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mercoledì 26 giugno 2019
N. 155 SENTENZA 8 maggio - 21 giugno 2019 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Procedimento penale - Procedimento per decreto - Criteri per la determinazione della pena pecuniaria da irrogare in sostituzione di quella detentiva. - Codice di procedura penale, art. 459, comma 1-bis, introdotto dall'art. 1, comma 53, della legge 23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all'ordinamento penitenziario). - (GU n.26 del 26-6-2019 )
N. 155 SENTENZA 8 maggio - 21 giugno 2019
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
Procedimento penale - Procedimento per decreto - Criteri per la
determinazione della pena pecuniaria da irrogare in sostituzione di
quella detentiva.
- Codice di procedura penale, art. 459, comma 1-bis, introdotto
dall'art. 1, comma 53, della legge 23 giugno 2017, n. 103
(Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e
all'ordinamento penitenziario).
-
(GU n.26 del 26-6-2019 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Giorgio LATTANZI;
Giudici :Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI,
Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de
PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA,
Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca
ANTONINI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 459, comma
1-bis, del codice di procedura penale, introdotto dall'art. 1, comma
53, della legge 23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche al codice penale,
al codice di procedura penale e all'ordinamento penitenziario),
promossi dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale
ordinario di Termini Imerese, con ordinanza del 12 febbraio 2018, e
dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di
Macerata, con due ordinanze del 20 settembre 2017, iscritte
rispettivamente ai numeri 88, 168 e 184 del registro ordinanze 2018 e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 24 e 47,
prima serie speciale, dell'anno 2018 e numero 1, prima serie
speciale, dell'anno 2019.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nella camera di consiglio dell'8 maggio 2019 il Giudice
relatore Francesco Vigano'.
Ritenuto in fatto
1.- Con ordinanza del 12 febbraio 2018, iscritta al n. 88 del
registro ordinanze 2018, il Giudice per le indagini preliminari del
Tribunale ordinario di Termini Imerese ha sollevato - in riferimento
agli artt. 3, 27 e 11 [recte: 111] della Costituzione - questioni di
legittimita' costituzionale dell'art. 459, comma 1-bis, del codice di
procedura penale, introdotto dall'art. 1, comma 53, della legge 23
giugno 2017, n. 103 (Modifiche al codice penale, al codice di
procedura penale e all'ordinamento penitenziario), «nella parte in
cui prevede che ai fini della determinazione dell'ammontare della
pena pecuniaria in sostituzione di una pena detentiva il giudice deve
tener conto della condizione economica complessiva dell'imputato e
del suo nucleo familiare e che comunque il valore giornaliero non
puo' essere inferiore alla somma di euro 75 di pena pecuniaria per un
giorno di pena detentiva e non puo' superare di tre volte tale
ammontare».
1.1.- L'ordinanza di rimessione e' stata pronunciata nel
procedimento a carico di V. Z., imputato del reato di cui all'art.
116, commi 15 e 17 (guida senza patente), del decreto legislativo 30
aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), in relazione al
quale il pubblico ministero ha chiesto l'emissione di decreto penale
di condanna, indicando la pena da irrogare in 1.950 euro di ammenda.
Tale importo e' stato calcolato dal pubblico ministero a partire da
una pena base di 20 giorni di arresto e 2.400 euro di ammenda, sulla
quale e' stata operata la diminuzione prevista dall'art. 459, comma
2, cod. proc. pen. in ragione della specialita' del rito,
pervenendosi cosi' a una pena di 10 giorni di arresto e 1.200 euro di
ammenda. La pena detentiva e' stata quindi convertita in pena
pecuniaria ai sensi dell'art. 459, comma 1-bis, cod. proc. pen. in
ragione di 75 euro pro die, per un totale di 750 euro, da sommare ai
restanti 1.200 euro di ammenda.
1.2.- In punto di rilevanza delle questioni, il rimettente espone
che «dalle stesse dipende la possibilita' per questo Giudice di
definire il procedimento mediante l'emissione di decreto penale di
condanna come richiesto dal pubblico ministero, ovvero l'obbligo di
rigettare la richiesta rimettendo gli atti al [p]ubblico [m]inistero
affinche' proceda con altro rito».
1.3.- Quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo
dubita anzitutto della compatibilita' della disposizione censurata
con il principio di eguaglianza di cui all'art. 3 Cost.
Prescrivendo che, nel determinare la pena pecuniaria sostituiva
della pena detentiva, il giudice tenga conto delle condizioni
economiche dell'imputato e del suo nucleo familiare, l'art. 459,
comma 1-bis, cod. proc. pen., introdurrebbe «una doppia valutazione
delle condizioni economiche del reo», che sarebbero valorizzate «una
prima volta in sede di determinazione della pena pecuniaria da
irrogare, ex art. 133-bis c.p., ed una seconda volta in sede di
determinazione della pena pecuniaria sostitutiva». Tale meccanismo
creerebbe una irragionevole disparita' di trattamento «tra i soggetti
meno abbienti (giudicati piu' favorevolmente) e i soggetti piu'
abbienti (giudicati meno favorevolmente)».
Il principio di eguaglianza sarebbe altresi' leso in ragione del
trattamento irragionevolmente differenziato che subirebbero i
soggetti imputati del medesimo reato, a seconda che il pubblico
ministero decida o meno di esercitare l'azione penale mediante
richiesta di emissione di decreto di condanna. Nel primo caso,
infatti, la pena pecuniaria sostitutiva della pena detentiva sarebbe
determinata ai sensi dell'art. 459, comma 1-bis, cod. proc. pen.,
secondo una variabile compresa tra 75 e 225 euro per ogni giorno di
pena detentiva. Nel secondo caso, invece, si applicherebbe il regime
di conversione della pena detentiva in pena pecuniaria stabilito in
via generale dall'art. 135 del codice penale, che ragguaglia un
giorno di pena detentiva alla somma fissa di 250 euro.
1.4.- Il giudice a quo denuncia altresi' la contrarieta' della
norma censurata al principio di personalita' della responsabilita'
penale, sancito dall'art. 27 Cost., nella misura in cui il comma
1-bis dell'art. 459 cod. proc. pen. obbliga il giudice a tenere in
considerazione, per determinare la pena pecuniaria sostitutiva della
pena detentiva, le condizioni economiche non del solo imputato, ma
anche del nucleo familiare dello stesso.
1.5.- Il rimettente dubita, infine, della compatibilita' della
norma censurata con il canone di ragionevole durata del processo,
sancito dall'art. 111, secondo comma, Cost. La necessita' che il
giudice, onde stabilire l'ammontare della pena pecuniaria sostitutiva
di quella detentiva, disponga accertamenti sulle condizioni
economiche dell'imputato e del nucleo familiare determinerebbe
infatti «una chiara, inevitabile e ingiustificata dilatazione dei
tempi di definizione del procedimento per decreto, per sua natura di
rapida definizione».
2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che le questioni di legittimita' costituzionale
siano dichiarate inammissibili o infondate.
2.1.- L'interveniente evidenzia anzitutto l'insufficienza e
l'erroneita' della motivazione del giudice a quo in ordine alla
rilevanza delle questioni, prospettate con esclusivo riferimento
all'alternativa tra accoglimento della richiesta di decreto penale e
restituzione degli atti al pubblico ministero. Il rimettente avrebbe
omesso di considerare che, nell'ambito del rito speciale, il giudice
potrebbe altresi' ritenere incongrua la pena in riferimento
all'imputazione oppure prosciogliere l'imputato ai sensi dell'art.
129 cod. proc. pen.; e avrebbe, conseguentemente, omesso di dare
conto della rilevanza delle questioni «ai fini di ciascuno dei
possibili esiti della vicenda processuale principale». L'ordinanza di
rimessione non chiarirebbe poi le ragioni per cui, rispetto al caso
concreto - nemmeno sommariamente descritto - la pena determinata ai
sensi dell'art. 459, comma 1-bis, cod. proc. pen. dovrebbe ritenersi
incongrua.
2.2.- Il Presidente del Consiglio dei ministri sottolinea, in
ogni caso, la radicale infondatezza delle questioni sollevate.
Non sarebbe predicabile alcuna violazione del principio di
eguaglianza, sotto il profilo di un eventuale trattamento di maggior
favore dei soggetti meno abbienti, posto che il comma secondo
dell'art. 3 Cost. mira precisamente alla rimozione degli ostacoli di
ordine economico e «presuppone dunque una distinzione tra abbienti e
meno abbienti, in senso opposto a quello proposto in ordinanza».
Neppure sarebbe irragionevole l'obbligo di valutare le condizioni
economiche dell'imputato, anche con riguardo ai componenti del nucleo
familiare, posto che l'art. 459, comma 1-bis, cod. proc. pen. ricalca
la formulazione dell'art. 53 della legge 24 novembre 1981, n. 689
(Modifiche al sistema penale), norma mai sospettata di
incostituzionalita', e comunque non idonea a incidere sul «principio
di personalita' della pena».
L'infondatezza della questione sarebbe tanto piu' evidente, in
quanto la norma censurata introduce un trattamento piu' favorevole
all'imputato, rispetto a quello previsto dall'art. 135 cod. pen.
Non sussisterebbe, infine, alcuna violazione dell'art. 111 Cost.,
poiche' il giudice potrebbe procedere all'accertamento delle
condizioni reddituali dell'imputato valendosi di mere presunzioni e
della documentazione in atti, senza essere obbligato a espletare
alcun incombente suscettibile di ritardare la definizione del
procedimento.
3.- Con due ordinanze di identico tenore, entrambe del 20
settembre 2017, rispettivamente iscritte al n. 168 e al n. 184 del
registro ordinanze 2018, il Giudice per le indagini preliminari del
Tribunale ordinario di Macerata ha sollevato - in riferimento agli
artt. 3 e 27 Cost. - questioni di legittimita' costituzionale
dell'art. 459, comma 1-bis, cod. proc. pen., «nella parte in cui
prevede che il valore giornaliero di conversione della pena detentiva
in pecuniaria sia pari ad euro 75 e fino a tre volte tale ammontare
tenuto conto della condizione economica complessiva dell'imputato e
del suo nucleo familiare».
3.1.- La prima ordinanza di rimessione e' stata pronunciata nel
procedimento a carico di H. M., imputato del «reato di cui all'art.
186 [d.lgs. n. 285 del 1992]» (guida in stato di ebbrezza), in
relazione al quale il pubblico ministero ha chiesto l'emissione di
decreto penale di condanna, indicando la pena da irrogare in 1.425
euro di ammenda. Tale importo e' stato in questo caso calcolato a
partire da una pena base di 15 giorni di arresto e 1.100 euro di
ammenda, sulla quale e' stata operata la diminuzione prevista
dall'art. 459, comma 2, cod. proc. pen. in ragione della specialita'
del rito, pervenendosi cosi' a una pena di 9 giorni di arresto
(convertita a sua volta in ammenda in ragione di 75 euro pro die) e
750 euro di ammenda.
3.2.- La seconda ordinanza di rimessione e' stata emessa nel
procedimento a carico di M. M., imputato del medesimo reato, in
relazione al quale il pubblico ministero ha chiesto l'emissione di
decreto penale di condanna, indicando la pena da irrogare in 7.500
euro di ammenda (importo ottenuto operando, su una pena base di 6
mesi di arresto e 1.500 euro di ammenda, la diminuzione per il rito,
pervenendosi a una pena di 3 mesi di arresto e 750 euro di ammenda,
indi convertendosi la pena detentiva in pena pecuniaria ai sensi del
censurato comma 1-bis, in ragione di 75 euro pro die).
3.3.- In entrambe le ordinanze, la rilevanza delle questioni
sollevate e' motivata in base alla necessita' di irrogare la pena
all'imputato nell'ambito del procedimento per decreto penale di
condanna, e all'insussistenza di presupposti per rigettare la
richiesta del pubblico ministero di emissione del decreto.
3.4.- Quanto alla non manifesta infondatezza delle questioni di
legittimita' costituzionale dell'art. 459, comma 1-bis, cod. proc.
pen., il rimettente prospetta anzitutto la violazione dell'art. 3
Cost., sottolineando come, per effetto della norma censurata, il
trattamento sanzionatorio in caso di emissione di decreto penale di
condanna sia irragionevolmente differente da quello che sarebbe
applicabile ove si procedesse con rito ordinario.
Evidenziano in proposito entrambe le ordinanze che, in base
all'art. 459, comma 1-bis, cod. proc. pen., la conversione della pena
detentiva in pena pecuniaria avviene equiparando un giorno di pena
detentiva a una somma non inferiore a 75 euro e non superiore a 225
euro, laddove invece l'art. 53 della legge n. 689 del 1981, relativo
alla sostituzione delle pene detentive brevi con la pena pecuniaria,
ragguaglia un giorno di pena detentiva a una somma compresa tra 250 e
2500 euro, mentre l'art. 135 cod. pen. equipara un giorno di pena
detentiva a una somma fissa di 250 euro. In caso di emissione di
decreto penale di condanna, dunque, l'importo della pena pecuniaria
sostitutiva della pena detentiva «varia entro un range edittale base
con possibilita' di moltiplicarlo per tre (75-225), mentre in tutti i
restanti casi di conversione di pena detentiva in pecuniaria
l'importo pecuniario e' di importo comunque superiore e con
possibilita' di moltiplicarlo per 10 (250-2500 euro), con differenza
che non trova origine nella diversa natura dei fatti oggetto di
giudizio». Il pubblico ministero avrebbe pertanto la possibilita',
mediante la scelta discrezionale di procedere o meno con richiesta di
decreto penale di condanna, di «determinare il tasso di conversione
della pena sostanziale finale irroganda, quantomeno sotto il profilo
di precludere all'imputato di fruire del particolare favore di cui
all'art. 459 cpp non chiedendo la emissione di decreto penale».
Il rimettente osserva inoltre che, ove il decreto penale di
condanna fosse opposto, la pena pecuniaria irrogata sarebbe
determinata in base al «tasso di conversione da 250 a 25000 [recte:
2.500] euro pro die», ossia in misura enormemente maggiore rispetto
alla pena irrogata con il decreto e calcolata in base all'art. 459,
comma 1-bis, cod. proc. pen. Tale differenza sarebbe ancora piu'
macroscopica con riferimento a soggetti abbienti, i quali si
vedrebbero applicare, nel decreto penale di condanna, un parametro di
conversione della pena detentiva in pena pecuniaria di 225 euro
giornalieri, operante su una pena dimezzata in considerazione
dell'applicazione del rito speciale, mentre, in caso di opposizione,
sarebbero soggetti a un parametro di conversione della pena detentiva
in pena pecuniaria di euro 2500 giornalieri.
Con specifico riferimento ai giudizi a quibus, nell'ordinanza di
rimessione di cui al r. o. n. 168 del 2018 si illustra che la pena da
irrogare all'imputato, ai sensi dell'art. 459, comma 1-bis, cod.
proc. pen. e' pari a 1.425 euro, laddove, in caso di opposizione al
decreto penale di condanna e di celebrazione del dibattimento, la
pena da irrogare sarebbe pari a non meno di 5.600 euro.
Nell'ordinanza di rimessione di cui al r. o. n. 184 del 2018,
invece, si espone che la pena da irrogare all'imputato ai sensi
dell'art. 459, comma 1-bis, cod. proc. pen. e' pari a 7.500 euro,
mentre, ove fosse celebrato il dibattimento a seguito di opposizione
al decreto penale di condanna, la pena da irrogare sarebbe pari a non
meno di 46.500 euro.
In entrambe le ordinanze, il giudice rimettente ritiene che tale
macroscopica differenza tra la pena irrogata nel decreto penale di
condanna e quella irrogabile in caso di celebrazione del processo con
il rito ordinario, sia incompatibile con il criterio di eguaglianza e
ragionevolezza, non apparendo razionalmente correlabile alla mera non
opposizione dell'imputato al decreto penale.
Il giudice a quo sottolinea inoltre come un effetto premiale
della portata di quello previsto dall'art. 459, comma 1-bis, cod.
proc. pen. non sia previsto per nessun altro rito alternativo,
incluso il patteggiamento, ove l'imputato «di fatto rinunzia a
difendersi», a fronte di uno sconto di pena, peraltro inferiore a
quello conseguibile nel procedimento per decreto.
Ad avviso del rimettente, non sarebbe dirimente che, nel
procedimento per decreto, sia comunque possibile e doverosa la
valutazione da parte del giudice circa la congruita' della pena da
irrogare. Detta valutazione, invero, riguarderebbe la pena
originariamente determinata dal pubblico ministero e la
compatibilita' della conversione della pena detentiva con le
finalita' deterrenti e rieducative. Valutati tali profili, tuttavia,
il tasso di conversione della pena detentiva in pena pecuniaria e la
necessita' di tenere in considerazione le condizioni economiche
dell'imputato e del suo nucleo familiare sarebbero elementi
prefissati dall'art. 459, comma 1-bis, cod. proc. pen.
La natura discriminatoria e l'irragionevolezza della norma
censurata non sarebbero d'altra parte superate dalla circostanza che
la pena possa essere commisurata all'interno della forbice edittale
(75-225 euro) prevista dall'art. 459, comma 1-bis, cod. proc. pen.,
ne' dalla possibilita' per il giudice di applicare le circostanze
attenuanti generiche. Tali profili, propri sia del rito speciale per
decreto, sia del rito ordinario, non scalfirebbero infatti il quadro
di «totale eterogeneita'» dell'esito sanzionatorio conseguibile
rispettivamente nell'ambito di ciascun procedimento.
3.5.- Entrambe le ordinanze di rimessione dubitano, infine, della
conformita' della disposizione censurata all'art. 27 Cost.,
affermando come non possa ritenersi compatibile con il fine
rieducativo della pena «la irrogazione di una pena pari anche a meno
di 1/20 di quella irroganda all'esito di giudizio ordinario».
4.- Con distinti atti di identico tenore, il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura
generale dello Stato, e' intervenuto in entrambi i giudizi, chiedendo
che questa Corte dichiari l'infondatezza delle questioni di
legittimita' costituzionale sollevate.
L'interveniente evidenzia come il giudice a quo fondi
l'ipotizzata contrarieta' dell'art. 459, comma 1-bis, cod. proc. pen.
all'art. 3 Cost. sulla comparazione tra due istituti assolutamente
eterogenei, quali sono il procedimento per decreto da un lato, e la
sostituzione delle pene detentive brevi, disciplinata dall'art. 53
della legge n. 689 del 1981, dall'altro. Il primo istituto avrebbe,
infatti, carattere processuale, laddove il secondo rivestirebbe
natura eminentemente sostanziale, non potendo, quindi, fungere da
tertium comparationis rispetto alla norma censurata.
Il procedimento per decreto, inoltre, non avrebbe natura di rito
premiale in senso stretto, a differenza del giudizio abbreviato e del
patteggiamento, di talche' non sarebbe possibile operare una utile
comparazione tra istituti.
Sarebbe altresi' ingiustificato porre a confronto il risultato
sanzionatorio conseguibile all'esito del procedimento per decreto
rispetto a quello riconducibile al rito ordinario, avuto riguardo
alle finalita' acceleratorie e deflattive che connotano il primo
procedimento.
5.- In prossimita' della camera di consiglio, l'Avvocatura
generale dello Stato ha depositato, in relazione ai giudizi di cui al
r. o. n. 168 e n. 184 del 2018, memorie illustrative di identico
tenore, nelle quali ha insistito per la declaratoria di infondatezza
delle questioni di legittimita' costituzionale sollevate dal GIP del
Tribunale ordinario di Macerata.
L'Avvocatura generale dello Stato ha ribadito l'assoluta
eterogeneita' tra il meccanismo di conversione della pena detentiva
in pena pecuniaria previsto dal comma 1-bis dell'art. 459 cod. proc.
pen. e quello di sostituzione delle pene detentive brevi disciplinato
dall'art. 53 della legge n. 689 del 1981. Il primo si inserirebbe in
un rito processuale - il procedimento per decreto - a finalita'
acceleratoria e deflattiva del contenzioso penale; il secondo
rivestirebbe natura sostanziale, opererebbe solo all'esito del
giudizio ordinario, e avrebbe finalita' di decongestionamento del
sovraffollamento carcerario. La differente natura dei due istituti
impedirebbe di ravvisare una lesione all'art. 3 Cost., in ragione
della differenziazione del criterio di ragguaglio tra pena detentiva
e pena pecuniaria. Del resto, la previsione di una disciplina piu'
vantaggiosa per l'imputato, riservata al procedimento per decreto, in
un'ottica di favore per detto rito alternativo, rientrerebbe nelle
scelte discrezionali del legislatore, come affermato anche dalla
recente giurisprudenza di legittimita' (sono richiamate le sentenze
della Corte di cassazione, sezione quarta penale, 19 ottobre-30
ottobre 2018, n. 49602 e sezione terza penale, 9 novembre-11 dicembre
2018, n. 55359).
Considerato in diritto
1.- Con ordinanza del 12 febbraio 2018, iscritta al n. 88 del
registro ordinanze 2018, il Giudice per le indagini preliminari del
Tribunale ordinario di Termini Imerese ha sollevato - in riferimento
agli artt. 3, 27 e 11 [recte: 111] della Costituzione - questioni di
legittimita' costituzionale dell'art. 459, comma 1-bis, del codice di
procedura penale, introdotto dall'art. 1, comma 53, della legge 23
giugno 2017, n. 103 (Modifiche al codice penale, al codice di
procedura penale e all'ordinamento penitenziario), nella parte in cui
prevede che il giudice, nel determinare l'ammontare della pena
pecuniaria da irrogare in sostituzione di una pena detentiva, debba
tener conto della condizione economica complessiva dell'imputato e
del suo nucleo familiare, e che il valore giornaliero di ragguaglio
sia non inferiore ad euro 75 e non superiore a tre volte detto
ammontare per ogni giorno di pena detentiva.
2.- Con due ordinanze del 20 settembre 2017, iscritte al n. 168 e
al n. 184 del registro ordinanze 2018, il GIP del Tribunale ordinario
di Macerata ha censurato la medesima disposizione, in parte qua, in
riferimento agli artt. 3 e 27 Cost.
3.- Stante la larghissima sovrapponibilita' delle questioni
prospettate, deve preliminarmente essere disposta la riunione dei
giudizi.
4.- In relazione all'ordinanza di cui al r. o. n. 88 del 2018,
l'Avvocatura generale dello Stato ha eccepito l'inammissibilita'
delle questioni per insufficiente ed erronea motivazione in ordine
alla rilevanza. In particolare, il rimettente non si troverebbe
nell'alternativa obbligata tra accogliere la richiesta di pena del
pubblico ministero, oppure restituire a quest'ultimo gli atti perche'
proceda con diverso rito, essendo prospettabili anche altri esiti del
procedimento per decreto penale (proscioglimento dell'imputato ai
sensi dell'art. 129 cod. proc. pen., valutazione di inammissibilita'
del rito o di incongruita' della pena), rispetto ai quali il giudice
a quo non avrebbe argomentato la rilevanza delle questioni. La
carente descrizione del caso concreto impedirebbe poi di comprendere
perche', nel caso di specie, la pena da irrogare risulti incongrua.
L'eccezione e' infondata.
Il rimettente espone anzitutto che dalla decisione sulle
questioni di costituzionalita' proposte dipende la possibilita' di
«definire il procedimento mediante l'emissione di decreto penale di
condanna come richiesto dal pubblico ministero, ovvero l'obbligo di
rigettare la richiesta rimettendo gli atti al pubblico ministero
affinche' proceda con altro rito».
E' evidente che la prospettazione di tale alternativa sottenda la
ritenuta impossibilita', per il giudice a quo, di addivenire al
proscioglimento dell'imputato ex art. 129 cod. proc. pen., o di
restituire gli atti al pubblico ministero per difetto dei presupposti
di ammissibilita' del rito, nonche' una valutazione almeno implicita
di congruita' della pena detentiva richiesta dal pubblico ministero,
appuntandosi poi le censure del rimettente sulla asserita
illegittimita' costituzionale del tasso di conversione della pena
detentiva medesima introdotto dalla disposizione censurata.
D'altra parte, l'illustrazione della vicenda processuale del
giudizio a quo risulta sufficiente a consentire la verifica della
rilevanza delle questioni sollevate. Pur descrivendo il capo
d'imputazione attraverso il mero richiamo alla disposizione dell'art.
116, commi 15 e 17, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285
(Nuovo codice della strada), il giudice a quo puntualmente da' conto
dell'ammontare della pena detentiva e della pena pecuniaria
determinate dal pubblico ministero e del tasso di conversione della
pena detentiva utilizzato dalla pubblica accusa (75 euro per ciascuna
giornata di pena detentiva). Cio' consente a questa Corte di valutare
il grado di divergenza del trattamento sanzionatorio risultante
dall'applicazione del comma 1-bis dell'art. 459 cod. proc. pen.,
rispetto a quello derivante in base all'ordinario parametro di
ragguaglio previsto dall'art. 135 del codice penale. Ed e' proprio
tale verifica che il rimettente intende sollecitare, censurando non
tanto l'incongruita' in assoluto della pena da irrogare, quanto
l'irragionevole mitezza di tale trattamento sanzionatorio, rispetto a
quello applicabile nell'ambito del rito ordinario o degli altri riti
speciali.
5.- Non inficia l'ammissibilita' delle questioni sollevate la
circostanza che le ordinanze di rimessione, nel censurare
l'applicabilita' al procedimento per decreto di un trattamento
sanzionatorio piu' mite (conversione della pena detentiva in pena
pecuniaria secondo il tasso giornaliero di 75-225 euro) rispetto a
quello conseguibile nell'ambito del rito ordinario e degli altri riti
speciali (ove viene applicato il tasso di conversione "fisso" di euro
250 pro die), in effetti sollecitino una pronuncia ripristinatoria di
un regime sanzionatorio di maggior rigore per l'imputato.
Come recentemente rammentato da questa Corte (sentenze n. 37 del
2019, n. 236 e n. 143 del 2018), l'inammissibilita' di questioni di
legittimita' costituzionale con potenziali effetti in malam partem -
perche' miranti a conseguire il ripristino nell'ordinamento di norme
incriminatrici abrogate (ex plurimis, sentenze n. 330 del 1996 e n.
71 del 1983; ordinanze n. 413 del 2008, n. 175 del 2001 e n. 355 del
1997), la creazione di nuove norme penali o l'estensione del loro
ambito applicativo a casi non previsti (o non piu' previsti) dal
legislatore (ex multis, sentenze n. 161 del 2004 e n. 49 del 2002;
ordinanze n. 65 del 2008 e n. 164 del 2007), o, ancora,
l'aggravamento delle conseguenze sanzionatorie o della complessiva
disciplina del reato (ex multis, ordinanze n. 285 del 2012, n. 204
del 2009, n. 66 e n. 5 del 2009) - non puo' essere considerata come
principio assoluto.
In particolare, il sindacato di questa Corte e' stato ammesso
laddove il legislatore introduca norme penali di favore, che
sottraggano irragionevolmente un determinato sottoinsieme di condotte
alla regola della generale rilevanza penale di una piu' ampia classe
di condotte, stabilita da una disposizione incriminatrice vigente,
ovvero prevedano per detto sottoinsieme - altrettanto
irragionevolmente - un trattamento sanzionatorio piu' favorevole
(sentenza n. 394 del 2006). In tal caso, «l'effetto in malam partem
non discende dall'introduzione di nuove norme o dalla manipolazione
di norme esistenti da parte della Corte, la quale si limita a
rimuovere la disposizione giudicata lesiva dei parametri
costituzionali; esso rappresenta, invece, una conseguenza
dell'automatica riespansione della norma generale o comune, dettata
dallo stesso legislatore, al caso gia' oggetto di una
incostituzionale disciplina derogatoria» (sentenza n. 394 del 2006).
Poiche' il comma 1-bis dell'art. 459 cod. proc. pen., in questa
sede censurato, ha introdotto un piu' favorevole trattamento
sanzionatorio per i soli imputati giudicati mediante procedimento per
decreto, di talche' l'effetto in malam partem di un'eventuale
pronuncia di accoglimento delle questioni sollevate conseguirebbe
all'automatica riespansione del regime generale di ragguaglio tra
pena detentiva e pena pecuniaria, previsto dall'art. 135 cod. pen.,
non sussistono ostacoli a un esame nel merito delle questioni in
questa sede sollevate.
6.- Nel merito, le questioni non sono tuttavia fondate.
6.1.- Le ordinanze di rimessione prospettano una possibile
lesione dell'art. 3 Cost., in relazione all'asserita irragionevole
disparita' di trattamento tra gli imputati giudicati con il
procedimento per decreto penale, beneficiari del tasso di conversione
della pena detentiva in pena pecuniaria previsto dalla disposizione
censurata, e gli imputati giudicati con il procedimento ordinario o
con gli altri riti speciali, soggetti al tasso di conversione
risultante dall'art. 135 cod. pen. (ovvero, ricorrendone i
presupposti, dal combinato disposto di quest'ultima norma e dell'art.
53 della legge 24 novembre 1981, n. 689, recante «Modifiche al
sistema penale»).
In proposito, si deve anzitutto rammentare che, secondo il
costante orientamento di questa Corte, il legislatore gode di ampia
discrezionalita', in materia di determinazione dei trattamenti
sanzionatori (ex plurimis, sentenze n. 40 del 2019, n. 222 del 2018 e
n. 236 del 2016) cosi' come di disciplina degli istituti
processualpenalistici (ex multis, sentenza n. 236 del 2018), con il
solo limite della manifesta irragionevolezza o arbitrarieta' delle
opzioni prescelte.
Un tale vizio non puo' ravvisarsi nella disposizione censurata.
Come emerge dai lavori preparatori della legge n. 103 del 2017,
il cui art. 1, comma 53, ha introdotto il comma 1-bis dell'art. 459
cod. proc. pen., la riduzione - per effetto dell'introduzione di un
criterio di ragguaglio piu' favorevole tra pena detentiva e pena
pecuniaria - dell'importo delle sanzioni irrogabili nel procedimento
per decreto penale e' stata concepita dal legislatore nell'ottica di
incentivare il ricorso al rito speciale.
In effetti, l'innalzamento del tasso di conversione tra pena
detentiva e pena pecuniaria - da 38 euro a 250 euro al giorno - ad
opera della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di
sicurezza pubblica) aveva determinato un disincentivo al ricorso, da
parte della pubblica accusa, al procedimento per decreto penale di
condanna in conseguenza dell'aumento esponenziale delle opposizioni
ai decreti emessi, a loro volta legato all'eccessivo ammontare delle
sanzioni pecuniarie irrogate sulla base di tale nuovo tasso di
conversione. Numerose erano state, pertanto, le richieste di un
intervento del legislatore, al fine di incentivare nuovamente il
ricorso al rito in parola e alle conseguenti definizioni anticipate
dei procedimenti penali, essenzialmente in chiave deflattiva del
contenzioso penale.
Il nuovo comma 1-bis dell'art. 459 cod. proc. pen. in questa sede
censurato - che consente di determinare entro una forbice piuttosto
ampia (da 75 a 225 euro) il tasso di conversione giornaliero della
pena detentiva in sede di decreto penale di condanna - costituisce
per l'appunto la risposta del legislatore alle esigenze emerse nella
prassi, calibrate sulle specificita' del procedimento per decreto: un
procedimento che scommette sulla possibilita' che l'imputato accetti
la pena irrogatagli al di fuori del contraddittorio, con conseguente
prezioso risparmio di energie per la giurisdizione penale, in cambio
- in genere - di un consistente sconto rispetto allo stesso minimo
edittale della pena e - in ogni caso - a fronte della rinuncia alla
pena detentiva da parte della pubblica accusa.
Tali considerazioni consentono pianamente di escludere la
manifesta irragionevolezza della disciplina censurata, anche in
rapporto alle diverse discipline dettate per la conversione delle
pene detentive nell'ambito del rito ordinario o di altri riti
speciali.
6.2.- All'evidenza e' privo di fondamento l'ulteriore dubbio di
conformita' della disciplina censurata all'art. 3 Cost., sollevato
dall'ordinanza di cui al r. o. n. 88 del 2018 sul presupposto che il
comma 1-bis dell'art. 459 cod. proc. pen., nell'imporre al giudice di
determinare la pena pecuniaria da irrogare in sostituzione della pena
detentiva tenendo conto della condizione economica complessiva
dell'imputato e del suo nucleo familiare, determinerebbe una
irragionevole disparita' di trattamento «fra i soggetti meno abbienti
(giudicati piu' favorevolmente) ed i soggetti piu' abbienti
(giudicati meno favorevolmente)».
Come correttamente sottolineato dall'Avvocatura generale dello
Stato, la graduazione della sanzione pecuniaria a seconda delle
condizioni economiche dell'imputato e del suo nucleo familiare, lungi
dal risultare lesiva dell'art. 3 Cost., ne realizza precipuamente il
fine di evitare un'impropria parificazione di situazioni e condizioni
tra loro diverse. La considerazione delle condizioni economiche del
reo nella determinazione della pena pecuniaria costituisce, a ben
guardare, un naturale riflesso dello stesso principio costituzionale
di eguaglianza, dal momento che l'impatto "esistenziale" di sanzioni
pecuniarie di identico importo puo' essere in concreto assai diverso,
secondo le differenti condizioni dell'autore; di talche' proprio tali
differenti condizioni economiche giustificano la commisurazione di
sanzioni di diversa entita', pur a fronte di illeciti di pari
gravita'.
6.3. - Nemmeno risultano fondate le questioni sollevate dalle tre
ordinanze di rimessione in relazione all'art. 27 Cost.
Non coglie nel segno, anzitutto, la censura mossa dall'ordinanza
di cui al r. o. n. 88 del 2018, secondo cui contrasterebbe con il
principio di personalita' della responsabilita' penale (art. 27,
primo comma, Cost.) la necessita' di considerare le condizioni
economiche non solo dell'imputato, ma anche del suo nucleo familiare
nella determinazione del tasso di conversione tra pene all'interno
della forbice tra 75 e 225 euro. La prescrizione in parola risulta,
infatti, funzionale a garantire proprio un maggior grado di
individualizzazione della pena - principio, quest'ultimo, sotteso
allo stesso imperativo costituzionale della "personalita'" della
responsabilita' penale (sentenza n. 222 del 2018) -, essendo
evidente, ad esempio, come l'impatto della sanzione pecuniaria sia
diverso a seconda della sussistenza o meno di oneri di mantenimento
di altri componenti del nucleo familiare privi di proprie risorse.
Tale esigenza di individualizzazione della pena sottesa alla
disposizione censurata e', del resto, ulteriormente valorizzata dalla
recente giurisprudenza di legittimita', secondo la quale il giudice
e' bensi' vincolato alla misura della pena detentiva richiesta dal
pubblico ministero, ma puo' discostarsi da tale richiesta quanto al
tasso giornaliero utilizzato per la sua conversione in pena
pecuniaria, ovviamente all'interno della forbice tra 75 e 225 euro
individuata dal legislatore (Corte di cassazione, sezione terza
penale, sentenza 29 marzo-21 maggio 2018, n. 22458; sezione sesta
penale, sentenza 27 giugno-25 settembre 2018, n. 41596; sezione terza
penale, sentenza 11 dicembre 2018-20 marzo 2019, n. 12272).
Ne' puo' essere accolta la censura prospettata dalle ordinanze di
cui al r. o. n. 168 e n. 184 del 2018, secondo cui l'eccessiva
tenuita' del trattamento sanzionatorio risultante dall'applicazione
del criterio di ragguaglio tra pena detentiva e pena pecuniaria
introdotto dall'art. 459, comma 1-bis, cod. proc. pen.
pregiudicherebbe la finalita' rieducativa della pena, prescritta
dall'art. 27, terzo comma, Cost. Tale finalita' risulta infatti
costantemente evocata, nella giurisprudenza costituzionale, in
relazione alla necessita' che la pena non sia sproporzionata per
eccesso rispetto alla gravita' del fatto di reato (ex multis,
sentenze n. 40 del 2019, n. 233 e n. 222 del 2018), e non certo a
sostegno di pronunce il cui effetto sia quello di inasprire il
trattamento sanzionatorio previsto discrezionalmente dal legislatore.
6.4.- Infondato e', infine, il dubbio di costituzionalita' della
disciplina censurata sollevato, con riferimento all'art. 111 Cost.,
dall'ordinanza di cui al r. o. n. 88 del 2018.
A parere del rimettente, l'obbligo di considerare le condizioni
economiche dell'imputato e del suo nucleo familiare ai fini della
determinazione del tasso giornaliero di conversione comporterebbe per
il giudice la necessita' di compiere accertamenti incompatibili con
la speditezza del procedimento per decreto penale, con conseguente
lesione del canone della ragionevole durata del processo, di cui
all'art. 111, secondo comma, Cost.
In relazione a tale principio, la giurisprudenza costituzionale
ha, tuttavia, ripetutamente affermato che - «alla luce dello stesso
richiamo al connotato di "ragionevolezza", che compare nella formula
costituzionale - possono arrecare un vulnus a quel principio
solamente le norme "che comportino una dilatazione dei tempi del
processo non sorrette da alcuna logica esigenza" (ex plurimis,
sentenze n. 23 del 2015, n. 63 e n. 56 del 2009, n. 148 del 2005)»
(sentenza n. 12 del 2016; nello stesso senso, sentenza n. 91 del
2018).
Non e' questo, all'evidenza, il caso della disposizione
censurata. Il - contenuto - dispendio di attivita' istruttorie
supplementari da parte del pubblico ministero relativamente alle
condizioni economiche dell'imputato e del suo nucleo familiare (su
cui si vedano Cass., n. 22458 e n. 41596 del 2018) risulta qui
congruamente giustificato dall'evidente beneficio in termini di
"personalizzazione" della risposta sanzionatoria assicurato dalla
disposizione in esame: cio' che appare altresi' funzionale a ridurre
il rischio di opposizioni imperniate soltanto sull'incongruita' della
pena inflitta in relazione alle condizioni economiche del reo e del
suo nucleo familiare.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara non fondate le questioni di legittimita' costituzionale
dell'art. 459, comma 1-bis, del codice di procedura penale,
introdotto dall'art. 1, comma 53, della legge 23 giugno 2017, n. 103
(Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e
all'ordinamento penitenziario), sollevate, in riferimento agli artt.
3, 27 e 111 della Costituzione, dal Giudice per le indagini
preliminari del Tribunale ordinario di Termini Imerese e dal Giudice
per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Macerata con
le ordinanze indicate in epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, l'8 maggio 2019.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Francesco VIGANO', Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 21 giugno 2019.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA
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