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domenica 1 dicembre 2013

Cassazione: Guardie giurate armate per la "security" di un convegno? Il questore va informato È sua, infatti, la supervisione. Multa confermata per il titolare di un istituto di vigilanza che aveva "presidiato", senza notificarlo, un avvenimento pubblico cui era presente un uomo politico del quale era consigliere per il settore "guardie private"




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Guardie giurate armate per la "security" di un convegno? Il questore va informato
È sua, infatti, la supervisione. Multa confermata per il titolare di un istituto di vigilanza che aveva "presidiato", senza notificarlo, un avvenimento pubblico cui era presente un uomo politico del quale era consigliere per il settore "guardie private"
 
Cass. pen. Sez. I, (ud. 08-02-2008) 17-03-2008, n. 11822
Fatto Diritto P.Q.M.

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 2 ottobre 2006 il Tribunale di Arezzo, in composizione monocratica, dichiarava F.M. responsabile del reato di cui al R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 17, in relazione aL R.D.L. 12 novembre 1936, n. 2144, artt. 1 e 6 e, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, lo condannava alla pena di Euro centocinquanta di ammenda.
A F. era contestato di avere, nella sua qualità di rappresentante della s.p.a. "Telecontrol", contravvenuto al regolamento di servizio per gli istituti di vigilanza privata della provincia di Arezzo, emesso dal Questore di Arezzo, omettendo di comunicare l'ordine di servizio del personale appartenente all'istituto di vigilanza, con la specificazione dei compiti assegnati ad ogni singolo, predisposto in occasione della visita ad Arezzo del Ministro G..
Il Tribunale riteneva provata la responsabilità dell'imputato - legale rappresentante della s.p.a. "Telecontrol", nonchè consigliere, per i problemi delle guardie giurate, dell'on.le G.M., all'epoca Ministro delle telecomunicazioni, e responsabile nazionale del dipartimento sicurezza del partito denominato "Alleanza Nazionale" - sulla base della deposizione del dott. S., Vice-Questore in Arezzo, responsabile dell'ordine pubblico in occasione della manifestazione svoltasi presso il teatro Tetrarca alla presenza del Ministro G..
Il funzionario riferiva della presenza di personale della predetta società in divisa e armato sia all'interno che all'esterno del teatro al dichiarato scopo di svolgere un servizio di ordine pubblico predisposto da F..
Ad avviso del giudice di merito, ai sensi del combinato disposto del R.D. n. 2144 del 1936, artt. 17, 6 e 1 gli istituti di vigilanza privata, costituiti ex R.D. n. 773 del 1973, art. 134, che prestano opera per conto di privati e, come quello in esame, abbiano alle loro dipendenze non meno di venti guardie giurate, dipendono dal Questore che ne vigila pure l'ordinamento e a cui è riservata, in via esclusiva, la tutela dell'ordine pubblico.
2. Avverso la citata sentenza ha proposto ricorso per Cassazione, tramite il difensore di fiducia, F., il quale lamenta: 1) contraddittorietà e illogicità della motivazione, tenuto conto: a) delle dichiarazioni rese dall'imputato, dalle quali emergeva lo svolgimento di un semplice servizio di rappresentanza; b) della valutazione solo di una parte della testimonianza del Dott. S., che aveva escluso lo svolgimento di qualsiasi forma effettiva di ordine pubblico da parte dei dipendenti della società privata; c) della circostanza che la disponibilità del porto d'armi consente agli agenti di portare con sè l'arma anche fuori dal servizio; d) del contenuto della deposizione di F.M., il quale riferiva che l'imputato era presente alla manifestazione in qualità di coorganizzatore della stessa; 2) erronea applicazione della legge penale, avuto riguardo alla facoltà dei dipendenti della società di portare armi anche fuori dal servizio e al contenuto dell'art. 15 del regolamento emesso dal Questore di Arezzo in base al quale i responsabili di un istituto di vigilanza hanno solo l'obbligo di comunicare al Questore l'ordine di servizio, ma non di chiedere la preventiva autorizzazione; 3) violazione di legge per omessa assunzione di una prova decisiva, quali le testimonianze degli on.li G. e A..

Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato.
1. Con riferimento al primo motivo e al terzo motivo di doglianza occorre premettere che, alla luce della nuova formulazione dell'art. 606 c.p.p., lett. e), novellato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve essere volto a verificare che la motivazione della pronunzia: a) sia "effettiva" e non meramente apparente, ossia realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata;
b) non sia "manifestamente illogica", in quanto risulti sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell'applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente contraddittoria, ovvero sia esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente "incompatibile" con "altri atti del processo" (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso per Cassazione) in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico (Cass., Sez. 6, 15 marzo 2006, Casula). Non è, dunque, sufficiente che gli atti del processo invocati dal ricorrente siano semplicemente "contrastanti" con particolari accertamenti e valutazioni del giudicante o con la sua ricostruzione complessiva e finale dei fatti e delle responsabilità nè che siano astrattamente idonei a fornire una ricostruzione più persuasiva di quella fatta propria dal giudicante.
Ogni giudizio, infatti, implica l'analisi di un complesso di elementi di segno non univoco e l'individuazione, nel loro ambito, di quei dati che - per essere obiettivamente più significativi, coerenti tra loro e convergenti verso un'unica spiegazione - sono in grado di superare obiezioni e dati di segno contrario, di fondare il convincimento del giudice e di consentirne la rappresentazione, in termini chiari e comprensibili, ad un pubblico composto da lettori razionali del provvedimento. E', invece, necessario che gli atti del processo richiamati dal ricorrente per sostenere l'esistenza di un vizio della motivazione siano autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione sia in grado di disarticolare l'intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione (Cass., Sez. 6, 15 marzo 2006, Casula).
Il giudice di legittimità è, pertanto, chiamato a svolgere un controllo sulla persistenza o meno di una motivazione effettiva, non manifestamente illogica e internamente coerente, a seguito delle deduzioni del ricorrente concernenti "atti del processo". Tale controllo, per sua natura, è destinato a tradursi - anche a fronte di una pluralità di deduzioni connesse a diversi "atti del processo" e di una correlata pluralità di motivi di ricorso - in una valutazione, di carattere necessariamente unitario e globale, sulla reale "esistenza" della motivazione e sulla permanenza della "resistenza" logica del ragionamento del giudice. Al giudice di legittimità resta, infatti, preclusa, in sede di controllo sulla motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice di merito, perchè ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Queste operazioni trasformerebbero, infatti, la Corte nell'ennesimo giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai giudici di merito (a cui le parti non prestino autonomamente acquiescenza) rispetti sempre uno standard di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l'iter logico seguito dal giudice per giungere alla decisione.
Esaminata in quest'ottica la motivazione della sentenza impugnata si sottrae alle censure che le sono state mosse, perchè il provvedimento impugnato, con motivazione esente da evidenti incongruenze o da interne contraddizioni, ha illustrato, con puntuale richiamo alle risultanze processuali le ragioni poste a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato. Ha, infatti, evidenziato che dalla testimonianza del vice-Questore dott. S. e dalle stesse ammissioni dell'imputato emerge in maniera indubbia che F., legale rappresentante dell'istituto di vigilanza privata "Telecontrol", composto da più di venti guardie giurate e, in quanto tale, alle dipendenze del Questore per i profili attinenti al servizio soggetto ebbe ad inviare personale in divisa e armato presso il teatro (OMISSIS) di (OMISSIS), allo scopo di ivi svolgere un servizio di ordine pubblico - di cui era stata omessa qualsiasi preventiva comunicazione al Questore - in occasione di una manifestazione pubblica in cui era previsto anche l'intervento del Ministro pro tempore delle telecomunicazioni, on.le G. M..
La sentenza ha, altresì, spiegato i motivi per i quali gli accertamenti svolti e la testimonianza resa dal dott. S. non consentono di suffragare, pure alla luce delle dichiarazioni rese da M.M., impiegata amministrativa della s.p.a.
"Telecontrol", la versione difensiva fornita dall'imputato, secondo cui il personale dell'istituto, il giorno del fatto, svolgeva funzioni di mera rappresentanza ed era presente presso il teatro (OMISSIS) per ragioni estranee al servizio. In questo contesto appaiono irrilevanti le ulteriori deduzioni difensive circa la legittimità della detenzione e del porto delle armi da parte delle guardie giurate e le plurime motivazioni sottese alla presenza di F., in occasione della manifestazione pubblica.
Non sussiste neppure la dedotta violazione di legge per quanto attiene alla revoca dell'ordinanza ammissiva delle prove (testimonianze degli on.li G. e A.) richieste dalla difesa, avendo il giudice illustrato le ragioni per le quali l'escussione dei predetti testi appariva superflua e irrilevante, avuto riguardo alla natura del reato contestato, ai suoi elementi costitutivi e alle risultanze delle numerose altre dichiarazioni rese dai testi M., B., N., Me., No., tutte concernenti i medesimi profili di fatto in ordine ai quali avrebbero dovuto essere sentiti i due parlamentari, peraltro in grado di riferire unicamente de relato in merito alle circostanze apprese da F..
2. Manifestamente infondato è anche il secondo motivo di ricorso.
Ai sensi del R.D. 12 novembre 1938, n. 2144, art. 1, gli istituti di vigilanza privata, costituiti ai sensi del (T.U.L.P.S.), R.D. n. 773 del 1973, art. 134, costituiti da un numero minimo di venti dipendenti e deputati a svolgere attività di vigilanza o custodia di proprietà mobiliari o immobiliari per conto di privati, sono posti, per quanto riguarda il servizio, alle dipendenze del Questore, che ne vigila pure l'ordinamento. Il Questore, quando lo ritenga opportuno, ha facoltà di sottoporre alla disciplina di cui al R.D. n. 2144 del 1936 anche gli istituti che abbiano meno di venti guardie giurate.
Il citato R.D. n. 2144 del 1936, art. 6, stabilisce che le infrazioni al decreto sono punite ai sensi del R.D. n. 773 del 1973, art. 17 (T.U.L.P.S.), approvato con R.D. 18 giugno 1931, n. 773.
In attuazione di tale rapporto organico di dipendenza, finalizzato al doveroso coordinamento tra attività istituzionali di ordine pubblico e forme di vigilanza privata, l'art. 15 del regolamento di servizio emanato per gli istituti di vigilanza privata della provincia di Arezzo prevede che i responsabili degli istituti di vigilanza comunichino giornalmente al Questore l'ordine di servizio del personale impiegato nei turni con la specificazione dei compiti assegnati a ciascuno.
Ne consegue che integra il reato previsto dal R.D. 12 novembre 1936, n. 2144, artt. 1 e 6 e R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 17 l'omessa comunicazione all'autorità di pubblica sicurezza; da parte del responsabile di un istituto di vigilanza privata con almeno venti dipendenti, dei turni di servizio del personale e dei rispettivi compiti.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di prova circa l'assenza di colpa nella proposizione dell'impugnazione (Corte Cost., sent. n. 186 del 2000), al versamento della somma di Euro mille alla cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro mille alla cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, nella Pubblica udienza, il 8 febbraio 2008.
Depositato in Cancelleria il 17 marzo 2008

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