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sabato 22 aprile 2023

Consiglio di Stato 2023-La Società -OMISSIS- - Casa di Cura Privata -OMISSIS-, titolare di una struttura sanitaria privata regolarmente autorizzata all'esercizio della relativa attività e accreditata presso la Regione Abruzzo per l'erogazione, in regime appunto di "accreditamento", di prestazioni di assistenza ospedaliera, ha impugnato dinanzi al T.A.R. per l'Abruzzo il decreto adottato dal Commissario ad acta per l'Attuazione del Piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario della Regione Abruzzo in data 29 marzo 2013, recante il n. -OMISSIS- e avente ad oggetto: "Linee negoziali per la regolamentazione dei rapporti in materia di prestazioni erogate dalla rete ospedaliera privata provvisoriamente accreditata per l'anno 2013".

 



Cons. Stato Sez. III, Sent., (ud. 04/04/2023) 19-04-2023, n. 3951

REGIONE

Sanità e igiene


Fatto - Diritto P.Q.M.


REPUBBLICA ITALIANA


IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


Il Consiglio di Stato


in sede giurisdizionale (Sezione Terza)


ha pronunciato la presente


SENTENZA


sul ricorso numero di registro generale 695 del 2022, proposto dalla Società -OMISSIS- - titolare della Casa di Cura -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Tommaso Marchese, Enzo Paolini e Francesco Rosi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;


contro


la Regione Abruzzo ed il Commissario ad acta per la Sanità della Regione Abruzzo, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici domiciliano in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;


nei confronti


delle Società -OMISSIS-, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, non costituite in giudizio;


per la riforma


della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo, Sezione Prima, n. -OMISSIS-, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;


Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Abruzzo e del Commissario ad acta per la Sanità della Regione Abruzzo;


Visti tutti gli atti della causa;


Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 aprile 2023 il Cons. Ezio Fedullo e uditi per le parti gli avvocati come da verbale;

Svolgimento del processo - Motivi della decisione


1. La Società -OMISSIS- - Casa di Cura Privata -OMISSIS-, titolare di una struttura sanitaria privata regolarmente autorizzata all'esercizio della relativa attività e accreditata presso la Regione Abruzzo per l'erogazione, in regime appunto di "accreditamento", di prestazioni di assistenza ospedaliera, ha impugnato dinanzi al T.A.R. per l'Abruzzo il decreto adottato dal Commissario ad acta per l'Attuazione del Piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario della Regione Abruzzo in data 29 marzo 2013, recante il n. -OMISSIS- e avente ad oggetto: "Linee negoziali per la regolamentazione dei rapporti in materia di prestazioni erogate dalla rete ospedaliera privata provvisoriamente accreditata per l'anno 2013".


2. Il T.A.R., con la sentenza n. 351 del 22 giugno 2021, ha respinto le plurime doglianze articolate dalla ricorrente, la quale propone appello al fine di ottenerne la riforma, in vista del consequenziale accoglimento del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado e dei relativi motivi aggiunti.


Si oppone invece al suo accoglimento il Commissario ad acta per la Sanità della Regione Abruzzo.


3. Con il primo motivo di ricorso, la società ricorrente, premesso che la determinazione del tetto complessivo di spesa per la remunerazione delle prestazioni erogate in regime di ricovero ospedaliero dalle strutture private accreditate per l'anno 2013 e la ripartizione della stessa tra i singoli erogatori erano state adottate dal Commissario in stretta continuità con il proprio precedente decreto n. -OMISSIS-, già autonomamente impugnato dinanzi al T.A.R., con il quale asseritamente era stata fatta illegittima applicazione delle disposizioni normative sulla c.d. "spending review" di cui al D.L. n. 95 del 2012, e che l'impugnato decreto n. -OMISSIS- stabiliva, quale criterio effettivo di determinazione del tetto di spesa complessivo per il 2013, che esso dovesse essere individuato riducendo dell'1% la "spesa consuntivata per l'anno 2011", per cui il dato di partenza prossimo era sempre quello della ridetta "spesa consuntivata per l'anno 2011", determinata nell'importo di € 126.493.530,03 e diminuita per il 2013 dell'1% (anziché dello 0,5% come per il 2012, secondo quanto previsto dal D.L. n. 95 del 2012), con la conseguente decurtazione dei tetti di spesa individuali nella percentuale fissa del 10,35%, deduceva la ricorrente che l'impugnato decreto n. -OMISSIS- rifletteva, "in via derivata", gli stessi vizi di illegittimità che inficiavano il decreto n. -OMISSIS-, così riproponendo le medesime censure formulate avverso quest'ultimo.


3.1. Il T.A.R., al fine di respingere il primo motivo di ricorso, ha richiamato quanto statuito dal Consiglio di Stato, con la sentenza n. -OMISSIS-, al fine di respingere definitivamente il ricorso proposto avverso il predetto decreto n. -OMISSIS-, riproducendo i seguenti passaggi motivazionali della sentenza richiamata:


"4.8. A queste ragioni, singolarmente intese ad esaminare e a confutare le specifiche motivazioni della sentenza impugnata, si deve qui aggiungere che comunque il primo motivo dell'originario ricorso era, altresì, infondato in quanto:


a) la tesi fondamentale sostenuta con il primo motivo da -OMISSIS-s.r.l., secondo cui il criterio più aderente al testo normativo e alla logica di sistema per la determinazione della spesa per il 2011 non potrebbe che individuarsi nella ricognizione del budget complessivo assegnato per tale annualità, che potrebbe essere eventualmente combinato, ai fini dell'applicazione concreta della riduzione sul 2012, con la ricognizione della maggiore o minore produttività della struttura rispetto al proprio budget, soprattutto in considerazione della minore operatività di talune strutture, a realizzare egualmente la misura contenitiva complessiva senza elidere i budget delle case di cura maggiormente produttive (p. 18 del ricorso di primo grado), non trova alcun fondamento nel testo normativo e introduce una indebito sistema "compensativo" che, pur ispirato ad un comprensibile - rispetto alla prospettiva dell'operatore privato - criterio di equità, è in contrasto con la lettera e la finalità della legge;


b) la compensazione della mobilità sanitaria interregionale, di cui all'art. 8-sexies, comma 8, e 12, comma 3, del D.Lgs. n. 502 del 1992, questione pure eccepita nel primo motivo dell'originario ricorso e riproposta dall'appellata nel proprio controricorso (pp. 3-5), è regolata da una disciplina specifica e complessa, che ha trovato una compiuta definizione, per quanto qui rileva, solo nelle modifiche apportate dall'art. 49, comma 2-bis, lett. b), del D.L. n. 69 del 2013, convertito, con modificazioni, nella L. n. 98 del 9 agosto 2013, e successivamente dall'art. 1, comm 574, lett. a) e lett. b) della L. n. 208 del 2015, a decorrere dal 1 gennaio 2016, per quanto concerne gli accordi raggiunti nel Patto per la salute di cui all'intesa del 10 luglio 2014, modifiche inapplicabili ratione temporis, per il loro carattere innovativo, al decreto commissariale qui gravato;


c) il decreto commissariale qui impugnato non ha alcuna finalità punitiva nei confronti delle due strutture - v. p. 9 della memoria difensiva depositata il 20 febbraio 2017 dall'appellata - e sono del tutto irrilevanti, ai fini del presente giudizio, le successive determinazioni commissariali adottate nel 2015, sulla base, peraltro, della nuova formulazione del citato art. 15, comma 14, dopo la novella del 2013.


4.9. Ne segue, anche per tali motivi, la reiezione del primo motivo dell'originario ricorso debba essere respinto, complessivamente, in quanto infondato.


5. Devono essere sinteticamente scrutinati i restanti motivi dell'originario ricorso, assorbiti dalla sentenza qui impugnata e riproposti dall'odierna appellata nel proprio controricorso depositato il 14 marzo 2014.


5.1. Essi vanno tutti respinti.


6. Quanto al secondo motivo dell'originario ricorso (pp. 5-10 del controricorso), anzitutto, l'appellante a torto invoca, a sostegno del criterio "compensativo" ispirato ad equità di cui si è appena detto esaminando il primo motivo, l'art. 8-quinquies, commi 1 e 2, del D.Lgs. n. 502 del 1992, facendo leva sulla diversa produttività delle case di cura regionali, perché tale produttività, per espressa volontà del legislatore, è ai fini che qui rilevano determinata principalmente, se non esclusivamente, dalla spesa consuntivata per il 2011 e cioè, come correttamente rileva l'Avvocatura Generale dello Stato nel proprio appello e nella memoria depositata il 12 marzo 2014, dall'aggregazione dei dati risultanti dai bilanci consuntivi 2011 delle A.S.L., comunicati formalmente ai competenti Ministeri dalle rispettive Regioni.


6.1. Ogni altro criterio, al di là delle eccezioni stesse previste dall'art. 15, comma 14, è praeter legem, se non contra legem, e non può trovare alcun appiglio normativo nella previsione dell'art. 8-quinquies, comma 1, lett. d) del D.Lgs. n. 502 del 1992, il quale, del resto, non riconosce alle strutture private alcun diritto alla remunerazione delle prestazioni extra budget e, men che mai, consente che i risultati raggiunti e il concorso al volume complessivo di attività, fornito da ciascuna struttura, possano derogare ai rigorosi limiti di contenimento della spesa sanitaria che, nel corso degli ultimi anni, la legislazione del settore persegue, non da ultimo con la misura di c.d. spending review qui in esame.


6.2. Il motivo va quindi disatteso.


7. Quanto al terzo motivo dell'originario ricorso (pp. 10-14 del controricorso), con il quale si deduce la violazione dell'apporto procedimentale da parte delle strutture, la censura ha carattere del tutto formalistico, perché non dà alcun conto di quali sarebbero stati gli elementi conoscitivi che la odierna appellata avrebbe potuto fornire, in sede procedimentale, a fronte di un meccanismo, come quel sin qui esaminato, di carattere rigido e predeterminato, improntato a criterî fissi e basato su dati oggettivi certi (la spesa consuntiva, nel 2011, appunto, risultati da bilanci certificati e controllati), e quindi di carattere essenzialmente vincolato da parte del legislatore e, non certamente, di carattere discrezionale, meccanismo correttamente applicato, come detto, dal Commissario nel decreto qui impugnato.


7.1. La dedotta violazione delle regole intese a garantire la partecipazione procedimentale, pertanto, è priva di fondamento al cospetto di un procedimento a carattere vincolato e rigidamente predeterminato dal legislatore per indeclinabili esigenze di contenimento finanziario della spesa sanitaria.


8. Quanto al quarto motivo dell'originario ricorso (pp. 14-17 del controricorso), che poneva delicate questioni di costituzionalità della normativa qui applicata in rapporto, soprattutto, alla presunta irretroattività della disciplina e alla sua irragionevolezza anche in termini di lesione dell'affidamento riposto dagli operatori su una programmazione economica già prestabilita e in corso, dette questioni sono state tutte respinte dalla già richiamata sentenza n. 203 del 2016 da parte della Corte costituzionale.


8.1. Il giudice delle leggi, per quanto qui rileva, ha osservato in particolare che l'art. 15, comma 14, si presta ad essere interpretato nel senso che esso incide sui contratti già stipulati, ma con decorrenza successiva alla sua entrata in vigore, "ovvero con esclusivo riguardo alle prestazioni sanitarie non ancora eseguite dai soggetti accreditati", producendo effetti ex nunc, anche se con riferimento ai contratti stipulati in precedenza e operanti nel 2012.


8.2. Le censure riguardanti l'affidamento, ha rilevato la Corte, sono prive di fondamento perché, secondo l'interpretazione costituzionalmente orientata che essa ha indicato, va escluso che la disposizione incida, con effetti retroattivi in senso proprio, sui crediti per prestazioni sanitarie già erogate al momento della sua entrata in vigore.


8.3. Infine, sul piano sistematico, la Corte ha osservato che l'intervento normativo in esame proporziona in maniera non irragionevole il peso imposto agli operatori privati al fine che il legislatore intende realizzare e, cioè, l'essenziale contenimento della spesa pubblica, "da valutare nello specifico contesto di necessità e urgenza indotto dalla grave crisi finanziaria che ha colpito il Paese dal 2011" (sent. n. 203 del 21 luglio 2016).


8.4. La misura di riduzione che i privati sono chiamati a sopportare non può essere ritenuta un onere individuale eccessivo, ha rilevato la Corte con notazione valida anche per il presente contenzioso riguardante le strutture sanitarie operanti in Abruzzo, sia per i tempi con i quali è stata imposta, sia perché, come visto, non va intesa come riferita alle prestazioni già legittimamente erogate, prima della sua entrata in vigore, oltre la previsione di spesa massima rideterminata ai sensi della disposizione in contestazione, sia ancora, e infine, "perché essa comporta riduzioni quantitative alquanto modeste e calibrate in considerazione delle aspettative di credito degli operatori sanitari, in una percentuale minore per il periodo più ravvicinato e un progressivo (pur sempre ridotto) aumento per i periodi successivi".


8.5. Le questioni sollevate dunque con il quarto motivo, alla luce del decisum della Corte, devono essere tutte respinte, in quanto già giudicate infondate, con ampia motivazione, dal giudice delle leggi.


9. In conclusione, per le ragioni esposte, l'appello proposto dal Commissario ad acta deve essere accolto, con conseguente riforma della sentenza impugnata e reiezione, in tutti i suoi molteplici articolati motivi, dell'originario ricorso proposto in primo grado da -OMISSIS-s.r.l.".


3.2. La sentenza appellata viene in parte qua censurata rilevando che il T.A.R. Abruzzo si è riportato a quanto dedotto dal Consiglio di Stato riguardo al taglio della remunerazione riferito al 2012, senza nulla aggiungere al riguardo, laddove le argomentazioni riferite al 2012 non potrebbero trovare automatica applicazione anche per il 2013, atteso che la riduzione ulteriore, come taglio per il 2013, avrebbe quanto meno dovuto essere supportata da una puntuale e trasparente ricostruzione del disavanzo della Regione Abruzzo, suddivisa tra le varie strutture sanitarie erogatrici di prestazioni di titolarità della medesima Regione.


Deduce altresì la parte appellante che la Regione Abruzzo è entrata in Piano di rientro per proprie ed esclusive responsabilità, avendo disposto una spesa senza controllo con ripiano dei disavanzi delle strutture sanitarie di titolarità pubblica, senza alcuna corrispondenza di maggiori cure erogate e quindi violando il contesto normativo che equipara le strutture pubbliche e quelle private erogatrici di prestazioni sanitarie.


Lamenta altresì la parte appellante che il T.A.R. Abruzzo ha giustificato l'abbattimento di budget alle strutture di titolarità privata senza considerare che il budget assegnato a queste ultime non solo è del tutto contenuto, rispetto alle risorse utilizzate dalle strutture sanitarie di titolarità pubblica, ma soprattutto risulta essere pienamente corrispondente rispetto alle prestazioni erogate secondo il tariffario regionale, lamentando che si sarebbe quindi trattato di operazione del tutto estranea a una qualsivoglia produzione di disavanzo.


Allega altresì la parte appellante che gli operatori di titolarità privata che operano in modo legittimo e corretto non avrebbero dovuto essere coinvolti in un ennesimo taglio di budget, salvo essere partecipi di una ricostruzione puntuale della gestione e dell'utilizzo del FSR: atto di trasparenza che non si è verificato, laddove in Abruzzo le strutture di titolarità pubblica hanno operato senza alcun controllo e così hanno assorbito le risorse delle strutture di titolarità privata.


3.3. Il motivo non può essere accolto.


Deve premettersi che le censure formulate in primo grado hanno esclusivamente ad oggetto gli asseriti vizi di illegittimità derivata da cui il decreto commissariale n. -OMISSIS- sarebbe stato affetto in conseguenza di quelli inficianti il precedente decreto commissariale n. -OMISSIS-, la cui sussistenza il Consiglio di Stato, con la richiamata sentenza n. -OMISSIS-, ha appunto escluso: ne consegue che il T.A.R. ha esaustivamente assolto al suo compito decisorio e motivazionale mediante la riproduzione, nel corpo della sentenza appellata, dei motivi posti dal giudice di appello a fondamento della richiamata decisione.


Deve altresì osservarsi che, mediante il motivo di appello in esame, la parte appellante assume la non trasferibilità delle argomentazioni poste dal T.A.R. a fondamento della suddetta statuizione reiettiva - testualmente mutuati, come si è detto, dalla sentenza di appello n. -OMISSIS- - adducendo che il Commissario ad acta avrebbe dovuto procedere ad una puntuale e trasparente ricostruzione del disavanzo della Regione Abruzzo, suddivisa tra le varie strutture sanitarie erogatrici di prestazioni di titolarità della medesima Regione, avendo questa impiegato le sue risorse, destinate istituzionalmente ad assicurare l'attuazione dei cd. LEA, ai fini della copertura dei disavanzi delle strutture sanitarie di titolarità pubblica, in contrasto con il principio normativo di equiparazione di queste a quelle private accreditate ai fini della erogazione delle prestazioni sanitarie, non avendo queste ultime concorso alla determinazione del disavanzo che ha condotto la Regione Abruzzo ad entrare nel regime del Piano di rientro.


Ebbene, trattasi di deduzioni - intese, nella loro essenza, a porre in evidenza che le strutture sanitarie private, pur non avendo concorso, a differenza di quelle pubbliche, alla determinazione del disavanzo, vengono colpite dalle misure restrittive, e quindi al taglio del budget loro assegnato, resesi necessarie al fine di ripristinare l'equilibrio finanziario regionale - del tutto avulse dal corrispondente motivo del ricorso introduttivo, con la conseguenza che il loro rituale ingresso nel giudizio di appello si infrange contro il divieto di "nova" che informa la perimetrazione della relativa res iudicanda.


Ciò si coglie con maggiore evidenziando che, mentre il ricorso introduttivo, nel contestare le modalità applicative (oltre che, in via subordinata, la stessa legittimità costituzionale) delle disposizioni in materia di cd. spending review di cui al D.L. n. 95 del 2012, era incentrato, tra l'altro, sulla deduzione secondo cui il Commissario ad acta, ai fini della determinazione del montante della spesa relativa all'anno 2011, non aveva considerato la maggiore o minore produttività delle strutture rispetto al proprio budget, il motivo di appello in esame si fonda sulla pretesa disparità di trattamento tra strutture pubbliche e private, che come si è detto era del tutto estranea al contenuto del gravame originario.


4. Nel prosieguo della sentenza appellata, il T.A.R. si è soffermato sulla censura intesa a lamentare che il metodo di determinazione della spesa risentirebbe in primo luogo del vizio di fondo costituito dall'aver indebitamente cristallizzato e parificato l'attività delle Case di Cura, ancorandola sostanzialmente alla spesa "storica" prevista per il 2008, nonostante le anomalie che avrebbero caratterizzato tale esercizio e, in secondo luogo, il difetto di istruttoria che trasparirebbe dal decreto in questione, laddove si limita a riportare dati contabili tralatizi, senza effettuare alcuna verifica sulla capacità produttiva e sulla concreta produzione delle singole strutture.


4.1. Il T.A.R., ai fini reiettivi di tale censura, ha ribadito quanto già affermato in sede di esame del primo motivo di ricorso, ovvero che la tesi secondo cui il criterio più aderente al testo normativo e alla logica di sistema per la determinazione della spesa non potrebbe che individuarsi nella ricognizione del budget complessivo assegnato per l'annualità corrente, che potrebbe essere eventualmente combinato, ai fini dell'applicazione concreta della riduzione sul 2013, con la ricognizione della maggiore o minore produttività della struttura rispetto al proprio budget, soprattutto in considerazione della minore operatività di talune strutture, non trova alcun fondamento nel testo normativo e introduce un indebito sistema "compensativo" che, pur ispirato ad un comprensibile - rispetto alla prospettiva dell'operatore privato - criterio di equità, è in contrasto con la lettera e la finalità della legge.


Ha altresì rilevato il T.A.R. che tale produttività, per espressa volontà del legislatore, è ai fini che qui rilevano determinata principalmente, se non esclusivamente, dalla spesa consuntivata presa come riferimento e cioè dall'aggregazione dei dati risultanti dai bilanci consuntivi dell'anno di riferimento delle A.S.L., comunicati formalmente ai competenti Ministeri dalle rispettive Regioni.


4.2. Mediante il relativo motivo di appello, la parte appellante deduce che la sentenza appellata non ha verificato in modo puntuale la complessa questione del riparto del Fondo S. regionale, rispetto al quale la normativa impone che lo stesso deve essere, pena la nullità degli atti adottati, utilizzato unicamente per il pagamento delle prestazioni sanitarie erogate dalle strutture sanitarie di titolarità pubblica e di titolarità privata e non certamente per il ripiano di disavanzi.


Essa sottolinea inoltre che, a fronte di un finanziamento statale sempre in crescita, le strutture private accreditate al SSR, come la Casa di cura ricorrente, hanno subìto, proprio tra il 2011 ed il 2013, un drastico ed ingiustificato abbattimento del tetto di spesa anche mediante la riduzione indiscriminata dei posti letto.


Essa avanza quindi istanza istruttoria avente ad oggetto il deposito, da parte del Commissario ad acta ovvero della Regione Abruzzo, di tutti i contatti sottoscritti da tutte le strutture sanitarie di titolarità pubblica riferiti al 2013 nonché dei relativi bilanci preventivi e bilanci consuntivi.


Lamenta infine la parte appellante che il T.A.R. non ha motivato rispetto al riparto del budget in favore delle singole strutture sanitarie di titolarità privata, il quale avrebbe dovuto soddisfare le specifiche attività delle medesime, secondo parametri oggettivi di effettiva operatività e produzione delle stesse.


Essa richiama al riguardo gli atti di una indagine della Procura di Pescara che è sfociata in un giudizio penale, la quale evidenzia come vi sarebbe stata una influenza ingiustificata ed ingiustificabile sul riparto di detto importo, fino a giungere a riconoscere un budget più elevato a strutture che non hanno prodotto attività e sottrarlo ad altre, come appunto alla ricorrente, che ha erogato quelle prestazioni non prodotte da altri.


4.3. Nemmeno il suindicato motivo di appello è meritevole di accoglimento.


Quanto al tema relativo all'improprio impiego delle risorse assegnate dallo Stato ai fini della garanzia dei cd. LEA da parte della Regione Abruzzo ed asseritamente distolte ai fini della copertura dei disavanzi imputabili alle strutture pubbliche - cui si correla la suindicata istanza istruttoria della parte appellante - deve ribadirsi che esso esula dal contenuto del corrispondente motivo del ricorso introduttivo del giudizio, onde si giustifica che il T.A.R. non abbia formulato espresse valutazioni sul punto.


Quanto alle doglianze articolate in primo grado, deve osservarsi che le stesse avevano essenzialmente ad oggetto l'indebita cristallizzazione e parificazione dell'attività delle Case di Cura, ancorandola sostanzialmente alla spesa "storica" prevista per il 2008, senza valorizzare la maggiore capacità produttiva - e quindi l'efficienza - di alcune strutture che, come la ricorrente, avevano con maggiore impegno soddisfatto la domanda di prestazioni sanitarie: sì che la conferma in parte qua della sentenza appellata discende dalla statuizione poc'anzi adottata in relazione al precedente motivo di appello, avendo anche a tale proposito il T.A.R., ai fini reiettivi, ribadito, sulla scorta della summenzionata decisione del giudice di appello, che "la tesi secondo cui il criterio più aderente al testo normativo e alla logica di sistema per la determinazione della spesa non potrebbe che individuarsi nella ricognizione del budget complessivo assegnato per l'annualità corrente, che potrebbe essere eventualmente combinato, ai fini dell'applicazione concreta della riduzione sul 2013, con la ricognizione della maggiore o minore produttività della struttura rispetto al proprio budget, soprattutto in considerazione della minore operatività di talune strutture, a realizzare egualmente la misura contenitiva complessiva senza elidere i budget delle case di cura maggiormente produttive, non trova alcun fondamento nel testo normativo e introduce un indebito sistema "compensativo" che, pur ispirato ad un comprensibile - rispetto alla prospettiva dell'operatore privato - criterio di equità, è in contrasto con la lettera e la finalità della legge".


5. Il T.A.R. ha quindi esaminato il terzo motivo di ricorso, diretto a lamentare l'assegnazione, a ciascuna delle strutture accreditate, di un limite di spesa fisso ed indistinto, comprendente dunque sia le prestazioni rese in favore dei pazienti residenti nella Regione Abruzzo, sia quelle rese in favore dei pazienti extraregionali, e che siffatta determinazione era particolarmente afflittiva per le Case di Cura private accreditate, le quali vedevano per tal modo comporre i loro limiti di spesa anche in virtù di prestazioni che la Regione avrebbe portato in compensazione con le altre Regioni di provenienza dei relativi assistiti, ed il cui onere, in definitiva, sarebbe ricaduto su queste ultime.


Lamentava inoltre la ricorrente che, pur a fronte della riconosciuta possibilità da parte della giurisprudenza di stipulare in materia accordi "di confine" con le Regioni limitrofe, nonostante la mancata emanazione del decreto ministeriale preconizzato dall'articolo 8-sexies, comma 8, del D.Lgs. n. 502 del 1992, il Commissario ad acta non aveva adottato alcuna iniziativa in tal senso.


5.1. Il T.A.R. ha respinto la censura osservando che "con riferimento alle predette scelte deve riconoscersi, nel caso di specie, la natura di merito amministrativo riguardando, le stesse, l'opportunità di attribuire alle cliniche private un budget che non tenga conto delle prestazioni erogate a pazienti residenti in altre regioni e addirittura l'opportunità di stipulare accordi con le regioni limitrofe. In quanto tale, dunque, la scelta della Regione, non essendo imposta da norme giuridiche, non può essere sindacata in sede di giudizio di legittimità".


5.2. Con il relativo motivo di appello, la parte appellante lamenta in primo luogo il mancato esame da parte del T.A.R. di una parte del terzo motivo del ricorso introduttivo, riferito al fatto che il Commissario ad acta aveva riconosciuto a delle case di cura in difficoltà economica lo stesso budget, seppure la loro produzione a consuntivo fosse risultata del tutto inferiore.


5.3. Tale profilo del motivo di appello in esame, inteso essenzialmente a lamentare la parziale omissione di pronuncia da parte del T.A.R. sul ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, non può essere accolto, essendo il terzo motivo del ricorso introduttivo interamente incentrato sulla questione - espressamente esaminata dal T.A.R. - della inclusione nel tetto di spesa assegnato alla ricorrente delle prestazioni rese a favore dei pazienti extra-regionali.


5.4. Prosegue la parte appellante deducendo che, ai sensi dell'art. 8-quinquies, comma 1, lettera d) D.Lgs. n. 502 del 1992, le Regioni devono definire: "criteri per la determinazione della remunerazione delle strutture ove queste abbiano erogato volumi di prestazioni eccedenti il programma preventivo concordato, tenuto conto del volume complessivo di attività e del concorso allo stesso da parte di ciascuna struttura".


La disposizione, deduce la parte appellante, avrebbe imposto alla stessa Regione/Commissario ad acta, ai sensi del successivo comma 2, lett. d), di remunerare dette prestazioni, laddove prevede che: "il corrispettivo preventivato a fronte delle attività concordate, globalmente risultante dalla applicazione dei valori tariffari e della remunerazione extratariffaria delle funzioni incluse nell'accordo, da verificare a consuntivo sulla base dei risultati raggiunti e delle attività effettivamente svolte secondo le indicazioni regionali di cui al comma 1, lettera d)".


Essa allega che non è ammissibile, anche dinanzi alle previsioni del Piano di rientro, non pagare una prestazione sanitaria erogata da soggetto accreditato nell'ambito della operatività riconosciuta e questo sia per le aziende sanitaria di titolarità pubblica, sia per quelle di titolarità privata, tanto più se la prestazione è resa da un soggetto accreditato verso un paziente di altra Regione e la remunerazione di detta prestazione viene pagata da questa, per cui vi è la certezza che detta prestazione non andrà mai a gravare sul bilancio della Regione, e quindi sul suo Fondo S. regionale, cui appartiene la Struttura sanitaria che l'ha erogata.


Lamenta altresì la parte appellante che il T.A.R. non si è incaricato di verificare se, nel caso in cui la medesima prestazione ad un paziente di altra Regione fosse stata disposta da una struttura sanitaria di titolarità pubblica, quest'ultima ne avrebbe comunque ottenuto il pagamento secondo la tariffa.


Essa deduce inoltre che le suddette prestazioni, in ragione dei principi fissati dal richiamato art. 8-quinquies D.Lgs. n. 502 del 1992, avrebbero dovuto essere oggetto, a tutto voler concedere, di pagamento sulla base di una regressione tariffaria, non essendovi alcuna norma, riferita al Piano di rientro, che abbia imposto o consentito di non remunerare o rimborsare, al soggetto sanitario, sia di titolarità pubblica sia di titolarità privata, le cure erogate in favore di pazienti provenienti da fuori Regione, anche qualora detta prestazione sia da considerare fuori dal budget assegnato per le cure a pazienti della medesima Regione.


5.5. Il motivo non può essere accolto.


In primo luogo, il terzo motivo del ricorso introduttivo non fa alcuna menzione del tema - affrontato in altra parte del gravame e sul quale si è già detto supra - della asserita necessità di determinazione dei tetti di spesa tenendo conto della capacità produttiva delle strutture erogatrici: con la conseguenza che nessuna omissione di pronuncia può imputarsi sul punto alla sentenza appellata.


Allo stesso modo, esulano del tutto dal contenuto del corrispondente motivo del ricorso introduttivo del giudizio le questioni attinenti alla mancata applicazione da parte del Commissario ad acta dei criteri di cui all'art. 8-quinquies, commi 1, lett. d), e 2, lett. d), D.Lgs. n. 502 del 1992, così come quelle intese a paventare profili di disparità di trattamento, nella remunerazione delle prestazioni rese a favore dei pazienti extra-regionali, tra strutture pubbliche e private.


In ogni caso, quanto alla coerenza della previsione contestata con le stringenti regole applicabili alle Regioni sottoposte a Piano di rientro, non può non richiamarsi quanto recentemente statuito da questa Sezione, nel senso che "non appare irragionevole che la spesa per le prestazioni erogate a carico del SSR a residenti in altre Regioni sia stata inglobata nel tetto massimo di spesa annuo per motivi pratici di monitoraggio del rispetto complessivo del limite di spesa annuo definito dalla programmazione regionale". (…) Tra l'altro, come ha evidenziato il giudice di primo grado, tale clausola presenta un vantaggio contabile evidente per le Regioni, ed in particolare per quelle il cui SSR è stato commissariato, in quanto consente alle medesime di contenere la spesa annua per la remunerazione delle prestazioni erogate dalla casa di cura sulla base della periodica presentazione delle fatture, ove si consideri che il rimborso delle prestazioni ai non residenti viene disposto al termine di una procedura che richiede tempi certamente non brevi" (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 30 settembre 2022, n. 8408).


5.6. Deve solo aggiungersi che le censure della parte appellante, così come articolate in primo grado e trasposte in appello, si fondano sulla sovrapposizione tra il piano dei rapporti intercorrenti tra le strutture sanitarie e l'Amministrazione, al quale attengono le regole intese a disciplinare le modalità ed i limiti di erogazione delle prestazioni sanitarie da parte delle prime, e quello relativo ai rapporti tra Regioni, cui afferiscono i meccanismi di compensazione tra le situazioni di credito/debito aventi ad oggetto le prestazioni rese a favore dei residenti di Regioni diverse da quelle in cui ha sede la struttura erogatrice.


Invero, specialmente in una Regione sottoposta, come quella abruzzese, al rigoroso regime dettato dal Piano di rientro, l'eventuale recupero, in sede di compensazione inter-regionale, delle prestazioni rese a favore dei residenti di altre Regioni - tanto più ove si consideri, come dedotto dalla ricorrente in primo grado, la situazione di particolare esposizione della Regione suindicata alla mobilità passiva nei confronti della Regione Molise - ha quale destinazione primaria la riduzione del saldo negativo registrato nei rapporti con altre Regioni, al fine di attenuare la situazione di indebitamento complessivo che ha portato alla introduzione del regime commissariale: obiettivo che sarebbe frustrato laddove, come preteso dalla parte appellante, quanto (eventualmente) ottenuto in sede di compensazione venisse destinato alla remunerazione extra-budget delle prestazioni rese a favore dei pazienti extra-regionali dalle strutture operanti, come la ricorrente, nel territorio abruzzese.


5.7. Deve altresì osservarsi che la pretesa di remunerazione delle prestazioni eccedenti il budget prefissato, anche se rese a favore dei pazienti extra-regionali ed anche in una dimensione meramente regressiva, urta con il carattere cogente dei limiti di spesa, tanto più rilevanti nelle Regioni commissariate, in quanto strumentali all'efficiente esercizio della funzione di programmazione in campo sanitario.


5.8. Quanto infine alle disposizioni evocate nell'atto di appello, peraltro in via del tutto innovativa rispetto al contenuto del corrispondente (terzo) motivo del ricorso introduttivo del giudizio, deve solo osservarsi che le stesse hanno ad oggetto la disciplina del meccanismo di compensazione, senza poter fondare alcuna pretesa alla remunerazione delle prestazioni rese a favore di utenti residenti extra-Regione in capo alla struttura erogatrice.


5.9. Infine, non può non richiamarsi quanto statuito da questa Sezione sulla questione con la richiamata sentenza n. -OMISSIS-, nel senso che "la compensazione della mobilità sanitaria interregionale, di cui all'art. 8-sexies, comma 8, e 12, comma 3, del D.Lgs. n. 502 del 1992, questione pure eccepita nel primo motivo dell'originario ricorso e riproposta dall'appellata nel proprio controricorso (pp. 3-5), è regolata da una disciplina specifica e complessa, che ha trovato una compiuta definizione, per quanto qui rileva, solo nelle modifiche apportate dall'art. 49, comma 2-bis, lett. b), del D.L. n. 69 del 2013, convertito, con modificazioni, nella L. n. 98 del 9 agosto 2013, e successivamente dall'art. 1, comm 574, lett. a) e lett. b) della L. n. 208 del 2015, a decorrere dal 1 gennaio 2016, per quanto concerne gli accordi raggiunti nel Patto per la salute di cui all'intesa del 10 luglio 2014, modifiche inapplicabili ratione temporis, per il loro carattere innovativo, al decreto commissariale qui gravato".


6. L'appellante rivolge quindi le sue censure avverso la statuizione con la quale il T.A.R. ha respinto il motivo di ricorso inteso a censurare l'art. 11 dello schema di contratto approvato con il decreto commissariale impugnato, laddove riconduce i controlli di appropriatezza e congruità alle previsioni del decreto n. 64/2012, mediante il quale, a sua volta, il medesimo Commissario aveva stabilito, sia tra gli indicatori specifici derivanti dall'analisi dei flussi informativi, sia tra gli indicatori per l'effettuazione del controllo analitico della documentazione e dell'attività sanitaria, che il tasso di occupazione dei posti letto venisse utilizzato con riferimento alla "disciplina accreditata che, nelle UU. 00. non associate a funzioni di emergenza, non può superare il 100% pro die del numero dei posti letto per disciplina accreditata".


Deduceva al riguardo la ricorrente che la suindicata previsione contrasterebbe con il disposto della L.R. n. 6 del 2007, laddove, alla pagina 50 dell'Allegato "A", impone di "Rispettare il criterio della non interscambiabilità dei posti letto tra le AFO medica e chirurgica, consentendo il criterio della interscambiabilità nella medesima AFO nell'ambito delle discipline accreditate".


6.1. Ai fini reiettivi, il T.A.R. ha richiamato la sentenza del medesimo Tribunale n. 215/2021, riproducendone i pertinenti passaggi motivazionali, di seguito riportati:


"La tesi è smentita dall'interpretazione della L.R. n. 6 del 2007 accolta dal tribunale con sentenza n. 81/2018 resa nei confronti della ricorrente, confermata in appello dal Consiglio di Stato con sentenza n. 4284 del 21/06/2019, cui si rinvia ex art. 88 del codice del processo amministrativo, laddove afferma che il vincolo dell'esclusiva pertinenza specialistica indicato nell'Allegato A alla L.R. n. 6 del 2007 ( 5.4), quale requisito delle prestazioni a regime di ricovero, producibili sui posti letto accreditati "è incompatibile con il significato che la parte appellante intende conferire all'interscambio dei posti letto, quale facoltà rimessa alla discrezionalità dell'operatore privato. Al contrario, esso appare coerente con l'idea secondo la quale le prestazioni producibili sono pur sempre quelle rapportate al numero di posti letto accreditati e pertinenti alla disciplina specialistica alla quale il paziente trattato è assegnato; ferma restando la possibilità di modificare tale assetto, attraverso atti formali di revisione delle dotazioni iniziali, in grado di riallinearle alle sopravvenute esigenze del medio-lungo periodo .…. La rilevanza della interscambiabilità va difatti riconosciuta - alla luce delle vigenti disposizioni come innanzi richiamate - nei limiti dei periodici atti di revisione dell'assetto della pianificazione delle dotazioni assegnate; non può invece essere intesa come una frontiera mobile in grado di legittimare, di volta in volta, l'estemporanea messa a frutto dell'intera dotazione dei posti letto assegnati all'AFO, indipendentemente dal loro riparto tra singole discipline ricomprese nella medesima area funzionale ….. Ne consegue che risulta legittima la pretesa della Regione a che in ogni giornata di degenza il numero dei ricoverati corrisponda esattamente alla specifica disciplina di riferimento e non alla dotazione complessiva dell'Area funzionale. Non ricorre pertanto il dedotto contrasto del provvedimento gravato e gli atti ad esso presupposti (decreto commissariale n. 64/2012 e d.G.R. 611/2017) con la L.R. n. 6 del 2007, cui il contratto di servizio rinvia, i quali si sono conformati al criterio coerente con dalla L.R. n. 6 del 2007, secondo il quale il "tasso di occupazione dei posti letto tra le AFO con riferimento alla disciplina accreditata che, nelle UU.OO. non associate a funzioni di emergenza, non può superare il 100% pro die del numero dei posti letto per disciplina accreditata" (protocolli di valutazione per le verifiche di appropriatezza, legittimità e congruità delle prestazioni sanitarie erogate dalle strutture accreditate approvati con decreto commissariale n. 64/2012)".


6.2. La parte appellante censura in parte qua la sentenza appellata lamentando, da un lato, il carattere omissivo della relativa motivazione, in quanto non avrebbe preso in considerazione l'intero apparato argomentativo sul quale era costruito il relativo motivo di ricorso, laddove in particolare deduceva che la previsione commissariale impugnata non teneva conto del modello dipartimentale di organizzazione dei servizi ospedalieri, dall'altro lato, che la tesi sostenuta dal T.A.R. non potrebbe riguardare le prestazioni rese a favore dei pazienti extra-regionali, per i quali non si porrebbero le esigenze di programmazione regionale dalle quali questa Sezione, con la sentenza richiamata, ha fatto discendere le conclusioni alle quali il T.A.R. ha inteso allinearsi.


6.3. Il motivo non può essere accolto.


In primo luogo, dal modello dipartimentale, al quale secondo il legislatore deve essere indirizzata l'organizzazione delle strutture ospedaliere sia pubbliche che private, non è possibile desumere, con l'automaticità che vorrebbe la parte appellante, la modifica dei criteri di appropriatezza che sovrintendono all'erogazione ed alla remunerazione delle prestazioni rese dalle strutture accreditate, le quali devono rispondere agli autonomi criteri individuati dal legislatore.


Da questo punto di vista, non può sottacersi che, tra i principi espressamente destinati a regolare tale specifico profilo, viene in rilievo quello incentrato, secondo il 5.4 dell'allegato "A" della L.R. n. 6 del 2007, sul rispetto della "esclusiva pertinenza specialistica": come infatti evidenziato con la sentenza di questa Sezione richiamata dal T.A.R. (ma vedi anche, con specifico riferimento alla posizione dell'odierna appellante, quella coeva del 24 giugno 2019, n. 4314), "Ai superiori rilievi occorre aggiungere che, sempre seguendo l'impostazione proposta dalla parte appellante, risulterebbe immotivato il riferimento al limite della "esclusiva pertinenza specialistica" presente tra le condizioni elencate ai fini della "producibilità delle prestazioni a regime di ricovero" (a pag. 50 dell'Allegato A si legge infatti che "le prestazioni a regime di ricovero, producibili sui posti letto accreditati" dovranno rispettare, oltre ai criteri di appropriatezza e di interscambiabilità nella medesima AFO, anche il criterio della "esclusiva pertinenza specialistica"). Il vincolo della "pertinenza specialistica" è incompatibile con il significato che la parte appellante intende conferire all'interscambio dei posti letto, quale facoltà rimessa alla discrezionalità dell'operatore privato. Al contrario, esso appare coerente con l'idea secondo la quale le prestazioni producibili sono pur sempre quelle rapportate al numero di posti letto accreditati e pertinenti alla disciplina specialistica alla quale il paziente trattato è assegnato; ferma restando la possibilità di modificare tale assetto, attraverso atti formali di revisione delle dotazioni iniziali, in grado di riallinearle alle sopravvenute esigenze del medio-lungo periodo" (cfr. parr. 2.8 e 2.9).


In tale contesto, non può non rilevarsi che, con l'art. 13, comma 1, della recente L.R. Abruzzo 11 gennaio 2023, n. 5 (recante "Interpretazione autentica della L.R. n. 6 del 2007"), è stato previsto che "Al paragrafo 5.4 dell'Allegato alla L.R. 5 aprile 2007, n. 6(Linee guida per la redazione del piano sanitario 2007/2009 - Un sistema di garanzie per la salute - Piano di riordino della rete ospedaliera) il terzo punto "rispettare l'esclusiva pertinenza specialistica" è autenticamente interpretato nel senso che le prestazioni a carico del Servizio Sanitario possono essere erogate nei limiti delle discipline accreditate dalla programmazione regionale e pertanto i DRG prodotti devono essere afferenti alle discipline accreditate": tale previsione autenticamente interpretativa, infatti, rimarca che, al fine di imputare al SSR gli oneri relativi alle prestazioni rese dalle strutture accreditate, occorre rispettare il criterio di rigorosa corrispondenza tra i relativi DGR e le discipline accreditate nel rispetto della programmazione regionale, la quale appunto si fonda sulla ripartizione dei posti letto assegnati alle strutture accreditate articolata per singole specialità.


Quanto invece al secondo profilo della deduzione, inteso a creare un regime "separato" per le prestazioni rese a favore dei pazienti extra-regionali, è sufficiente evidenziare che lo stesso è estraneo al contenuto deduttivo del quarto motivo del ricorso introduttivo, con la conseguente preclusione al suo esame da parte del Collegio.


7. Viene adesso in rilievo il motivo di appello con il quale la parte appellante deduce l'erroneità della sentenza appellata nella parte in cui ha respinto il motivo di ricorso avente ad oggetto l'art. 20 delle linee negoziali approvate con il decreto impugnato, concernente la "clausola di salvaguardia".


Deduceva in particolare la ricorrente che se la sottoscrizione del contratto è obbligatoria per fruire delle opportunità economiche riconducibili all'accreditamento, tanto che la mancata stipula comporta, ai sensi dell'art. 8-quinquies, comma 2,-quinquies, D.Lgs. n. 502 del 1992, la sospensione dell'accreditamento medesimo, sarebbe innegabile che la necessaria salvaguardia della libertà negoziale della struttura accreditata non può essere annullata mediante meccanismi di consenso "obbligato".


7.1. Il T.A.R., al fine di respingere la censura, ha richiamato l'indirizzo da esso espresso in ordine alla "validità delle clausole di salvaguardia tese a paventare la sospensione dell'accreditamento predefinitivo per le strutture che rifiutano la stipula del contratto e la legittimità del loro collegamento con la sospensione dell'accreditamento prevista dall'art. 8-quinquies, comma 2-quinquies del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 s.m.i.".


Il giudice di primo grado ha anche richiamato l'ordinanza del Consiglio di Stato n. 906/2015, con la quale si è affermato che "si è in presenza di oggettivi vincoli e stati di necessità rigorosamente quantitativi conseguenti al Piano di rientro al cui rispetto la regione è tenuta ai sensi della normativa vigente confermata da una consolidata e univoca giurisprudenza della Corte costituzionale; gli operatori privati non possono ritenersi estranei a tali vincoli e stati di necessità, che derivano da flussi di spesa che hanno determinato in passato uno stato di disavanzo eccessivo nella regione e che riguardano l'essenziale interesse pubblico alla corretta e appropriata fornitura del primario servizio della salute alla popolazione della medesima Regione per la quale gli stessi operatori sono dichiaratamente impegnati; le autorità competenti operano in diretta attuazione delle esigenze cogenti del Piano di rientro e del Programma operativo per tutti gli aspetti quantitativi e pertanto i medesimi non sono sostanzialmente negoziabili dalle parti come ha riconosciuto l'amplissima e univoca giurisprudenza di questa Sezione sui tetti di spesa; in questo contesto la sottoscrizione della clausola di salvaguardia (art. 20 dello schema negoziale), è imposta dal Ministero dell'Economia e delle Finanze e dal Ministero della salute per esigenze di programmazione finanziaria, attraverso le prescrizioni elaborate all'esito della riunione del Tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti regionali tenutasi il 21.11.2013. Tale clausola di conseguenza equivale ad un impegno della parte privata contraente al rispetto ed accettazione dei vincoli di spesa essenziali in un regime come quello esistente in Abruzzo, sottoposto al Piano di rientro; d'altro canto, in caso di mancata sottoscrizione, l'autorità politico-amministrativa non avrebbe alcun interesse a contrarre a meno di non rendere incerti i tetti di spesa preventivati, né potrebbe essere obbligata in altro modo alla stipula…; pertanto si può escludere ad un primo esame la violazione del diritto costituzionale ad agire in giudizio a tutela dei propri diritti e interessi legittimi limitatamente agli aspetti quantitativi relativi alle concrete fattispecie in essere, dal momento che: a) la clausola è limitata a definire un conflitto già in essere o potenziale relativo a concrete e definite questioni; b) chi intende operare nell'ambito della sanità pubblica deve accettare i limiti in cui la stessa sanità pubblica è costretta, dovendo comunque e in primo luogo assicurare, pur in presenza di restrizioni finanziarie, beni costituzionali di superiore valore quale i livelli essenziali relativi al diritto di salute; c) in alternativa, agli operatori resta la scelta di agire come privati nel privato; in tali circostanze dominate dalla esistenza di un grave disavanzo e dalla necessità di corrispondere comunque a superiori diritti costituzionali facenti capo alla generalità della popolazione, la clausola di salvaguardia, in quanto sia limitata ai rapporti già in essere o che vengano contestualmente stipulati e ai loro aspetti quantitativi, possa equivalere ad una formula transattiva necessaria in presenza di fattori e vincoli di ordine costituzionale e finanziario che sovrastano la volontà delle parti".


Ha quindi osservato il T.A.R. che il Consiglio di Stato, riconducendo la clausola in questione a parte di un regolamento contrattuale, ne fa discendere la natura di "formula transattiva" ("in quanto sia limitata ai rapporti già in essere o che vengano contestualmente stipulati e ai loro aspetti quantitativi"), come tale rimessa all'autonomia negoziale delle parti (pubblica e privata) non affatto "costrette" ad accettarla, posto che l'alternativa, per le strutture private, sarebbe rimanere nel mercato libero.


Ha aggiunto il T.A.R. che "L'impugnazione della clausola suddetta è, dal punto di vista delle strutture ricorrenti, strumentale a veicolare in sede contenziosa pretese a una diversa regolamentazione del rapporto con l'Autorità amministrativa. Dette pretese possono o meno riguardare profili attinenti agli "aspetti quantitativi" del rapporto, che, secondo il Consiglio di Stato, restano gli unici "coperti" dalla clausola "transattiva" in questione. Il che imporrebbe comunque la disamina, nel merito, delle censure sollevate per valutarne la riconducibilità ad "aspetti quantitativi del rapporto" e, a cascata, la loro inammissibilità in ragione della eventuale sottoscrizione della prevista clausola negoziale. Ove, al contrario, la contestazione vertesse su questioni non "coperte" dalla clausola, la stessa sarebbe del tutto irrilevante ai fini del giudizio. Naturalmente, incombe sulla struttura la scelta se sottoscrivere il contratto (e la clausola) ovvero rifiutare la sottoscrizione accettando i rischi a tanto connessi, ivi compresa l'eventuale sospensione dell'accreditamento che tuttavia, come anche questo TAR ha già in passato evidenziato, non conseguirebbe automaticamente alla mera mancata stipula, ma alla sostanziale carenza di "giusti motivi" per rifiutare la stipula; e tali sarebbero certamente i motivi connessi alle scelte amministrative a monte del contratto. Sotto diverso profilo, la richiamata natura "strumentale" dell'impugnazione della clausola ne dequota la autonoma considerazione non avendo evidentemente la ricorrente alcun interesse a vedere annullata la (sola) clausola in caso di ritenuta infondatezza delle censure di merito proposte. Al contrario, ove le censure di merito, ex se ammissibili e/o fondate, trovassero positiva considerazione, proprio l'impugnazione "strumentale" della clausola ne consentirebbe l'azionabilità".


7.2. Obietta la parte appellante, da un lato, che il T.A.R. nulla ha argomentato riguardo a quanto da essa rilevato in ordine al fatto che il contratto è stato stipulato tra le parti solo il 9 ottobre 2013, a seguito dell'adozione del DCA n. -OMISSIS- (anche questo adottato solo nell'aprile 2013), ciò che ha determinato una grave incertezza operativa per la ricorrente, soprattutto in considerazione del fatto che il 2013 è il primo anno di applicazione della legge regionale sull'abbattimento dei posti letto e del DCA 64 del 2012, dall'altro lato, che la "clausola di salvaguardia" si configura come una clausola vessatoria finalizzata a sottrarre l'Amministrazione al controllo giurisdizionale in ordine alla legittimità dei proprio provvedimenti.


7.3. Il motivo non può essere accolto.


Quanto al primo profilo, vale osservare che non può imputarsi al T.A.R. l'omessa considerazione di circostanze che sono state allegate in prima volta in sede di appello, come quelle innanzi illustrate.


Quanto invece alla legittimità della "clausola di salvaguardia", basti osservare che, come chiarito anche recentemente da questa Sezione (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 2 novembre 2022, n. 9455), la giurisprudenza "ha riconosciuto la legittimità della c.d. clausola di salvaguardia (ovvero l'accettazione incondizionata, da parte degli operatori privati, dei tetti di spesa e la rinuncia ad eventuali impugnazioni dei relativi provvedimenti di determinazione) presente in numerosi schemi-tipo di contratto ex art. 8 quinquies, D.Lgs. n. 502 del 1992 predisposti da diverse Regioni soggette a Piano di rientro. Come chiarito nella sentenza della Sezione 1 febbraio 2017, n. 430, gli operatori privati - in quanto impegnati, insieme alle strutture pubbliche, a garantire l'essenziale interesse pubblico alla corretta ed appropriata fornitura del primario servizio della salute - non possono considerarsi estranei ai vincoli oggettivi e agli stati di necessità conseguenti al Piano di rientro, al cui rispetto la Regione è obbligata. La stessa Sezione, sebbene in sede cautelare (ord. 26 febbraio 2015, n. 906), aveva già chiarito che la sottoscrizione della clausola di salvaguardia nelle Regione soggette ai Piani di rientro dai disavanzi del settore sanità è imposta dal Ministero dell'economia e delle finanze e dal Ministero della salute per esigenze di programmazione finanziaria, attraverso le prescrizioni elaborate all'esito della riunione del Tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti regionali. Tale clausola di conseguenza equivale ad un impegno della parte privata contraente al rispetto ed accettazione dei vincoli di spesa essenziali in una Regione sottoposta al Piano di rientro (sez. III, ord., 27 gennaio 2017, n. 336). D'altro canto, in caso di mancata sottoscrizione, l'Autorità politico-amministrativa non avrebbe alcun interesse a contrarre a meno di non rendere incerti i tetti di spesa preventivati, né potrebbe essere obbligata in altro modo alla stipula, con l'effetto che la richiesta sospensione finirebbe per non giovare alla parte ricorrente in primo grado. Ha aggiunto la Sezione che chi intende operare nell'ambito della sanità pubblica deve accettare i limiti in cui la stessa è costretta, dovendo comunque e in primo luogo assicurare, pur in presenza di restrizioni finanziarie, beni costituzionali di superiore valore quale i livelli essenziali relativi al diritto alla salute. In alternativa, agli operatori resta la scelta di agire come privati nel privato. Corollario obbligato di tali premesse è che agli operatori privati si pone unicamente l'alternativa se accettare le condizioni derivanti da esigenze programmatorie e finanziarie pubbliche (e dunque il budget assegnato alla propria struttura) onde permanere nel campo della sanità pubblica; ovvero, se collocarsi esclusivamente nel mercato della sanità privata".


8. Il successivo motivo di appello ha ad oggetto la statuizione con la quale il T.A.R. ha respinto le censure aventi ad oggetto ulteriori clausole dello schema di contratto, ovvero gli articoli:


2 e 3 (Oggetto e Volume di prestazioni erogabili e previsione di spesa);


4 (Condizioni di erogabilità delle prestazioni);


5 (Criteri di ripartizione della spesa preventivata);


6 (Modalità di erogazione delle prestazioni);


9 (Personale della Struttura e requisiti di compatibilità);


11 (Controlli di appropriatezza e congruità);


(Controlli sul fatturato, liquidazione e pagamento);


15 (Cessione dei crediti).


8.1. Il T.A.R. ha respinto tali doglianze osservando:


- quanto all'art. 4, che la L.R. n. 62 del 1998 ha recepito il D.P.R. 14 gennaio 1997, n. 801, con il quale sono stati definiti i requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi minimi richiesti per l'esercizio delle attività sanitarie da parte delle strutture pubbliche e private ai fini dell'accreditamento, aggiungendo che tali requisiti, inoltre, sono contenuti nella L.R. n. 32 del 2007 espressamente richiamata dall'art. 4 dello schema di contratto;


- quanto all'art. 9, che la clausola contestata si limita a responsabilizzare la struttura obbligandola all'impiego di personale e figure professionali del ruolo sanitario, tecnico e amministrativo previste dalla normativa vigente in materia di autorizzazione e accreditamento;


- quanto alle altre clausole, che il medesimo T.A.R., con la sentenza n. 291/2021, ha affermato che: "Con la sentenza n.203 del 21 luglio 2016 la Corte costituzionale ha affermato che a fronte dell'elevato e crescente deficit della sanità e delle esigenze ineludibili di bilancio e di contenimento della spesa pubblica, le misure di riequilibrio dell'offerta sanitaria per esigenze di razionalizzazione della spesa pubblica costituiscono una "causa" normativa adeguata, che giustifica "una penalizzazione degli operatori privati". Già in passato la Corte costituzionale ha sottolineato l'importanza del collegamento tra responsabilità e spesa, evidenziando come l'autonomia dei vari soggetti ed organi operanti nel settore debba essere correlata alle disponibilità finanziarie e non possa prescindere dalla scarsità delle risorse e dalle esigenze di risanamento del bilancio nazionale (C.Cost 28.7.1995 n. 416). ln particolare, il Giudice delle leggi ha rilevato che "non è pensabile poter spendere senza limite avendo riguardo soltanto ai bisogni quale ne sia la gravità e l'urgenza; è viceversa la spesa a dover essere commisurata alle effettive disponibilità finanziarie, le quali condizionano la quantità ed il livello delle prestazioni sanitarie, da determinarsi previa valutazione delle priorità e delle compatibilità e tenuto ovviamente conto delle fondamentali esigenze connesse alla tutela del diritto alla salute" (C.Cost. 23.7.1992 n. 356; CdS AP decisione n.8/2006). La Corte ha altresì rimarcato che l'obiettivo della tutela del nucleo irriducibile del diritto alla salute non può essere disgiunto dal completo controllo della spesa programmata e suddivisa tra i diversi soggetti erogatori, grazie alla fissazione di volumi massimi delle prestazioni erogabili (Corte cost 2.4.2009 n. 94). Il limite della fissazione del tetto massimo di spesa sostenibile assume rilevanza anche nel regime dell'accreditamento introdotto dall'art. 8 comma 5 del D.Lgs. n. 502 del 1992 improntato alla logica della parificazione e della concorrenzialità tra strutture pubbliche e strutture private e connotato dalla facoltà di libera scelta della struttura privata. Con riferimento all'attività programmatoria e ai limiti massimi di spesa sostenibili, è stata riconosciuta alle Regioni un'ampia discrezionalità e alle relative determinazioni è stato attribuito un particolare carattere autoritativo e vincolante allo scopo di realizzare il contenimento della spesa pubblica atteso che compete ad un atto unilaterale ed autoritativo, quale quello gravato, la definizione della misura della riduzione come prescritta dalla normativa statale che non può essere soggetta ad alcuna forma di istruttoria partecipata da parte degli interessati. Quanto detto vale ancor di più per la Regione Abruzzo in quanto all'epoca Regione commissariata e sottoposta al Piano di Rientro dai disavanzi sanitari e quindi ai relativi vincoli normativamente previsti. La giurisprudenza amministrativa configura i provvedimenti commissariali quali ordinanze emergenziali statali in deroga, ossia misure straordinarie che il Commissario ad Acta, quale organo statale, è tenuto ad assumere anche in assenza di contraddittorio procedimentale, al fine di garantirne l'urgente e/o immediata efficacia in attuazione del medesimo Piano di Rientro".


8.2. Deduce in senso contrario la parte appellante che la ricostruzione operata dal T.A.R. non tiene conto dell'esigenza, costituzionalmente tutelata, di salvaguardare il "nucleo essenziale" della salute, atteso che, come riconosciuto dalla Corte costituzionale, "… e` la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l'equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione" (Corte Costituzionale, sentenza n. 275/2016).


Deduce altresì la parte appellante che gli atti impugnati non tengono conto di norme e principi posti a presidio di valori costituzionalmente riconosciuti e tutelati, quali:


- la libera scelta,


- la libertà di agire in giudizio a tutela dei propri diritti ed interessi;


- l'uguaglianza di trattamento di cittadini ed imprese, sia esse pubbliche o private;


- la possibilità di avere l'assistenza sanitaria richiesta nel più breve tempo possibile e con la minor spesa.


8.3. Il motivo non può essere accolto.


Deve osservarsi che, mediante la sua proposizione, la parte appellante si prefigge di sostenere che gli atti impugnati non garantirebbero la realizzazione delle esigenze minime di tutela del diritto alla salute, quali sono consacrate nella determinazione dei LEA: tale assunto, tuttavia, non risulta collegato alle clausole dello schema contrattuale impugnate in primo grado, come è dimostrato dal fatto che, nella presente sede di appello, la parte appellante, piuttosto che riproporre le argomentazioni svolte dinanzi al T.A.R. al fine di dimostrare l'illegittimità di quelle clausole - sulla scorta di considerazioni mirate e costruite con riferimento allo specifico contenuto di ciascuna di esse - svolge considerazioni di ordine sistematico che pretendono di desumere quella conclusione (in ordine alla inidoneità del provvedimento impugnato a realizzare un corretto equilibrio tra esigenze finanziarie e tutela della salute dei cittadini) da disposizioni commissariali (come, ad esempio, quella relativa alla mancata previsione della regressione tariffaria per le prestazioni rese a favore dei pazienti extra-regionali, alla disparità di trattamento tra strutture pubbliche e private o alla "clausola di salvaguardia") che non costituivano oggetto del quinto motivo del ricorso introduttivo e sulla cui legittimità, comunque, si è già innanzi argomentato.


9. Infine, il T.A.R. ha respinto le censure formulate con i motivi aggiunti, con i quali, sulla scorta dell'indagine penale in corso presso la Procura della Repubblica di Pescara, venivano indicate le condotte illecite poste in essere da amministratori regionali nella determinazione dei tetti di spesa relativi all'anno 2010, i quali si sarebbero riverberati anche su quelli relativi all'annualità oggetto di controversia.


9.1. Il T.A.R. ha respinto le censure rilevando, quanto alle risultanze del giudizio penale, che "le prove raccolte non sembrano sufficienti a fondare un giudizio di annullamento per difetto di istruttoria o eccesso di potere. I documenti allegati, infatti, da un lato non hanno portato a condanne in sede penale e, in ogni caso, pur riconoscendo la possibilità di una valutazione delle prove raccolte a prescindere dalle eventuali conseguenze penali, si osserva come non risulti provata l'incidenza delle condotte degli imputati sull'effettiva consistenza del tetto di spesa. In altri termini, la documentazione depositata in giudizio, presumibilmente parziale, in assenza di una valutazione del giudice penale, non è idonea a dimostrare che le ipotizzate condotte criminose abbiano avuto una incidenza diretta e causalmente autonoma sulla quantificazione delle risorse assegnate. In particolare, l'affermazione secondo la quale la "costruzione stessa dei criteri determinativi dei tetti di spesa del 2010, dunque il parametro essenziale per lo scrutinio di legittimità della relativa potestà discrezionale, ha seguito un percorso del tutto deviante dal corretto procedimento amministrativo, avendo di mira, per contro, finalità illecite assolutamente estranee -per definizione- all'interesse pubblico", non risulta accertata in sede penale e, quindi risulta una mera supposizione. Non è possibile qualificare le condotte degli imputati come certamente delittuose nella parte in cui hanno cercato di "convincere" le cliniche private ad accettare i tetti di spesa considerato che le cliniche sono comunque operatori di mercato e non sono costrette ad accettare le condizioni dettate dall'Amministrazione. L'accettazione delle stesse è rimessa all'autonomia negoziale della clinica privata che non è "costretta" ad accettarle, posto che l'alternativa, per le strutture private, sarebbe rimanere nel mercato libero. Inoltre, l'opera di convincimento asseritamente condotta dagli imputati, può inquadrarsi, in mancanza di un accertamento circa la loro rilevanza penale, in una normale dialettica negoziale oltretutto inutile dal punto di vista della quantificazione dei tetti di spesa, considerato che con riferimento all'attività programmatoria e ai limiti massimi di spesa sostenibili, è stata riconosciuta alle Regioni un'ampia discrezionalità e alle relative determinazioni è stato attribuito un particolare carattere autoritativo e vincolante allo scopo di realizzare il contenimento della spesa pubblica atteso che compete ad un atto unilaterale ed autoritativo, quale quello gravato, la definizione della misura della riduzione come prescritta dalla normativa statale che non può essere soggetta ad alcuna forma di istruttoria partecipata da parte degli interessati o negoziata con le cliniche private. Quanto detto vale ancor di più per la Regione Abruzzo in quanto all'epoca Regione commissariata e sottoposta al Piano di Rientro dai disavanzi sanitari e quindi ai relativi vincoli normativamente previsti. La giurisprudenza amministrativa configura i provvedimenti commissariali quali ordinanze emergenziali statali in deroga, ossia misure straordinarie che il Commissario ad Acta, quale organo statale, è tenuto ad assumere anche in assenza di contraddittorio procedimentale, al fine di garantirne l'urgente e/o immediata efficacia in attuazione del medesimo Piano di Rientro".


9.2. Mediante il relativo motivo di appello, la parte appellante, da un lato, ribadisce la vessatorietà delle contestate previsioni contrattuali, dall'altro lato, rinvia al contenuto della documentazione prodotta in atti a supporto dei suddetti motivi aggiunti.


9.3. Nemmeno tale motivo è meritevole di accoglimento.


Esso si risolve, da un lato, nella riproposizione, in modo del tutto generico, dei rilievi innanzi esaminati (nello scrutinio del quinto motivo di ricorso), potendo quindi rinviarsi a quanto già osservato, mentre, con più stretta attinenza ai motivi aggiunti, si limita a richiamare la documentazione e le deduzioni versate in primo grado, senza formulare alcuna specifica censura al fine di dimostrare l'erroneità delle puntuali considerazioni reiettive formulate dal T.A.R..


10. L'appello, in conclusione, deve essere complessivamente respinto, mentre l'entità dell'attività difensiva svolta nel presente grado dalla parte appellata giustifica la compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull'appello n. 695/2022, lo respinge.


Spese del giudizio di appello compensate.


Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.


Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 aprile 2023 con l'intervento dei magistrati:


Mario Luigi Torsello, Presidente


Stefania Santoleri, Consigliere


Giovanni Pescatore, Consigliere


Ezio Fedullo, Consigliere, Estensore


Giovanni Tulumello, Consigliere 

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