi disciplinate dal comma 564 che ha riguardo esclusivamente alle infermità "che siano riconosciute dipendenti da causa di servizio per le particolari condizioni ambientali od operative".

La Cassazione conferma, in definitiva, la necessità di un quid pluris rispetto alla fattispecie dell'invalidità per causa di servizio, non solo nella "fattispecie aperta" di cui al comma 564 (ove tale quid pluris è descritto), ma anche nelle ipotesi tipiche disciplinate dal comma 563.

In conclusione la pronuncia gravata merita condivisione.

La circostanza che la sentenza della Cassazione posta a base della presente decisione è intervenuta dopo l'instaurazione del presente grado di giudizio; e che l'interpretazione della nozione di "vittima del dovere" ha dato origine, anche in questa Corte, a pronunce contrastanti (cfr., ad es., n. 4113/2021), sussistono le condizioni di cui all'art. 92, comma secondo, c.p.c. per compensare fra le parti le spese di lite del grado.

Occorre infine dare atto che per l'appellante sussistono le condizioni richieste dall'art.13 comma 1 quater D.P.R. n. 115 del 2002 per il raddoppio del contributo unificato, ove dovuto.


P.Q.M.


Definitivamente pronunciando, sull'appello proposto da OMISSIS con ricorso depositato in data 3.10.2019 avverso la sentenza del Tribunale del Lavoro di Cassino n. 504/2019 del 3.6.2019 nei confronti del Ministero dell'Interno, così provvede:

- Respinge l'appello;

- Compensa le spese di lite del grado;

- Dà atto che per l'appellante sussistono le condizioni richieste dall'art.13 comma 1 quater D.P.R. n. 115 del 2002 per il raddoppio del contributo unificato, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 22 febbraio 2023.

Depositata in Cancelleria il 7 marzo 2023.


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