LAVORO (RAPPORTO)
Cass. civ. Sez. lavoro, 26-01-2009, n. 1832
Cass. civ. Sez. lavoro, 26-01-2009, n. 1832
Svolgimento del processo
Con
ricorso depositato in data 27 dicembre 2001 A.G., C.M. e P.D. premesso
di avere lavorato alle dipendenze della RAI con mansioni di operatore di
ripresa, adivano il Tribunale di Roma. Riferivano che avevano percepito
sino al (OMISSIS) una indennità contrattuale denominata "indennità
mancata limitazione e variabilità orari di lavoro", pari al 25% dello
stipendio individuale e del 25% della contingenza. Tale indennità
introdotta dal contratto collettivo per il personale addetto alle
riprese televisive della RAI dal (OMISSIS), in considerazione delle
caratteristiche della prestazione, era stata poi migliorata dal
contratto collettivo del 1980 e da quelli successivi, che l'avevano
agganciata automaticamente al variare dello stipendio individuale e
della contingenza mentre prima era in cifra fissa. In data (OMISSIS) tra
la RAI ed alcune organizzazioni sindacali era stata stipulata una
ipotesi immodificabile di rinnovo del contratto collettivo del 6 aprile
1995, che prevedeva l'individuazione di una nuova indennità pari all'8%
dello stipendio individuale e della indennità di contingenza, con
riconoscimento mensile a titolo di forfait straordinario di un importo
teorico (congelato a tale data ed esclusa dalle mensilità aggiuntive),
derivante dalla differenza tra l'ammontare delle indennità
precedentemente previste e della indennità dell'8%.
Tale
accordo non era stato sottoscritto da diverse organizzazioni sindacali
quali lo SNATER, mentre i sindacati firmatari il 28 giugno 2001 avevano
sottoscritto un verbale secondo il quale - sino alla definizione della
nuova normativa sulle maggiorazioni - al personale precedentemente
regolamentato dall'art. 12 lettera a) del c.c.n.l. 6 aprile 1995 avrebbe
dovuto essere mantenuto, nella base di calcolo delle citate
disposizioni, il 25% di stipendio e contingenza. Anche i successivi
accordi erano stati rifiutati e contestati dallo SNATER ed i lavoratori
avevano comunicato il loro dissenso alla datrice di lavoro ma la RAI -
contraddicendo anche l'accordo del 28 giugno 2001 - aveva
sostituito "l'indennità mancata limitazione e variabilità orari di
lavoro" con la inferiore indennità denominata "indennità mancata
limitazione dell'orario di lavoro", commisurata all'8%, pur permanendo
la peculiarità delle prestazioni professionali degli operatori di
ripresa e, dall'(OMISSIS), agli operatori di ripresa di secondo livello
aveva attribuito la differente e non equiparabile "indennità di maggiori
prestazioni”. Deducevano ancora i ricorrenti che le clausole
contrattuali dell'8 giugno 2000 e successive erano illegittime in quanto
- in difetto di uno specifico mandato - il contratto collettivo non
poteva incidere su diritti sorti a favore delle parti del rapporto
lavorativo in virtù di un precedente contratto collettivo.
Tutto
ciò premesso i ricorrenti chiedevano che fosse dichiarata la
illegittimità e/o inapplicabilità delle clausole collettive dell'8
giugno 2000 e successive, avendo essi diritto a conservare la precedente
indennità pari al 25% di stipendio e contingenza, e per l'effetto che
la RAI fosse condannata al relativo ripristino dal 1 luglio 2001, e con
il pagamento di ogni arretrato e risarcimento del danno nello importo di
Euro 9.681.350 (pari ad Euro 5.000,00) ovvero al diverso importo
ritenuto di giustizia, con accessori di legge.
Costituitosi
il contraddittorio, la RAI chiedeva il rigetto del ricorso e spiegava
riconvenzionale condizionata, chiedendo che venissero condannati i
ricorrenti alla restituzione di quanto percepito nella vigenza dell'accordo dell'8 giugno 2000
a titolo di indennità di mancata limitazione orario di lavoro nonchè di
compenso straordinario, trattandosi di attribuzioni patrimoniali
trovanti causa nelle clausole del contratto collettivo di cui si era
chiesta la caducazione.
Il Tribunale rigettava
il ricorso e condannava i ricorrenti al pagamento delle spese del
giudizio. A seguito di gravame dei lavoratori la Corte d'appello di Roma
con sentenza del 12 ottobre 2005 rigettava il gravame e compensava le
spese. Nel pervenire a tale decisione la Corte Territoriale osservava
che gli attuali ricorrenti, tutti operatori di ripresa, si erano visti
attribuire contestualmente alla predetta qualifica - le indennità
contrattuali di cui agli artt. 12 e 24 del contratto di categoria ovvero
"l'indennità mancata limitazione e variabilità orari di lavoro" e
l'indennità maggiori prestazioni (art. 12) nonchè un rimborso
forfettario per il vestiario (art. 24). Nel contratto collettivo era poi
specificamente previsto che essi ricorrenti ricevevano una indennità
pari al 25% dello stipendio individuale e della indennità di contingenza
e che tale indennità era computabile nella retribuzione ed agli effetti
del t.f.r., delle ferie, dei permessi retribuiti, delle mensilità
aggiuntive ed assorbiva le maggiorazioni ed i compensi previsti dagli
artt. 10, 14, 15 e 17 del contratto stesso, ovvero quanto atteneva
all'orario di lavoro (art. 10), la variabilità turni (art. 14), il
riposo settimanale (art. 15) nonchè il lavoro straordinario festivo,
lavoro notturno e domenicale (art. 17).
Successivamente
con l'accordo di rinnovo dell'8 giugno 2000 - sottoscritto dalla
SLC-CGIL, FISTEL-CISL ed UILSIC-UIL - le parti sociali avevano convenuto
di unificare le indennità del 33% e del 25% lettera a) attraverso
l'individuazione di una nuova indennità pari all'8% della stipendio
individuale e della indennità di contingenza, fermi restando i compensi
previsti dal contratto nuovo sul "lavoro straordinario, festivo,
domenicale e notturno" in rapporto alle ore effettivamente prestate,
quello previsto di "variabilità turni" e le maggiorazioni di cui agli
articoli "orario di lavoro" e "riposo settimanale", precisando al punto
2, che la indennità era computabile nella retribuzione agli effetti del
tfr, ferie, permessi retribuiti, mensilità aggiuntive ed assorbiva anche
l'indennità di laboratorio. Al punto 6 dell'accordo si precisava anche
che a coloro che percepivano il trattamento di cui all'art. 12 lettera
a) e 13 del contratto collettivo del 1995 veniva riconosciuto
mensilmente a titolo di forfait straordinario (che assorbiva sino a
concorrenza il lavoro straordinario reso ad eccezione del lavoro
effettuato nella c.d. "sesta giornata"), l'importo teorico alla data di
sottoscrizione del contratto collettivo, derivante dalla differenza tra
l'ammontare individuale delle indennità precedentemente previste e
quello della indennità dell'8%. In data 24 maggio 2001 le parti sociali
avevano convenuto di sospendere il termine di applicazione del nuovo
contratto (1 luglio 2001) e di erogare una anticipazione dei benefici
economici derivanti dalla applicazione del nuovo contratto, ed il 28
giugno 2001 avevano convenuto di fare decorrere l'efficacia temporale
del contratto 1 luglio 2001, ferma restando la scadenza, per la parte
retributiva, alla data del 31 dicembre 2001 e, per la parte normativa,
alla data del 31 dicembre 2003, con erogazione di una somma complessiva,
comprensiva della anticipazione, per il periodo 1 luglio 2000 - 30
giugno 2001.
Orbene il contratto contestato
non poteva considerarsi in contrasto con la normativa legale In materia
di orario, perchè detta disciplina prevede che per alcune tipologie di
lavoratori - quali i teleoperatori di ripresa - non vi erano le
limitazioni di orario di cui al R.D.L. 15 marzo 1923, n. 692, artt. 1 e 3,
sicchè era principio consolidato che a detti lavoratori poteva
riconoscersi lo straordinario solo se le norme collettive delimitavano
comunque la durata della prestazione lavorativa o se tale durata
eccedeva i limiti della ragionevolezza in rapporto della tutela della
salute. Ma i lavoratori non avevano indicato nell'atto introduttivo
della lite il superamento di tali limiti. Inoltre i lavoratori non
potevano neanche invocare diritti acquisiti in forza della precedente
contrattazione collettiva, perchè tali diritti ben potevano essere
cadutati da un successivo contratto e perchè, in ogni caso, non poteva
del nuovo contratto essere contestata soltanto la parte peggiorativa ed
accettata invece quella migliorativa in termini retributivi, introdotta
per altri istituti, dovendo tutte le parti del contratto collettivo
considerarsi inscindibili.
Ed infine nel caso di specie non era intervenuta nessuna violazione del disposto dell'art. 2103 c.c.,
perchè le parti negoziali avevano convenuto di garantire comunque la
differenza tra l'indennità del 25% e quella dell'8% nella misura
raggiunta alla data di entrata in vigore del nuovo accordo, con la
conseguenza che nessuna diminuzione globale si era verificata,
riguardando la nuova disciplina solo gli aumenti successivi. Nè sotto
altro versante poteva sostenersi che il trattamento del nuovo contratto
veniva a violare i principi della sufficienza ed adeguatezza di cui all'art. 36 Cost., non valendo tale disposizione a tutelare le singole componenti della retribuzione.
Avverso tale decisione i lavoratori propongono ricorso per cassazione, affidato a nove motivi, illustrati con memoria.
Resiste con controricorso la RAI, che spiega anche ricorso incidentale condizionato.
I lavoratori hanno proposto controricorso al ricorso incidentale.
Motivi della decisione
Ai sensi dell'art. 335 c.p.c., il ricorso principale e quello incidentale vanno riuniti perchè proposti avverso una stessa sentenza.
Con
il primo motivo del ricorso principale i lavoratori denunziano vizio di
motivazione su un punto decisivo della controversia, lamentando che il
giudice d'appello non ha tenuto conto che essi percepivano già le
"maggiorazioni" per lavoro "notturno", "festivo", "domenicale" e per
"variazione turni", tutto ciò in aggiunta alla loro "indennità"
contrattuale del 25% e proprio nella vigenza anche della contrattazione
collettiva del 1995, e sino al 1 luglio 2001, data di applicazione della
contesta reformatio in peius, oggetto della controversia.
Con il secondo motivo i ricorrenti denunziano vizio di motivazione e violazione del R.D. 6 dicembre 1923, n. 2657 e R.D. 28 aprile 1938, n. 724 - con la modifica di cui al D.P.R. 30 aprile 1976, n. 517
- nonchè della risoluzione del Ministero del Lavoro n. 18867 del 27
febbraio 1956, avente valenza anche di relativa norma di attuazione,
assumendo al riguardo che la ratio legis delle fonti normative sul
lavoro discontinuo comprendeva una logica modalità di remunerazione del
lavoro che presentava caratteristiche analoghe a quelle tenute presenti
dall'indennità del 25%; detta indennità configurava un emolumento
attribuito, in ragione della peculiarità delle modalità espletate ed in
assenza di un preciso e predeterminato orario lavorativo, in aggiunta ai
minimi tariffari.
Con il terzo motivo i
ricorrenti addebitano alla impugnata sentenza ancora vizio di
motivazione e violazione della contrattazione collettiva vigente sino al
30 giugno 2001, che attestava la volontà delle parti sociali di
riconoscere ai lavoratori dei diritti che si erano consolidati nel
tempo, e che per essere acquisiti non potevano essere travolti da
pattuizioni successive anche in ragione dell'art. 2077 c.c..
Con
il quarto e quinto motivo i ricorrenti lamentano vizio di motivazione e
falsa applicazione del rinnovo del contratto dell'8 giugno 2000 - 14/24
maggio 2001, nonchè dell'accodo sindacale del 28 giugno 2001 e dei
principi dell'art. 39 Cost. (quarto motivo), ed errata
applicazione dei criteri di ermeneutica contrattuale, deducendo da un
lato che i contratti collettivi non possono valere per coloro che non
sono iscritti alle organizzazioni sindacali che detti contratti hanno
sottoscritto, e che gli accordi collettivi andavano nel caso di specie
interpretati nel rispetto del principio di buona fede e della clausola
di conservazione, che doveva confortare la soluzione di una acquisizione
definitiva del diritto alla indennità del 25%.
Con il sesto motivo i lavoratori evidenziano un vizio della motivazione e violazione del disposto dell'art. 2103 c.c.,
come sostituito dall'art. 13 Stat. Lav. sul presupposto che l'azienda
non poteva per la suddetta norma ridurre la retribuzione individuale di
ciascun operatore di ripresa attraverso l'abolizione di una sua
componente, non risultando tra l'altro provato un successivo globale
trattamento retributivo che fosse migliorativo rispetto al passato.
Con il settimo motivo i lavoratori denunziano violazione dei principi di cui all'art. 36 Cost.,
perchè la condotta della azienda aveva finito per eludere i criteri
della proporzionalità e della sufficienza della retribuzione.
Con l'ottavo motivo i lavoratori rilevano ancora vizio di motivazione e violazione dell'art. 2087 c.c.,
perchè si era abolita una indennità riguardante l'aspetto strutturale
della retribuzione e perchè detta abolizione non poteva essere
compensata con il palliativo di un forfait straordinario, congelato in
cifra fissa.
Con il nono motivo infine i
lavoratori deducono vizio di motivazione in ordine alla mancata riforma
del provvedimento relativo alla liquidazione delle spese di primo grado
perchè la riforma del negativo provvedimento su dette spese era stata
espressamente richiesta con il ricorso in appello.
Con
il ricorso incidentale la società denunzia da parte sua violazione
della sentenza o del procedimento per pronunzia su una domanda
tardivamente dedotta dai ricorrenti nonchè per una pronunzia su un capo
del ricorso in appello non specifico, ed ancora violazione e falsa
applicazione degli artt. 414 e 342 c.p.c..
Esigenze
di un ordinato iter argomentativo inducono per ragioni
logico-giuridiche ad esaminare in primo luogo quest'ultimo ricorso
benchè spiegato in via condizionata.
Con tale impugnazione deduce infatti la RAI che la Corte d'appello ha respinto la domanda imperniata sulla dedotta violazione dell'art. 36 Cost.,
reputandola priva di fondamento mentre avrebbe dovuto dichiararla
inammissibile e dunque non esaminarla. Ed invero essa ricorrente aveva
dedotto all'atto della costituzione in appello che la pretesa violazione
del principio della retribuzione non era stata affatto lamentata con il
ricorso introduttivo del giudizio, come era stato ritenuto anche dalla
sentenza di primo grado, che aveva ad abundantiam escluso pure l'assenza
di qualsiasi elemento di prova in merito.
Il ricorso è infondato.
Questa
Corte di cassazione ha statuito che nel rito del lavoro il ricorrente
deve - analogamente a quanto stabilito per il giudizio ordinario dal
disposto dell'art. 163 cod. proc. civ., n. 4 - indicare ex art. 414 cod. proc. civ.,
n. 4, nel ricorso introduttivo della lite gli elementi di fatto e di
diritto posti a base della domanda e che in caso di mancata
specificazione ne consegue la nullità del ricorso, da ritenersi però
sanabile ex art. 164 cod. proc. civ., comma 5 (norma
estensibile anche al processo del lavoro). Corollario di tali principi è
che la mancata fissazione di un termine perentorio da parte del
giudice, per la rinnovazione del ricorso o per l'integrazione della
domanda, e la non tempestiva eccezione di nullità da parte del convenuto
ex art. 157 cod. proc. civ., del vizio dell'atto, comprovano l'avvenuta sanatoria della nullità del ricorso dovendosi ritenere raggiunto lo scopo ex art. 156 cod. proc. civ.,
comma 2. La sanatoria del ricorso non vale, tuttavia, a rimettere in
termini il ricorrente rispetto ai mezzi di prova non indicati nè
specificati in ricorso, sicchè il convenuto può eccepire, in ogni tempo e
in ogni grado del giudizio, il mancato rispetto da parte dell'attore
della norma codicistica sull'onere della prova, in quanto la decadenza
dalle prove riguarda non solo il convenuto (art. 416 cod. proc. civ., comma 3), ma anche l'attore (art. 414 cod. proc. civ.,
n. 5), dovendo ambedue le parti, in una situazione di istituzionale
parità, esternare sin dall'inizio tutto ciò che attiene alla loro difesa
e specificare il materiale posto a base delle reciproche istanze, alla
stregua dell'interpretazione accolta da Corte Cost. 14 gennaio 1977, n.
13 (cfr. Cass., Sez. Un., 17 giugno 2004 n. 11353).
Orbene
la ricorrente incidentale non ha specificato i motivi che nel caso di
specie legittimavano, nel rispetto dei suddetti enunciati principi, una
declaratoria di nullità del ricorso e dei consequenziali atti. A tale
carenza non può porsi rimedio in questa sede atteso il principio della
autosufficienza del ricorso per cassazione, sulla base del quale la
ricorrente nel contenuto del suo atto impugnativo doveva indicare gli
elementi attestanti con la ritualità e la tempestività anche la
fondatezza della sua richiesta (cfr. sul principio della autosufficienza
ex plurimis: Cass. 12 giugno 2008 n. 15808; Cass. 17 luglio 2007 n.
19552).
I motivi del ricorso principale da
esaminarsi congiuntamente per comportare la soluzione di questioni tra
loro giuridicamente interdipendenti sotto vari profili, vanno rigettati
perchè privi di fondamento.
Va premesso che
per giurisprudenza costante dalla la successione tra contratti(o
accordi) collettivi, pure di diverso livello, può conseguire per i
lavoratori un trattamento economico meno favorevole di quello goduto in
precedenza, avendo questa Corte di Cassazione più volte statuito che le
disposizioni dei contratti collettivi non si incorporano nel contenuto
dei contratti individuali, dando luogo a diritti quesiti sottratti al
potere dispositivo dei sindacati, ma (salva l'ipotesi di loro recezione
ad opera del contratto individuale) operano dall'esterno sui singoli
rapporti di lavoro come fonte eteronoma di regolamento, concorrente con
la fonte individuale, sicchè, nell'ipotesi di successione di contratti
collettivi, le precedenti disposizioni non sono suscettibili di essere
conservate secondo il criterio del trattamento più favorevole (art. 2077 cod. civ.),
che riguarda il rapporto fra contratto collettivo ed individuale,
restando la conservazione di quel trattamento affidata all'autonomia
contrattuale delle parti collettive stipulanti, che possono prevederla
con apposita clausola di salvaguardia, la verifica della cui esistenza,
con la relativa indagine interpretativa, è riservata al giudice del
merito(cfr. tra le altre: Cass. 20 agosto 1991 n. 8946 e successivamente
Cass. 20 aprile 1996 n. 3754; Cass. 14 novembre 1995 n. 11805).
Di
una siffatta statuizione - alla cui luce devono esaminarsi tutte le
numerose censure mosse alla sentenza impugnata - si è fatto corretto uso
dal giudice d'appello che - sulla base di una attenta e compiuta
valutazione del trattamento della contrattazione collettiva, regolante
la c.d. "indennità di mancata limitazione e variabilità orari di lavoro"
pari al 25% (dello stipendio individuale e della contingenza) e di
quella successiva avente ad oggetto la indennità consistente nell'8%
(anche essa dello stipendio e dalla contingenza), ed all'esito di un
raffronto tra il merito complessivo assicurato dalle due diverse
contrattazioni - ha ritenuto che non si era in presenza di ragioni
attestanti una illegittimità della condotta della RAI capace di
giustificare le pretese rivendicate dai lavoratori.
In
altri termini la sentenza impugnata, per risultare adeguatamente
motivata, priva di salti logici e per essere rispettosa dei principi
giuridici applicabili al thema decidendum, si sottrae ad ogni censura in
questa sede di legittimità.
A tale riguardo è
sufficiente rimarcare - in aggiunta a quanto già evidenziato - come la
decisione della Corte territoriale abbia fatto una giusta e puntuale
applicazione di principi giuridici più volte ribaditi dai giudici di
legittimità.
Ed invero, per disvelare come non
possano trovare accoglienza le doglianze dei lavoratori deve ricordarsi
che la Corte di Cassazione ha statuito: per quanto riguarda la
retribuibilità dello straordinario (in relazione alla quale si è
lamentato dai lavoratori un ingiustificato disconoscimento) che in tema
di lavoro discontinuo, caratterizzato da attese di non lavoro durante le
quali il dipendente può reintegrare con pause di riposo le energie
psico-fisiche consumate, è configurabile l'espletamento di lavoro,
straordinario allorquando, malgrado detta discontinuità, sia
convenzionalmente prefissato un preciso orario di lavoro ed il relativo
limite risulti in concreto superato - occorrendo, all'uopo, che venga
fornita la prova relativamente a modalità e tempi del servizio prestato
nell'arco compreso fra l'orario iniziale e quello finale dell'attività
lavorativa, in modo da consentire di tener conto delle pause di
inattività - e, in ogni caso, allorquando l'attività lavorativa prestata
dal dipendente oltre il limite dell'orario massimo legale, non operante
nei suoi confronti, sia, alla stregua del concreto svolgimento del
rapporto di lavoro, irrazionale e pregiudizievole del bene
dell'integrità fisica del lavoratore stesso (cfr. in tali sensi: Cass. 5
novembre 2001 n. 13622 cui adde - per l'affermazione che in ogni caso
deve essere rispettato nella durata della prestazione lavorativa il
criterio della ragionevolezza in base a inderogabili regole
costituzionali poste a tutela della salute: Cass. 7 gennaio 1982 n. 54 e
più recentemente tra le tante Cass. 23 luglio 2004 n. 13882).
E
sempre rispettosa dei canoni legali applicabili al tema controverso è
la parte della decisione che ha riconosciuto come non siano stati
violati i principi dell'art. 36 Cost., nel passaggio dalla
contrattazione collettiva che riconosceva una indennità commisurata al
25% per cento della retribuzione (e della contingenza) ad altra, di
diverso contenuto e portata, quantificata in nell'8% della retribuzione
(e della contingenza), atteso che la giurisprudenza ha più volte
precisato - come è stato puntualmente evidenziato nella decisione
impugnata - che la particolare garanzia apprestata dall'art. 36 Cost.,
a tutela del lavoratore subordinato non si riferisce ai singoli
elementi retributivi, bensì al trattamento economico globale(cfr. in
tali termini: Cass. 21 marzo 2004 n. 5934, che ha precisato come i
criteri della proporzionalità e sufficienza posti dalla citata norma
costituzionale a tutela del lavoratore non trovano applicazione - come
riconosciuto dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 470 del 2002 -
in caso di erogazione di un compenso per lavoro straordinario inferiore
a quello erogato per l'orario ordinario; e negli stessi termini: Cass.
16 luglio 2007 n. 15781; Cass. 17 ottobre 2006 n. 22233).
Nè sotto altro versate può dubitarsi che nella fattispecie in esame vi sia stata una violazione del disposto dell'art. 2103 c.c.,
essendo assorbente per escludere tale violazione osservare che - a
fronte delle argomentazioni del giudice d'appello che ha evidenziato
come nessun pregiudizio potesse essere lamentato dai lavoratori (per
avere la parti sociali garantito un sistema capace di evitare il
verificarsi di un deterioramento della retribuzione globale per valere
la nuova disciplina solo per il futuro) - i suddetti lavoratori non
hanno impugnato tale capo della decisione con motivi specifici e
conferenti. E l'assunto ora ricordato della sentenza impugnata sulla
mancanza di prova di un concreto pregiudizio subito dai lavoratori
dimostra l'infondatezza anche delle censura che si incentra - in termini
non del tutto chiari - sulla violazione dell'art. 2087 c.c..
Per
quanto attiene al motivo avente ad oggetto la regolamentazione delle
spese operate dal giudice d'appello con riferimento a quelle di primo
grado, anche in questo caso la censura si appalesa generica e, per di
più, non rispettosa del principio della autosufficienza, atteso che non
si evince dal contenuto del ricorso per cassazione che contro la
decisione di primo grado le parti appellanti abbiano proposto un
tempestivo, regolare nonchè specifico motivo di gravame. Per concludere
il ricorso principale e quello incidentale vanno rigettati.
Tenuto
conto dell'esito del presente giudizio i ricorrenti principali, perchè
soccombenti, vanno condannati al pagamento delle spese del presente
giudizio di cassazione, liquidati unitamente agli onorari difensivi come
in dispositivo.
P.Q.M.
La
Corte riunisce i ricorsi e li rigetta; condanna i ricorrenti principali
in solido al pagamento delle spese del presente giudizio di Cassazione,
liquidate in Euro 54,00, oltre Euro 2.000,00 (duemila/00) per onorari
difensivi nonchè spese generali, I.V.A. e C.P.A..
Così deciso in Roma, il 18 novembre 2008.
Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2009
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