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giovedì 14 agosto 2014

TAR: ".. l'esistenza di una condanna (sia pure su richiesta delle parti) per una pluralità di condotte sia penalmente (in relazione a reati dolosi) sia disciplinarmente rilevanti, è stata ritenuta dall'Arma dei Carabinieri ostativa alla prosecuzione del rapporto di servizio e tale da comportare l'irrogazione della massima sanzione..."



Consiglio di Stato:

FORZE ARMATE
Cons. Stato Sez. IV, Sent., 10-06-2014, n. 2958
FORZE ARMATE
Procedimento e provvedimento disciplinari


Fatto Diritto P.Q.M.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3282 del 2014, proposto da:
(Lpd), rappresentato e difeso dall'avv. (Lpd) (Lpd), con domicilio eletto presso (Lpd) (Lpd) in Roma, via (Lpd) 34;
contro
Ministero della Difesa - Direzione Generale Per il Personale Militare, Comando Generale Arma dei Carabinieri, Commissione di Disciplina, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura gen. dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE I BIS n. 00723/2014, resa tra le parti, concernente sanzione della perdita del grado per rimozione
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero della Difesa - Direzione Generale Per il Personale Militare, di Comando Generale Arma dei Carabinieri e di Commissione di Disciplina;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 13 maggio 2014 il Cons. Oberdan Forlenza e uditi per le parti gli avvocati (Lpd) (Lpd) e l'avvocato dello Stato Giustina Noviello;
Svolgimento del processo
1. Con l'appello in esame, il signor (Lpd), appuntato scelto dei Carabinieri, impugna la sentenza 21 gennaio 2014 n. 723, con la quale il TAR per il Lazio, sez. I-bis, ha respinto il suo ricorso proposto avverso la determinazione con la quale è stata disposta nei suoi confronti la sanzione della perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari, e la conseguente cessazione dal servizio.
La sentenza impugnata considera, innanzi tutto, che la sanzione disciplinare consegue alla sentenza 18 ottobre 2012 n. 2056, con la quale il Tribunale di Roma ha disposto l'applicazione al Prili della pena su richiesta delle parti di un anno ed otto mesi di reclusione, per i reati di concorso in accesso abusivo aggravato a un sistema informatico o telematico, concorso continuato in rivelazione e utilizzazione di segreti di ufficio, concorso in corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio e corruzione in atti giudiziari.
Considerata la efficacia, in sede disciplinare, anche della sentenza di condanna a seguito di cd. patteggiamento (L. n. 97 del 2001), la sentenza ha verificato come la sanzione irrogata:
- "risulta motivata dal richiamo alla suddetta sentenza, nonché dall'inchiesta comunque svolta nel corso del procedimento disciplinare";
- risulta altresì "proporzionata alla condotta tenuta dal ricorrente in relazione al suo status di appartenente all'Arma dei Carabinieri";
- non risulta affetta dal lamentato vizio di ne bis in idem, poiché "la sanzione disciplinare precedentemente irrogata . . . aveva ad oggetto un fatto autonomo (aver intrattenuto rapporti con persone con precedenti)".
Avverso tale decisione, vengono proposti i seguenti motivi di appello (come desumibili, in particolare, dalle pagg. 10 - 17 ric.):
error in iudicando, poiché:
a) "la motivazione adottata dall'amministrazione per giustificare l'adozione della massima sanzione espulsiva contiene erronei riferimenti in punto di fatto . . . ed è quindi inidonea allo scopo". L'amministrazione non ha considerato "tutto quanto emerso (favorevolmente per l'indagato . . . ) in sede di indagini preliminari", e cioè l'esclusione del reato ex art. 319-ter; il fatto di non avere mai percepito denaro e/o altre utilità; il fatto che gli "otto accessi informali hanno riguardato procedimento penali già definiti e relativi a ritiro patenti". In definitiva, i fatti e le condotte addebitate al P. sono risultati "molto meno gravi di quelli presi in esame dalla stessa (amministrazione) per valutare quale sanzione adottare nel caso di specie";
b) "il provvedimento censurato non contiene . . . alcuna effettiva motivazione che rende il comportamento . . . dell'appellante non compatibile con il mantenimento della sua posizione di impiego nell'Arma dei Carabinieri";
c) vi è stata "violazione del principio che presidia la materia disciplinare, di proporzione tra infrazione e sanzione"; né sono stati valutati gli elogi e compiacimenti rivolti al P. da parte dei titolari della Procura della Repubblica di Roma;
d) anche se "con la prima sanzione è stato censurato un diverso comportamento, quello di relazione", tuttavia occorre rilevare che "in violazione del principio ne bis in idem, la medesima fattispecie (di reato) ha determinato l'irrogazione di due sanzioni disciplinari distinte, una di corpo e l'altra, successiva, di stato.
Si è costituito in giudizio il Ministero della Difesa - Comando generale dell'Arma dei Carabinieri.
All'udienza in camera di consiglio per l'esame dell'istanza cautelare il Collegio, ritenute sussistenti le condizioni di cui all'art. 60 Cpa, ha trattenuto la causa in decisione per il merito.
Motivi della decisione
Il ricorso è infondato e deve essere, pertanto, respinto, con conseguente conferma della sentenza impugnata.
Il Collegio (richiamando considerazioni già espresse con riferimento a condizioni di assenza di buona condotta ostative all'arruolamento, ma riferibili anche al caso di specie: Cons. Stato, sez. IV., 29 settembre 2011 n. 5411) innanzi tutto osserva che, in materie quali quella delle sanzioni disciplinari, l'esercizio della discrezionalità da parte dell'amministrazione (ed il conseguente sindacato giurisdizionale del giudice, nei limiti in cui questo è consentito), deve tenere senz'altro conto della particolarità e delicatezza delle funzioni che il militare deve svolgere, essendo confacente ad un corretto uso del potere discrezionale procedere a valutazioni del genere ora considerato, storicizzando l'esercizio del detto potere e quindi contestualizzando l'episodio disciplinarmente rilevante, con la natura delle funzioni.
Ne consegue, in concreto, che un medesimo episodio ben può assumere diversa rilevanza (e dunque, ricevere diversa valutazione, anche in sede disciplinare), a seconda della natura del rapporto di impiego pubblico che lega il soggetto cui l'episodio è riferito all'amministrazione.
D'altra parte, la non riconducibilità del rapporto di lavoro alle dipendenze della Pubblica amministrazione (latamente intesa) ad un modello unico (di modo che possono aversi valutazioni differenti di un medesimo episodio in ragione di impieghi diversi), è già desumibile dalla stessa Costituzione, laddove, all'art. 98, comma terzo, prevede che, per determinaste categorie di pubblici dipendenti (tra le quali rientra quella di appartenenza dell'attuale appellante) possano essere disposte limitazioni finanche all'esercizio dei diritti politici (nella specie, iscrizioni ai partiti), purchè con legge ed in evidente considerazione della specificità e delicatezza delle loro funzioni.
Per le medesime ragioni, l'art. 3 D.Lgs. n. 165 del 2001 enuclea una specifica categoria di "personale in regime di diritto pubblico", sottratto alla c.d. contrattualizzazione del rapporto di lavoro alle dipendenze di pubbliche amministrazione, nella quale rientrano, fra gli altri, gli appartenenti alle magistrature ed il personale militare e delle Forze di Polizia di Stato.
Tanto considerato, ed a fronte della discrezionalità riconosciuta all'amministrazione in sede di valutazione degli episodi disciplinarmente rilevanti (pur nei limiti indicati), il sindacato del giudice amministrativo, lungi dal concretizzarsi in una valutazione che si sostituisce a quella legittimamente spettante all'amministrazione - così risolvendosi in un non consentito sindacato sul merito dell'azione amministrativa - deve tendere a verificare innanzi tutto, per il tramite delle figure sintomatiche di eccesso di potere evidenziate con i motivi di ricorso, l'esistenza e sufficienza della motivazione sulla quale si fonda il provvedimento adottato, nonché la non contraddittorietà e ragionevolezza della valutazione effettuata e la logicità della misura concretamente assunta, per effetto della valutazione svolta.
Nel caso di specie, è incontestato che il P., con sentenza del Tribunale di Roma n. 2056/2012 ha patteggiato una condanna alla pena di un anno ed otto mesi di reclusione, in relazione ad una pluralità di reati, come riportati in sentenza.
Orbene, l'esistenza di una condanna (sia pure su richiesta delle parti) per una pluralità di condotte sia penalmente (in relazione a reati dolosi) sia disciplinarmente rilevanti, è stata ritenuta dall'Arma dei Carabinieri ostativa alla prosecuzione del rapporto di servizio e tale da comportare l'irrogazione della massima sanzione.
Tale decisione - a fronte della sentenza di condanna, della pena irrogata e dei comportamenti concretamente tenuti dal militare - non appare irragionevole, alla luce delle considerazioni sopra esposte, non potendosi ritenere coerente con tali fatti la prosecuzione di un rapporto che implica uno status di militare, la qualifica di agente di polizia giudiziaria e l'esercizio delle relative funzioni. Né determina diverse conclusioni la emersione di elementi attenuativi della responsabilità e/o della rilevanza e qualificazione giuridica dei fatti contestati (come espone l'appellante), posto che la sanzione penale irrogata e l'esistenza stessa della condanna appaiono già di per sé non irragionevolmente ostativi alla prosecuzione del rapporto.
Inoltre, proprio perché la determinazione dell'amministrazione militare e la individuazione della massima sanzione si fondano sui fatti che hanno portato alla sentenza di condanna ed alla determinazione della pena della reclusione, il provvedimento impugnato appare ex se sufficientemente motivato, non dovendo l'amministrazione aggiungere particolari ed ulteriori considerazioni a ciò che oggettivamente emerge dai presupposti (sentenza di condanna) e dalla misura sanzionatoria conseguentemente adottata.
Infine, non appare sussistente la dedotta violazione del principio generale del ne bis in idem, posto che - come già condivisibilmente chiarito dal giudice di I grado - le sanzioni irrogate attengono a fatti diversi, sia pure iscrivibili in un medesimo contesto comportamentale del militare.
Per tutte le ragioni esposte, l'appello deve essere rigettato, stante l'infondatezza dei motivi proposti.
Sussistono tuttavia giusti motivi per compensare tra le parti spese, diritti ed onorari di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
definitivamente pronunciando sull'appello proposto da (Lpd) (n. 3282/2014 r.g.), lo rigetta e, per l'effetto, conferma la sentenza impugnata.
Compensa tra le parti spese., diritti ed onorari di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 maggio 2014 con l'intervento dei magistrati:
Giorgio Giaccardi, Presidente
Sandro Aureli, Consigliere
Andrea Migliozzi, Consigliere
Umberto Realfonzo, Consigliere
Oberdan Forlenza, Consigliere, Estensore
  

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