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lunedì 22 luglio 2013

Cassazione: Condannato Un Responsabile Del Servizio Di Prevenzione E Protezione




Nuova pagina 1
CONDANNATO UN RESPONSABILE DEL SERVIZIO DI PREVENZIONE E PROTEZIONE PER
NON AVER SEGNALATO UNA SITUAZIONE DI PERICOLO CHE HA PORTATO AD UN
INFORTUNIO MORTALE. SI FA STRADA LA “COLPA PROFESSIONALE” E LA “COLPA
TECNICA” DEL RSPP.
Cassazione Penale Sez. IV - Sentenza n. 15226 del 17
aprile 2007 (udienza 15 febbraio 2007) - Pres. Marini – Rel. Amendola

Cass. pen. Sez. IV, (ud. 15-02-2007) 17-04-2007, n.
15226
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA
DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri
Magistrati:
Dott. MARINI Lionello - Presidente
Dott. ZECCA Gaetano -
Consigliere
Dott. NOVARESE Francesco - Consigliere
Dott. COLOMBO
Gherardo - Consigliere
Dott. AMENDOLA Adelaide - Consigliere
ha
pronunciato la seguente:
SENTENZA/ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
1)
F.M., N. IL (OMISSIS);
avverso SENTENZA del 06/06/2 005 CORTE APPELLO
di FIRENZE;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in
PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dr. AMENDOLA
ADELAIDE;
Udito il Procuratore generale Dott. Tindari Baglione, che ha
chiesto l'annullamento senza rinvio dell'impugnata sentenza;
Uditi per
le parti civili gli avvocati Runfolo Domenico e Giannini Bruna, che
hanno chiesto la conferma della sentenza della Corte d'appello di
Firenze;
Udito per l'imputato l'avvocato LENA Rodolfo, che ha chiesto
l'accoglimento del ricorso.
Fatto - Diritto P.Q.M.
Svolgimento del
processo - Motivi della decisione
1.1 Con sentenza del 1 luglio 2003 il
Tribunale di Grosseto dichiarava F.M., responsabile del servizio di
Prevenzione e Protezione della Azienda USL (OMISSIS) di Grosseto,
colpevole del reato di cui all'art. 113 c.p., e art. 589 c.p., commi 1
e 2 in relazione al decesso, verificatosi il (OMISSIS), di S. N.,
dipendente della ditta Butteroni R. & C., che aveva in appalto i
servizi di confezionamento e di gestione dei carrelli contenenti i
pasti da servire all'interno del Presidio Ospedaliero Misericordia
della città, condannandolo per l'effetto a pena ritenuta di giustizia.
La Semplici si era introdotta, insieme al carrello portavivande,
nell'ascensore e, nel corso della discesa, essendo il carrello finito
contro una sporgenza muraria, era rimasta violentemente schiacciata
contro la parete dalla massa di questo, così morendo per asfissia:
di
tale fatto erano stati originariamente chiamati a rispondere anche il
titolare della ditta appaltatrice, il Direttore Generale e il
Responsabile di zona della USL, nonchè il Responsabile del presidio
ospedaliero, ma solo quest'ultimo, tale T.M. e l'attuale ricorrente, F.
M., erano stati condannati per il reato di omicidio colposo.
1.2
Proposto gravame da parte dell'imputato, la Corte d'appello di Firenze,
con sentenza del 6 giugno 2005 aveva rideterminato la pena inflittagli,
confermando nel resto l'impugnata sentenza.
In motivazione il
giudicante, premesso che, secondo la costante giurisprudenza del
Supremo Collegio, la condotta del lavoratore, in tanto può essere
considerata anomala, e quindi idonea a interrompere il nesso causale,
in quanto sia consistita in un comportamento totalmente estraneo
all'attività lavorativa o, quanto meno, alle mansioni assegnatigli,
osservava, con articolate argomentazioni, che doveva senz'altro
escludersi tale connotazione nella condotta della vittima al momento
del fatto, evidenziando sul punto come la lavoratrice si fosse
introdotta nell'ascensore, insieme al carrello portavivande, dopo che,
essendo salita al piano superiore per svolgervi un'incombenza
affidatale, aveva notato il predetto arnese e aveva pensato di
recuperarlo. In tale contesto, secondo il decidente, poteva al più
parlarsi di una "marginale inosservanza di disposizioni circa le
modalità di svolgimento dell'attività" lavorativa, non mancando di
rimarcare che la struttura teatro dell'infortunio, in quanto abilitata
anche al trasporto delle persone, era un ascensore e non un
montacarichi e che il cartello che poneva il divieto di trasportare
"carrelli e carichi mobili la cui sagoma fuoriesca dal piano di cabina
con ruote in adiacenza ai risalti del pavimento", conteneva una
prescrizione, non solo a prima vista piuttosto ermetica, ma che finiva
per rimettere impropriamente al lavoratore, piuttosto che al datore di
lavoro, una valutazione non agevole, da compiere per giunta di volta in
volta, nella permanenza di una situazione di potenziale pericolosità.
La Corte liquidava poi come paradossale l'assunto che il responsabile
del servizio dì prevenzione e protezione non potesse essere chiamato a
rispondere di delitti colposi contro la vita e l'incolumità,
equivalendo tale affermazione alla negazione dell'esistenza di un
obbligo giuridicamente rilevante di adempiere ai propri compiti.
Ricordato, in proposito l'enucleazione che di tali funzioni faceva il D.
Lgs. n. 626 del 1994, art. 9 osservava che ben potevano condotte
connotate in senso omissivo dar fondamento a responsabilità per reati
colposi.
Quanto all'insussistenza, in capo al responsabile del servizio
di poteri di decisione e di spesa, rilevava che essa non valeva ad
escludere l'esistenza, in ogni caso, di un obbligo di segnalazione
idoneo ad attivare i soggetti muniti delle necessarie possibilità di
intervento, il che avrebbe, secondo ragionevole giudizio
controfattuale, impedito l'evento, determinando l'attivazione del
datore di lavoro. Sosteneva poi che non era condivisibile l'assunto
secondo cui la rilevazione dei fattori di rischio connessi all'uso
dell'ascensore e dei carrelli portavivande incombeva, anzichè sul
responsabile del servizio di prevenzione e protezione dell'azienda
sanitaria, sul responsabile dell'omologo servizio dell'impresa
appaltatrice, della quale la vittima era dipendente, perchè il D.Lgs.
n. 626 del 1994, art. 7 onera il datore di lavoro di un obbligo di
prevenzione antinfortunistica anche in relazione ai lavori affidati,
all'interno dell'azienda, ovvero dell'unità produttiva, ad imprese
appaltatrici o a lavoratori autonomi, segnatamente imponendogli di
cooperare "all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai
rischi sul lavoro incidenti sull'attività lavorativa oggetto
dell'appalto". Evidenziava in proposito che nella fattispecie il
sinistro si era verificato a causa delle caratteristiche di due
dispositivi, l'ascensore e il carrello, appartenenti entrambi
all'azienda ospedaliera; che non aveva rilevanza la circostanza che
nessuno avesse informato il F. della potenziale pericolosità connessa
al loro uso congiunto, perchè spettava allo stesso, in ragione della
carica ricoperta, attivarsi perchè le attività del Presidio ospedaliero
si svolgessero in condizioni di sicurezza; che parimenti non aveva
senso l'assunto secondo cui "il datore di lavoro era già informato del
problema", perchè tale rilievo poteva al più valere per i soggetti in
posizione apicale nella USL nel (OMISSIS), allorchè si erano verificati
altri due sinistri analoghi a quello di cui era rimasta vittima la
Semplici, anche se, fortunatamente, con esiti non letali, non certo per
quelli in carica nell'agosto del 1999, vero essendo piuttosto che
spettava al responsabile del servizio di prevenzione e protezione, in
quanto direttamente onerato della individuazione dei fattori di
rischio, "un'indagine sistematica circa la tipologia e le cause degli
infortuni sul lavoro". 1.3 Avverso tale decisione ha proposto ricorso
per cassazione il difensore di F.M., chiedendone l'annullamento per i
seguenti motivi:
a) violazione di legge penale e di norme rilevanti per
l'applicazione della legge penale; di norme processuali stabilite a
pena di nullità, mancanza e manifesta illogicità della motivazione, ex
artt. 606 c.p.p., lett. b), c) ed e), in relazione all'art. 40 c.p.p.,
comma 1, artt. 41, 113, 589 cod. pen., nonchè al D.Lgs. n. 626 del
1994, artt. 2, 8 e art. 9, lett. a), per avere il giudice di merito,
con motivazione puramente assertiva, disancorata dai dati fattuali e
dalle prospettazioni contenute nei motivi di appello, e quindi, in
definitiva, senza alcuna motivazione, affermato la penale
responsabilità del F. in quanto responsabile del Servizio di
Prevenzione e Protezione dai rischi professionali, benchè a tale carica
non inerissero poteri di spesa e di amministrazione attiva. Il vizio,
ridondante in autentica violazione di norma processuale stabilita a
pena di nullità, e quindi rilevante ex art. 606 c.p.p., lett. c), si
connoterebbe di particolare visibilità nella valutazione della
sussistenza del nesso causale tra la condotta omissiva ascritta al
prevenuto e il sinistro addebitatogli. Ricordati i compiti inerenti
alle funzioni svolte dal prevenuto nell'ambito della Azienda USL
(OMISSIS), alla stregua delle disposizioni dettate dal D.Lgs. n. 626
del 1994, e richiamati i principi enunciati dalle Sezioni Unite del
Supremo Collegio nella sentenza n. 30328 del 2002, e segnatamente
quello in base al quale un certo evento può essere attribuito a una
certa condotta solo quando, nell'ambito di un giudizio controfattuale,
eliminata mentalmente la seconda, si può affermare che il primo non si
sarebbe verificato, sostiene in particolare il ricorrente che a
siffatti criteri valutativi sarebbe venuto meno il giudice a quo. In
maniera affatto apodittica il decidente avrebbe invero ritenuto che
l'ottemperanza all'obbligo di segnalazione sarebbe stata idonea ad
evitare il sinistro, e ciò pur dando contraddittoriamente per scontato
che la pericolosità del montacarichi era a tutti nota - tanto che
quegli stessi organi direttivi, che soli erano titolari di poteri
decisionali in parte qua, avevano ritenuto di scongiurarne i rischi
attraverso l'apposizione di un cartello - e che la Semplici,
introducendosi all'interno dello stesso insieme al carrello, ebbe a
contravvenire alle relative prescrizioni. In tale contesto era pertanto
del tutto implausibile l'assunto che una segnalazione del F. sarebbe
stata idonea a scongiurare l'evento;
b) violazione di legge penale e di
norme processuali stabilite a pena di nullità, mancanza e manifesta
illogicità della motivazione, ex artt. 606 c.p,p., lett. c) ed e), in
relazione agli artt. 43 e 589 cod. pen., art. 125 c.p.p., comma 3 e
art. 546 c.p.p., lett. e), per avere il giudice di merito risolto il
problema dell'elemento soggettivo del reato ascritto all'imputato
"attraverso una sequenza di incomprensibili tautologie". E invero
l'affermazione secondo la quale incombeva al F. farsi carico di
monitorare, anche mediante indagini, i fattori di rischio, non teneva
conto del fatto che il comportamento del responsabile del servizio
protezione è, al pari di qualsiasi altra condotta, soggetto alla regola
della "normale esigibilità" e che, tenuto conto della estensione della
USL n. (OMISSIS), egli veniva in sostanza chiamato a rispondere a
titolo di responsabilità oggetti va, tanto più che la vittima
dell'infortunio era una dipendente della ditta Butteroni R. & C.,
assegnataria di un appalto all'interno del presidio ospedaliero, e che
non era stata neppure dimostrata l'effettiva conoscenza, da parte del
F., dell'intervenuto appalto.
2.1 Osserva la Corte che il nucleo
argomentativo centrale di entrambe le doglianze ruota intorno
all'asserita inidoneità dei compiti e dei poteri connessi alla carica
ricoperta dall'imputato, nell'ambito dell'Azienda USL (OMISSIS), a
radicare una condotta omissiva eziologicamente connessa al sinistro di
cui rimase vittima la lavoratrice e a qualificarla in termini di colpa
penalmente rilevante: niente di operativo, sostiene in sostanza il
ricorrente, avrebbe mai potuto fare il F. per eliminare i rischi
connessi alla particolare conformazione dell'ascensore che fu teatro
del sinistro; una sua segnalazione sarebbe stata in ogni caso inutile,
perchè la pericolosità dello stesso era ben nota al datore di lavoro,
tanto da essere stata evidenziata attraverso l'affissione di un
cartello, alle cui disposizioni la Semplici palesemente contravvenne;
il diretto apprezzamento, da parte dell'imputato, di tutte le
situazioni di rischio esistenti nell'azienda, ivi compresa, dunque,
quella per cui è processo, sarebbe condotta di fatto inesigibile,
considerato che non vi era neppure la prova che egli fosse a conoscenza
dell'esistenza dell'appalto.
2.2 Ritiene il collegio che le censure
muovano da un'interpretazione del disposto del D.Lgs. n. 626 del 1994,
art. 9, e, più in generale, delle regole che presidiano la
responsabilità per condotta omissiva in materia di infortuni sul
lavoro, assolutamente non condivisibile e correttamente disattesa,
pertanto, dal giudice di merito. L'opzione esegetica sottesa al ricorso
postula invero che, laddove non vi siano poteri di amministrazione
attiva in materia di adeguamento dei luoghi di lavoro, e segnatamente
di intervento e di spesa, non possa, perciò solo, esservi
responsabilità per colpa in connessione al verificarsi di un
infortunio, laddove, a giudizio del collegio, salvo verifiche della
situazione fattuale determinatasi in concreto, può al più essere vero
il contrario, e cioè che la presenza di quei poteri sia, in via di
principio, condizione sufficiente, anche se non necessaria, nè tanto
meno esclusiva, perchè operino le norme sull'imputabilità penale.
Con
particolare riguardo alle funzioni che il D.Lgs. n. 626 del 1994, art.
9, riserva al responsabile del servizio di prevenzione e protezione,
l'assenza di capacità immediatamente operative sulla struttura
aziendale non esclude che l'inottemperanza alle stesse - e segnatamente
la mancata individuazione e segnalazione dei fattori di rischio delle
lavorazioni e la mancata elaborazione delle procedure di sicurezza
nonchè di informazione e formazione dei lavoratori - possa integrare
un'omissione "sensibile" tutte le volte in cui un sinistro sia
oggettivamente riconducibile a una situazione pericolosa ignorata dal
responsabile del servizio. Per altro verso, considerata la particolare
conformazione concepita dal legislatore per il sistema
antifortunistico, con la individuazione di un soggetto incaricato di
monitorare costantemente la sicurezza degli impianti e di interloquire
con il datore di lavoro, deve presumersi che, ove una situazione di
rischio venga dal primo segnalata, il secondo assuma le iniziative
idonee a neutralizzarla.
Va anche aggiunto, sempre sul piano esegetico,
che l'operatività della disposizione in commento deve intendersi
estesa, in considerazione del disposto dell'art 7 della medesima fonte,
ai rischi delle lavorazioni cui vanno incontro i dipendenti
dell'appaltatore, se e nella misura in cui è chiamato a rispondere nei
loro confronti il datore di lavoro committente.
2.3 Posto dunque che il
giudice di merito si è mosso nell'ambito di tale pista interpretativa,
che è l'unica aderente alla lettera e allo spirito della norma, oltre
che compatibile con le linee generali dell'ordinamento, non resta che
verificare se sussistano i vuoti e le illogicità motivazionali
denunziati dall'impugnante.
Va a questo punto ricordato che in tema di
sindacato del vizio della motivazione, il giudice di legittimità non è
chiamato a sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai
giudici di merito in ordine all'affidabilità delle fonti di prova,
essendo piuttosto suo compito stabilire - nell'ambito di un controllo
da condurre direttamente sul testo del provvedimento impugnato - se
questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione,
se ne abbiano fornito una corretta interpretazione, dando esaustiva e
convincente risposta alle deduzioni delle parti, se abbiano analizzato
il materiale istruttorio facendo corretta applicazione delle regole
della logica, delle massime di comune esperienza e dei criteri legali
dettati in tema di valutazione delle prove, in modo da fornire la
giustificazione razionale della scelta di determinate conclusioni a
preferenza di altre (confr. Cass. Sez. Un. 29 gennaio 1996, n. 930;
Cass. Sez. 1^, 4 novembre 1999, n. 12496). In tale prospettiva, con
tranquillante uniformità, si afferma che la Corte di cassazione non può
fornire una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento
della decisione di merito, nè può stabilire se questa propone la
migliore ricostruzione delle vicende che hanno originato il giudizio,
ma deve limitarsi a verificare se la giustificazione della scelta
adottata in dispositivo sia compatibile con il senso comune e con i
limiti di una "plausibile opinabilità di apprezzamento" (Cass. n. 465
del 2004).
Orbene, il sindacato sulla motivazione della sentenza
impugnata, condotta in base ai criteri innanzi enunciati, impone di
ritenerla esente da vizi.
Escluso, sulla scorta della prospettiva
ermeneutica innanzi enunciata, che il responsabile del servizio di
prevenzione e protezione, non potesse, in ragione delle funzioni
attribuitegli, essere chiamato a rispondere dell'infortunio, il giudice
di merito è invero pervenuto all'affermazione della responsabilità
dell'imputato all'esito di una valutazione completa e rigorosa del
materiale istruttorio nonchè sulla base di un percorso argomentativo
serrato e coerente, segnatamente risolvendo i nodi essenziali
dell'apprezzamento demandatogli - l'adeguatezza del cartello che
avvertiva dei rischi e la colpevolezza dell'omissione, sotto il profilo
dell'esigibità della condotta positiva -, in maniera conforme alle
regole della logica, a quelle di valutazione probatoria e alle massima
di comune esperienza.
In particolare il carattere decisivo assunto,
nella formazione del convincimento del giudicante, dalla considerazione
che sia l'ascensore che il carrello erano dispositivi di proprietà
dell'USL;
dal rilievo che l'avvertimento espresso nel cartello era
criptico e inadeguato, oltre che impropriamente volto a rimettere al
lavoratore una valutazione di competenza dell'imprenditore; e dalla
invincibile contraddittorietà insita nell'affermazione di avere
ignorato un rischio che pur si assumeva a tutti noto, rientra nei
limiti di quella "plausibile opinabilità di apprezzamento", richiesta
da questa Corte per l'esito negativo dello scrutinio sul vizio
motivazionale. Il rigetto del ricorso si impone dunque. Segue la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè al
rimborso delle spese del grado in favore delle costituite parti civili.
P.Q.M.
La Corte di cassazione rigetta il ricorso e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese processuali. Lo condanna altresì a
rifondere alle parti civili S.G., S.A. e B. S. le spese da loro
sostenute per questo grado di giudizio, spese che liquida unitariamente
in Euro 1.187,050 per ciascuna delle medesime, oltre IVA e CPA. Così
deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 febbraio 2007.
Depositato in Cancelleria il 17 aprile 2007
c.p. art. 589
D.Lgs.
19/09/1994 n. 626, art. 9

 

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