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sabato 7 ottobre 2023

Consiglio di Stato 2023-l'odierno appellante ha impugnato, dinanzi al Tar per la Campania, il decreto, notificato il 12 dicembre 2017, con cui la Prefettura di Napoli, ai sensi dell'art. 120 del codice della strada, gli ha revocato la patente di guida cat. B.

 Consiglio di Stato 2023-l'odierno appellante ha impugnato, dinanzi al Tar per la Campania, il decreto, notificato il 12 dicembre 2017, con cui la Prefettura di Napoli, ai sensi dell'art. 120 del codice della strada, gli ha revocato la patente di guida cat. B.



Cons. Stato Sez. III, Sent., (ud. 13/07/2023) 02-10-2023, n. 8599 

 

REPUBBLICA ITALIANA 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO 

Il Consiglio di Stato 

in sede giurisdizionale (Sezione Terza) 

ha pronunciato la presente 

SENTENZA 

sul ricorso numero di registro generale 1246 del 2023, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato OMISSIS OMISSIS, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; 

contro 

Ministero dell'Interno, Prefettura di Napoli, Prefettura di Napoli - U.T.G. Prefettura di Napoli, non costituiti in giudizio; 

per la riforma 

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Quinta) n. -OMISSIS-, resa tra le parti 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; 

Visti tutti gli atti della causa; 

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 luglio 2023 il Pres. Michele Corradino e viste le conclusioni delle parti come da verbale di udienza. 

Svolgimento del processo 

Con ricorso, notificato il 28 giugno 2019 e contestualmente depositato, l'odierno appellante ha impugnato, dinanzi al Tar per la Campania, il decreto, notificato il 12 dicembre 2017, con cui la Prefettura di Napoli, ai sensi dell'art. 120 del codice della strada, gli ha revocato la patente di guida cat. B. 

L'amministrazione ha, nello specifico, motivato tale provvedimento con riferimento alla sentenza del 27 maggio 2015, con cui la Corte d'Appello di Napoli ha condannato l'interessato per il reato previsto e punito dall'art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990. 

Giova rappresentare che l'impugnazione del decreto prefettizio è stata originariamente proposta in sede civile, con ricorso ex art. 6, D.Lgs. n. 150 del 2011. Con decreto di fissazione udienza depositato in data 16 febbraio 2018, il Tribunale ordinario ha disposto il mutamento del rito, onerando l'odierno appellante di notificare il ricorso ed il decreto nel rispetto dei termini a comparire di cui agli artt. 163 e 163 bis c.p.c.. 

La notifica dell'atto di citazione è avvenuta in data 21 febbraio 2018. Il Tribunale di Napoli, con sentenza n. -OMISSIS-, ha dichiarato il suo difetto di giurisdizione in favore del giudice amministrativo. Come poc'anzi riferito, in esecuzione di tale decisum, l'odierno appellante ha presentato ricorso in riassunzione dinanzi al Tar per la Campania, ritualmente depositato e notificato in data 28 giugno 2019. 

Con sentenza n. -OMISSIS-, il Tar adito ha dichiarato l'irricevibilità del ricorso introduttivo per tardività del gravame in quanto l'atto di notifica era avvenuto in data 21 febbraio 2018, ossia quando era ormai già decorso il termine di sessanta giorni per impugnare il decreto prefettizio gravato in primo grado, essendo stato tale provvedimento notificato in data 12 dicembre 2017. 

Secondo il Giudice di prime cure, infatti, "nelle materie assoggettate al rito ordinario, l'impugnazione del provvedimento deve essere proposta mediante citazione, notificata entro il termine perentorio previsto a pena di decadenza; ove sia, per errore, proposta con ricorso, quest'ultimo, per il principio di conservazione degli atti processuali, può impedire comunque che il provvedimento divenga definitivo, a condizione che, entro il termine di decadenza, venga non solo depositato ma altresì notificato alla controparte (cfr. Cass., 29.12.2016, n. 23743; Id., sez. unite, 23.9.2013, n. 21675; Id., 15.1.2013, n. 797/2013; ancora Id., 2.4.2009, n. 8014): essendo la notificazione il momento che segna la pendenza del giudizio per i procedimenti da introdurre con citazione, è ad esso, infatti, che deve farsi riferimento per valutare la tempestività dell'impugnazione, anche se erroneamente proposta con ricorso. Pertanto, nell'odierna fattispecie, al momento della notificazione del ricorso operata a seguito del disposto mutamento del rito, il termine per impugnare il provvedimento era oramai decorso, con la conseguente irricevibilità del proposto gravame in applicazione dei principi che regolano la traslatio iudicii). 

Con ricorso notificato il 10 febbraio 2023 e depositato in pari data, l'odierno appellante ha avversato la sentenza del Tar per la Campania n. -OMISSIS-. 

Il medesimo, con il primo motivo di censura, lamenta "error in judicando et in procedendo in relazione alla violazione falsa applicazione del D.Lgs. n. 150 del 2011 - violazione e falsa applicazione dell'art. 59 comma 2 L. n. 69 del 2009 - violazione e falsa applicazione dell'art. 11 comma 2 cpa -violazione e falsa applicazione dell'art. 6, comma 1, della carta edu - diritto ad un processo equo - dequotazione dei vizi formali - salvezza degli effetti, sostanziali e processuali, prodotti dalla domanda avanzata con rito diverso da quello prescritto - tempestività del ricorso". 

Con il secondo motivo di censura, l'odierno appellante, ai sensi dell'art. 101, co. 2, c.p.a., ripropone tutte le censure e le eccezioni dichiarate assorbite o non esaminate nella sentenza di primo grado, richiamando, per l'effetto, il contenuto del ricorso in riassunzione di prime cure. 

Nello specifico, l'interessato deduce anzitutto l'illegittimità del provvedimento prefettizio, ritenendolo "nullo per difetto di motivazione in quanto il provvedimento è stato sottoscritto dal vice Prefetto" in quanto non sarebbe legittimato a sottoscrivere tale categoria di provvedimenti, posto che il potere competerebbe esclusivamente al Prefetto. 

Il medesimo, inoltre, lamenta l'illegittimità del decreto sotto vari profili di violazione di legge ed eccesso di potere, con particolare riferimento agli artt. 120 del codice della strada (come modificato in seguito alla sentenza della Corte Costituzionale n. 22/2018) e 73, comma 5, del D.P.R. n. 309 del 1990. In particolare, l'amministrazione avrebbe proceduto alla revoca della patente, operando un indebito automatismo. 

Con memorie depositate il 9 e il 20 giugno 2023 in vista dell'udienza del 13 luglio, l'appellante si è sostanzialmente riportato al contenuto dell'atto di appello e ha ulteriormente precisato come l'amministrazione, disponendo la revoca della sua patente di guida, non abbia operato alcuna valutazione circa la necessità del possesso di tale titolo da parte del medesimo quale strumento essenziale ai fini delle attività assistenziali, garantite dalla L. n. 104 del 1992, in favore della figlia, con la quale egli risiede, gravemente malata e portatrice di handicap per la patologia di sindrome di down con complicanze cardiologiche, come da documentazione versata in atti. 

L'amministrazione non si è costituita in giudizio. 

All'udienza del giorno 13 luglio 2023, la causa è stata trattenuta per la decisione. 

Motivi della decisione 

Preliminarmente, il Collegio ritiene meritevole di positivo apprezzamento il primo motivo di appello, con il quale l'interessato censura la dichiarata irricevibilità del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado. 

Giova premettere che la disciplina della cd. translatio iudicii comporta la salvezza degli effetti, sostanziali e processuali, della domanda avanzata innanzi al giudice sfornito di giurisdizione. 

Tale salvezza non può spingersi fino al punto di rimettere nei termini un ricorrente che fosse già incorso in una decadenza. Infatti, la rituale riassunzione del giudizio nel termine di tre mesi decorrenti dal passaggio in giudicato della prima sentenza, benché astrattamente idonea alla conservazione degli effetti sostanziali e processuali dell'originaria domanda, non impedisce al giudice amministrativo di verificare se l'originaria pretesa, azionata per errore dinanzi al giudice ordinario, sia stata proposta entro il termine di decadenza. Invero, gli artt. 59, comma 2, L. 18 giugno 2009, n. 69 e 11, comma 2, c.p.a. prevedono espressamente che, riproposta la domanda al giudice munito di giurisdizione, restano ferme le preclusioni e le decadenze intervenute. 

Nella fattispecie, rileva il Collegio che, diversamente da quanto ritenuto dal Tar per la Campania nella sentenza ivi impugnata, non è intervenuta alcuna decadenza in sfavore dell'odierno appellante e ciò anche alla luce dell'interpretazione che la Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, ha fornito sul punto (Cass., Sez. Unite, n. 758 del 12 gennaio 2022). 

Secondo tale orientamento, "nei procedimenti "semplificati" disciplinati dal D.Lgs. n. 150 del 2011, nel caso in cui l'atto introduttivo sia proposto con citazione, anziché con ricorso eventualmente previsto dalla legge, il procedimento - a norma del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 4 - è correttamente instaurato se la citazione sia notificata tempestivamente, producendo essa gli effetti sostanziali e processuali che le sono propri, ferme restando le decadenze e preclusioni maturate secondo il rito erroneamente prescelto dalla parte; tale sanatoria piena si realizza indipendentemente dalla pronuncia dell'ordinanza di mutamento del rito da parte del giudice, la quale opera solo pro futuro, ossia ai fini del rito da seguire all'esito della conversione, senza penalizzanti effetti retroattivi, restando fermi quelli, sostanziali e processuali, riconducibili all'atto introduttivo, sulla scorta della forma da questo in concreto assunta e non a quella che esso avrebbe dovuto avere, dovendosi avere riguardo alla data di notifica della citazione effettuata quando la legge prescrive il ricorso o, viceversa, alla data di deposito del ricorso quando la legge prescrive l'atto di citazione." 

Nell'ambito del processo civile e, in particolare, nei procedimenti semplificati disciplinati dal D.Lgs. n. 150 del 2011, una volta consolidatosi il rito "errato", è solo sulla scorta di tale schema procedurale che va delibato il momento di instaurazione della litispendenza. 

In particolare, l'art. 4, comma 5, D.Lgs. n. 150 del 2011 - disposizione innovativa rispetto all'orientamento giurisprudenziale tradizionale sulla cosiddetta "sanatoria dimidiata" dell'atto introduttivo del giudizio - sancisce espressamente che gli effetti della domanda si producono con riferimento alla forma (e alla data) dell'atto in concreto, sia pur erroneamente, prescelto e non a quella che esso avrebbe dovuto avere. Tale norma prevede, dunque, ormai una sanatoria "piena" dell'atto introduttivo difforme dal modello legale, il quale risulta idoneo - sia che si tratti di citazione notificata o ricorso depositato nel termine di legge - ad impedire le decadenze e preclusioni che dovrebbero applicarsi qualora si facesse applicazione delle norme sul rito corretto che avrebbe dovuto essere (e non è stato) seguito. 

Tale evoluzione, nel pensiero della Corte, costituisce "un'ulteriore tappa del percorso che segna il lento declino del formalismo processuale" ed è del tutto coerente con la tendenza dell'ordinamento nazionale, in linea con l'art. 6, comma 1, della Carta Edu, verso la dequotazione dei vizi formali conseguenti, in tal caso, all'erronea scelta del rito, ma anche ad errori più gravi, quale è quello sulla giurisdizione, cui si riferiscono gli artt. 59, comma 2, della L. n. 69 del 2009 e 11 c.p.a., che prevedono la salvezza degli effetti sostanziali e processuali che la domanda avrebbe prodotto se il giudice avente giurisdizione fosse stato adito fin dalla instaurazione del primo giudizio. 

Tanto premesso, per valutare la tempestività dell'impugnazione del decreto prefettizio, bisogna prendere in considerazione non già la data di notifica dell'atto di citazione, bensì la data di deposito del ricorso che è avvenuto, in modo incontestato, tempestivamente nel termine di trenta giorni di cui all'art. 6, comma 6, D.Lgs. n. 150 del 2011. 

Diversamente da quanto sostenuto dal Tar, al momento del deposito del ricorso, precedente al disposto mutamento del rito, il termine di sessanta giorni per impugnare il provvedimento prefettizio non era ancora decorso, con la conseguente ricevibilità del ricorso introduttivo del giudizio amministrativo di primo grado, nel rispetto dei principi che regolano la "translatio iudicii". 

Esaurito positivamente l'aspetto in rito, il Collegio procede alla disamina delle doglianze avanzate e non scrutinate in sede di giudizio di primo grado, reiterate dinanzi a Codesto Consiglio di Stato, prendendo le mosse dal secondo motivo di ricorso in primo grado che è fondato. 

Con il secondo motivo di ricorso in primo grado, infatti, parte appellante ha contestato che l'amministrazione aveva disposto la revoca della patente di guida motivando unicamente con riferimento alla sentenza di condanna per il reato di cui all'art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990 e, dunque, in virtù di un mero automatismo derivante dal richiamo, nell' art. 120 del codice della strada, ai reati connessi con gli stupefacenti, quale condizione per la perdita dei requisiti morali richiesti per mantenere il titolo di guida. 

Il provvedimento prefettizio, in particolare, è stato emesso sul presupposto che lo stesso, in ipotesi di sentenza di condanna per il delitto di cui all'art. 73 del D.P.R. n. 309 del 1990, fosse atto vincolato. 

A tal riguardo, come già rilevato da Codesto Consiglio di Stato (cfr. Cons. Stato, Sez V, n. 9314 del 28 ottobre 2022) deve rammentarsi che, con sentenza n. 22 del 2018, la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 120, comma 2, del codice della strada nella parte in cui, con riguardo alle ipotesi di condanna per reati di cui agli artt. 73 e 74 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, intervenuta in data successiva a quella di rilascio della patente di guida, disponeva che il Prefetto provvedesse alla revoca della patente in via automatica. La disposizione, infatti, ricollegava in via automatica la revoca della patente ad una varietà di fattispecie non omogenee, atteso che la condanna, cui la norma faceva riferimento, poteva riguardare fatti di reato di diversa, se non addirittura, di lieve entità e che potevano, peraltro, essere risalenti nel tempo rispetto alla data di definizione del giudizio (e ciò a fronte della discrezionalità della parallela misura del "ritiro" della patente che, ai sensi dell'art. 85 del D.P.R. n. 309 del 1990, il giudice che pronuncia la condanna per i reati in questione "può disporre", motivandola, "per un periodo non superiore a tre anni"). 

Alla citata sentenza n. 22 del 2018 hanno fatto seguito: la sentenza n. 24 del 2020, con la quale la Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 120, comma 2, del codice della strada nella parte in cui disponeva che il prefetto "provvede", invece che "può provvedere", alla revoca della patente di guida nei confronti di coloro che sono sottoposti a misura di sicurezza personale; e la sentenza n. 99 del 2020, con la quale l'art. 120, comma 2, del codice della strada è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dei principi di uguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza, nella parte in cui disponeva che il prefetto "provvede", invece che "può provvedere", alla revoca della patente di guida nei confronti dei soggetti che sono o sono stati sottoposti a misure di prevenzione. 

Dalle menzionate pronunce discende, con ogni evidenza, il superamento del precedente automatismo tra condanna penale e revoca prefettizia della patente di guida già conseguita, posto che, per effetto delle richiamate sentenze, tali provvedimenti vengono adottati non più in via automatica, ma nell'esercizio di un potere valutativo di carattere discrezionale in capo al Prefetto. 

Tale orientamento è stato, da ultimo, sostanzialmente confermato anche dalla recente sentenza n. 152 del 2021, con cui la Corte Costituzionale ha ritenuto che le ragioni che avevano portato al superamento dell'automatismo della revoca prefettizia non fossero ugualmente riferibili al diniego del titolo abilitativo di cui al comma 1 dell'art. 120 del codice della strada, attesa la vincolatività di tale provvedimento. 

In definitiva, alla luce dei principi costituzionali poc'anzi richiamati, risulta necessario e opportuno che l'amministrazione, nell'adozione dei provvedimenti di revoca della patente di guida, operi un bilanciamento in concreto dei plurimi interessi coinvolti, attraverso una doverosa e puntuale istruttoria che tenga conto, oltreché della pronuncia di condanna del giudice penale, anche della condotta successiva ad essa, delle circostanze del caso concreto e della complessiva situazione personale dell'interessato, in particolare familiare e lavorativa, considerando se il mantenimento del possesso del titolo di guida possa effettivamente e concretamente aggravare, o meno, una effettiva persistente situazione di pericolosità sociale e se, dunque, la revoca della patente di guida costituisca, o meno, una misura necessaria e opportuna. 

Nel caso in esame, nel provvedimento gravato in prime cure, non è stata resa alcuna motivazione in ordine alle riferite circostanze, in particolare di natura familiare, con conseguente deficit istruttorio e motivazionale del decreto prefettizio. Una valutazione in concreto degli interessi coinvolti, nel caso di specie è, dunque, mancata, essendo stata la revoca fondata esclusivamente su una mera presunzione in astratto della pericolosità sociale dell'appellante, in virtù del mero richiamo ad una sentenza di condanna per il delitto in materia di stupefacenti, peraltro nell'ipotesi di lieve entità di cui all'art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990. 

Con il primo motivo di ricorso in primo grado, invece, l'appellante aveva dedotto la nullità del provvedimento perché viziato da difetto assoluto di attribuzione in quanto firmato dal "Vice Prefetto" anziché dal Prefetto. 

Questa prospettazione non può essere accolta favorevolmente. 

Come chiarito dalla giurisprudenza amministrativa, merita sul punto osservare che "il Vice Prefetto Vicario è competente, ai sensi dell'art. 14 del D.Lgs. 19 maggio 2000, n. 139, previa delega del Prefetto, per tutte le attività inerenti alle funzioni proprie di quest'ultimo, in qualità di Autorità provinciale di pubblica sicurezza. 

Quanto alla necessità o meno che la delega del relativo potere risulti indicata nel provvedimento di cui si lamenta il vizio di incompetenza, ritiene il Collegio di aderire al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità a favore della tesi per cui chi intenda far valere l'illegittimità dell'atto per insussistenza della delega di firma in capo al soggetto delegato che, in sostituzione del Prefetto, ha emesso il provvedimento ha l'onere di provare detto fatto negativo (Cass. Civ., sez. II, 13 giugno 2019, n. 15927), con la conseguenza che, nel caso in cui non riesca a procurarsi la pertinente relativa attestazione da parte dell'Amministrazione, è tenuto comunque a sollecitare il giudice ad acquisire informazioni ex art. 213 c.p.c. ovvero ad avvalersi dei poteri istruttori riconosciuti dall'art. 64 del c.p.a, a fronte dei quali l'Amministrazione medesima non può esimersi dalla relativa risposta. 

Ne segue che, se - come nella specie è accaduto - il ricorrente non prova i fatti negativi, anche attraverso il ricorso agli strumenti processuali messi a disposizione dell'ordinamento, la presunzione di legittimità che assiste il provvedimento gravato e che trova fondamento sia nell'art. 1 della L. n. 241 del 1990, sia nelle norme che definiscono i poteri dei Vice Prefetti (art. 14, D.Lgs. n. 139 del 2000 ed allegata tabella B), non può ritenersi superata" (ex plurimis, Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 10 novembre 2022, n. 11380). 

In conclusione, per le ragioni che precedono, l'appello va accolto con conseguente annullamento del provvedimento prefettizio impugnato in prime cure. 

Nulla per le spese, non essendosi costituita l'amministrazione intimata. 

P.Q.M. 

Il Consiglio di Stato (Sezione Terza), in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione e per l'effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie parzialmente il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado ed annulla il provvedimento con esso impugnato. 

Rigetta per il resto. 

Nulla per le spese. 

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. 

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità. 

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 luglio 2023 con l'intervento dei magistrati: 

Michele Corradino, Presidente, Estensore 

Pierfrancesco Ungari, Consigliere 

Stefania Santoleri, Consigliere 

Giovanni Pescatore, Consigliere 

Nicola D'Angelo, Consigliere 


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