Consiglio di Stato
2018: “.. premetteva che, con delibera consiliare n. 634 in data 21
luglio 1989, si era visto riconoscere, nella qualità di dipendente
del Comune di xxx (a cagione della infermità contratta a causa di
servizio già riconosciuta con delibera di Giunta n. 167/1976) il
duplice beneficio dell’abbreviazione biennale (a fini meramente
economici) dell’anzianità e della promozione al grado superiore
(rispettivamente previsti dall’art. 44 lett. a) r.d. n. 22/1290 e
dall’art. 353 d.p.r. 3/1957, nella formulazione vigente all’epoca
dei fatti);..”
Pubblicato il
22/06/2018
N.
03890/2018REG.PROV.COLL.
N. 09101/2008
REG.RIC.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO
ITALIANO
Il Consiglio di
Stato
in sede
giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la
presente
SENTENZA
sul ricorso numero
di registro generale 9101 del 2008, proposto da
xxx xxx,
rappresentato e difeso dagli avvocati Vincenzo Brunetti e Corrado
Morrone, con domicilio eletto presso lo studio Vincenzo Brunetti in
Roma, viale XXIAprile, 11;
contro
Comune di xxx, non
costituito in giudizio;
nei confronti
Regione Puglia, non
costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del
Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia sezione staccata di
Lecce (Sezione Seconda) n. 3358/2007, resa tra le parti
Visti il ricorso in
appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti
della causa;
Relatore
nell'udienza pubblica del giorno 1 febbraio 2018 il Cons. Giovanni
Grasso e udito per il ricorrente l’avvocato Morrone;
Ritenuto e
considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.- Con atto di
appello notificato nei tempi e nelle forme di rito, xxx xxx, come in
atti rappresentato e difeso:
a) premetteva che,
con delibera consiliare n. 634 in data 21 luglio 1989, si era visto
riconoscere, nella qualità di dipendente del Comune di xxx (a
cagione della infermità contratta a causa di servizio già
riconosciuta con delibera di Giunta n. 167/1976) il duplice beneficio
dell’abbreviazione biennale (a fini meramente economici)
dell’anzianità e della promozione al grado superiore
(rispettivamente previsti dall’art. 44 lett. a) r.d. n. 22/1290 e
dall’art. 353 d.p.r. 3/1957, nella formulazione vigente all’epoca
dei fatti);
b) precisava che il
ridetto riconoscimento – positivamente vagliato dall’organo di
controllo – non aveva sortito il pur doveroso seguito esecutivo:
ciò che lo aveva costretto, decorsi i termini dalla notificata
diffida, ad impugnare, con ricorso notificato il 30 giugno 1994, il
silenzio illegittimamente serbato dall’Amministrazione;
c) aggiungeva, che –
in pendenza di lite – con nuova determinazione n. 1724 del 14
novembre 1994, il Comune aveva inopinatamente disposto
l’annullamento, in via di autotutela, della delibera n. 634/1989,
attributiva dei ridetti benefici: e anche la nuova deliberazione
rimotiva aveva ricevuto positivo vaglio tutorio, peraltro
accompagnato dall’incidentale rilievo della sua (ritenuta)
operatività irretroattiva (onde, nell’assunto dell’organo di
controllo, “l’atto inficiato di invalidità [avrebbe dovuto
conservare] la sua validità e tutti i suoi effetti fino alla data di
annullamento”);
d) esponeva che –
a fronte della perdurante e rinnovata inerzia dell’Ente comunale
nella erogazione dei rivendicati benefici – aveva formalizzato,
forte della indicazione prescrittiva del CO.RE.CO., nuovo ricorso
avverso il serbato silenzio, allo stato tuttavia pendente in prime
cure;
e) puntualizzava
che, nelle more, il Comune aveva, peraltro, adottato, in data 28
dicembre 1995, ulteriore e nuova delibera (n. 2056/1195), con la
quale aveva confermativamente reiterato la scolpita determinazione
rimotiva, peraltro accompagnandola con la esplicita precisazione
(all’evidenza indotta dalla non condivisa indicazione tutoria quoad
effectum) che il ribadito annullamento dovesse intendersi
ordinariamente retroattivo, con consequenziale travolgimento e
disconoscimento dei rivendicati benefici;
f) aggiungeva,
nondimeno, che la nuova delibera era stata in parte qua annullata,
con provvedimento n. 905/8/3 del 16 febbraio 1996, dal CO.RE.CO., che
– per quanto di ragione – l’aveva ritenuta viziata di eccesso
di potere;
g) esponeva che, a
questo punto, era stato il Comune ad assumere, per parte sua ed a
fronte della caducazione del proprio provvedimento, autonoma
iniziativa giudiziale, con l’impugnazione, per quanto di ragione,
del provvedimento assunto dall’organo di controllo, dinanzi al TAR
di Lecce;
h) lamentava che,
con la sentenza epigrafata, il primo giudice avesse inopinatamente
accolto il gravame del Comune, condividendone l’assorbente assunto
della attitudine ordinariamente retroattiva delle misure di
annullamento officioso;
i) impugnava la
sfavorevole statuizione, di cui prospettava la complessiva
illegittimità ed invocava l’integrale riforma.
2.- Né il Comune,
né la Regione Puglia – ancorché ritualmente intimati – si
costituivano in giudizio.
Alla pubblica
udienza del 1° febbraio 2018, sulle ribadite conclusioni del
difensore di parte appellante, la causa veniva riservata per la
decisione.
DIRITTO
1.- L’appello, per
come formulato, è in parte inammissibile e in parte infondato e
merita, conseguentemente, di essere, nel suo complesso, respinto.
2.- All’uopo vale
osservare che, nell’articolato ordito censorio l’appellante
assume:
a) che, sotto un
primo profilo, erroneamente i primi giudici, nel validare l’operato
dell’Amministrazione, avrebbero ritenuto insussistente ed
inoperante l’invocato limite del proprio diritto quesito (in tesi,
giustamente valorizzato dall’organo di controllo, mercé la
contestata clausola di irretroattività): ciò che avrebbe, per
contro, imposto di salvaguardare, nella congiunta considerazione del
notevole lasso di tempo trascorso tra il riconoscimento dei
rivendicati benefici e la loro rimozione in autotutela, il proprio
maturato e significativo affidamento;
b) che, sotto un
secondo profilo, l’impugnata decisione avrebbe omesso di
considerare che il secondo annullamento disposto, con dichiarata
efficacia ex tunc, dal Comune sarebbe stato comunque illegittimo,
siccome implausibilmente reiterativo di volontà provvedimentale già
stigmatizzata, in parte qua in sede tutoria (e ciò in forza del –
consolidato epperò asseritamente disatteso – principio che
inibisce all’autorità controllata di rinnovare confermativamente i
vizi già posti a fondamento dell’annullamento in sede tutoria);
c) che, nel merito,
la decisione gravata si risolverebbe in ingiusto diniego delle
proprie pretese patrimoniali (in ordine alle quali il primo giudice
si sarebbe sbrigativamente limitato a richiamare la contraria
giurisprudenza del Consiglio di Stato – incentrata sulla spettanza
in via esclusiva al personale dello Stato della ex carriera
direttiva, con esclusione del personale in forza agli enti locali –
con ciò pretermettendo i propri medesimi precedenti favorevoli).
3.- Ciò posto, il
primo motivo è infondato.
Milita in tal senso
la plurima e concorrente considerazione:
a) che, già in
prospettiva generale, la logica dei diritti (cc.dd.) quesiti non
costituisce, per comune e consolidato intendimento, un limite
all’autotutela amministrativa, la quale può ben giustificare,
anche allorché incida su situazioni di preteso e maturato diritto
soggettivo, la rimozione di benefici attribuiti in violazione di
legge o, comunque, in assenza dei relativi presupposti (cfr., in
fattispecie contermine, Cons. Stato, sez. V, 4 ottobre 2007, n.
5159);
b) che – semmai –
una siffatta attitudine preclusiva potrebbe, in astratto,
riconoscersi al c.d. fatto compiuto (che, in quanto tale e
notoriamente, infectum fieri nequit: cfr. Cons. Stato, sez. IV, 30
marzo 1998, n. 502): il quale, nondimeno, non può per definizione
correlarsi a pretese, come quella in contestazione, di consistenza
esclusivamente patrimoniale, del tutto reversibili in quanto tali ed
insuscettibili di consolidamento;
c) che – ferma,
nella specie, l’inoperatività ratione temporis acti del limite
temporale di cui all’attuale art. 21 novies l. n. 241/1990, quale
risultante dalla riformulazione operata dalla l. n. 15/2005 –
nessun meritevole affidamento può ritenersi maturato a fronte di
vantaggi patrimoniali illegittimi, suscettibili di dar luogo ad
esborsi continuativi ed indebiti a carico dell’erario (onde
l’interesse pubblico alla rimozione dell’atto contra legem si
ritiene, in tali casi, in re ipsa, palesandosi necessario ma
sufficiente l’obiettivo ripristino della legata legalità; cfr., ex
permultis, Cons. Stato, sez. III, 15 aprile 2013, n. 202);
d) che – per
giunta e comunque – nel caso di specie, come esattamente rilevato
dal primo giudice, nessun affidamento poteva ritenersi, di fatto e in
concreto maturato, non risultando il provvedimento caducato aver
prodotto alcun effetto giuridico nei confronti del dipendente
interessato, in quanto non portato ad esecuzione né ai fini
dell’auspicato riconoscimento economico, né con il riconoscimento
del nuovo e rivendicato status giuridico.
4.- Il secondo
motivo, prima ancora che infondato, è inammissibile.
Va, invero,
precisato – avuto riguardo alla esatta perimetrazione dei limiti
oggettivi della controversia – che il ricorso di prime cure era
stato proposto dal Comune di xxx avverso il provvedimento del
CO.RE.CO. che aveva annullato (per ritenuto eccesso di potere) la
delibera con la quale, confermando il disposto annullamento dei
benefici già riconosciuti all’odierno appellante, ne aveva
precisato e delimitato l’attitudine retroattiva.
Orbene, la
sussistenza di eventuali, ulteriori e distinte ragioni pretesamente
idonee a sorreggere e giustificare l’annullamento del provvedimento
comunale avrebbe dovuto essere fatta valere, in prime cure, mediante
la rituale proposizione di motivi aggiunti: in difetto di che, la
relativa questione deve ritenersi nuova e, come tale, preclusa in
sede di gravame (art. 104 cod. proc. amm.).
5.- Parimenti
inammissibile – in quanto preordinato alla formulazione di domanda
mai ritualmente proposta e, come tale, estranea alla materia del
contendere, quale scolpita dal ricorso introduttivo di prime cure e
devoluta in sede di appello (e, come tale, limitata alla legittimità
non già del contestato diniego del beneficio, ma del provvedimento
adottato dall’organo di controllo) – è l’ultimo motivo.
In proposito – per
mero scrupolo di completezza – varrà, in ogni caso,
incidentalmente puntualizzare come la veicolata pretesa sia,
comunque, infondata, posto che – come esattamente rilevato dalla
sentenza appellata – i benefici per cui è causa sono fruibili
esclusivamente dal personale dello Stato appartenente alla ex
carriera direttiva, e non dal personale degli enti locali (cfr. Cons.
Stato, sez. V, 15 aprile 1991, n. 573): che è, esattamente, la
ragione per la quale, in modo corretto, il Comune ebbe ad annullare
il relativo ed abusivo riconoscimento a favore dell’odierno
appellante.
6.- Sulla scorta
delle considerazioni che precedono, l’appello deve essere
complessivamente respinto.
Nulla per le spese,
in difetto di costituzione delle parti intimate.
P.Q.M.
Il Consiglio di
Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente
pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Nulla per le spese.
Ordina che la
presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma
nella camera di consiglio del giorno 1 febbraio 2018 con l'intervento
dei magistrati:
Francesco
Caringella, Presidente
Claudio Contessa,
Consigliere
Fabio Franconiero,
Consigliere
Valerio Perotti,
Consigliere
Giovanni Grasso,
Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
Giovanni Grasso
Francesco
Caringella
IL SEGRETARIO
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