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lunedì 22 luglio 2013
Cassazione: Leasing, chi non paga le rate e si tiene la vettura rischia il carcere Quali che siano le ragioni addotte dal cliente moroso sussistono i presupposti dell'appropriazione indebita quando il contratto sia stato risolto e sia stata chiesta la restituzione del bene
Leasing, chi non paga le rate e si tiene la vettura rischia il carcere
Quali che siano le ragioni addotte dal cliente moroso sussistono i
presupposti dell'appropriazione indebita quando il contratto sia stato
risolto e sia stata chiesta la restituzione del bene
Cass. pen. Sez.
II, (ud. 20-09-2007) 18-10-2007, n. 38604
REPUBBLICA ITALIANA
IN
NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE
SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RIZZO
Aldo - Presidente
Dott. BERNABAI Renato - Consigliere
Dott. MONASTERO
Francesco - est. Consigliere
Dott. TAVASSI Marina Anna - Consigliere
Dott. DAVIGO Piercamillo - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
P.P.;
avverso l'ordinanza con la
quale, in data 20 marzo 2007, il Tribunale di Catanzaro, sezione per il
riesame, rigettava la richiesta di riesame avverso il decreto di
sequestro preventivo emesso dal Giudice per le indagini preliminari
della stessa città in data 2 marzo 2007;
visti gli atti, la ordinanza
impugnata ed il ricorso;
udita, all'udienza in camera di consiglio in
data 20 settembre 2007, la relazione del Consigliere, Dott. Francesco
Monastero;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto
Procuratore Generale, Dott. PASSACANTANDO Guglielmo, che ha concluso
chiedendo il rigetto del ricorso.
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Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
Con ordinanza
pronunciata in data 20 marzo 2007, il Tribunale di Catanzaro, sezione
per il riesame, rigettava la richiesta di riesame avverso il decreto di
sequestro preventivo emesso dal Giudice per le indagini preliminari
della stessa città in data 2 marzo 2007.
Rilevava il Tribunale la
sussistenza del fumus del reato di appropriazione indebita contestato
all'indagato, commesso ai danni della soc. "Finconsumo Banca", atteso
che la stessa società aveva concesso in locazione finanziaria
l'autoveicolo in sequestro e che, a seguito della morosità nel
pagamento dei canoni, il contratto veniva risolto con lettera in data
19 settembre 2006 con richiesta, senza esito, dì restituzione del
veicolo medesimo.
Avverso tale provvedimento ricorre per Cassazione il
difensore dell'indagato deducendo l'erronea applicazione della legge
penale, nonchè la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione
del provvedimento impugnato.
Quanto al primo motivo, osserva il
ricorrente che nella specie si sarebbe verificata una mera controversia
civilistica con conseguente "inammissibilità della querela": peraltro,
prosegue il ricorrente, la diversità del modello dell'auto sequestrata
rispetto a quello indicato nel contratto, avrebbe comportato la nullità
del provvedimento cautelare.
Con il secondo motivo, il ricorrente
deduce di non aver potuto completare i pagamenti dell'autovettura non
solo per la diversità del modello rispetto a quanto concordato ma anche
perchè, medio tempore, era stato ceduto il contratto e il residuo
debito ad altra società e tale cessione non era stata mai notificata
(e, a maggior ragione, mai accettata) da esso ricorrente.
Anche con
l'ultimo motivo il ricorrente deduce l'insussistenza del reato di
appropriazione indebita che presuppone, infatti, il possesso da parte
dell'agente mentre nella specie esso ricorrente era un mero detentore e
locatario del bene in questione.
Motivi della decisione
Il ricorso è
infondato.
Premesso che, per giurisprudenza consolidata, in materia di
misure cautelari reali, e segnatamente di sequestro preventivo, non è
consentito in sede di legittimità verificare in concreto la sussistenza
del fatto-reato ma solo accertare se il fatto contestato sia
configurabile quale fattispecie astratta di reato nei termini di
sommarietà tipici della fase delle indagini preliminari, e che nella
nozione di violazione di legge, per cui soltanto può essere proposto
ricorso per Cassazione, a mente dell'art. 325 c.p.p., comma 1,
rientrano la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di
motivazione meramente apparente (cfr. Cass., sez. un., 28 gennaio 2004,
Terrazzi, ced 226710), nella specie si osserva che la motivazione del
provvedimento impugnato, lungi dal concretare i vizi denunciati
(mancanza o mera apparenza) è del tutto completa, avendo
esaurientemente, e in modo analitico, preso in considerazione gli
elementi di fatto e di diritto sottoposti al vaglio del Tribunale.
Il
provvedimento impugnato ha, in particolare, dopo una compiuta analisi
in fatto della fattispecie portata al suo esame, ritenuto sussistente
la condotta appropriativa contestata dal pubblico ministero, in
considerazione del fatto che la querelante aveva concesso in locazione
finanziaria il mezzo in sequestro e che, a seguito della morosità dei
canoni, il contratto era stato risolto con richiesta, senza esito, di
restituzione del bene: in altri termini, nonostante la morosità e
nonostante la puntuale richiesta della società, il ricorrente non aveva
restituito il bene, utilizzandolo uti dominus.
Alla luce di tale
quadro fattuale, a nulla rileva la circostanza, dedotta dal ricorrente,
di aver pagato un gran numero di rate del leasing convenuto con la
querelante o, ancora, la circostanza relativa alla contestazione circa
il modello dell'autovettura medesima o, ancora, la asserita avvenuta
cessione del debito.
La circostanza di aver pagato un gran numero di
rate, infatti, da un lato, induce a ritenere che il contratto era stato
portato a compimento senza che vi fossero state contestazioni di sorta
(delle quali, infatti, non c'è alcuna traccia in atti) e, dall'altro,
che, in ogni caso, anche eventuali contestazioni (delle quali,
ripetesi, non v'è traccia) non avevano certo inciso sulla esecuzione
del contratto.
Quanto alla asserita cessione del contratto, questo
collegio rileva la inammissibilità del motivo: trattasi, invero, di
mera riproposizione della questione già prospettata in ordine alla
quale il Tribunale ha esaurientemente risposto rilevando che "dagli
atti non emerge alcuna cessione del contratto tra due diverse società
ma solo il cambio di denominazione della medesima parte creditrice".
Quanto, infine, all'ultimo motivo, questo collegio osserva che il reato
di appropriazione indebita rimane integrato dalla mera interversione
del possesso e che il possesso agli effetti penali è integrato anche da
una mera detenzione qualificata consistente nell'esercizio sulla cosa
di un potere di fatto esercitato al di fuori della sfera di
sorveglianza del titolare.
Ne consegue che, nel caso di specie, la
condotta appropriativa è consistita nella ritenzione del veicolo
nonostante la risoluzione del contratto di leasing e la richiesta di
restituzione del bene.
Nè può essere legittimamente invocata la
sentenza Vollero (Cass., sez. 2, 25 gennaio 2002), richiamata dal
ricorrente, che ha fatto corretta applicazione dei principi di diritto
elaborati dalla giurisprudenza di legittimità sui limiti in cui la
compensazione del proprio credito con l'altrui debito può rendere
lecita la condotta appropriativa del detentore.
In tale sentenza si è,
infatti, semplicemente affermato che l'omessa restituzione della cosa
non realizza l'ipotesi di reato di cui all'art. 646 c.p., se non quando
si ricollega, oggettivamente, ad un atto di disposizione uti dominus e,
soggettivamente, all'intenzione di convenire il possesso in proprietà;
ne deriva che la semplice ritenzione precaria, attuata a garanzia di un
preteso diritto di credito, conservando la cosa a disposizione del
proprietario, e condizionando la restituzione all'adempimento della
prestazione cui lo si ritiene obbligato, non costituisce appropriazione
perchè non modifica la natura del rapporto giuridico fra il bene e la
cosa (sez. 2, 27.5.1981, Giampaoli, 150663/4).
Viceversa, nel caso
sottoposto all'attenzione di questa Corte, non vi era alcun credito
(certo, liquido ed esigibile) che veniva fatto valere per una eventuale
compensazione, di talchè la omessa restituzione della cosa, nonostante
la risoluzione del contratto e la richiesta di restituzione, non può
ritenersi semplice "ritenzione precaria", ma condotta che ha
sicuramente modificato il rapporto tra il detentore e il bene, con
conseguente interversione del titolo del possesso e configurabilità del
reato contestato.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il
ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 20 settembre 2007.
Depositato in Cancelleria
il 18 ottobre 2007
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