Corte dei Conti 2023-
Corte dei Conti Sez. I App., Sent., (ud. 13/04/2023) 20-06-2023,
n. 279
Fatto Diritto P.Q.M.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE DEI CONTI
SEZIONE PRIMA GIURISDIZIONALE CENTRALE D'APPELLO
composta dai magistrati:
Agostino CHIAPPINIELLO - Presidente
Carmela de GENNARO - Consigliere
Fabio Gaetano GALEFFI - Consigliere relatore
Aurelio LAINO - Consigliere
Beatrice MENICONI - Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di appello in materia pensionistica iscritto al
n. 60274 del ruolo generale, proposto dall'avv. OMISSIS, nato a Omissis il
omissis, c.f. OMISSIS, in proprio, pec x
nei confronti di
- INPS - ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, c.f.
(...), con sede in Roma, via Ciro il Grande n. 21, in persona del
rappresentante legale pro-tempore, rappresentato e difeso congiuntamente e
separatamente dagli avv.ti Lidia Carcavallo c.f. (...), pec
avv.lidia.carcavallo@ postacert.inps.gov.it, Antonella Patteri, c.f. (...), pec
avv.antonella.patteri@postacert.inps.gov.it, Giuseppina Giannico, c.f. (...),
pec avv.giuseppina.giannico@ postacert.inps.gov.it e Sergio Preden, c.f. (...),
pec avv.sergio.preden@postacert.inps.gov.it e con gli stessi elettivamente
domiciliato a Roma, via Cesare Beccaria 29, negli uffici dell'Avvocatura
centrale dell'Istituto, come da delega in atti;
- MINISTERO DELLA DIFESA, con sede in Roma, in Viale
dell'Esercito n. 186 Via XX Settembre 97, Roma, rappresentato e difeso dal
Direttore Generale p.t. e dal suo delegato - Capo del I Reparto p.t. dr.ssa
Marzia Lettieri Barbato, c.f. (...), pec previmil@postacert.difesa.it ed
elettivamente domiciliato presso la sede di Viale dell'Esercito 178-186, 00143
Roma, nonché domiciliato ex lege presso l'Avvocatura generale dello Stato, a
Roma, Via dei Portoghesi, 12, pec ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it;
avverso
la sentenza della Sezione giurisdizionale regionale per la
Campania n. 693/2022, depositata il 22 settembre 2022.
Visti l'appello, gli atti e i documenti di causa;
Uditi, all'udienza del 13 aprile 2023, il consigliere
relatore Fabio Gaetano Galeffi, l'avv. Omissis in proprio e l'avv. Lidia
Carcavallo per l'Inps; nessuno è comparso per il Ministero della difesa.
Svolgimento del processo
Con atto del 3 ottobre 2022, Omissis ha proposto appello per
la riforma della sentenza n. 693/2022 della Sezione giurisdizionale regionale
per la Campania., che ha rigettato il ricorso, pronunciandosi in sede di rinvio
dopo la sentenza n. 295/2020 della II sez. di appello, sull'atto in
riassunzione formulato dall'attuale appellante, tendente a contrastare il
riconoscimento in favore dell'Inps di un indebito previdenziale di Euro
7.423,76.
L'appellante ha svolto i seguenti motivi di impugnazione: 1)
violazione dell'art. 5 co. 1 c.g.c. in relazione all'art. 4, co. 1, medesimo
codice; 2) totale travisamento del fatto e delle prove in difetto di una non
corrispondenza tra l'enunciato (sentenza) e la domanda introdotta; 3)
incoerenza motivazionale al punto da eleggersi a illogicità della motivazione;
4) violazione delle disposizioni di rinvio, segnatamente l'art. 199, co. 2
c.g.c.; 5) violazione dell'art. 204 del t.u 1092/1973 in relazione dell'art. 69
medesimo t.u.; 6) violazione art. 203 e art. 204 del t.u.; 7) motivazione
apparente ed illogica; ed ha così concluso: accertare e dichiarare la legittima
corresponsione delle somme indicate nel decreto nr. 58/E del 2005 in narrativa,
nonché - ed in via subordinata ma in prior istantiae - l'irripetibilità della
somma di 5.176,00 Euro percette; contestualmente l'appellante ha chiesto la
sospensione degli effetti della sentenza impugnata.
L'Inps si è costituito per la fase cautelare con memoria del
14 novembre 2022, eccependo preliminarmente l'irritualità della notifica
dell'appello presso la Direzione generale dell'ente, in luogo del domicilio
eletto dal difensore dell'ente in primo grado. L'Inps ha inoltre evidenziato
che la decisione gravata riguarda un importo di Euro 7.423,23 per recupero di
indebito previdenziale conseguente a revoca dell'indennità una tantum,
attribuita ai sensi dell'art. 69 del D.P.R. n. 1092 del 1973 sulla base della
classificazione dell'infermità sofferta dal pensionato. Tale indennità è stata
concessa con decreto del Ministero della Difesa del 21 settembre 2005 ed è stata
revocata con decreto del 1 febbraio 2007 (quindi dopo soli 16 mesi), come
emerge in sentenza, a pag. 2, ove è richiamato il decreto "n. 112 del 1
febbraio 2007 di revoca dei pregressi decreti e di correlativa modifica della
classifica di pensione privilegiata, in sesta categoria dal 10 novembre 1996 e
in quinta categoria dal 1 aprile 2004. Dunque, in virtù di quest'ultimo
decreto: l'indennità una tantum, esattamente pari all'indebito minor, è venuta
meno perché le patologie ad essa riferite sono state riclassificate dalla
tabella B alla tabella A, con conseguente loro cumulo con le altre infermità
già contemplate ai fini della pensione privilegiata".
Con ordinanza n. 23/2022 del 28 novembre 2022, adottata
nella camera di Consiglio del 17 novembre 2022, questa Sezione d'appello ha
dichiarato inammissibile l'istanza di sospensione degli effetti della sentenza
della Sezione giurisdizionale regionale per la Campania n. 693/2022.
Il Ministero della difesa si è costituito nel presente
giudizio con memoria depositata il 23 marzo 2023, deducendo in via preliminare
l'inammissibilità dell'appello per violazione degli artt. 342 e 434 del c.p.c.,
in quanto l'atto di gravame sarebbe caratterizzato da una serie articolata di
argomentazioni non agevolmente percorribili, che non consentirebbero
all'amministrazione di mettere a fuoco l'oggetto della richiesta e in modo
particolare i motivi delle doglianze, impedendo di predisporre un'adeguata
difesa. In secondo luogo, l'appello sarebbe inammissibile perché proposto per
questioni di fatto; in appello sarebbe consentito un sindacato sul vizio di
motivazione su questioni di fatto in ordine alla radicale mancanza di
motivazione o all'ipotesi di motivazione apparente. Secondo l'amministrazione,
la sentenza impugnata sarebbe comunque adeguatamente motivata, in quanto la
revoca del trattamento in contestazione è intervenuta con decreto n. 112/E del
1 febbraio 2007 entro il termine triennale previsto dall'art. 205 del D.P.R. n.
1092 del 1973 a decorrere dalla data di concessione dei benefici del 17
novembre 2004 e del 21 settembre 2005. Mancherebbe dunque il legittimo
affidamento in capo all'appellante. L'amministrazione ha concluso per il
rigetto del gravame in quanto inammissibile con conferma della sentenza di
primo grado, con vittoria di spese.
Con memoria depositata il 24 marzo 2023, si è costituito nel
presente giudizio l'Inps, che aveva già svolto le proprie difese nella fase
cautelare, evidenziando l'esigenza di poter consultare il fascicolo processuale
onde poter svolgere le relative difese.
L'appellante ha insistito con memoria del 31 marzo 2023,
evidenziando che tra il momento dell'emanazione del decreto di concessione n.
58/E del 21 settembre 2005 sino all'effettiva comunicazione di revoca del 13
maggio 2009 è trascorso più di un triennio, con conseguente affidamento
dell'appellante stesso.
L'Inps ha prodotto ulteriore memoria in data 31 marzo 2023,
deducendo la tardività dell'appello, in quanto l'appellante ha notificato il
gravame alla parte personalmente (mediante notifica alla Direzione generale
dell'ente e non al procuratore costituito in primo grado); tuttavia risulta che
l'appello sia stato notificato all'Avvocatura dello Stato il 3 ottobre 2022 e
che l'appello sia stato successivamente notificato al procuratore dell'Inps
costituito in primo grado il 25 gennaio 2023; quest'ultima notifica si
presenterebbe tardiva, poiché dal giorno della notifica all'Avvocatura dello
Stato decorrerebbe il termine breve per l'impugnazione della sentenza. Il
gravame, secondo l'Inps, sarebbe poi infondato nel merito, in quanto la revoca
dell'indennità una tantum è tempestiva, per essere stata disposta dopo 16 mesi,
dal 21 settembre 2005 al 1 febbraio 2007, oltre che legittima, essendo
conseguente alla riclassificazione delle patologie poste a fondamento della
pensione di privilegio; quindi, più che di revoca, si potrebbe trattare di
modifica del trattamento; l'Inps ha chiesto quindi il rigetto dell'appello.
All'odierna udienza del 13 aprile 2023, le parti presenti
hanno insistito per l'accoglimento delle rispettive conclusioni come rassegnate
in atti.
La causa è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione
In via preliminare, va verificata la correttezza
dell'instaurazione del contraddittorio. Benché il primo atto di notificazione
dell'appello all'Inps sia stato notificato presso la sede dell'Istituto e non
presso il procuratore dell'Inps costituito in primo grado, l'Istituto
previdenziale si è costituito in giudizio per la fase cautelare e pertanto
l'atto ha raggiunto lo scopo e l'eventuale nullità risulta sanata ai sensi
dell'art. 44, comma 3, del c.g.c.; come indicato nella parte in fatto,
l'appellante ha notificato l'atto di gravame al Ministero della difesa presso
l'Avvocatura di Stato domiciliataria ex lege ed ha successivamente notificato
l'atto stesso all'Inps presso il procuratore costituito in primo grado; le
controparti si sono entrambe costituite in giudizio e ne deriva che eventuali
nullità delle notificazioni risultano sanate ai sensi del richiamato art. 44
per il raggiungimento dello scopo. Se ne desume che l'instaurazione del
contraddittorio tra le parti è stata garantita.
Ciò premesso, in atti risulta che l'appellante è titolare di
pensione dal dicembre 1995 e che l'oggetto del contenzioso riguardava
inizialmente due recuperi di indebito previdenziale, il primo di Euro 15.411,00
e il secondo di Euro 7.423,76.
Occorre precisare che il presente giudizio giunge all'esame
di questa Sezione dopo che, sulla vicenda, sono state emesse le seguenti
sentenze:
- n. 265/2017 del 4 luglio 2017 della Sezione Campania, che
ha accolto parzialmente il ricorso del pensionato, dichiarando irripetibile
l'indebito di Euro 15.411,00 e dovuto l'indebito di Euro 7.423,76;
- n. 295/2020 del 14 dicembre 2020 della II sez. centrale
d'appello, con cui - a seguito del gravame promosso dall'interessato - è stata
annullata l'impugnata sentenza n. 265/2017 della Sezione territoriale, con
contestuale rinvio degli atti al giudice di primo grado in ordine alla seconda
voce di indebito per Euro 7.423,76;
- n. 693/2022 del 22 settembre 2022 della Sezione Campania -
pronunciata in sede di rinvio a seguito di atto di riassunzione dell'attuale
appellante - con cui è stata ritenuta dovuta la restituzione dell'indebito di
Euro 7.423,76.
Pertanto, quanto al primo indebito di Euro 15.411,00, esso è
stato dichiarato non dovuto dalla sentenza della Corte campana n. 265/2017 che
per prima si è pronunciata in materia. Su appello del pensionato, la seconda
voce di indebito di Euro 7.423,76 è stata oggetto di rinvio in primo grado da
parte della Sez. II di appello con sentenza n. 295/2020 e pertanto è l'unica
rimasta in contenzioso, dopo la sentenza n. 693/2022 della Sezione territoriale
che ha confermato la debenza della somma a favore dell'amministrazione.
È incontroverso che la voce di indebito per Euro 7.423,76
sia da riferire alla quota del trattamento previdenziale una tantum riconosciuto
per effetto del decreto n. 58/E del 21 settembre 2005.
Dalle allegazioni di parte, emerge che tale importo di Euro
7.423,23 erogato in unica soluzione è stato oggetto di revoca, in quanto al
pensionato era stato riconosciuto un trattamento pensionistico fisso e
continuativo di importo più favorevole, la cui concessione, a seguito di
riliquidazione dell'amministrazione, implicava la revoca del trattamento una
tantum di entità meno favorevole per il pensionato stesso.
Al riguardo, la prima sentenza n. 265/2017 aveva ritenuto
ripetibile l'indebito in ragione della natura una tantum dell'erogazione, da
contrapporre alla diversa statuizione della stessa sentenza sull'altra voce di
indebito di Euro 15.411,00 che al contrario era stata ritenuta non dovuta, in quanto
tra la concessione del trattamento (dicembre 1995) e la revoca dello stesso
(febbraio 2009) era intercorso un periodo ultra-triennale in violazione
dell'art. 205, comma 2, del t.u. n. 1092/1973.
La sentenza della sez. II d'appello n. 295/2020 ha poi
stabilito che il Giudice di primo grado si era pronunciato basando il suo
convincimento sulla "mera natura di indebito", senza alcuna
motivazione in ordine a profili normativi più compiuti, ovvero senza dar conto
di alcuna indagine circa profili inerenti alla tutela dell'affidamento del
percettore di buona fede, profili in via di ipotesi atti a consentire una
pronuncia dichiarativa dell'irripetibilità dell'indebito. Ne è derivato il
rinvio al Giudice di primo grado per l'esame nel merito.
Il Giudice partenopeo, con la sentenza n. 693/2022, gravata
in questa sede dal pensionato soccombente, ha quindi stabilito che l'indebito
in contestazione di Euro 7.423,73 - su cui ha escluso che possa avere inciso un
fatto doloso dell'interessato - non potesse rientrare nell'alveo di
applicazione degli artt. 203 e ss. del t.u. n. 1092/1973, in quanto tra i
provvedimenti ivi contemplati (provvedimenti definitivi sul trattamento di
quiescenza) non è compresa la concessione dell'indennità una tantum (art. 69
dello stesso t.u.): al riguardo il Giudice territoriale ha rilevato che
"tale diversità di natura rende inapplicabile il predetto art. 206 ed
irrilevante l'asserita buona fede."
I motivi di impugnazione formulati dall'appellante possono
essere trattati congiuntamente, stante la stretta correlazione tra loro.
Va rilevato che le conclusioni cui è giunto il Giudice
territoriale si mostrano corrette, per plurimi autonomi motivi.
In primo luogo, non risulta efficacemente contrastata
dall'appellante la statuizione del Giudice di primo grado secondo cui la natura
dell'indennità una tantum sia da ritenere non sovrapponibile con la natura dei
provvedimenti definitivi di quiescenza, i quali implicano, al contrario
dell'indennità, un versamento continuativo con cadenza mensile e non un'unica
erogazione. Tuttavia, anche a voler ritenere, in via di ipotesi, che
l'indennità una tantum possa ricadere nell'ambito applicativo dell'art. 206 del
t.u., occorre osservare che - nel caso di specie - la revoca risulta
regolarmente operata nell'arco del triennio: infatti l'art. 206 al comma 2
dispone che "il provvedimento è revocato o modificato d'ufficio non oltre
il termine di tre anni dalla data di registrazione del provvedimento
stesso" e dagli atti depositati in giudizio (da ultimo in allegato a nota
prot. 21718 dell'8 marzo 2022 del Ministero della difesa diretta alla Sezione
Campania) risulta che il decreto n. 58/E del 21 settembre 2005 di liquidazione
dell'indennità una tantum di Euro 7.423,76 è pervenuto per la registrazione
alla Corte dei conti il 30 novembre 2006 e che il provvedimento di revoca n.
112/E è stato adottato il 1 febbraio 2007 e registrato alla Corte dei conti il
20 gennaio 2009 e infine comunicato all'interessato il 13 maggio 2009 (come
precisato dallo stesso appellante da ultimo nella memoria del 31 marzo 2023),
entro il termine triennale decorrente dalla registrazione presso la Corte dei
conti avvenuta non prima del 30 novembre 2006.
Nemmeno risulta meritevole di accoglimento l'odierno gravame
sotto il profilo dell'eccepita buona fede del pensionato in ordine alla
percezione dell'indennità una tantum di Euro 7.423,76 in contestazione, buona
fede che varrebbe, nella prospettazione difensiva, a giustificarne
l'irrepetibilità.
In effetti, in disparte il pur assorbente rilievo del
mancato decorso dei tre anni, va, comunque, rilevata l'irrilevanza della buona
fede da parte del percettore, la cui sussistenza può ritenersi verificata non
solo avendo riguardo ad elementi oggettivi quali, fra tutti, il decorso del
tempo, ma anche ad elementi soggettivi, quali, "la rilevabilità in
concreto, secondo l'ordinaria diligenza, dell'errore riferito alla maggior
somma erogata sul rateo di pensione o le ragioni che hanno giustificato la
modifica del trattamento provvisorio e il momento di conoscenza, da parte
dell'amministrazione, di ogni altro elemento necessario per la liquidazione del
trattamento definitivo, sì che possa escludersi che l'amministrazione fosse già
in possesso, ab origine, degli elementi necessari alla determinazione del
trattamento pensionistico" (cfr. Corte dei conti, I Sez. App. sent. n.
130/2015, che richiama Corte dei conti, SS.RR. sent. n. 2/2012/QM).
D'altra parte, la questione affrontata e risolta dalle
SS.RR. in ordine alla buona fede è da riferire a fattispecie - quella delle
differenze del trattamento pensionistico definitivo rispetto a quello
provvisoriamente attribuito - diversa da quella qui in trattazione, che si
riferisce invece ad una differente misura del trattamento, che si trasforma da
unica erogazione a rendita periodica per effetto di una diversa considerazione
del cumulo delle infermità sofferte dal pensionato.
Ad ogni buon conto, questo Collegio ritiene che la buona
fede sia irrilevante nel caso di specie da parte del pensionato il quale, non
solo avrebbe potuto accorgersi che l'indennità una tantum - per effetto della
intervenuta modifica in melius del trattamento pensionistico - non aveva titolo
ad essere trattenuta, ma anche che il contestuale provvedimento di modifica
emanato dall'amministrazione era giustificato dalle mutate condizioni di salute
del pensionato stesso: la modifica del trattamento pensionistico era quindi
l'effetto della rivalutazione, in senso complessivo più favorevole, delle
domande di accertamento delle condizioni sanitarie - dettagliatamente indicate
nel contesto del decreto n. 112/E del 1 febbraio 2007 e di cui il pensionato
stesso era evidentemente conscio - inoltrate dal medesimo pensionato.
Non senza dimenticare che veniva riconosciuto
successivamente un trattamento complessivo più favorevole (rendita in luogo di
una tantum) rispetto a quello inizialmente concesso ed erogato e, sotto questo
profilo, il punto di impugnazione si appalesa anche, a norma dell'art. 100
c.p.c., carente di interesse ad agire.
L'obbligo per l'amministrazione di modificare la misura del
trattamento pensionistico è sorto quindi in conseguenza di rivalutazione delle
condizioni del pensionato, il quale, avendo ricevuto un trattamento
complessivamente più favorevole, non ha titolo a trattenere l'indennità una
tantum attribuita in un ristretto arco di tempo precedente alla modifica, come
sopra indicato.
Pertanto l'appello, oltre che sotto il profilo del rispetto
dei termini, si mostra infondato anche sotto il profilo dell'invocata buona
fede.
Da ultimo, la doglianza del pensionato riguardante il
recupero al netto dell'indebito previdenziale, anziché al lordo delle ritenute,
deve essere dichiarata inammissibile ai sensi dell'art. 193 del c.g.c., poiché
proposta per la prima volta nel giudizio di appello e non contenuta nel ricorso
introduttivo del giudizio (Corte conti, Sez. app. Sicilia, sent. n. 186/2022).
Per i motivi sopra enunciati, le doglianze svolte
dall'appellante sono infondate e la sentenza impugnata merita di essere
confermata.
Restando assorbite tutte le altre questioni, argomentazioni
ed eccezioni, le quali vengono ritenute non rilevanti ai fini della decisione e
comunque inidonee a sostenere conclusioni di tipo diverso, l'appello va dunque
respinto.
Stante l'assoluta novità della questione trattata, le spese
di lite possono essere compensate.
Non vi è luogo a pronunciarsi sulle spese di giudizio,
trattandosi di materia previdenziale.
P.Q.M.
La Corte dei conti, Sezione Prima Giurisdizionale Centrale
d'Appello, definitivamente pronunciando, respinge l'appello, conferma la
sentenza impugnata e compensa le spese di lite. Nulla per le spese di giudizio.
Manda alla Segreteria per gli adempimenti di competenza.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 13 aprile
2023.
Depositata in Cancelleria il 20 giugno 2023.
Nessun commento:
Posta un commento