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mercoledì 26 giugno 2019
N. 98 ORDINANZA (Atto di promovimento) 29 gennaio 2019 Ordinanza del 29 gennaio 2019 del Tribunale di Torino nel procedimento penale a carico di L. D.. Reati e pene - Oltraggio a pubblico ufficiale - Trattamento sanzionatorio - Pena edittale massima della reclusione fino a tre anni. - Codice penale, art. 341-bis. (GU n.26 del 26-6-2019 )
N. 98 ORDINANZA (Atto di promovimento) 29 gennaio 2019
Ordinanza del 29 gennaio 2019 del Tribunale di Torino nel
procedimento penale a carico di L. D..
Reati e pene - Oltraggio a pubblico ufficiale - Trattamento
sanzionatorio - Pena edittale massima della reclusione fino a tre
anni.
- Codice penale, art. 341-bis.
(GU n.26 del 26-6-2019 )
TRIBUNALE ORDINARIO DI TORINO
(Sesta sezione penale)
Alla pubblica udienza del giorno 29 gennaio 2019, presenti il
pubblico ministero e il difensore dell'imputata, che la rappresenta
ai sensi dell'art. 420-bis comma 3 codice di procedura penale, il
giudice dott.ssa Maria Cristina Tognoni ha dato lettura della
seguente ordinanza.
L. D. nell'odierno processo e' imputata del delitto di cui
all'art. 341-bis del codice penale perche', all'indirizzo degli
agenti delle FF.OO che svolgevano servizio di vigilanza davanti al
palazzo di giustizia (tra i quali, G. P., C. C., C. A., S. G. M.) in
occasione dell'esame di C. M., rivolgendo loro le seguenti frasi «vi
dovete vergognare siete delle bestie», in luogo pubblico offendeva
l'onore ed il prestigio di pubblici ufficiali mentre compivano un
atto d'ufficio ed a causa e nell'esercizio delle loro funzioni ed
alla presenza di piu' persone (gli altri manifestanti ed i passanti
davanti al palazzo di giustizia).
In Torino il 26 luglio 2013.
Il giudizio si e' svolto nella forma ordinaria: sono stati
esaminati i testimoni del pubblico ministero, quelli del difensore e
l'imputata, acquisiti al fascicolo del dibattimento alcuni dvd
contenenti filmati della manifestazione nel corso della quale si
sarebbe verificato il fatto oggetto del capo di imputazione ed altra
documentazione finalizzati a spiegare le ragioni delle tensioni tra
forze dell'ordine e manifestanti. La difesa dell'imputata, in sede di
conclusioni, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale,
sostenendo il contrasto dell'art. 341-bis del codice penale con gli
articoli 3 comma 1 e 27 comma 3 della Costituzione. I dubbi espressi
dalla difesa riguardano il rispetto, da parte della norma penale che
punisce l'oltraggio a pubblico ufficiale, del principio di
ragionevolezza e di proporzione della pena. Piu' specificatamente
viene lamentato come, in relazione alla norma in questione, che
prevede in caso di condanna la pena della reclusione fino a tre anni,
il legislatore abbia consentito un sacrificio tanto rilevante della
liberta' personale dell'individuo, a garanzia della tutela di un bene
giuridico obsoleto come quello del prestigio della pubblica
amministrazione. Viene invocato l'intervento della Corte
costituzionale affinche' verifichi che, anche nel caso di specie, sia
stato rispettato, da parte del legislatore, il limite della
ragionevolezza nell'uso della discrezionalita' che gli compete nello
stabilire quali comportamenti siano criminali e quali sanzioni
debbano essere ad essi irrogate. Questo vaglio permetterebbe di
accertare, in base al parametro costituzionale di cui all'art. 3,
l'eventuale violazione del principio di uguaglianza a cui
corrisponderebbe una disparita' di trattamento tra casi uguali o
simili. Il difensore individua il tertium comparationis da porre a
confronto con il principio di cui all'art. 3 della Costituzione, sia
nel delitto di oltraggio ad un corpo politico, amministrativo o
giudiziario (art. 342 del codice penale), sia in quello depenalizzato
di cui al combinato disposto dagli articoli 594 e 61 n. 10 del codice
penale Viene osservato che il delitto previsto dall'art. 342 del
codice penale ha subito, dal 1930 ad oggi, un graduale processo di
depenalizzazione: detto illecito penale, infatti, inizialmente era
punito con la reclusione da sei mesi a tre anni, ovvero piu'
gravemente rispetto alla fattispecie dell'art. 341 del codice penale
(punita con pena da sei mesi a due anni); con la legge n. 205/1999 la
pena per esso prevista era ridotta nel minimo edittale a quindici
giorni di reclusione ed infine, con la legge n. 85/2006, sostituita
con la sola pena pecuniaria. Il corollario che ne discende e' che, a
parita' di condizioni, l'offesa al Corpo politico, amministrativo,
giudiziario, dopo essere stata considerata per molto tempo piu' grave
del reato di oltraggio a pubblico ufficiale, sia connotata oggi da
una minor gravita' e, conseguentemente, sanzionata in maniera piu'
mite.
Per quanto concerne, invece, il reato di ingiuria aggravata, esso
e' stato di recente depenalizzato (decreto legislativo n. 7/2016).
Tutto quanto cio' fa apparire assolutamente sproporzionata la
sanzione della pena fino a tre anni di reclusione, prevista per il
delitto di oltraggio a pubblico ufficiale, nonche' la previsione
della sua procedibilita' d'ufficio.
A conclusione delle proprie osservazioni, la difesa dell'imputata
L. D. eccepisce l'incostituzionalita' dell'art. 341-bis del codice
penale per due ragioni: la violazione dell'art. 3 della Carta
Costituzionale, per il fatto della sua permanenza nel codice penale
sostanziale; la violazione dell'art. 27, 3 comma Costo per via della
sanzione prevista dalla legge, detentiva e non pecuniaria come invece
sancito per il delitto di cui all'art. 342 del codice penale
Rilevanza delle questioni prospettate
La fattispecie criminosa contestata all'imputata dalla Procura
della Repubblica ed individuata nel capo di imputazione appare
corretta.
Le parole attribuite all'imputata «vi dovete vergognare siete
delle bestie», presentano in astratto carattere offensivo, sono state
rivolte ad agenti di polizia mentre svolgevano un servizio di ordine
pubblico all'esterno del Palazzo di Giustizia di Torino, alla
presenza di piu' persone, ovvero dei partecipanti ad una
manifestazione e dei passanti. In caso di condanna, pertanto, l'unica
pena che potrebbe essere irrogata e' quella detentiva prevista
dall'art. 341-bis del codice penale che, anche nel caso di un fatto
di minima gravita', dovrebbe essere equivalente a quindici giorni di
reclusione. L'imputata, seppur attualmente incensurata, ha dichiarato
di essere sottoposta ad altri procedimenti penali per cui
l'irrogazione di una pena detentiva potrebbe impedirle di
beneficiare, in futuro, della sospensione condizionale della pena
(art. 164 comma 2, n. 1). Di conseguenza non puo' escludersi la
pertinenza delle questioni prospettate e della rilevanza delle stesse
nel presente giudizio in relazione all'art. 341-bis del codice penale
Non puo' dubitarsi che, l'eventuale sentenza di accoglimento delle
questioni costituzionali prospettate, possa influire sul processo
celebrato innanzi a questo Tribunale.
Non manifesta infondatezza delle questioni sollevate nel presente
giudizio.
In relazione all'art. 3 della Costituzione.
Questo giudice non condivide la tesi di chi ha posto alla sua
attenzione la questione di legittimita' costituzionale fin qui
sintetizzata, in base alla quale il bene giuridico tutelato da norme
penali come l'art. 342 e l'art. 341-bis sia da ritenersi obsoleto e
non piu' attuale.
L'illecito previsto dall'art. 341-bis del codice penale si
presenta come reato plurioffensivo, al pari di quello previsto
dall'art. 342 del codice penale, in quanto lesivo sia dell'onore e
del decoro della persona investita di pubbliche funzioni, che del
prestigio della pubblica amministrazione, considerata come complesso
di organi aventi scopi pubblici. Questo lo si evince non solo dal
fatto che, per la sua sussistenza, la legge prevede che l'offesa
all'onore e al prestigio del pubblico ufficiale sia avvenuta in un
luogo pubblico o aperto al pubblico e alla presenza di piu' persone,
ma soprattutto dal fatto che sia necessario che il pubblico ufficiale
sia oltraggiato mentre compie un atto del suo ufficio ed a causa o
nell'esercizio delle sue funzioni. Si deduce, infine, la natura
plurioffensiva del delitto in questione, anche dal doppio
risarcimento nei confronti della persona del pubblico ufficiale e
dell'ente di appartenenza.
Gli interessi giuridici dell'onore e del prestigio, sottesi
all'art. 341-bis del codice penale, non vanno interpretati, pero',
come dignita' e rispetto ai quali la persona del pubblico ufficiale
ha diritto per il semplice fatto di svolgere una pubblica funzione,
ritenendolo, pertanto, maggiormente degno di essere tutelato dalle
offese rispetto al comune cittadino, nei confronti del quale il
delitto di ingiuria e' stato depenalizzato.
La ratio della fattispecie incriminatrice deve essere individuata
nella esigenza, squisitamente pubblicistica, di garantire il regolare
svolgimento dei compiti del pubblico ufficiale, senza che le offese
dirette alla sua persona possano turbarne l'operato.
Ed e', pertanto, in questa ottica che il bene giuridico tutelato
dal legislatore attraverso l'attuale norma sull'oltraggio a pubblico
ufficiale deve, a parere di chi scrive, essere inteso, con
conseguente affermazione dell'importanza della permanenza all'interno
del codice penale, di una norma che vieti e sanzioni comportamenti
oltraggiosi nei confronti dei pubblici ufficiali.
Cionondimeno, questo giudice non puo' esimersi dall'osservare
come, a parita' di interessi giuridici tutelati, sussista una iniqua
sproporzione tra la sanzione applicata nel caso della violazione
dell'art. 342 del codice penale e quella, notevolmente piu' grave,
inflitta nel caso della violazione dell'art. 341-bis del codice
penale, per i motivi gia' sopra indicati nell'esporre la questione di
legittimita' sollevata nel procedimento penale a carico di L. D.
In particolare, si assume violato l'art. 3 della Costituzione e,
in specie, il principio di eguaglianza formale e sostanziale ivi
consacrato, «che comporta che siano trattate ugualmente situazioni
eguali e diversamente situazioni diverse, con la conseguenza che ogni
differenziazione, per essere giustificata, deve risultare
ragionevole, cioe' razionalmente correlata al fine per cui si e'
inteso stabilirla».
Le due fattispecie incriminatrici che si ritiene di dover porre a
confronto, ovvero quella dell'oltraggio a pubblico ufficiale e quella
dell'oltraggio a Corpo politico, amministrativo o giudiziario, hanno
in comune diversi elementi. Innanzitutto entrambe offendono l'onore
e/o il prestigio di soggetti che rivestono la qualifica di pubblici
ufficiali e tutelano interessi giuridici sostanzialmente identici,
nei termini e con la valenza sopra esposta. Nel caso dell'art.
341-bis del codice penale l'offesa deve avvenire nei confronti di un
pubblico ufficiale mentre compie un atto d'ufficio ed a causa o
nell'esercizio delle sue funzioni; nel caso dell'art. 342 del codice
penale l'offesa deve essere rivolta ad un Corpo politico,
amministrativo o giudiziario, o di una rappresentanza di esso, o di
una pubblica Autorita' costituita in collegio, al cospetto di essi.
Nei reati in esame, pertanto, e' previsto che l'azione criminosa
sia perpetrata, rispettivamente nei confronti del singolo pubblico
ufficiale e nei confronti di due o piu' pubblici ufficiali che
operano in sinergia tra di loro. Anche se all'art. 341-bis del codice
penale non e' specificato, come invece all'art. 342 del codice
penale, che l'offesa debba avvenire «al cospetto» del pubblico
ufficiale, tale (comune) presupposto lo si deduce dal fatto che, se
il pubblico ufficiale sta compiendo un atto del suo ufficio (come
richiesto dalla norma), deve essere necessariamente presente.
Allo scopo di individuare le ragioni che hanno spinto il
legislatore a prevedere, per effetto dell'art. 1, comma 8, legge 15
luglio 2009, n. 94, l'art. 341-bis del codice penale, con cui e'
stata reintrodotta, nel nostro ordinamento, dopo circa un decennio
dalla sua abrogazione, la fattispecie di oltraggio a pubblico
ufficiale, e a punirla in modo cosi' differente (e piu' grave)
rispetto alla fattispecie, sostanzialmente uguale, per i motivi sopra
emarginati, dell'oltraggio a Corpo politico, amministrativo o
giudiziario, non soccorrono i lavori parlamentari.
Sempre secondo la sopra citata sentenza della Corte
costituzionale n. 22 del 2007, il sindacato di costituzionalita'
«puo' investire le pene scelte dal legislatore solo se si appalesi
una evidente violazione del canone della ragionevolezza, in quanto ci
si trovi di fronte a fattispecie di reato sostanzialmente identiche,
ma sottoposte a diverso trattamento sanzionatorio».
Nel caso di specie la violazione dell'eguaglianza, declinata
appunto come disparita' (ingiustificata) di trattamento tra
situazioni eguali o comunque assimilabili in relazione a
significativi aspetti delle fattispecie, e' resa evidente dalla
diversa natura della sanzione prevista dal legislatore per le due
fattispecie in esame (art. 342 del codice penale, norma in
comparazione, e art. 341-bis del codice penale), rispettivamente
pecuniaria e detentiva. Tale ingiusta disparita' di trattamento si
manifesta non soltanto sotto il profilo della specie della pena, ma
anche per quanto riguarda i limiti entro i quali e' ammessa la
sospensione condizionale della pena (art. 164, 2 comma del codice
penale) e gli effetti della esecuzione della pena in caso di mancata
sospensione della stessa.
In relazione all'art. 27, 3 comma della Costituzione.
La pena prevista per l'art. 341-bis del codice penale, nella
parte in cui prevede una pena detentiva con un massimo edittale di
tre anni di reclusione, appare infatti, per le ragioni gia' esposte,
contrastare anche con l'art. 27, 3 comma della Costituzione.
Pur senza addentrarsi nel noto dibattito sulla finalita' della
pena, e' evidente che una sanzione inadeguata nella specie e nella
quantita', non in armonia con l'attuale contesto storico in cui deve
essere concretamente applicata, nel quale risulta gia' da tempo
avviato un processo volto a depenalizzare gli illeciti meno gravi,
contrasti con l'obbligo di tendere alla rieducazione, generando un
senso di generale di sfiducia nella Giustizia e nelle Istituzioni, ed
andando a incidere negativamente sul percorso rieducativo del reo.
Tutto quanto premesso, questo giudice, qui richiamando alcune
importanti considerazioni contenute nella sentenza 6 giugno 2017
(dep. 13 luglio 2017), n. 179 della Corte costituzionale, ovvero:
che il principio di legalita' sancito dall'art. 25 Cost. affida
le scelte sulla misura della pena alla discrezionalita' politica del
legislatore, ma che il risultato dell'esercizio di tale
discrezionalita' non e' esente dal sindacato fondato sugli altri
parametri costituzionali, tra cui quelli previsti dagli articoli 3 e
27 Cost.;
che, nel rispetto delle valutazioni di politica criminale
spettanti al legislatore, la Corte costituzionale «ha ritenuto di
poter incidere sulla misura della pena solo rintracciando all'interno
dell'ordinamento vigente una adeguata disposizione sanzionatoria
sostitutiva di quella dichiarata costituzionalmente illegittima»;
che, di recente, gli interventi della Corte costituzionale
«sulle disposizioni sanzionatorie sono divenuti piu' frequenti, con
una serie di decisioni ispirate a una sempre maggiore garanzia della
liberta' personale e dei principi costituzionali che delineano il
«volto costituzionale del sistema penale», rintracciabili non solo
nelle disposizioni della nostra carta fondamentale ma anche nel
principio di proporzionalita' della pena codificato nell'art. 49,
paragrafo 3, della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione
Europea. Rileva qui evidenziare come la CEDU, con la propria
giurisprudenza, ha piu' volte ribadito come sia contraria al
principio di proporzionalita', l'applicazione o anche solo la
previsione di pene detentive per reati commessi attraverso la
manifestazione del pensiero (cfr sentenza Belpietro c. Italia del 24
settembre 2013);
che, nella recente sentenza n. 236 del 2016, la Corte
costituzionale «e' giunta alla declaratoria di illegittimita'
costituzionale in seguito a un controllo di proporzionalita' sulla
cornice edittale stabilita dalla norma censurata e non gia' in forza
di una verifica sull'asserito diverso trattamento sanzionatorio di
condotte simili o identiche», e ha individuato una nuova misura
sanzionatoria - parificandola a quella di altra fattispecie prevista
dall'ordinamento - perche' ritenuta l'«unica soluzione praticabile»,
ritiene che sia possibile per la Corte individuare un'unica soluzione
costituzionalmente obbligata cui ricondurre la pena prevista dal
delitto di cui all'art. 341-bis del codice penale, in quanto
sproporzionata, ovvero l'applicazione della stessa pena prevista per
il delitto di cui all'art. 342 del codice penale, rettificando, in
tal modo, la scelta sanzionatoria operata dal legislatore, «in
riferimento a grandezze gia' rinvenibili nell'ordinamento».
Ad avviso di questo giudice, pertanto, le questioni sollevate
dalla difesa dell'imputata sono non manifestamente infondate e
rilevanti, nei limiti sopra esposti.
P.Q.M.
Letto l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87.
Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 341-bis del codice penale in
relazione agli articoli 3 e 27 della Costituzione, nella parte in cui
punisce la condotta di chiunque, in luogo pubblico o aperto al
pubblico e in presenza di piu' persone, offenda l'onore ed il
prestigio di un pubblico ufficiale mentre compie un atto d'ufficio ed
a causa o nell'esercizio delle sue funzioni, con la reclusione fino a
tre anni.
Sospende il presente procedimento ed ordina l'immediata
trasmissione, previa acquisizione della prova delle avvenute
notificazioni e comunicazioni, degli atti alla Corte costituzionale
in Roma.
Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia
notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai
Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati.
Ordinanza comunicata alle parti mediante lettura in udienza.
Torino, 29 gennaio 2019
Il Giudice: Tognoni
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