N. 107 SENTENZA 10 aprile - 25 maggio 2018
Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale.
Asili nido - Ammissione al servizio - Attribuzione di un titolo di
precedenza ai figli di genitori che risiedono in Veneto o che vi
svolgono un'attivita' lavorativa ininterrottamente da almeno
quindici anni.
- Legge della Regione Veneto 21 febbraio 2017, n. 6 (Modifiche ed
integrazioni alla legge regionale 23 aprile 1990, n. 32,
«Disciplina degli interventi regionali per i servizi educativi alla
prima infanzia: asili nido e servizi innovativi»), art. 1, comma 1,
nella parte in cui modifica l'art. 8, comma 4, della legge della
Regione Veneto 23 aprile 1990, n. 32, introducendovi la lettera b).
-
(GU n.22 del 30-5-2018 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Giorgio LATTANZI;
Giudici :Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI,
Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de
PRETIS, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio
PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO',
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1,
della legge della Regione Veneto 21 febbraio 2017, n. 6 (Modifiche ed
integrazioni alla legge regionale 23 aprile 1990, n. 32, «Disciplina
degli interventi regionali per i servizi educativi alla prima
infanzia: asili nido e servizi innovativi»), promosso con ricorso del
Presidente del Consiglio dei ministri, spedito per la notificazione
il 26 aprile 2017, depositato in cancelleria il 2 maggio 2017,
iscritto al n. 37 del registro ricorsi 2017 e pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, prima serie speciale,
dell'anno 2017.
Visto l'atto di costituzione della Regione Veneto;
udito nell'udienza pubblica del 10 aprile 2018 il Giudice
relatore Daria de Pretis;
uditi l'avvocato dello Stato Paolo Gentili per il Presidente del
Consiglio dei ministri e gli avvocati Ezio Zanon e Luigi Manzi per la
Regione Veneto.
Ritenuto in fatto
1.- Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato l'art.
1, comma 1, della legge della Regione Veneto 21 febbraio 2017, n. 6
(Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 23 aprile 1990, n.
32, «Disciplina degli interventi regionali per i servizi educativi
alla prima infanzia: asili nido e servizi innovativi»), nella parte
in cui modifica l'art. 8, comma 4, della legge reg. Veneto 23 aprile
1990, n. 32 (Disciplina degli interventi regionali per i servizi
educativi alla prima infanzia: asili nido e servizi innovativi),
introducendovi la lettera b). La difesa erariale riferisce che, prima
della modifica, l'art. 8 della legge reg. Veneto n. 32 del 1990
ammetteva all'asilo nido i bambini di eta' non inferiore a tre mesi e
non superiore a tre anni e, al comma 4, riconosceva «titolo di
precedenza all'ammissione» ai «bambini menomati, disabili o in
situazioni di rischio e di svantaggio sociale». Dopo la modifica
introdotta dalla disposizione impugnata, l'art. 8, comma 4, della
legge reg. Veneto n. 32 del 1990 dispone quanto segue: «4. Hanno
titolo di precedenza per l'ammissione all'asilo nido nel seguente
ordine di priorita': a) i bambini portatori di disabilita'; b) i
figli di genitori residenti in Veneto anche in modo non continuativo
da almeno quindici anni o che prestino attivita' lavorativa in Veneto
ininterrottamente da almeno quindici anni, compresi eventuali periodi
intermedi di cassa integrazione, o di mobilita' o di disoccupazione».
Il Governo contesta specificamente il criterio di precedenza di
cui alla lettera b), denunciando diversi vizi di illegittimita'
costituzionale.
1.1.- In primo luogo, tale norma violerebbe l'art. 3, primo e
secondo comma, della Costituzione. L'Avvocatura generale dello Stato,
basandosi sui lavori preparatori, ritiene che la norma abbia lo scopo
di "privilegiare" le famiglie in cui entrambi i genitori lavorano in
Veneto da almeno quindici anni o ivi risiedano da almeno quindici
anni rispetto alle famiglie con reddito piu' basso, in cui un
genitore non lavora, che non siano radicate in Veneto da almeno
quindici anni. Il Governo ritiene violato l'art. 3 Cost. perche' non
si potrebbe differenziare, da un lato, la situazione dei figli di
genitori residenti o occupati in Veneto da almeno quindici anni e,
dall'altro, le seguenti situazioni: quella dei «figli di genitori di
cui uno solo sia residente in Veneto, e magari sia il genitore con
cui il figlio convive, o dei figli di genitori di cui uno solo sia
occupato in Veneto»; quella «dei figli su cui eserciti la
responsabilita' genitoriale un solo genitore residente o occupato in
Veneto (essendo l'altro genitore ignoto o deceduto o decaduto dalla
responsabilita' genitoriale)»; quella «dei figli di genitori
residenti o occupati in Veneto da meno di quindici anni, ma comunque
da un periodo significativo (o dei figli di genitori che non possono
accumulare periodi cosi' lunghi di lavoro nella stessa regione
perche' occupati in attivita' che comportano frequenti mutamenti di
sede)». Il Governo sostiene poi che non si potrebbe differenziare la
situazione dei figli di genitori residenti o occupati in Veneto da
almeno quindici anni, «quale che sia la loro capacita' economica», e
quella «dei figli di genitori di capacita' economica ridotta,
attestata dall'ISEE o da altri indici, come lo stato di
disoccupazione», oppure quella «del bambino privo di entrambi i
genitori».
Il fatto che lo stato di residenza o di occupazione in Veneto si
sia protratto, per entrambi i genitori, per un dato periodo di tempo
(quindici anni) non sarebbe idoneo, per l'Avvocatura, «a dimostrare
che i figli di tali genitori esprimano una necessita' di fruire del
servizio degli asili nido pubblici maggiore» rispetto ai figli dei
genitori che si trovino in una delle situazioni sopra descritte. Il
criterio utilizzato dalla norma, dunque, sarebbe illegittimo perche'
non presenterebbe «alcun percepibile collegamento logico ne' con le
esigenze formative del bambino, ne' con le esigenze educative ed
economiche dei genitori». La norma determinerebbe una
differenziazione arbitraria, in contrasto con l'art. 3 Cost.
In secondo luogo, la norma impugnata violerebbe l'art. 3, primo e
secondo comma, Cost. anche «inteso come canone di ragionevolezza e
proporzionalita' della legislazione, in rapporto agli obiettivi
sociali che la legge persegue». Poiche', secondo l'Avvocatura,
beneficiario principale del servizio e' il bambino, mentre i genitori
sono beneficiari "di riflesso", sarebbe «manifestamente irragionevole
subordinare la precedenza nelle graduatorie ad una condizione, come
la durata per almeno quindici anni della residenza o dell'occupazione
nella regione, che puo' riguardare soltanto i genitori ed e',
ovviamente, del tutto estranea alla condizione specifica del
bambino». Comunque, anche a voler considerare il solo interesse
"riflesso" dei genitori, sarebbe «manifestamente irragionevole
svincolare del tutto la selezione da criteri di natura economica,
riferiti al reddito o al patrimonio della famiglia». I criteri della
protratta residenza e della protratta occupazione nel territorio
regionale possono portare, secondo il Governo, «a privilegiare
situazioni familiari economicamente migliori e a discriminare
situazioni familiari economicamente piu' precarie», il che non
sarebbe «razionalmente giustificabile, anche in considerazione del
fatto [...] che con gli asili nido pubblici concorre l'offerta delle
strutture private, senz'altro accessibili alle famiglie con redditi
piu' elevati».
L'Avvocatura aggiunge poi che, «anche a voler ammettere, in
subordine, che la durata della residenza o dell'occupazione nel
territorio regionale possa costituire (il che non e') un criterio
selettivo logicamente congruo rispetto all'obiettivo di graduare gli
aspiranti al servizio degli asili nido pubblici, appare palese come
una durata pari addirittura a quindici anni sia eccessiva e comunque
fonte di applicazioni irrazionali». Il requisito della residenza o
dell'occupazione per quindici anni sarebbe irragionevole anche
perche' non sarebbe neppure idoneo a dare una preferenza ai soggetti
"radicati" in Veneto. Infatti, nel caso in cui il periodo debba
calcolarsi con riferimento a ciascun genitore considerato
separatamente, «la norma favorirebbe indebitamente i nati in Veneto,
che e' plausibile che vi abbiano risieduto per i primi quindici anni
di vita, attribuendo loro "de futuro" un "diritto di prelazione"
esercitabile anche molti anni dopo, semplicemente tornando a
risiedere in Veneto per un breve periodo, una volta divenuti
genitori, magari dopo una lunga assenza che non e' certo indice di
radicamento territoriale». Nel caso in cui, invece, il periodo debba
calcolarsi con riferimento ad entrambi i genitori («nel senso che non
i singoli componenti bensi' la "coppia" in quanto tale deve avere
risieduto o essere stata occupata in Veneto per almeno quindici
anni»), la norma «si rivelerebbe completamente inutile per tutti i
genitori che, come e' statisticamente normale, siano divenuti tali
prima che siano decorsi quindici anni di residenza comune o di
occupazione continuativa». In entrambe le ipotesi (calcolo "separato"
o "congiunto" del periodo di quindici anni), il requisito in
questione verrebbe poi «a costituire un disincentivo a divenire
genitori prima di avere accumulato una anzianita' lavorativa di
almeno quindici anni», cosi' contraddicendo «una delle finalita'
proprie del sistema degli asili nido, che e' quella di favorire,
contemporaneamente, il lavoro e la natalita'»: di qui un ulteriore
profilo di irragionevolezza della norma impugnata.
L'Avvocatura precisa poi che la violazione dell'art. 3 Cost.
sussisterebbe anche qualora si interpretasse la disposizione
impugnata nel senso che il titolo di precedenza spetta non solo a chi
ha entrambi i genitori residenti o occupati in Veneto da almeno
quindici anni, ma anche a chi ha un solo genitore rispondente a tali
requisiti. In tal caso, sarebbero comunque discriminati «i bambini
privi di entrambi i genitori» e quelli che non hanno neppure un
genitore residente o occupato in Veneto da almeno 15 anni. Inoltre,
sarebbe pur sempre manifestamente irrazionale un criterio di
preferenza «basato sulla durata della residenza o dell'occupazione
nella regione del genitore, anziche' sulla condizione del bambino, e
sulla completa esclusione di qualsiasi rilievo della situazione
economica del genitore», e sarebbe pur sempre «eccessiva» la durata
del periodo di residenza o di occupazione richiesto. Anzi, qualora
fosse sufficiente la residenza o l'occupazione protratta in Veneto in
capo a un solo genitore, si «amplierebbe l'area delle situazioni
indebitamente privilegiate».
1.2.- Il Governo lamenta poi la violazione dell'art. 31, secondo
comma, Cost., in quanto il criterio di precedenza individuato dalla
norma impugnata frustrerebbe «i valori costituzionali ivi codificati
della tutela dell'infanzia e della promozione dei necessari
istituti»: «[u]na disciplina che porta a formare le graduatorie di
ammissione agli asili nido basandosi sulle condizioni di residenza e
di lavoro dei genitori [...], mentre trascura del tutto di
considerare la condizione dei bambini», confliggerebbe con i valori
suddetti.
1.3.- Ancora, la norma impugnata violerebbe gli articoli 16 e
120, primo comma, Cost., in quanto ostacolerebbe «il trasferimento in
Veneto di famiglie che nella propria regione di residenza o di lavoro
godano di provvidenze simili, in quanto con il trasferimento in
Veneto le perderebbero (non potendole riacquistare prima di quindici
anni)», e, reciprocamente, costituirebbe «un incentivo indebito [...]
a non lasciare il Veneto per coloro che gia' vi risiedano o vi
lavorino».
1.4.- Infine, la norma in questione violerebbe il diritto
dell'Unione europea (art. 117, primo comma, Cost.), sotto diversi
profili.
In primo luogo, essa contrasterebbe «con la normativa europea in
materia di libera circolazione dei cittadini dell'Unione e dei loro
familiari» (art. 21, par. 1, del Trattato sul funzionamento
dell'Unione europea, come modificato dall'art. 2 del Trattato di
Lisbona del 13 dicembre 2007, ratificato dalla legge 2 agosto 2008,
n. 137). Il requisito preferenziale, «richiedendo un periodo cosi'
prolungato, eccede quanto necessario al raggiungimento del legittimo
obiettivo di accertare l'esistenza di un nesso reale tra il
richiedente una prestazione e lo Stato membro competente, ovvero di
preservare l'equilibrio finanziario del sistema locale di assistenza
sociale».
Inoltre, la norma impugnata si porrebbe in contrasto con l'art.
19 del decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30 (Attuazione della
direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e
dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel
territorio degli Stati membri), dal momento che l'art. 24 della
citata direttiva «garantisce parita' di trattamento ai cittadini di
Stati membri che risiedano da piu' di tre mesi in un diverso Stato
membro, [...] rispetto ai cittadini dello Stato ospitante, senza
esigere alcun periodo pregresso di residenza a tal fine». Dunque, la
norma in questione discriminerebbe «tutti i cittadini dell'Unione che
soggiornino in Veneto da piu' di tre mesi o comunque che abbiano
ottenuto il diritto di soggiorno permanente, non avendo pero'
maturato 15 anni di residenza anche non continuativa o di lavoro
continuativo in Veneto».
Ancora, la norma de qua discriminerebbe i cittadini di Paesi
terzi soggiornanti di lungo periodo, «i quali, secondo quanto
previsto dall'art. 11, paragrafo 1, lettere d) e f), della direttiva
2003/109/CE, recepita con decreto legislativo 8 gennaio 2007, n. 3,
trascorsi cinque anni di soggiorno regolare sull'intero territorio
nazionale (non necessariamente tutti in un'unica regione), dovrebbero
godere dello stesso trattamento dei cittadini nazionali sia per
quanto riguarda "le prestazioni sociali, l'assistenza sociale e la
protezione sociale ai sensi della legislazione nazionale", sia per
quanto riguarda "l'accesso a beni e servizi a disposizione del
pubblico e all'erogazione degli stessi"».
L'Avvocatura ricorda che la Corte costituzionale, nella sentenza
n. 168 del 2014, ha ritenuto contrastante con le citate norme europee
una legge valdostana che subordinava ad una residenza minima di otto
anni nella regione l'accesso all'edilizia residenziale pubblica.
2.- La Regione Veneto si e' costituita in giudizio con memoria
depositata il 5 giugno 2017.
Con riferimento alla asserita violazione del principio di
uguaglianza, la Regione rileva che la norma impugnata «non prevede un
criterio selettivo di accesso al servizio di asilo nido, ma
unicamente introduce un canone preferenziale basato sul radicamento
familiare e lavorativo nel territorio regionale»; essa, cioe', non
preclude ad alcuno l'accesso agli asili nido, ragion per cui non
potrebbe produrre alcuna discriminazione. Inoltre, la Regione osserva
che l'erogazione del servizio di asilo nido non e' obbligatoria. Il
legislatore regionale avrebbe esercitato la propria potesta'
discrezionale, dando precedenza «a coloro che abbiano piu' a lungo
contribuito alla realizzazione del contesto sociale ed economico
pubblico da cui ha origine il sistema locale di assistenza alla prima
infanzia». La norma non sarebbe affetta da «palese irrazionalita'».
Inoltre, essa non discriminerebbe il bambino orfano di un genitore o
di entrambi perche' la locuzione genitori si riferirebbe «ai soggetti
esercenti la potesta' genitoriale, a qualunque titolo cio' avvenga e
pur anche nel caso in cui vi sia un solo "genitore"».
Quanto alla violazione del principio di ragionevolezza, la
Regione osserva, da un lato, che «gli asili nido pubblici, per
espressa previsione della legge statale [legge 6 dicembre 1971, n.
1044 «Piano quinquennale per l'istituzione di asili-nido comunali con
il concorso dello Stato»], non sono teleologicamente diretti a
soddisfare in via esclusiva e prioritaria un interesse formativo del
bambino, ma invece sono rivolti a garantire una adeguata assistenza
familiare e di promozione del lavoro, soprattutto muliebre, cui
accede necessariamente un esito di socializzazione e formazione
educativa»; dall'altro, che i comuni hanno potesta' regolamentare in
materia di asili nido pubblici, potendo prevedere criteri reddituali
di graduazione delle domande.
Con riferimento alla asserita violazione dell'art. 31 Cost., la
Regione ribadisce che la norma impugnata non fissa un criterio di
ammissione ma solo di precedenza e che la disciplina degli asili nido
serve a tutelare l'infanzia «solo in via indiretta». Inoltre, osserva
che l'art. 31 Cost. sarebbe una norma «programmatica», inidonea a
incidere sul contenuto di istituti che non tocchino diritti
fondamentali dei bambini.
La censura relativa agli artt. 16 e 120 Cost. e' giudicata dalla
Regione «inverosimile», non potendo un criterio di preferenza
nell'accesso agli asili nido condizionare la scelta di trasferirsi in
Veneto. L'argomento dell'Avvocatura impedirebbe agli enti
territoriali di prevedere qualsiasi forma di agevolazione economica a
favore dei residenti.
Infine, con riferimento alla questione concernente l'art. 117,
primo comma, Cost., la Regione rileva che la norma impugnata non
viola le norme europee invocate perche' «il criterio selettivo opera
nei confronti sia dei cittadini sia dei non cittadini», per cui
«nessuna discriminazione puo' ipotizzarsi».
3.- La Regione Veneto ha depositato una memoria integrativa il 20
marzo 2018. In essa afferma che la norma impugnata «non prevede un
criterio escludente, ma unicamente un criterio suppletivo di
preferenza a parita' di condizioni per accedere agli asili nido»,
cioe' un criterio «che opera solo secondariamente e unicamente dopo
che i soggetti richiedenti siano gia' stati selezionati secondo i
criteri primari diretti a valorizzare il bisogno di accedere al
servizio per l'infanzia». Tale interpretazione della disposizione
impugnata sarebbe confermata dalla concreta applicazione che ne hanno
fatto i comuni veneti.
Considerato in diritto
1.- Il Presidente del Consiglio dei ministri censura l'art. 1,
comma 1, della legge della Regione Veneto 21 febbraio 2017, n. 6
(Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 23 aprile 1990, n.
32, «Disciplina degli interventi regionali per i servizi educativi
alla prima infanzia: asili nido e servizi innovativi»), nella parte
in cui modifica l'art. 8, comma 4, della legge reg. Veneto 23 aprile
1990, n. 32 (Disciplina degli interventi regionali per i servizi
educativi alla prima infanzia: asili nido e servizi innovativi),
introducendovi la lettera b).
Per effetto della disposizione impugnata, l'art. 8, comma 4,
della legge reg. Veneto n. 32 del 1990 dispone quanto segue: «4.
Hanno titolo di precedenza per l'ammissione all'asilo nido nel
seguente ordine di priorita': a) i bambini portatori di disabilita';
b) i figli di genitori residenti in Veneto anche in modo non
continuativo da almeno quindici anni o che prestino attivita'
lavorativa in Veneto ininterrottamente da almeno quindici anni,
compresi eventuali periodi intermedi di cassa integrazione, o di
mobilita' o di disoccupazione».
Il ricorrente ritiene che il criterio di precedenza fissato alla
lettera b) sia incostituzionale per violazione delle seguenti norme:
a) art. 3 della Costituzione, con riferimento sia al principio di
uguaglianza sia a quello di ragionevolezza; b) art. 31, secondo
comma, Cost., in quanto la norma censurata frustrerebbe il valore
costituzionale della tutela dell'infanzia; c) artt. 16 e 120, primo
comma, Cost., in quanto la norma impugnata ostacolerebbe la liberta'
di circolazione; d) art. 117, primo comma, Cost., in quanto la norma
censurata violerebbe l'art. 21 del Trattato sul funzionamento
dell'Unione europea (TFUE), come modificato dall'art. 2 del Trattato
di Lisbona del 13 dicembre 2007, ratificato dalla legge 2 agosto
2008, n. 137, in materia di liberta' di circolazione; l'art. 24 della
direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29
aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro
familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio
degli Stati membri; l'art. 11, paragrafo 1, lettere d) e f), della
direttiva 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa
allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di
lungo periodo.
2.- Prima di esaminare le questioni di costituzionalita'
sollevate nel ricorso, e' opportuno definire l'esatto significato
della disposizione impugnata.
In primo luogo, si deve osservare che l'interpretazione proposta
dalla Regione nella memoria integrativa non risulta coerente con la
portata della disposizione impugnata. Questa non prevede un criterio
meramente sussidiario, destinato a operare per i soggetti che si
trovino a parita' di punti, ma fissa un «titolo di precedenza» che
prevale sui criteri fissati dai singoli comuni. Cio' risulta dalla
formulazione della disposizione, che non accenna al presunto
carattere sussidiario del criterio, e dall'accostamento al titolo di
precedenza rappresentato dalla disabilita', che certamente opera in
via prevalente e non sussidiaria; trova inoltre conferma nei lavori
preparatori della legge, che sono coerenti con l'interpretazione
sostenuta dalla Regione nella memoria di costituzione e non offrono
alcuno spunto a sostegno dell'interpretazione adeguatrice prospettata
nella memoria integrativa.
Il titolo di precedenza previsto dalla norma impugnata opera a
favore del complesso dei bambini figli di genitori radicati in Veneto
da lungo tempo. Il periodo di quindici anni deve essere calcolato con
riferimento a ciascun genitore considerato separatamente, e non alla
coppia, e il termine «genitori» e' da intendere in modo conforme alla
lettera, cioe' nel senso che la precedenza non spetta a chi ha due
genitori di cui uno solo radicato da lungo tempo in Veneto.
Un'interpretazione estensiva si giustificherebbe qualora la lettera
della disposizione non esprimesse in modo sufficiente la sua ratio,
ma non e' questo il caso, dal momento che la ratio della disposizione
converge con la sua lettera nel privilegiare le coppie (da lungo
tempo) venete. Pur non avendo valore decisivo, i lavori preparatori
confermano l'interpretazione letterale, visto che da essi emerge che
lo scopo era quello di favorire le giovani coppie venete e le
famiglie in cui entrambi i genitori lavorano. L'estensione della
precedenza alle famiglie in cui un solo genitore e' radicato in
Veneto da piu' di quindici anni amplierebbe i beneficiari del titolo
di precedenza, vanificando l'obiettivo del legislatore.
Occorre precisare, peraltro, che, se la disposizione impugnata
non intende privilegiare le famiglie in cui un genitore su due
possiede i requisiti, ad essa non si puo' attribuire l'intento di
discriminare i bambini orfani (o comunque privi) di un genitore o di
entrambi, sicche' in base ad essa, nei casi in cui la responsabilita'
genitoriale e' esercitata da una sola persona radicata in Veneto da
lungo tempo, il titolo di precedenza spetta.
Da ultimo, e' opportuno rilevare che la norma impugnata, benche'
non disciplini un requisito di accesso, fissa un titolo di precedenza
a favore di un'ampia categoria di persone e produce cosi' effetti
sostanzialmente escludenti dei soggetti non radicati in Veneto da
almeno quindici anni (data la notoria scarsita' di asili nido
pubblici), essendo dunque paragonabile alle norme che considerano la
residenza prolungata come requisito di accesso.
3.- La questione relativa all'art. 3 Cost. e' fondata.
Per vagliare la ragionevolezza del titolo di precedenza fissato
dalla norma impugnata, e' preliminarmente necessario soffermarsi
sulla funzione degli asili nido.
La legge 6 dicembre 1971, n. 1044 (Piano quinquennale per
l'Istituzione di asili-nido comunali con il concorso dello Stato), ha
istituito gli asili nido come «servizio sociale di interesse
pubblico» (art. 1, primo comma). All'epoca il servizio era incentrato
maggiormente sui bisogni dei genitori, avendo soprattutto il fine di
facilitare l'accesso della donna al lavoro (art. 1, secondo comma).
L'art. 6 della legge n. 1044 del 1971 affidava alle regioni il
compito di fissare, «con proprie norme legislative, [...] i criteri
generali per la costruzione, la gestione e il controllo degli
asili-nido». Le leggi regionali adottate in sua attuazione hanno
attribuito una funzione educativa agli asili nido, nella cui
disciplina ha dunque assunto peso crescente l'interesse del bambino.
Cio' e' attestato, ad esempio, dalla citata legge reg. Veneto n. 32
del 1990 (modificata dalla legge impugnata), che definisce gli asili
nido «attivita' educativo-assistenziale» (art. 1) e nella quale,
anzi, e' il bambino il destinatario principale del servizio degli
asili nido («L'asilo nido e' un servizio di interesse pubblico
rivolto alla prima infanzia e ha finalita' di assistenza, di
socializzazione e di educazione nel quadro di una politica di tutela
dei diritti dell'infanzia», art. 5, comma 1).
La doppia valenza degli asili nido (sociale ed educativa) si
conferma nella successiva legislazione statale: da un lato, la legge
8 novembre 2000, n. 328 (Legge quadro per la realizzazione del
sistema integrato di interventi e servizi sociali), dedica l'art. 16
alla «[v]alorizzazione e sostegno delle responsabilita' familiari» e
dispone, all'art. 22, comma 2, che «gli interventi di seguito
indicati costituiscono il livello essenziale delle prestazioni
sociali [...] d) misure per il sostegno delle responsabilita'
familiari, ai sensi dell'articolo 16, per favorire l'armonizzazione
del tempo di lavoro e di cura familiare [...]» (il decreto del
Presidente della Repubblica 3 maggio 2001, recante «Piano nazionale
degli interventi e dei servizi sociali 2001-2003», considera il
sostegno delle responsabilita' familiari come il primo fra gli
obiettivi prioritari e tratta degli asili nido nel punto 1.2);
dall'altro, l'art. 70 della legge 28 dicembre 2001, n. 448, recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato (legge finanziaria 2002)», definisce gli asili nido
«strutture dirette a garantire la formazione e la socializzazione
delle bambine e dei bambini di eta' compresa tra i tre mesi ed i tre
anni ed a sostenere le famiglie ed i genitori», e la legge 13 luglio
2015, n. 107 (Riforma del sistema nazionale di istruzione e
formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative
vigenti), prevede l'«istituzione del sistema integrato di educazione
e di istruzione dalla nascita fino a sei anni, costituito dai servizi
educativi per l'infanzia e dalle scuole dell'infanzia, al fine di
garantire ai bambini e alle bambine pari opportunita' di educazione,
istruzione, cura, relazione e gioco, superando disuguaglianze e
barriere territoriali, economiche, etniche e culturali, nonche' ai
fini della conciliazione tra tempi di vita, di cura e di lavoro dei
genitori» (art. 1, comma 181, lettera e), comprendendo in particolare
i «servizi educativi per l'infanzia» gli asili nido (art. 2, comma 3,
lettera a del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 65, recante
«Istituzione del sistema integrato di educazione e di istruzione
dalla nascita sino a sei anni, a norma dell'articolo 1, commi 180 e
181, lettera e, della legge 13 luglio 2015, n. 107»). La doppia
valenza degli asili nido emerge anche nella legge 27 dicembre 2006,
n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale
e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)» (art. 1, comma
1259), e nella legge 24 dicembre 2007, n. 244, recante «Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato
(legge finanziaria 2008)» (art. 2, commi 458 e 460), che, con
riferimento agli asili nido, parlano di servizi socio-educativi.
In definitiva, gli asili nido hanno una funzione educativa, a
vantaggio dei bambini, e una funzione socio-assistenziale, a
vantaggio dei genitori che non hanno i mezzi economici per pagare
l'asilo nido privato o una baby-sitter; dalla disciplina legislativa
emerge soprattutto l'intento di favorire l'accesso delle donne al
lavoro, finalita' che ha specifica rilevanza costituzionale,
garantendo espressamente la Costituzione la possibilita' per la donna
di conciliare il lavoro con la «funzione familiare» (art. 37, primo
comma, Cost.).
3.1.- Chiarita la funzione del servizio degli asili nido, e'
opportuno ricordare che questa Corte ha affermato «il principio che
"se al legislatore, sia statale che regionale (e provinciale), e'
consentito introdurre una disciplina differenziata per l'accesso alle
prestazioni assistenziali al fine di conciliare la massima
fruibilita' dei benefici previsti con la limitatezza delle risorse
finanziarie disponibili" (sentenza n. 133 del 2013), tuttavia "la
legittimita' di una simile scelta non esclude che i canoni selettivi
adottati debbano comunque rispondere al principio di ragionevolezza"
(sentenza n. 133 del 2013) e che, quindi, debbano essere in ogni caso
coerenti ed adeguati a fronteggiare le situazioni di bisogno o di
disagio, riferibili direttamente alla persona in quanto tale, che
costituiscono il presupposto principale di fruibilita' delle
provvidenze in questione (sentenza n. 40 del 2011)"» (sentenza n. 168
del 2014). Ha inoltre affermato che «l'introduzione di regimi
differenziati e' consentita solo in presenza di una causa normativa
non palesemente irrazionale o arbitraria, che sia cioe' giustificata
da una ragionevole correlazione tra la condizione cui e' subordinata
l'attribuzione del beneficio e gli altri peculiari requisiti che ne
condizionano il riconoscimento e ne definiscono la ratio» (sentenza
n. 172 del 2013).
Con particolare riferimento al requisito della residenza
protratta, questa Corte ha anche osservato che, «mentre la residenza
costituisce, rispetto a una provvidenza regionale, "un criterio non
irragionevole per l'attribuzione del beneficio" (sentenza n. 432 del
2005), non altrettanto puo' dirsi quanto alla residenza protratta per
un predeterminato e significativo periodo minimo di tempo (nella
specie, quinquennale). La previsione di un simile requisito, infatti,
ove di carattere generale e dirimente, non risulta rispettosa dei
principi di ragionevolezza e di uguaglianza, in quanto "introduce nel
tessuto normativo elementi di distinzione arbitrari", non essendovi
alcuna ragionevole correlazione tra la durata prolungata della
residenza e le situazioni di bisogno o di disagio, riferibili
direttamente alla persona in quanto tale, che in linea astratta ben
possono connotare la domanda di accesso al sistema di protezione
sociale (sentenza n. 40 del 2011)» (sentenza n. 222 del 2013).
3.2.- Tenuto conto di quanto esposto sopra sulla funzione degli
asili nido e alla luce della giurisprudenza costituzionale appena
rammentata, la norma impugnata risulta lesiva dell'art. 3 Cost.
La configurazione della residenza (o dell'occupazione) protratta
come titolo di precedenza per l'accesso agli asili nido, anche per le
famiglie economicamente deboli, si pone in frontale contrasto con la
vocazione sociale di tali asili. Il relativo servizio risponde
direttamente alla finalita' di uguaglianza sostanziale fissata
dall'art. 3, secondo comma, Cost., in quanto consente ai genitori (in
particolare alle madri) privi di adeguati mezzi economici di svolgere
un'attivita' lavorativa; il servizio, pertanto, elimina un ostacolo
che limita l'uguaglianza sostanziale e la liberta' dei genitori e
impedisce il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva
partecipazione dei genitori stessi alla vita economica e sociale del
Paese.
Per questa ragione, il servizio degli asili nido dovrebbe essere
destinato primariamente alle famiglie in condizioni di disagio
economico o sociale, come era previsto dall'art. 8, comma 4, della
legge reg. Veneto n. 32 del 1990, nella sua previgente formulazione
(«Hanno titolo di precedenza all'ammissione i bambini menomati,
disabili o in situazioni di rischio e di svantaggio sociale»), in
coerenza con la disciplina statale, che sancisce il principio
dell'accesso prioritario ai servizi sociali a favore dei soggetti in
condizioni di difficolta' economico-sociale (art. 2, comma 3, della
legge n. 328 del 2000). La norma impugnata, invece, prescinde
totalmente dal fattore economico e, favorendo le persone radicate in
Veneto da lungo tempo, adotta un criterio che contraddice anche lo
scopo dei servizi sociali di garantire pari opportunita' e di evitare
discriminazioni (art. 1, comma 1, della legge n. 328 del 2000).
In definitiva, il titolo di precedenza previsto dalla norma
impugnata e' contrario sia alla funzione sociale degli asili nido sia
alla vocazione "universalistica" dei servizi sociali.
Quanto alla funzione educativa degli asili nido, l'estraneita' ad
essa del "radicamento territoriale" risulta ugualmente evidente, e
tanto piu' risulta tale nella norma impugnata che riferisce il
requisito ai genitori e non ai beneficiari dell'attivita' educativa,
essendo ovviamente irragionevole ritenere che i figli di genitori
radicati in Veneto da lungo tempo presentino un bisogno educativo
maggiore degli altri.
3.3.- Quanto alla vocazione universalistica dei servizi sociali,
a differenza del requisito della residenza tout court (che serve a
identificare l'ente pubblico competente a erogare una certa
prestazione ed e' un requisito che ciascun soggetto puo' soddisfare
in ogni momento), quello della residenza protratta integra una
condizione che puo' precludere in concreto a un determinato soggetto
l'accesso alle prestazioni pubbliche sia nella regione di attuale
residenza sia in quella di provenienza (nella quale non e' piu'
residente). Le norme che introducono tale requisito vanno dunque
vagliate con particolare attenzione, in quanto implicano il rischio
di privare certi soggetti dell'accesso alle prestazioni pubbliche
solo per il fatto di aver esercitato il proprio diritto di
circolazione o di aver dovuto mutare regione di residenza.
L'argomento utilizzato dalla Regione Veneto a sostegno
dell'infondatezza della questione (ossia che la norma impugnata
darebbe la precedenza «a coloro che abbiano piu' a lungo contribuito
alla realizzazione del contesto sociale ed economico pubblico da cui
ha origine il sistema locale di assistenza alla prima infanzia») non
convince. In primo luogo, nessuno dei due criteri utilizzati dalla
norma impugnata (residenza prolungata in Veneto o occupazione
prolungata in Veneto) assicura che i genitori abbiano pagato tributi
in Veneto per un lungo periodo (la residenza puo' non essere coincisa
con un periodo lavorativo e l'occupazione prolungata in Veneto non
implica necessariamente la residenza in Veneto). L'argomento si
presenta opinabile anche alla luce dell'effettivo assetto delle fonti
di finanziamento degli asili nido, dato che le risorse necessarie per
la costruzione degli edifici e lo svolgimento del servizio possono
essere di origine non regionale (gli artt. 8 e 12 del citato d.lgs.
n. 65 del 2017 prevedono finanziamenti statali, e la stessa legge
reg. Veneto n. 32 del 1990 menziona «contributi statali» all'art. 32,
comma 1), e che, per quanto riguarda le risorse provenienti dai
bilanci dei comuni e delle regioni, si dovrebbe distinguere fra
finanza "propria" e "derivata". E cio' senza contare che, sotto un
profilo piu' generale, l'argomento del contributo pregresso tende
inammissibilmente ad assegnare al dovere tributario finalita'
commutative, mentre esso e' una manifestazione del dovere di
solidarieta' sociale, e che applicare un criterio di questo tipo alle
prestazioni sociali e' di per se' contraddittorio, perche' porta a
limitare l'accesso proprio di coloro che ne hanno piu' bisogno.
Si puo' osservare infine che chi si sposta in un'altra regione
non ha contribuito al welfare di quella regione ma ha pagato i
tributi nella regione di provenienza, e non e' costituzionalmente
ammissibile sfavorirlo nell'accesso ai servizi pubblici solo per aver
esercitato il proprio diritto costituzionale di circolazione (o per
essere stato trasferito o assegnato al Veneto per ragioni di lavoro o
di altra natura).
In conclusione, poiche' il titolo di precedenza previsto dalla
norma impugnata non ha alcun collegamento con la funzione degli asili
nido ne' puo' essere giustificato con l'argomento del contributo
pregresso, il suo scopo, che si esaurisce nel riconoscere una
preferenza nell'accesso agli asili nido pubblici alle persone
radicate in Veneto da lungo tempo, e' incompatibile con l'art. 3
Cost.
4.- Anche la questione relativa all'art. 117, primo comma, Cost.
e all'art. 21 del TFUE e' fondata.
L'art. 21, paragrafo 1, del TFUE dispone che «[o]gni cittadino
dell'Unione ha il diritto di circolare e di soggiornare liberamente
nel territorio degli Stati membri, fatte salve le limitazioni e le
condizioni previste dai trattati e dalle disposizioni adottate in
applicazione degli stessi».
In relazione ai requisiti di residenza prolungata, la Corte di
giustizia dell'Unione europea ha affermato che «[u]na siffatta
normativa nazionale, che svantaggia taluni cittadini di uno Stato
membro per il solo fatto che essi hanno esercitato la loro liberta'
di circolare e di soggiornare in un altro Stato membro, costituisce
una restrizione alle liberta' riconosciute dall'art. 21, n. 1, TFUE
ad ogni cittadino dell'Unione», e che «[u]na simile restrizione puo'
essere giustificata, con riferimento al diritto dell'Unione, solo se
e' basata su considerazioni oggettive indipendenti dalla cittadinanza
delle persone interessate ed e' proporzionata allo scopo
legittimamente perseguito dal diritto nazionale» (sentenza 21 luglio
2011, in causa C-503/09, Stewart, punti 86 e 87; si vedano anche le
sentenze 26 febbraio 2015, in causa C-359/13, B. Martens; 24 ottobre
2013, in causa C-220/12, Andreas Ingemar Thiele Meneses (punti
22-29); 15 marzo 2005, in causa C-209/03, The Queen, ex parte di Dany
Bidar, punti 51-54; 23 marzo 2004, in causa C-138/02, Brian Francis
Collins; 30 settembre 2003, in causa C-224/01, Gerhard Köbler).
La Corte di giustizia non esclude a priori l'ammissibilita' di
requisiti di residenza per l'accesso a prestazioni erogate dagli
Stati membri, ma richiede che la norma persegua uno scopo legittimo,
che sia proporzionata e che il criterio adottato non sia «troppo
esclusivo», potendo sussistere altri elementi rivelatori del «nesso
reale» tra il richiedente e lo Stato (si vedano le citate sentenze
Stewart, punti 92 e 95, e Thiele Meneses, punto 36). La norma
impugnata e' difettosa gia' in relazione allo scopo perseguito (come
visto nel punto precedente) ed e' inoltre sicuramente sproporzionata
quanto alla durata - eccezionalmente lunga: quindici anni - del
legame richiesto. Il fatto che discrimini anche cittadini italiani
(non radicati in Veneto da piu' di quindici anni) non e' rilevante ai
fini della conformita' al diritto europeo (Corte di giustizia
dell'Unione europea, sentenze Thiele Meneses, punto 27; 16 gennaio
2003, in causa C-388/01, Commissione, punto 14; 6 giugno 2000, in
causa C-281/98, Angonese, punto 41).
Questa Corte ha gia' censurato, per violazione dell'art. 117,
primo comma, Cost., e dell'art. 21 TFUE, una norma che annoverava,
fra i requisiti di accesso all'edilizia residenziale pubblica, la
«residenza nella Regione da almeno otto anni, maturati anche non
consecutivamente»: «la norma regionale in esame li pone [i cittadini
dell'Unione europea] in una condizione di inevitabile svantaggio in
particolare rispetto alla comunita' regionale, ma anche rispetto agli
stessi cittadini italiani, che potrebbero piu' agevolmente maturare
gli otto anni di residenza in maniera non consecutiva, realizzando
una discriminazione vietata dal diritto comunitario [...], in
particolare dall'art. 18 del TFUE, in quanto determina una
compressione ingiustificata della loro liberta' di circolazione e
soggiorno, garantita dall'art. 21 del TFUE» (sentenza n. 168 del
2014; si vedano anche le sentenze n. 190 del 2014 e n. 264 del 2013).
4.1.- Possono considerarsi assorbite le altre questioni sollevate
con riferimento all'art. 117, primo comma, Cost., con cui si lamenta
la violazione dell'art. 24 della citata direttiva 2004/38/CE e
dell'art. 11, paragrafo 1, lettere d) e f), della citata direttiva
2003/109/CE.
5.- La questione relativa all'art. 120, primo comma, Cost. e'
anch'essa fondata.
Occorre premettere che la questione concernente l'art. 16 Cost.
e' da ritenere ricompresa in quella riguardante l'art. 120, primo
comma, Cost., che risulta il parametro piu' pertinente con
riferimento al caso di specie («La Regione non puo' istituire dazi di
importazione o esportazione o transito tra le Regioni, ne' adottare
provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione
delle persone e delle cose tra le Regioni, ne' limitare l'esercizio
del diritto al lavoro in qualunque parte del territorio nazionale»).
La norma impugnata, non incidendo in modo immediato sul diritto
di circolazione e di svolgere l'attivita' lavorativa, non viola
direttamente i divieti posti dall'art. 120, primo comma, Cost. Essa
pone tuttavia un ostacolo all'esercizio dei diritti ivi previsti, per
le stesse ragioni illustrate con riferimento all'art. 21 TFUE. E'
evidente, infatti, che un genitore che deve trasferirsi in Veneto per
ragioni di lavoro puo' trovarsi in difficolta' a compiere il
trasferimento se non ha i mezzi sufficienti per pagare un asilo nido
privato, visto che la norma impugnata lo esclude di fatto dagli asili
nido pubblici.
Il divieto di cui all'art. 120, primo comma, Cost. e' idoneo a
colpire quelle discipline che limitano, anche solo in via di fatto, i
diritti da esso menzionati, come si puo' ricavare sia dalla lettera
della disposizione costituzionale («in qualsiasi modo»), sia dal suo
collegamento con l'art. 3, secondo comma, Cost., che "codifica" il
nesso tra liberta' e condizioni materiali della liberta', sia ancora
dalla giurisprudenza europea che, come visto, ha ravvisato un limite
alla liberta' di circolazione in certe discipline limitative
dell'accesso a prestazioni pubbliche.
Cosi' definita la portata del divieto fissato all'art. 120, primo
comma, Cost., occorre verificare se la limitazione prevista dalla
norma impugnata sia costituzionalmente tollerabile, stante che il
divieto stesso non va inteso in modo "assoluto", dovendosi invece
vagliare la ragionevolezza delle leggi regionali che limitano i
diritti con esso garantiti. Questa Corte ha individuato a tale fine i
seguenti criteri: «occorre esaminare: a) se si sia in presenza di un
valore costituzionale in relazione al quale possano essere posti
limiti alla libera circolazione delle cose o degli animali; b) se,
nell'ambito del suddetto potere di limitazione, la regione possegga
una competenza che la legittimi a stabilire una disciplina
differenziata a tutela di interessi costituzionalmente affidati alla
sua cura; c) se il provvedimento adottato in attuazione del valore
suindicato e nell'esercizio della predetta competenza sia stato
emanato nel rispetto dei requisiti di legge e abbia un contenuto
dispositivo ragionevolmente commisurato al raggiungimento delle
finalita' giustificative dell'intervento limitativo della regione,
cosi' da non costituire in concreto un ostacolo arbitrario alla
libera circolazione delle cose fra regione e regione» (sentenza n. 51
del 1991).
La norma impugnata e' inidonea a superare il primo e il terzo
passaggio del test, dal momento che, come visto sopra (punto 3), essa
non persegue un interesse pubblico meritevole, mirando solo a dare
precedenza alle persone radicate in Veneto da lungo tempo (in
violazione dell'art. 3 Cost., come visto), e che la durata richiesta
(della residenza o dell'occupazione), se puo' considerarsi
proporzionata a tale illegittimo obiettivo, certamente non lo e' a
quello di garantire un legame tra il richiedente e la Regione.
6.- E' fondata infine anche la questione riferita all'art. 31,
secondo comma, Cost., in base a cui la Repubblica «[p]rotegge la
maternita', l'infanzia e la gioventu', favorendo gli istituti
necessari a tale scopo». La norma impugnata fissa un titolo di
precedenza che tradisce il senso dell'art. 31, secondo comma, Cost.:
essa, cioe', non incide sul quantum e sul quomodo del servizio degli
asili nido ma ne distorce la funzione, indirizzandolo non allo scopo
di tutelare le famiglie che ne hanno bisogno ma a quello di
privilegiare chi e' radicato in Veneto da lungo tempo. La norma
impugnata, dunque, persegue un fine opposto a quello della tutela
dell'infanzia, perche' crea le condizioni per privare del tutto una
categoria di bambini del servizio educativo dell'asilo nido.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1,
della legge della Regione Veneto 21 febbraio 2017, n. 6 (Modifiche ed
integrazioni alla legge regionale 23 aprile 1990, n. 32, «Disciplina
degli interventi regionali per i servizi educativi alla prima
infanzia: asili nido e servizi innovativi»), nella parte in cui
modifica l'art. 8, comma 4, della legge della Regione Veneto 23
aprile 1990, n. 32 (Disciplina degli interventi regionali per i
servizi educativi alla prima infanzia: asili nido e servizi
innovativi), introducendovi la lettera b).
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 aprile 2018.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Daria de PRETIS, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 25 maggio 2018.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA
Translate
mercoledì 30 maggio 2018
N. 107 SENTENZA 10 aprile - 25 maggio 2018 Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. Asili nido - Ammissione al servizio - Attribuzione di un titolo di precedenza ai figli di genitori che risiedono in Veneto o che vi svolgono un'attivita' lavorativa ininterrottamente da almeno quindici anni. - Legge della Regione Veneto 21 febbraio 2017, n. 6 (Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 23 aprile 1990, n. 32, «Disciplina degli interventi regionali per i servizi educativi alla prima infanzia: asili nido e servizi innovativi»), art. 1, comma 1, nella parte in cui modifica l'art. 8, comma 4, della legge della Regione Veneto 23 aprile 1990, n. 32, introducendovi la lettera b). - (GU n.22 del 30-5-2018 )
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento