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martedì 28 giugno 2011

Cassazione "...Nocività dell'ambiente di lavoro e malattia professionale..."

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROSELLI Federico - Presidente
Dott. TOFFOLI Saverio - Consigliere
Dott. IANNIELLO Antonio - rel. Consigliere
Dott. BALESTRIERI Federico - Consigliere
Dott. TRICOMI Irene - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 10450-2007 proposto da:
#################, elettivamente domiciliato in --
- ricorrente -
contro
--
--
- controricorrenti -
e contro
--
- intimata -
avverso la sentenza n. 37/2006 della SEZ. DIST. CORTE D'APPELLO di TARANTO, depositata il 31/03/2006 R.G.N. 4/05;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 30/03/2011 dal Consigliere Dott. ANTONIO IANNIELLO;
udito l'Avvocato ALIBBRTI BENIAMINO;
udito l'Avvocato GIANNI GAETANO per delega BOCCIA FRANCO RAIMONDO e SCHIAVONE ENRICO CLAUDIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. APICE Umberto che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.


Fatto

Con ricorso notificato il 30 marzo 2007, ################# chiede, con quattro motivi, la cassazione della sentenza depositata il 31 marzo 2006, con la quale la Corte d'appello di Lecce ha confermato la decisione di primo grado, di rigetto della domanda da lui svolta nei confronti della I. s.p.a. - sua datrice di lavoro dal 6 luglio 1970 al 31 gennaio 1996 - di risarcimento del danno biologico per una malattia contratta in ragione della nocività dell'ambiente lavorativo, senza che la società avesse operato, in violazione dell'art. 2087 c.c., i necessari interventi a tutela della salute dei dipendenti.
Il ricorso è stato notificato anche a -- chiamate in garanzia dalla --. già nel giudizio di primo grado.
--. hanno resistito alle domande con separati, rituali controricorsi.
L'intimata ---. non si è viceversa costituita in questa sede di legittimità.
La I. s.p.a. ha infine depositato una memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c..


Diritto

Con i quattro motivi di ricorso ################# lamenta il vizio di motivazione della sentenza nonchè la violazione degli artt. 2113, 1362 e ss., in particolare art. 1367 c.c., per avere i giudici di merito ritenuto che la domanda fosse preclusa dalla rinuncia, effettuata dal ricorrente nella quietanza a saldo sottoscritta al termine del rapporto, anche a "diritti derivanti dall'art. 2087 c.c.".
E ciò nonostante che al momento di tale sottoscrizione il ricorrente, pur essendo stata inoltrata il 30 gennaio precedente all'INAIL la denuncia di malattia di origine professionale, non fosse ancora a conoscenza dell'eventuale riconoscimento della stessa, avvenuto solo nel 1997 - e quindi non avesse la consapevolezza del diritto che ne poteva conseguire.
In ogni caso poi, la formula contenente il generico richiamo, nella quietanza, al danno di cui all'art. 2087 c.c., per di più indicato in aggiunta a quello derivante dalla norme di cui agli artt. 1224 e 2116 c.c. e ad un elenco di altri diritti, in un testo predisposto dalla società e al quale era stata aggiunta dal ricorrente la dicitura "con riserva", non avrebbe potuto essere interpretato, alla luce delle norme legali sulla interpretazione dei contratti e dei negozi giuridici unilaterali recettizi nonchè della regola di cui all'art. 1367 c.c., come una vera rinuncia a diritti relativamente indisponibili ex art. 2113 c.c., ma mera formula di stile, essendo la comune intenzione delle parti quella di definire unicamente le questioni concernenti la liquidazione del t.f.r., avvenuta contestualmente alla sottoscrizione della quietanza a saldo in parola.

Il ricorso è fondato.

Va peraltro preliminarmente affermato che, essendo stata inoltrata all'INAIL, su segnalazione del ricorrente, la denuncia di malattia professionale, deve ritenersi che il M., anche prima del relativo riconoscimento da parte dell'INAIL, avesse piena consapevolezza quantomeno della possibilità che la malattia fosse effettivamente di origine professionale e che la responsabilità di essa potesse farsi risalire al datore di lavoro ai sensi dell'art. 2087 c.c..
Contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, egli era pertanto in grado di disporre consapevolmente del diritto al risarcimento dei danni che ne poteva derivare, nel quadro della quietanza a saldo sottopostagli dal datore di lavoro.
In proposito, peraltro, secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. 11 luglio 2001 n. 9407, 17 maggio 2006 n. 11536 e successive), "affinchè una quietanza a saldo rilasciata dal lavoratore al datore di lavoro e accompagnata dalla rinuncia a maggiori somme possa essere sussulta sotto l'art. 2113 cod. civ. è necessario che essa si riferisca non a crediti solo in astratto ipotizzati bensì a diritti determinati o determinabili, con il cosciente intento di abdicarvi o di transigere".
Enunciazioni del genere suddetto sono infatti normalmente assimilabili alle clausole di stile e non sono di per sè sufficienti a comprovare l'effettiva sussistenza di una volontà dispositiva dell'interessato.
Una tale indagine deve essere inoltre particolarmente rigorosa nel caso in cui la dichiarazione sottoposta alla sottoscrizione del lavoratore si esprima in termini di mera rinuncia a diritti dello stesso, senza alcuna contropartita diretta o indiretta.
Applicando le regole suddette al caso in esame, si rileva che la dichiarazione di rinuncia del M. era stata predisposta dal datore di lavoro come inserita nel contesto di una quietanza a saldo da sottoscrivere contestualmente alla corresponsione del t.f.r. al lavoratore, riguardava genericamente una serie di possibili diritti in astratto nascenti dal rapporto, tra i quali anche quelli al risarcimento dei danni derivati dall'art. 2087 c.c. e non comportava alcuna contropartita per il dipendente.
I dati così rilevati, svalutati in maniera apodittica dalla sentenza impugnata, danno ragione alla difesa del M. quando afferma che essi, valutati secondo le regole ermeneutiche legali, inducono, già di per sè, ad una notevole cautela nell'avallare il possibile valore negoziale della dichiarazione sottoscritta dal ricorrente.
Inoltre e soprattutto appare decisiva per escludere tale valore negoziale di rinuncia l'aggiunta, di pugno del ricorrente, in calce alla dichiarazione predisposta dalla società della dicitura "con riserva", che contrariamente a quanto apoditticamente affermato dalla Corte territoriale, assume, nel contesto indicato e alla luce delle prassi correnti nel mondo sindacale e del lavoro, valore decisivo per escludere ogni significato negoziale alla dichiarazione che precede.
In proposito, va infatti affermato il principio per cui non è ravvisabile una volontà negoziale nella dichiarazione, sottoscritta dal lavoratore ma predisposta dal datore di lavoro in occasione della corresponsione del trattamento di fine rapporto, di rinuncia a diritti, quando essa sia accompagnata dall'espressione "con riserva":
infatti l'indeterminazione del contenuto rende nulla la complessiva dichiarazione ai sensi degli art. 1418 c.c., comma 2 e art. 1346 cod. civ..
La Corte territoriale non si è attenuta nel caso esaminato a tale regola, per cui il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va corrispondentemente cassata, con rinvio, anche per il regolamento delle spese di questo giudizio di cassazione, alla Corte d'appello di Lecce, in diversa composizione, la quale si atterrà al principio enunciato da questa Corte.

 
P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese di questo giudizio, alla Corte d'appello di Lecce, in diversa composizione.

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