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Cass. civ. Sez. lavoro, 18-03-2008, n. 7295
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Svolgimento del processo
Il
signor @@@. ha convenuto in giudizio la società @@@ Italy s.p.a., alle
cui dipendenze aveva lavorato dal 1985 al 2002, per impugnare il
licenziamento per giusta causa irrogatogli il (OMISSIS), con le
conseguenze reintegratorie e risarcitorie.
Esponeva
che prima del licenziamento gli erano state contestate una serie di
irregolarità relative, tra l'altro, a spese effettuate con la carta di
credito aziendale, cui erano seguiti due provvedimenti disciplinari
conservativi, impugnati davanti ad un collegio arbitrale, che aveva
ridotto la sanzione irrogata con il primo e confermato il secondo.
Successivamente
gli erano state contestate altre irregolarità relative ad acquisti di
carburante, e a seguito di queste ultime era stato intimato il
licenziamento per giusta causa. Premesso questo, il D. impugnava i lodi
arbitrali, per mancanza di motivazione ed il licenziamento per mancanza
di giusta causa e per violazione del criterio della proporzionalità,
genericità ed intempestività della contestazione. Il primo giudice
respingeva l'impugnazione dei lodi arbitrali; concludeva, invece, per
l'illegittimità del licenziamento, contenendo in cinque mensilità
l'indennità risarcitoria. Con sentenza n. 784/04, in data 19 maggio -
primo giugno 2004, la Corte d'Appello di Torino andava parzialmente in
contrario avviso.
Riteneva,
infatti, che il datore di lavoro fosse decaduto dal potere
disciplinare, e, di conseguenza, in accoglimento dell'appello
incidentale del D., dichiarava l'illegittimità del licenziamento che gli
era stato intimato, e condannava la società a corrispondergli una
indennità commisurata alle retribuzione globale di fatto maturate a
partire dal licenziamento, con gli accessori.
Riteneva, invece, che non dovesse essere esaminata l'impugnazione principale della @@@.
Avverso
la sentenza di appello, che non risulta notificata, la società @@@
Italy s.p.a. ha proposto ricorso per Cassazione, con tre motivi di
impugnazione, notificata, in termine, il 6 maggio 2005.
Resiste l'intimato D. con controricorso, notificato, in termine, il 14 giugno 2005.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Motivi della decisione
1.
Con il primo motivo di impugnazione la società ricorrente lamenta
l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto
decisivo della controversia. Secondo il ricorrente sussisteva una netta
differenza, due situazioni distinte, quella a monte e quella a valle
della contestazione disciplinare.
Nella
prima il dipendente si trovava in una situazione di incertezza
sull'esercizio del potere disciplinare da parte del datore di lavoro, e
perciò era giustificata una particolare tutela del dipendente a
protezione sia della certezza dei rapporti giuridici, sia del diritto di
difesa del lavoratore, e di conseguenza che potesse operare una
decadenza convenzionale.
Nella seconda, invece, questi interessi erano venuti meno.
Il datore di lavoro aveva già fatto la sua scelta.
Il ragionamento della sentenza in proposito non poteva considerarsi completo e coerente.
2. Con il secondo motivo di impugnazione la società denunzia la violazione e falsa applicazione dell'art. 1362 c.c.
e segg., in relazione all'art. 68 del CCNL delle industrie alimentari
del primo giugno 1999, nonchè l'omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione su punto decisivo della controversia.
Critica
l'interpretazione data a questa normativa dalla Corte d'Appello secondo
cui la norma contrattuale collettiva, nel disporre che i provvedimenti
disciplinari dovessero essere irrogati entro trenta giorni dal
ricevimento delle giustificazioni, prevedesse un termine perentorio.
Il testo, invece, non assegnava alcuna conseguenza all'inosservanza del termine.
3. Con il terzo motivo la ricorrente denunzia l'omessa ed insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia.
Da
un lato la Corte d'Appello aveva affermato che l'esito delle due
procedure arbitrali anteriori alla contestazione cui si riferisce questa
controversia poteva rilevare ai fini della recidiva e, dall'altro lato,
invece, che il datore di lavoro avrebbe errato nell'attendere l'esito
delle procedure arbitrali. Il giudice non aveva tenuto conto delle
circostanze in cui si trovava il datore di lavoro al tempo
dell'esercizio del diritto, vaie a dire in presenza di un giudizio
arbitrale pendente, il cui esito sarebbe stato decisivo per determinare
la sanzione da applicare ai dipendente per una nuova infrazione commessa
successivamente.
4. Il ricorso non è fondato.
E' infondato, innanzi tutto il primo motivo.
Le considerazioni svolte dalla ricorrente sono generiche e non risolutive.
Se
è vero che prima della contestazione disciplinare è giustificata una
particolare tutela del lavoratore, e perciò la possibile esistenza di
termini perentori per l'inizio dell'azione disciplinare, anche dopo la
contestazione, e la presentazione da parte del dipendente delle proprie
giustificazioni, una simile tutela, e perciò, ancora una volta,
l'esistenza di termini perentori, può essere ugualmente giustificata
perchè, dopo un certo termine, il predetto potrebbe ritenere le sue
giustificazioni accettate e l'azione disciplinare non proseguita.
La
materia, in realtà, è regolata dai contratti collettivi di lavoro, che
sono contratti di diritto privato stipulati dalle parti collettive:
spetta a loro stabilire, nella mediazione delle diverse posizioni e dei
contrapposti interessi, se debbano esserci, o meno, dei termini per
l'inizio, la prosecuzione e la definizione dell'azione disciplinare, e
quali.
5. Il secondo motivo è parzialmente inammissibile, e comunque infondato.
E'
parzialmente inammissibile là dove denunzia la violazione e la falsa
applicazioni di norme contrattuali collettive. Il ricorso è stato
proposto contro una sentenza depositata nel giugno del 2004, e perciò
non è applicabile la nuova formulazione dell'art. 360 c.p.c., n. 3, introdotta dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 2,
che estende l'ambito della ricorribilità per Cassazione alla violazione
o falsa applicazione dei contratti collettivi nazionali di lavoro, ma
si applica soltanto ai ricorsi proposti avverso le sentenze e gli altri
provvedimenti dopo l'entrata in vigore del decreto medesimo.
L'interpretazione
dei contratti collettivi è riservata al giudice del merito, e perciò
non può essere oggetto di ulteriore esame in questa fase di legittimità,
se non sotto il profilo del vizio di motivazione e/o della violazione
delle regole ermeneutiche.
Il motivo, in ogni caso, è anche infondato.
Non sussiste vizio di motivazione, perchè quella della Corte d'Appello di Torino appare adeguata.
La
sentenza riporta il termine (di trenta giorni dal momento in cui sono
pervenute le giustificazioni del lavoratore) indicato dalla norma
contrattuale, e ne fornisce una interpretazione logica.
In realtà il punto contestato dalla società @@@ è il carattere perentorio del termine.
Per
la verità la Corte d'Appello lo considera presupposto una volta che il
termine era indicato, ma questo non significa che fosse tenuta a
motivare più ampiamente.
La
ricorrente contesta questa interpretazione, ma la sua critica non è
convincente, se non altro perchè non indica una spiegazione alternativa
dell'inserimento del termine all'interno del testo contrattuale.
La
ricorrente non contesta che nel testo fosse contenuto il termine, ma
sostiene che non era previsto alcun tipo di conseguenza in caso di
inosservanza di esso.
In
realtà in qualsiasi scritto, e tanto più in un testo destinato ad
assumere valore legale, come quello in questione che è parte di un
contratto collettivo nazionale di lavoro, fino a prova contraria ogni
singola locuzione ha un suo specifico significato.
L'indicazione
di un termine per il compimento di un'attività giuridicamente rilevante
non rientra tra le cosiddette clausole di stile, e neanche la
ricorrente lo afferma.
Perciò deve avere, nel contesto di riferimento, una qualche conseguenza.
Nel
caso di specie, nell'ambito di quel contesto, non appaiono ipotizzabili
conseguenze diverse da quello dell'obbligo di procedere a quella
specifica attività entro il termine di esso, e della decadenza da tale
potestà se l'attività non viene posta in essere entro il termine.
Nè la stessa ricorrente indica conseguenze alternative possibili.
Risulta
dimostrata così, a contrario, la perentorietà del termine, e con
riferimento specifico al motivo d'impugnazione, l'infondatezza
dell'argomentazione della ricorrente.
6. Il terzo motivo è anch'esso infondato.
Può
essere vero che la datrice di lavoro avesse un certo interesse pratico
alla definizione in sede arbitrale delle precedenti contestazioni
disciplinari per addebiti del medesimo genere prima di procedere
all'irrogazione della sanzione per l'episodio che ha dato origine al
licenziamento, ma è un dato di fatto - non contestato dalla ricorrente
stessa che non allega il contrario - che il contratto collettivo non
prevedeva la sospensione del procedimento disciplinare in ipotesi di
questo genere.
Questo significa, inevitabilmente, che quell'interesse specifico non era tutelato.
D'altra
parte la pendenza dei giudizi arbitrali per i fatti precedenti non
impediva l'irrogazione delle sanzioni, licenziamento compreso, per i
fatti successivi.
In particolare la ricorrente non allega che il licenziamento potesse essere irrogato soltanto in caso di recidiva.
D'altra
parte, fino a quando non fossero state annullate da un collegio
arbitrale (oppure da un giudice ordinario), le precedenti sanzioni
rimanevano in essere.
Perciò
la datrice di lavoro avrebbe potuto tenerne conto come precedenti ai
fini della recidiva nell'adozione del nuovo provvedimento disciplinare,
salvo essere tenuta a ridurre l'entità della sanzione in caso di mancata
conferma di quelle precedenti, oppure prevedere fin dall'inizio quale
sarebbe stata la riduzione nel caso di mancata conferma dei precedenti,
oppure non menzionarli affatto.
In
sostanza l'esercizio del potere disciplinare per il fatto successivo
poteva incontrare modeste difficoltà pratiche, ma non era impedito, nè
reso eccessivamente difficile.
7. In conclusione dunque il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
Nel corso del giudizio sono succedute decisioni di contenuto opposto:
quest'alternanza
di valutazioni è indice delle oggettive difficoltà delle questioni
trattate, e costituisce perciò giustificato motivo per la compensazione
delle spese.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e compensa le spese.
Così deciso in Roma, il 19 dicembre 2007.
Depositato in Cancelleria il 18 marzo 2008
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