TAR 2018-”..per la
condanna dell’Amministrazione datrice di lavoro, previa emissione
di misure cautelari,
a) al risarcimento
dei danni alla salute patiti dal dipendente per violazione delle
norme a tutela della salute dei lavoratori, quantificati in €
30.293,69, oltre interessi e rivalutazione monetaria;
b) all’adeguamento
dei luoghi di lavoro, mediante installazione di idoneo impianto di
aerazione;
c) all’esonero del
ricorrente dai servizi presso le -OMISSIS- -OMISSIS- ed alla
destinazione dello stesso a servizi da svolgersi al di fuori delle
-OMISSIS- -OMISSIS-, in via definitiva o comunque fino a quando il
luogo di lavoro non sarà stato reso conforme al d.lgs. n.
81/2008...”
Pubblicato il
22/08/2018
N. 00868/2018
REG.PROV.COLL.
N. 01043/2016
REG.RIC.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO
ITALIANO
Il Tribunale
Amministrativo Regionale per il Veneto
(Sezione Prima)
ha pronunciato la
presente
SENTENZA
sul ricorso numero
di registro generale 1043 del 2016, proposto dal sig.
-OMISSIS-,
rappresentato e difeso dall’avv. Matteo Gervasini e con domicilio
stabilito presso il seguenti indirizzo di P.E.C.:
matteogervasini@pec.it
contro
Ministero della
Giustizia, in persona del Ministro pro tempore, ex lege rappresentato
e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Venezia e
domiciliato presso gli Uffici della stessa, in Venezia, San Marco, n.
63
per la condanna
dell’Amministrazione datrice di lavoro,
previa emissione di
misure cautelari,
a) al risarcimento
dei danni alla salute patiti dal dipendente per violazione delle
norme a tutela della salute dei lavoratori, quantificati in €
30.293,69, oltre interessi e rivalutazione monetaria;
b) all’adeguamento
dei luoghi di lavoro, mediante installazione di idoneo impianto di
aerazione;
c) all’esonero del
ricorrente dai servizi presso le -OMISSIS- -OMISSIS- ed alla
destinazione dello stesso a servizi da svolgersi al di fuori delle
-OMISSIS- -OMISSIS-, in via definitiva o comunque fino a quando il
luogo di lavoro non sarà stato reso conforme al d.lgs. n. 81/2008.
Visti il ricorso ed
i relativi allegati;
Vista la domanda di
tutela cautelare formulata dal ricorrente;
Visto il
controricorso del Ministero della Giustizia;
Vista l’ordinanza
n. 518/2016 del 29 settembre 2016, recante presa d’atto della
rinunzia all’istanza cautelare ad opera del ricorrente;
Visti tutti gli atti
della causa;
Nominato relatore
nell’udienza pubblica del 18 aprile 2018 il dott. Pietro De
Berardinis;
Uditi per le parti i
difensori, come specificato nel verbale;
Visto l’art. 73,
comma 3, del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (c.p.a.);
Ritenuto in fatto e
considerato in diritto quanto segue
FATTO
L’odierno
ricorrente, sig. -OMISSIS-, espone di essere dipendente del Ministero
della Giustizia addetto presso il -OMISSIS-
In particolare, sin
dal 1999 egli presta servizio, come -OMISSIS-di -OMISSIS-, presso la
-OMISSIS-di -OMISSIS- – Montorio, svolgendo sin dall’inizio le
sue mansioni all’interno delle -OMISSIS- -OMISSIS- del -OMISSIS-.
In dette -OMISSIS- –
lamenta l’esponente – vi sarebbe il problema, inerente alla
sicurezza ed all’igiene del lavoro, della costante stagnazione di
grandissime quantità di fumo, proveniente dalla -OMISSIS-, che i
lavoratori si troverebbero costretti ad inalare ogni giorno per tutte
le ore dedicate all’espletamento delle loro mansioni lavorative
(cd. fumo passivo), senza che la direzione della -OMISSIS-si sia mai
attivata per risolvere tale problema.
Nello specifico, a
seguito di denuncia-querela presentata dall’esponente nel 2008, fu
effettuato un sopralluogo dal -OMISSIS- (“-OMISSIS-.”), in esito
al quale quest’ultimo evidenziò le misure che si sarebbero dovute
adottare al fine della garanzia della salute dei lavoratori.
Nonostante le
diffide e intimazioni rivolte dal sig. -OMISSIS- alla P.A. affinché
installasse nelle -OMISSIS- -OMISSIS- idonei impianti di aerazione,
nessuna misura – lamenta l’esponente – sarebbe stata adottata
dalla direzione della -OMISSIS-. Questa si è limitata, peraltro per
un periodo di meno di due anni, ad impiegare il lavoratore in posti
di servizio esterni alle -OMISSIS- -OMISSIS-, ma dal 6 novembre 2012
il sig. -OMISSIS- è stato nuovamente adibito a svolgere le sue
mansioni all’interno delle -OMISSIS- -OMISSIS-, dove, però, il
problema del cd. fumo passivo non sarebbe mai stato risolto, non
essendovi stati installati impianti di aerazione.
L’esposizione del
deducente al cd. fumo passivo sul posto di lavoro gli avrebbe
cagionato l’insorgere di patologie respiratorie e, più in specie,
di una “-OMISSIS-”, il cui nesso di causalità rispetto
all’insalubrità delle -OMISSIS- -OMISSIS- sarebbe stato accertato
sia dal decreto della stessa Amministrazione Penitenziaria del 6
agosto 2007, sia dalla relazione medico-legale di parte, ambedue in
atti (all.ti 1 e 3 al ricorso). Il primo avrebbe riconosciuto la
dipendenza da causa di servizio della patologia succitata, la seconda
avrebbe quantificato in n. 8 punti percentuali l’invalidità
biologica permanente che ne sarebbe derivata al sig. -OMISSIS-.
Per conseguenza, con
il ricorso in epigrafe l’esponente agisce per la condanna
dell’Amministrazione datrice di lavoro al risarcimento del danno
alla salute dallo stesso subito a causa dell’esposizione al cd.
fumo passivo, quantificato in complessivi € 30.293,69, di cui:
- € 14.572,84 per
il danno biologico permanente;
- € 5.820,00 a
titolo di ITT al 100% ed € 2.910,00 a titolo di ITT al 50%;
- € 6.990,85 per
la personalizzazione del danno (30% del danno biologico permanente e
temporaneo).
A supporto della
propria domanda il ricorrente invoca la violazione dell’art. 32
Cost., da leggersi in una con l’art. 2087 c.c., nonché dell’art.
64, comma 1, del d.lgs. n. 81/2008 (poiché i luoghi di lavoro non
sarebbero conformi ai requisiti del precedente art. 63, commi 1, 2 e
3 e, quindi, ai requisiti indicati all’allegato IV, punto 1.9.1,
del decreto legislativo), e dell’art. 237, comma 1, lett. c) del
medesimo d.lgs. n. 81/2008. Ciò, atteso che, in presenza di elementi
cancerogeni e mutageni nell’aria, la P.A. non avrebbe predisposto
un sistema di aspirazione localizzata, e nemmeno un adeguato sistema
di ventilazione.
Il ricorrente, oltre
a proporre domanda di risarcimento del danno – cui ha unito istanza
di adozione di misure cautelari –, agisce per la condanna della
P.A.:
- a rendere il luogo
di lavoro conforme a quanto previsto dal d.lgs. n. 81/2008, tramite
l’installazione di un idoneo impianto di aerazione;
- ad esonerarlo dai
servizi presso le -OMISSIS- -OMISSIS- della -OMISSIS-e a destinarlo a
servizi da svolgere al di fuori delle predette -OMISSIS-, in via
definitiva o fino a quando il luogo di lavoro non sarà reso conforme
al d.lgs. n. 81/2008.
Si è costituito in
giudizio il Ministero della Giustizia, depositando controricorso, a
mezzo del quale ha eccepito: in rito, l’inammissibilità del
ricorso per carenza di giurisdizione, in riferimento sia alla domanda
risarcitoria, che apparterrebbe alla giurisdizione del G.O., sia alla
domanda di emissione di un ordine, che si sostanzierebbe in un facere
infungibile, nonché per la genericità della causa petendi posta a
base della pretesa risarcitoria; in via preliminare di merito, la
prescrizione, sia quinquennale che decennale, delle pretese
risarcitorie fatte valere dal sig. -OMISSIS-; nel merito,
l’infondatezza della domanda di risarcimento e delle altre domande
veicolate con il ricorso.
Con ordinanza n.
518/2016 del 29 settembre 2016 il Tribunale ha preso atto della
rinunzia all’istanza cautelare ad opera del ricorrente.
All’udienza
pubblica del 18 aprile 2018, il Presidente ha avvisato le parti, ai
sensi e per gli effetti dell’art. 73, comma 3, c.p.a., che il
Collegio avrebbe valutato la questione di giurisdizione, avendo
riguardo alla riferibilità del facere richiesto alla P.A. al potere
organizzativo della stessa, ovvero alla giurisdizione di legittimità
nell’ambito del pubblico impiego cd. non contrattualizzato, quindi,
dopo una breve discussione, la causa è stata trattenuta in
decisione.
DIRITTO
Forma oggetto di
ricorso la domanda di risarcimento del danno alla salute da
esposizione al cd. fumo passivo formulata dal ricorrente, agente di
-OMISSIS-, nei confronti dell’Amministrazione datrice di lavoro per
violazione dei doveri su questa incombenti ai sensi dell’art. 2087
c.c., nonché degli artt. 63, 64 e 237, comma 1, lett. c), del d.lgs.
n. 81/2008.
Il ricorrente
propone, altresì, domanda di condanna dell’Amministrazione
all’installazione di idoneo impianto di aerazione nelle -OMISSIS-
-OMISSIS- della -OMISSIS-presso cui presta servizio, e/o di condanna
della P.A. ad esonerarlo dai compiti nelle -OMISSIS- -OMISSIS- ed a
destinarlo a servizi da svolgere al di fuori di dette -OMISSIS-,
almeno finché in queste ultime non verrà installato il suindicato
impianto di aerazione.
In via pregiudiziale
occorre scrutinare la questione della devoluzione o meno della
controversia (o di parti di essa) alla giurisdizione di questo G.A.,
in virtù sia dell’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata
dalla difesa erariale in relazione alla domanda risarcitoria, sia del
rilievo sollevato ex officio dal Collegio nel corso dell’udienza
pubblica, ai sensi dell’art. 73, comma 3, c.p.a., in relazione alla
domanda di condanna della P.A. ad un “facere” specifico (in
relazione all’installazione di un impianto di aerazione ed
all’adozione di misure organizzative a tutela del lavoratore).
Ciò, atteso che,
per la giurisprudenza consolidata (cfr., ex plurimis, C.d.S., Sez. V,
12 novembre 2013, n. 5421; T.A.R. Veneto, Sez. I, 6 dicembre 2017, n.
1103; id., 15 novembre 2017, n. 1028), l’analisi della questione di
giurisdizione assume carattere prioritario rispetto ad ogni altra,
giacché il difetto di giurisdizione del giudice adito lo priva del
potere di esaminare qualsiasi profilo della controversia, in rito e
nel merito.
Invero, il potere
del giudice adito di definire la controversia sottoposta al suo esame
postula che su di essa egli sia munito della “potestas iudicandi”,
la quale costituisce un imprescindibile presupposto processuale della
sua determinazione (C.d.S., Sez. V, 5 dicembre 2013, n. 5786; T.A.R.
Veneto, Sez. I, n. 1103/2017, cit.; id., 2 febbraio 2017, n. 117).
Orbene, ritiene il
Collegio che nessun difetto di giurisdizione possa dirsi sussistente
in relazione alla domanda di risarcimento del danno biologico
proposta dal ricorrente, la quale rinviene il proprio titolo
nell’art. 2087 c.c. e, dunque, si configura come pretesa
risarcitoria discendente dalla responsabilità contrattuale della
P.A. datrice di lavoro: sussiste pertanto, a tal proposito, la
giurisdizione esclusiva di questo G.A. ex artt. 3 e 63, comma 4, del
d.lgs. n. 165/2001, tenuto conto che il lavoratore, quale agente di
-OMISSIS-, appartiene al cd. pubblico impiego non contrattualizzato
(cfr. C.d.S., Sez. IV, 6 giugno 2017, n. 2720).
Ed invero,
relativamente alla domanda di risarcimento del danno biologico
presentata dal dipendente pubblico nei confronti della P.A. datrice
di lavoro, la giurisprudenza amministrativa (v. per tutte T.A.R.
Campania, Napoli, Sez. VII, 5 agosto 2010, n. 17232, con i plurimi
richiami ivi contenuti) ha affermato che tale domanda si presta ad
essere intesa sia quale azione di natura extracontrattuale, se
proposta ai sensi dell’art. 2043 c.c., e quindi appartenente alla
giurisdizione del G.O., sia come azione per l’accertamento della
responsabilità contrattuale della P.A., quando essa sia invece
correlata alla violazione, da parte dell’Amministrazione di
appartenenza, dell’obbligo di tutelare l’integrità fisica e la
personalità morale dei lavoratori dipendenti (art. 2087 c.c.).
Tale ricostruzione è
stata avallata dalla Suprema Corte (cfr., ex multis, Cass. civ., Sez.
Un., 6 marzo 2009, n. 5468; id., 4 marzo 2008, n. 5785), la quale ha
ribadito che la soluzione della questione del riparto della
giurisdizione, rispetto ad una domanda di risarcimento dei danni per
lesione della propria integrità psico-fisica proposta da un pubblico
dipendente nei confronti della P.A., è strettamente subordinata
all’accertamento della natura giuridica dell’azione di
responsabilità in concreto proposta: infatti, se è fatta valere la
responsabilità contrattuale dell’Ente datore di lavoro, la
cognizione della domanda rientra nella giurisdizione esclusiva del
G.A. (personale in regime pubblicistico), mentre, se è dedotta la
responsabilità extracontrattuale, la giurisdizione spetta al G.O..
Le -OMISSIS- Unite
hanno poi precisato che non rileva, ai fini dell’accertamento della
natura giuridica dell’azione di responsabilità proposta, la
qualificazione formale data dal danneggiato in termini di
responsabilità contrattuale o extracontrattuale, ovvero mediante il
richiamo di norme di legge (artt. 2043 e segg. c.c.; art. 2087 c.c.).
Si tratta, infatti, di indizi di per sé non decisivi, essendo
necessario considerare i tratti propri dell’elemento materiale
dell’illecito posto a base della pretesa risarcitoria, onde
stabilire se sia stata denunciata una condotta della P.A., la cui
idoneità lesiva possa esplicarsi, indifferentemente, nei confronti
della generalità dei cittadini e nei confronti dei propri
dipendenti, perché in tal caso il rapporto di lavoro costituisce una
mera occasione dell’evento dannoso; oppure se la condotta lesiva
della P.A. presenti caratteri tali da escluderne l’incidenza nella
sfera giuridica di soggetti ad essa non legati da rapporto di impiego
e le sia, invece, imputata la violazione di specifici obblighi di
protezione dei lavoratori ex art. 2087 c.c.. In questo caso, allora,
la responsabilità ha natura contrattuale, conseguendo l’ingiustizia
del danno alle violazioni di taluna delle situazioni giuridiche in
cui il rapporto di lavoro si articola e sostanziandosi la condotta
lesiva nelle specifiche modalità di gestione del rapporto di lavoro.
Soltanto qualora, all’esito dell’indagine condotta secondo i
criteri ora indicati, non possa pervenirsi all’identificazione
dell’azione proposta dal danneggiato, si dovrà optare per la
qualificazione dell’azione in termini di responsabilità
extracontrattuale (Cass. civ., Sez. Un., n. 5468/2009, cit.).
Ciò premesso, nel
caso di specie il dipendente pubblico lamenta la violazione, da parte
della P.A., di precisi obblighi su di essa incombenti quale datrice
di lavoro: in generale, degli obblighi gravanti sul datore di lavoro
ex artt. 63, commi 1, 2 e 3, e 64 del d.lgs. n. 81/2008 (recante
norme in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi
di lavoro) e, più specificamente, degli obblighi di cui all’art.
237, comma 1, lett. c), dello stesso d.lgs. n. 81/2008, a tenor del
quale il datore di lavoro “progetta, programma e sorveglia le
lavorazioni in modo che non vi è emissione di agenti cancerogeni o
mutageni nell’aria. Se ciò non è tecnicamente possibile,
l’eliminazione degli agenti cancerogeni o mutageni deve avvenire il
più vicino possibile al punto di emissione mediante aspirazione
localizzata, nel rispetto dell’articolo 18, comma 1, lettera q).
L’ambiente di lavoro deve comunque essere dotato di un adeguato
sistema di ventilazione generale”.
Se ne evince che la
domanda di risarcimento del danno biologico formulata dall’odierno
ricorrente, trovando fondamento nella responsabilità conseguente
alla (pretesa) inosservanza ad opera della P.A. di precisi obblighi
che la legge pone a carico del datore di lavoro rispetto ai
dipendenti e tenuto anche conto dell’applicabilità del generale
precetto dell’art. 2087 c.c. nei confronti della P.A. come datrice
di lavoro, va ricondotta all’alveo della responsabilità
contrattuale della P.A. stessa. Essa, pertanto, è devoluta alla
giurisdizione esclusiva del G.A. prevista per il pubblico impiego non
contrattualizzato (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VII, n. 17232/2010,
cit.).
La chiara
riconducibilità dell’azione risarcitoria presentata dall’odierno
ricorrente allo schema della responsabilità contrattuale della P.A.
per violazione dell’art. 2087 c.c. (nonché degli artt. 63, 64 e
237, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 81/2008) dà conto, altresì,
dalla palese infondatezza dell’eccezione di inammissibilità in
parte qua del ricorso per genericità della causa petendi, sollevata
a tal riguardo dalla difesa erariale: eccezione che, pertanto, va
senz’altro respinta.
A diverso avviso
deve pervenirsi, invece, per quanto riguarda le domande di condanna
della P.A. ad un “facere” specifico e, precisamente: 1) ad
installare un idoneo impianto di aerazione nelle -OMISSIS- -OMISSIS-;
2) ad adottare misure organizzative nei confronti del sig. -OMISSIS-,
esonerandolo dai compiti presso le -OMISSIS- -OMISSIS- e destinandolo
ad altri servizi, almeno fino alla realizzazione del suddetto
impianto di aerazione. In questo caso, infatti, ritiene il Collegio –
come da rilievo formulato d’ufficio in pubblica udienza ex art. 73,
comma 3, c.p.a. – che le pretese del ricorrente vadano ad incidere
sui poteri pubblicistici della P.A. e che, perciò, si tratti di
pretese non giustiziabili, non essendo ammesso che il G.A., o
qualsiasi altro giudice, possano incidere su detti poteri
discrezionali.
Vero è, infatti,
che si verte in materia di giurisdizione esclusiva del G.A. (art. 63,
comma 4, del d.lgs. n. 165/2001) e che nelle materie di giurisdizione
esclusiva l’art. 30, comma 1, del d.lgs. n. 104/2010 (c.p.a.)
ammette l’esperimento di azioni di condanna nei confronti della
P.A.: tuttavia, ad avviso del Collegio nel caso di specie osta
all’ammissibilità delle azioni di condanna proposte dal sig.
-OMISSIS- la sussistenza di profili di discrezionalità
amministrativa e tecnica in capo all’Amministrazione (cfr., ex
multis, C.d.S., A.P., 29 luglio 2011, n. 15).
In altre parole, pur
dopo le innovazioni introdotte dal Codice del Processo Amministrativo
ed anche a prescindere dalla questione dell’esistenza di limiti
all’esperibilità in via autonoma dell’azione di condanna ex art.
30, comma 1, c.p.a., resta comunque fermo l’ostacolo
all’ammissibilità di tale azione costituito dalla non
sostituibilità delle attività discrezionali riservate alla Pubblica
Amministrazione (cfr. C.d.S., A.P., n. 15/2011 cit., parag. 6.4.1).
Che nel caso
all’esame ci si trovi dinanzi a poteri pubblicistici della P.A.
datrice di lavoro, non pare dubbio, vista l’appartenenza del
dipendente al cd. pubblico impiego non contrattualizzato: poteri dal
contenuto indubbiamente discrezionale sul piano sia della
discrezionalità amministrativa, sia di quella tecnica. Si pensi,
quanto alla discrezionalità amministrativa, alla valutazione circa
l’opportunità o no di installare impianti di aerazione nelle
-OMISSIS- -OMISSIS-, data la funzione di queste, di luoghi deputati
alla restrizione della libertà personale dei -OMISSIS-, ovvero alle
scelte organizzative della P.A. circa la più oculata ripartizione
del personale tra le varie strutture della -OMISSIS-. Quanto, poi,
alla discrezionalità tecnica, si pensi alla valutazione di possibili
opzioni alternative all’installazione degli ora visti impianti di
aerazione.
Di fronte a detti
poteri, la posizione del pubblico dipendente non può che connotarsi
quale interesse legittimo, che si affianca al diritto soggettivo del
medesimo alla salute, ex art. 32 Cost., ma che ne va distinto,
venendo in tal modo confermata l’inesperibilità, nel caso di
specie, delle azioni di condanna proposte dal ricorrente.
Donde, in
conclusione, l’inammissibilità delle suesposte azioni di condanna
ad un “facere” specifico presentate dal sig. -OMISSIS-, in tal
guisa dovendosi intendere il rilievo formulato ex officio dal
Collegio in pubblica udienza. Del resto, ove si voglia intendere tale
rilievo in termini di difetto di giurisdizione, esso andrà
qualificato come difetto assoluto di giurisdizione, per la non
giustiziabilità delle pretese avanzate nel ricorso, con il
corollario dell’inapplicabilità alla fattispecie all’esame, per
le azioni ora citate, del meccanismo della “translatio judicii”
ex art. 11 c.p.a..
Passando, adesso,
all’analisi del merito della domanda risarcitoria formulata dal
ricorrente, ritiene il Collegio di poter prescindere dall’eccezione
di prescrizione sollevata al riguardo dalla difesa erariale (la quale
andrebbe esaminata prioritariamente, data la sua natura di eccezione
preliminare di merito), attesa la complessiva infondatezza della
domanda.
Da un lato, infatti,
va condivisa l’obiezione della difesa erariale, la quale ha
evidenziato come non vi sia in atti (e, in particolare, nella
relazione dello -OMISSIS-. su cui il lavoratore fonda le sue pretese)
una chiara individuazione del nesso di causalità tra l’insorgere
della patologia del sig. -OMISSIS- (affetto da -OMISSIS-) e
l’affermata esposizione al cd. fumo passivo nelle -OMISSIS-
-OMISSIS- della -OMISSIS-. La predetta relazione (all. 6 al ricorso),
infatti, si limita ad affermare, al punto 2 delle conclusioni, che
“l’esposizione a fumo passivo può aver contribuito in misura
significativa nell’insorgenza della malattia lamentata dal sig.
-OMISSIS-, pur non essendo tale malattia considerata “malattia
professionale””.
D’altro canto, ad
avviso del Collegio è ictu oculi percepibile l’inopportunità del
rimedio individuato dalla relazione de qua, consistente
nell’installazione di sistemi di aspirazione e ventilazione
forzata, ove si sostenga – come preteso dal ricorrente – che tale
installazione dovesse avvenire nelle -OMISSIS- -OMISSIS- della
-OMISSIS-, poiché – come già accennato – tale rimedio potrebbe
non essere compatibile con la funzione di restrizione della libertà
personale dei -OMISSIS-, propria delle suddette -OMISSIS-. Di tal
ché, pur a riconoscere l’esistenza del problema segnalato dal
lavoratore, a ben guardare non vi è in atti l’indicazione di
nessun rimedio per il problema stesso, la cui mancata adozione possa
aver concretato una condotta illecita della P.A., ascrivibile alla
responsabilità contrattuale di questa e fonte del preteso danno alla
salute di cui si chiede il risarcimento.
Le opzioni
alternative esperibili da parte della P.A., scartata quella basata
sulle sanzioni per il divieto di fumo, vista la sua scarsa efficacia
nei confronti della popolazione -OMISSIS-, si riassumono nella
rotazione del personale della -OMISSIS-, in modo da adibirlo a
servizi in luoghi differenti, senza destinarlo continuativamente alle
sole -OMISSIS- -OMISSIS-. Di tale opzione, per ammissione dello
stesso ricorrente, costui ha beneficiato per un dato periodo di
servizio e potrà tornare a beneficiarne in futuro, ovviamente senza
poter pretendere di essere l’unico a goderne e dovendo, così,
adattarsi a periodi in cui del rimedio in parola (servizio prestato
non presso le -OMISSIS- -OMISSIS-) si avvantaggino gli altri
dipendenti. Donde, in definitiva, l’inconfigurabilità – anche
sotto il profilo appena riportato – di una condotta illecita della
P.A. datrice di lavoro.
In ultima analisi,
pertanto, il ricorso è infondato e da respingere per quanto riguarda
la domanda di risarcimento del danno biologico ivi proposta, mentre è
inammissibile in relazione alle altre domande nello stesso contenute.
Sussistono,
comunque, giusti motivi per disporre l’integrale compensazione
delle spese tra le parti, in ragione della complessità e parziale
novità delle questioni trattate.
P.Q.M.
Il Tribunale
Amministrativo Regionale per il Veneto – Sezione Prima (I^), così
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,
respinge la domanda di risarcimento del danno ivi contenuta,
dichiarando inammissibili le altre domande con esso proposte.
Compensa le spese.
Ordina che la
presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che
sussistano i presupposti di cui all’art. 22, comma 8, del d.lgs. n.
196/2003, dà mandato alla Segreteria di procedere, in qualsiasi
ipotesi di diffusione del presente provvedimento, ad oscurare le
generalità nonché qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di
salute del ricorrente.
Così deciso in
Venezia, nella Camera di consiglio del giorno 18 aprile 2018, con
l’intervento dei magistrati:
Maurizio Nicolosi,
Presidente
Pietro De
Berardinis, Consigliere, Estensore
Nicola Fenicia,
Primo Referendario
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
Pietro De Berardinis
Maurizio Nicolosi
IL SEGRETARIO
In caso di
diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi
dei soggetti interessati nei termini indicati.
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