i(Cassazione Sezione Lavoro n. 21783 del 14 ottobre 2009, Pres. Sciarelli, Rel. Ianniello).
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ASSOCIAZIONI E ATTIVITA' SINDACALI
Cass. civ. Sez. lavoro, 14-10-2009, n. 21783
Cass. civ. Sez. lavoro, 14-10-2009, n. 21783
Svolgimento del processo
1.
La FIOM-CGIL Provinciale di Torino chiedeva al Tribunale di Torino di
dichiarare l'antisindacalità del comportamento della "FIAT Powertrain
Italia srl" e "FIAT Auto spa", che non aveva consentito lo svolgimento
di assemblee in orario di lavoro e retribuite, allegando il motivo che
era già stato esaurito il monte ore previsto dalla L. n. 300 del 1970, art. 20 e dell'art. 4, comma 5, lett. a)
dell'accordo interconfederale 20.12.1993. Secondo la tesi della
ricorrente, il diritto del lavoratore di partecipare a dieci ore di
assemblea retribuita andava riferito ad ogni singolo lavoratore e
l'avvenuta convocazione di assemblea da parte di altre sigle sindacali
non impediva alla stessa Fiom di indire ulteriori assemblee fino
all'esaurimento del monte-ore riservato a ciascun lavoratore.
Previa
costituzione ed opposizione della società convenuta, il Tribunale
accoglieva il ricorso in sede cautelare, respingendolo peraltro in sede
di cognizione. Proponeva appello la Fiom insistendo nelle proprie tesi.
La Corte di Appello di Torino confermava la sentenza di primo grado
Questa, in sintesi, la motivazione della sentenza di appello:
- la L. n. 300 del 1970, art. 20
prevede il diritto dei lavoratori di riunirsi in assemblea fuori
dell'orario di lavoro, nonchè durante l'orario di lavoro nei limiti di
dieci ore annue;
- le riunioni possono
riguardare la generalità dei lavoratori o gruppi di essi e possono
essere indette, singolarmente o congiuntamente, dalle rappresentanze
sindacali aziendali dell'unità produttiva;
-
l'art. 4, comma 5 dell'accordo suddetto prevede che le associazioni
sindacali stipulanti il CCNL applicato nell'unità produttiva hanno
diritto di indire tre ore di assemblea retribuita a valere sulle dieci
ore annue di cui sopra (giova avvertire immediatamente che in sede di
discussione orale del ricorso per Cassazione la tesi della Fiom non sarà
più incentrata essenzialmente sul diritto alle dieci ore di assemblea
calibrato su ogni singolo lavoratore, ma sul diritto dell'organizzazione
stipulante ad indire per suo conto tre ore di assemblea retribuita,
talchè l'accordo in questione dovrebbe interpretarsi nel senso che ogni
organizzazione sindacale stipulante ha diritto di indire tre ore di
assemblea retribuita; altrimenti detto, le tre ore retribuite divengono
un multiplo di tre, a seconda del numero delle Organizzazioni Sindacali
stipulanti);
- la Corte di Appello affronta il
dilemma nei termini originari e lo risolve preferendo la soluzione più
restrittiva, e ciò sulla base dell'interpretazione letterale della L. n. 300 del 1970, art. 20,
dei lavori preparatori, dell'abnormità delle conseguenze che si
avrebbero ove si seguisse la tesi delle "dieci ore" per ogni singolo
lavoratore;
- nè può essere seguita la
subordinata, nel senso che ogni organizzazione sindacale stipulante ha
diritto ad indire tre ore di assemblea retribuita, tesi che, pur
ragionevole, "non trova alcun aggancio normativo";
-
unica tesi che è possibile seguire è quella della prevenzione, la quale
corrisponde alla prassi applicativa dei primi anni posteriori
all'entrata in vigore dello Statuto dei Lavoratori;
-
la suddivisione del "monte ore" tra Organizzazioni Sindacali e
rappresentanze sindacali unitarie sì adegua perfettamente
all'interpretazione che individua le dieci ore di assemblea (retribuita)
come limite complessivo e tale è la corretta interpretazione
dell'accordo.
2. La Fiom-CGIL ha proposto
ricorso per Cassazione, deducendo tre motivi. Resiste con controricorso
la società convenuta, la quale propone ricorso incidentale condizionato
affidato ad un motivo. Le parti hanno presentato memorie integrative. La
causa è stata discussa oralmente ed il difensore della FIOM ha
presentato note di udienza.
Motivi della decisione
3. Il ricorso principale ed il ricorso incidentale, risultando proposti contro la stessa sentenza, vanno riuniti.
4- Col primo motivo del ricorso, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione, a sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3, della L. n. 300 del 1970, art. 20,
nella parte in cui attribuisce a ciascun lavoratore il diritto di
partecipare, durante l'orario di lavoro, ad assemblee retribuite nei
limiti di 10 ore annue e, correlativamente, a ciascuna RSA il diritto di
indire assemblee generali o di gruppo da svolgersi, entro detti limiti,
durante l'orario di lavoro. In via subordinata, deduce la violazione
della stessa norma nella parte in cui attribuisce a ciascuna RSA, e non a
tutte complessivamente, il diritto di convocare, negli indicati limiti,
dette assemblee. In ulteriore subordine, solleva questione di
legittimità costituzionale della norma, in relazione agli artt. 2, 3, 17 e 39 Cost.
e per violazione del principio di ragionevolezza, ove interpretata nel
senso che l'indizione di assemblee retribuite da parte di una RSA
consumi il monte ore spettante a ciascun lavoratore che non abbia inteso
parteciparvi e il diritto di altre RSA di convocare assemblee
retribuite nei limiti delle dieci ore spettante a ciascun lavoratore.
5. Secondo la tesi della ricorrente, la L. n. 300 del 1970, art. 209, comma 1
stabilisce la titolarità e l'estensione quantitativa del diritto; i due
commi successivi stabiliscono invece le modalità di esercizio del
diritto medesimo; l'ultimo comma individua lo spazio assegnato alla
contrattazione collettiva. Non sarebbe condivisibile un trasferimento
del limite quantitativo delle dieci ore retribuite dai lavoratori alle
RSA. Una diversa interpretazione condurrebbe ad illegittimità
costituzionale, per violazione dei principi di uguaglianza,
ragionevolezza, tutela sindacale e tutela dei lavoratori. Una RSA
potrebbe indire assemblee fino ad esaurire il monte ore ed in tal modo
impedirebbe ad altre RSA l'esercizio del diritto loro spettante. Il
criterio di precedenza sta ad indicare il criterio da seguire nel
regolamentare l'esercizio del diritto e non il potere del datore di
lavoro di negare l'assemblea (retribuita).
Nè
la norma può essere interpretata nel senso che la facoltà di indire
l'assemblea spetti congiuntamente alle RSA, stante il tenore della
medesima. La tesi sostenuta risulta corroborata da autorevole dottrina.
6. Il motivo è infondato.
7. Il dato normativo è costituito dalla integrazione della L. n. 300 del 1970, art. 20 e dell'art. 4
dell'accordo interconfederale 20 dicembre 1993. Quest'ultimo ha esteso
alle organizzazioni sindacali stipulanti i CCNL applicati in azienda il
diritto di convocare assemblee che la norma statutaria riconosceva solo
alle RSA. 8. L'art. 20, comma 1, dello Statuto dei lavoratori dispone
che i lavoratori hanno diritto di riunirsi in assemblea, nell'unità
produttiva in cui prestano la loro opera. Vengono distinte due
situazioni: le assemblee fuori dell'orario di lavoro e quelle che si
svolgono durante l'orario di lavoro. (Solo) per queste seconde viene
posto un limite massimo di 10 ore annue. I lavoratori, entro questo
limite, hanno diritto di partecipare all'assemblea e di percepire la
normale retribuzione. Il secondo comma dispone poi che le riunioni - che
possono riguardare la generalità dei lavoratori o gruppi di essi - sono
indette singolarmente o congiuntamente dalle rappresentanze sindacali
aziendali nell'unità produttiva, con ordine del giorno su materie di
interesse sindacale e del lavoro e secondo l'ordine di precedenza delle
convocazioni, comunicate al datore di lavoro. Se la norma si legge nella
interazione dei due commi, non può non ritenersi che il limite delle 10
ore annue si riflette sul potere di indire le assemblee, riconosciuto
alle RSA dell'unità produttiva (ed esteso dall'accordo interconfederale
anche alle organizzazioni sindacali stipulanti i CCNL applicati
nell'unità produttiva).
Correttamente la Corte
d'Appello di Torino ha interpretato la norma in tal senso,
sottolineando anche le incongruità degli effetti pratici di una
interpretazione che collegasse il limite esclusivamente alla posizione
del singolo lavoratore, riconoscendo quindi la possibilità di effettuare
assemblee durante l'orario di lavoro e retribuite sino a che anche ad
un solo lavoratore residuasse una parte del suo monte ore individuale.
9.
L'accordo interconfederale del 20 dicembre 1993 (art. 4) nel
disciplinare i meccanismi con i quali le rappresentanze sindacali
unitarie subentrano alle rappresentanze sindacali aziendali, dispone, in
materia di assemblea, che delle 10 ore annue retribuite, 7 sono di
competenza delle RSU, mentre 3 sono in favore delle organizzazioni
aderenti alle associazioni sindacali stipulanti il CCNL applicato
nell'unità produttiva. In tal modo anche l'accordo sindacale mostra di
condividere l'interpretazione della L. n. 300 del 1970, art. 20
seguita dalla Corte d'Appello di Torino, perchè riconoscendo alle RSU 7
ore su 10 e alle organizzazioni sindacali aderenti, alle associazioni
stipulanti il CCNL applicato in azienda le 3 ore residue, da per
presupposto che il limite complessivo del potere di convocazione
sindacale sia di 10 ore.
10. Sull'accordo
interconfederale del 1993 è imperniata la tesi subordinata (alla quale
peraltro è stata prioritariamente dedicata la discussione finale della
causa), secondo la quale il monte di 3 ore sarebbe attribuito ad ogni
organizzazione stipulante, con il risultato che le ore diverrebbero nove
se le organizzazioni sindacali stipulanti il CCNL applicato nell'unità
produttiva sono tre, dodici se esse sono quattro, quindici se sono
cinque e così via.
11. L'interpretazione
proposta è in contrasto con la previsione dell'accordo interconfederale.
L'art. 4 dell'accordo, già richiamato, riconosce alle "organizzazioni
aderenti alle associazioni stipulanti il CCNL applicato nell'unità
produttiva il diritto ad indire, singolarmente o congiuntamente,
l'assemblea dei lavoratori durante l'orario di lavoro, per 3 delle 10
ore retribuite". Il riferimento è indistintamente a tutte le
associazioni stipulanti.
Anzi, per essere più
precisi, a tutte le organizzazioni aderenti alle associazioni
stipulanti. Il carattere indistinto del riferimento indica
inequivocabilmente che le 3 ore sono complessivamente riconosciute a
tali organizzazioni, quale che sia il loro numero. Se, al contrario, le
parti avessero voluto riconoscere tale diritto a ciascuna delle
organizzazioni aderenti alle associazioni stipulanti, avrebbero dovuto
usare non l'espressione "in favore delle organizzazioni aderenti alle
associazioni sindacali stipulanti", ma un'espressione del tipo "in
favore di ciascuna delle organizzazioni aderenti ...". Non incide invece
sulla questione, il riconoscimento a tali organizzazioni della
possibilità di indire le assemblee "congiuntamente o singolarmente",
perchè la lettura complessiva del testo in cui l'inciso è inserito,
mostra che si tratta di una variabile che non attiene alla entità del
monte ore, ma alla gestione interna dello stesso.
12.
In ogni caso, deve sottolinearsi che la sentenza della Corte di Torino è
motivata in modo esauriente e privo di incoerenze e la sua
interpretazione dell'accordo interconfederale è rispettosa dei criteri
fissati dagli artt. 1362 e seg. c.c.. Ciò rende superflua ogni altra
osservazione sul punto, dato che la sentenza è stata pubblicata prima
della entrata in vigore della modifica dell'art. 360 c.p.c., n.
3, che ha reso possibile il ricorso per cassazione anche "per
violazione o falsa applicazione dei contratti o accordi collettivi
nazionali di lavoro". 13. La questione di legittimità costituzionale
prospettata in ricorso è, infine, manifestamente infondata. Posto che si
fa riferimento non al diritto di assemblea in generale, ma allo
specifico diritto di assemblea durante l'orario di lavoro e retribuita,
la forte compressione delle prerogative datoriali e dell'attività
aziendale che esso comporta, giustifica l'apposizione di limiti congrui e
rende conforme la delimitazione che discende dalla lettura fornita
dalla Corte di Torino al criterio di ragionevolezza ed agli equilibri
costituzionali tra i diritti di rango costituzionale che vengono a
confronto.
14. Con il secondo motivo del ricorso, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione, a sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt. 1362 e 1367 c.c.,
per non avere la Corte di Appello, in sede di interpretazione dell'art.
4 dell'accordo sindacale, esattamente colto il significato della parola
"singolarmente" in relazione al limite delle tre ore. Il motivo è
infondato per le considerazioni già svolte e comunque è inidoneo a
scalfire la ragionevolezza dell'interpretazione fornita sullo specifico
punto dalla Corte di Appello, con una motivazione consequenziale e
conforme ai canoni ermeneutici codicistici.
15. Col terzo motivo del ricorso, la ricorrente deduce violazione della L. n. 300 del 1970, art. 20,
nella parte in cui stabilisce l'ordine di precedenza tra le varie RSA.
La tesi della difesa ricorrente è che l'ordine di priorità vada
stabilito avendo riguardo non alla comunicazione al datore di lavoro, ma
alla convocazione e che per assemblee già convocate devono intendersi
solo quelle "comunicate ai destinatari delle stesse". 16. La Corte
d'Appello di Torino, aveva respinto l'appello con il quale si sosteneva
che le altre organizzazioni sindacali avevano effettuato le
comunicazioni al datore di lavoro senza indicare le date in cui la
convocazione era stata pubblicizzata all'indirizzo dei lavoratori.
17.
Anche sul punto la soluzione interpretativa della Corte è conforme al
dato normativo che collega l'ordine di precedenza alla comunicazione
della convocazione al datore di lavoro richiedendo quindi che la
comunicazione concerna un assemblea già fissata con ora e data (e non
una generica intenzione di indire una assemblea), ma certo senza
richiedere che il datore di lavoro debba accertare se e quando la
convocazione sia stata concretamente portata a conoscenza dei
lavoratori.
18. Il ricorso principale deve
essere quindi rigettato. Il ricorso incidentale va dichiarato
inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse. Giusti motivi, in
relazione all'opinabilità di alcuni profili della materia del
contendere, alla novità ed alla complessità delle questioni dibattute e
non ultimo al comportamento processuale delle parti, le quali hanno
tutte contribuito a dirimere le questioni stesse, consigliano la
compensazione integrale delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La
Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale, dichiara
inammissibile il ricorso incidentale; compensa le spese del giudizio di
legittimità.
Così deciso in Roma, in Camera di consiglio, il 26 maggio 2009.
Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2009
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