REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROSELLI Federico - Presidente
Dott. TOFFOLI Saverio - Consigliere
Dott. IANNIELLO Antonio - rel. Consigliere
Dott. BALESTRIERI Federico - Consigliere
Dott. TRICOMI Irene - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 10450-2007 proposto da:
#################, elettivamente domiciliato in
--
- ricorrente -
contro
--
--
- controricorrenti -
e contro
--
- intimata -
avverso la sentenza n. 37/2006 della SEZ. DIST.
CORTE D'APPELLO di TARANTO, depositata il 31/03/2006 R.G.N. 4/05;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 30/03/2011 dal Consigliere Dott. ANTONIO IANNIELLO;
udito l'Avvocato ALIBBRTI BENIAMINO;
udito l'Avvocato GIANNI GAETANO per delega
BOCCIA FRANCO RAIMONDO e SCHIAVONE ENRICO CLAUDIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto
Procuratore Generale Dott. APICE Umberto che ha concluso per l'accoglimento del
ricorso.
Fatto
Con ricorso notificato il 30 marzo 2007,
################# chiede, con quattro motivi, la cassazione della sentenza
depositata il 31 marzo 2006, con la quale la Corte d'appello di Lecce ha
confermato la decisione di primo grado, di rigetto della domanda da lui svolta
nei confronti della I. s.p.a. - sua datrice di lavoro dal 6 luglio 1970 al 31
gennaio 1996 - di risarcimento del danno biologico per una malattia contratta in
ragione della nocività dell'ambiente lavorativo, senza che la società avesse
operato, in violazione dell'art. 2087 c.c., i necessari interventi a tutela
della salute dei dipendenti.
Il ricorso è stato notificato anche a --
chiamate in garanzia dalla --. già nel giudizio di primo grado.
--. hanno resistito alle domande con separati,
rituali controricorsi.
L'intimata ---. non si è viceversa costituita in
questa sede di legittimità.
La I. s.p.a. ha infine depositato una memoria ai
sensi dell'art. 378 c.p.c..
Diritto
Con i quattro motivi di ricorso
################# lamenta il vizio di motivazione della sentenza nonchè la
violazione degli artt. 2113, 1362 e ss., in particolare art. 1367 c.c., per
avere i giudici di merito ritenuto che la domanda fosse preclusa dalla rinuncia,
effettuata dal ricorrente nella quietanza a saldo sottoscritta al termine del
rapporto, anche a "diritti derivanti dall'art. 2087 c.c.".
E ciò nonostante che al momento di tale
sottoscrizione il ricorrente, pur essendo stata inoltrata il 30 gennaio
precedente all'INAIL la denuncia di malattia di origine professionale, non fosse
ancora a conoscenza dell'eventuale riconoscimento della stessa, avvenuto solo
nel 1997 - e quindi non avesse la consapevolezza del diritto che ne poteva
conseguire.
In ogni caso poi, la formula contenente il
generico richiamo, nella quietanza, al danno di cui all'art. 2087 c.c., per di
più indicato in aggiunta a quello derivante dalla norme di cui agli artt. 1224 e
2116 c.c. e ad un elenco di altri diritti, in un testo predisposto dalla società
e al quale era stata aggiunta dal ricorrente la dicitura "con riserva", non
avrebbe potuto essere interpretato, alla luce delle norme legali sulla
interpretazione dei contratti e dei negozi giuridici unilaterali recettizi
nonchè della regola di cui all'art. 1367 c.c., come una vera rinuncia a diritti
relativamente indisponibili ex art. 2113 c.c., ma mera formula di stile, essendo
la comune intenzione delle parti quella di definire unicamente le questioni
concernenti la liquidazione del t.f.r., avvenuta contestualmente alla
sottoscrizione della quietanza a saldo in parola.
Il ricorso è fondato.
Va peraltro preliminarmente affermato che,
essendo stata inoltrata all'INAIL, su segnalazione del ricorrente, la denuncia
di malattia professionale, deve ritenersi che il M., anche prima del relativo
riconoscimento da parte dell'INAIL, avesse piena consapevolezza quantomeno della
possibilità che la malattia fosse effettivamente di origine professionale e che
la responsabilità di essa potesse farsi risalire al datore di lavoro ai sensi
dell'art. 2087 c.c..
Contrariamente a quanto affermato dal
ricorrente, egli era pertanto in grado di disporre consapevolmente del diritto
al risarcimento dei danni che ne poteva derivare, nel quadro della quietanza a
saldo sottopostagli dal datore di lavoro.
In proposito, peraltro, secondo la
giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. 11 luglio 2001 n. 9407, 17 maggio
2006 n. 11536 e successive), "affinchè una quietanza a saldo rilasciata dal
lavoratore al datore di lavoro e accompagnata dalla rinuncia a maggiori somme
possa essere sussulta sotto l'art. 2113 cod. civ. è necessario che essa si
riferisca non a crediti solo in astratto ipotizzati bensì a diritti determinati
o determinabili, con il cosciente intento di abdicarvi o di transigere".
Enunciazioni del genere suddetto sono infatti
normalmente assimilabili alle clausole di stile e non sono di per sè sufficienti
a comprovare l'effettiva sussistenza di una volontà dispositiva
dell'interessato.
Una tale indagine deve essere inoltre
particolarmente rigorosa nel caso in cui la dichiarazione sottoposta alla
sottoscrizione del lavoratore si esprima in termini di mera rinuncia a diritti
dello stesso, senza alcuna contropartita diretta o indiretta.
Applicando le regole suddette al caso in esame,
si rileva che la dichiarazione di rinuncia del M. era stata predisposta dal
datore di lavoro come inserita nel contesto di una quietanza a saldo da
sottoscrivere contestualmente alla corresponsione del t.f.r. al lavoratore,
riguardava genericamente una serie di possibili diritti in astratto nascenti dal
rapporto, tra i quali anche quelli al risarcimento dei danni derivati dall'art.
2087 c.c. e non comportava alcuna contropartita per il dipendente.
I dati così rilevati, svalutati in maniera
apodittica dalla sentenza impugnata, danno ragione alla difesa del M. quando
afferma che essi, valutati secondo le regole ermeneutiche legali, inducono, già
di per sè, ad una notevole cautela nell'avallare il possibile valore negoziale
della dichiarazione sottoscritta dal ricorrente.
Inoltre e soprattutto appare decisiva per
escludere tale valore negoziale di rinuncia l'aggiunta, di pugno del ricorrente,
in calce alla dichiarazione predisposta dalla società della dicitura "con
riserva", che contrariamente a quanto apoditticamente affermato dalla Corte
territoriale, assume, nel contesto indicato e alla luce delle prassi correnti
nel mondo sindacale e del lavoro, valore decisivo per escludere ogni significato
negoziale alla dichiarazione che precede.
In proposito, va infatti affermato il principio
per cui non è ravvisabile una volontà negoziale nella dichiarazione,
sottoscritta dal lavoratore ma predisposta dal datore di lavoro in occasione
della corresponsione del trattamento di fine rapporto, di rinuncia a diritti,
quando essa sia accompagnata dall'espressione "con riserva":
infatti l'indeterminazione del contenuto rende
nulla la complessiva dichiarazione ai sensi degli art. 1418 c.c., comma 2 e art.
1346 cod. civ..
La Corte territoriale non si è attenuta nel caso
esaminato a tale regola, per cui il ricorso va accolto e la sentenza impugnata
va corrispondentemente cassata, con rinvio, anche per il regolamento delle spese
di questo giudizio di cassazione, alla Corte d'appello di Lecce, in diversa
composizione, la quale si atterrà al principio enunciato da questa Corte.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza
impugnata e rinvia, anche per le spese di questo giudizio, alla Corte d'appello
di Lecce, in diversa composizione.
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