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mercoledì 30 maggio 2018
N. 105 SENTENZA 11 aprile - 23 maggio 2018 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Maternita' e infanzia - Liberi professionisti - Accesso al beneficio dell'indennita' di maternita' in caso di adozione o affidamento (applicabilita' della sentenza n. 385 del 2005). - Decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternita' e della paternita', a norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), artt. 70 e 72, nel testo antecedente alle modificazioni apportate dal decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 80 (Misure per la conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro, in attuazione dell'articolo 1, commi 8 e 9, della legge 10 dicembre 2014, n. 183). - (GU n.22 del 30-5-2018 )
N. 105 SENTENZA 11 aprile - 23 maggio 2018
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
Maternita' e infanzia - Liberi professionisti - Accesso al beneficio
dell'indennita' di maternita' in caso di adozione o affidamento
(applicabilita' della sentenza n. 385 del 2005).
- Decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle
disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della
maternita' e della paternita', a norma dell'articolo 15 della legge
8 marzo 2000, n. 53), artt. 70 e 72, nel testo antecedente alle
modificazioni apportate dal decreto legislativo 15 giugno 2015, n.
80 (Misure per la conciliazione delle esigenze di cura, di vita e
di lavoro, in attuazione dell'articolo 1, commi 8 e 9, della legge
10 dicembre 2014, n. 183).
-
(GU n.22 del 30-5-2018 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Giorgio LATTANZI;
Giudici :Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI,
Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de
PRETIS, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giovanni AMOROSO,
Francesco VIGANO',
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 70 e 72
del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle
disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della
maternita' e della paternita', a norma dell'articolo 15 della legge 8
marzo 2000, n. 53), nel testo antecedente alle modificazioni
apportate dal decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 80 (Misure per
la conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro, in
attuazione dell'articolo 1, commi 8 e 9, della legge 10 dicembre
2014, n. 183), promosso dalla Corte d'appello di Trieste, nel
procedimento instaurato da A. C. nei confronti della Cassa nazionale
di previdenza e assistenza forense, con ordinanza del 9 febbraio
2017, iscritta al n. 88 del registro ordinanze 2017 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25, prima serie
speciale, dell'anno 2017.
Visto l'atto di costituzione della Cassa nazionale di previdenza
e assistenza forense;
udito nell'udienza pubblica del 10 aprile 2018 il Giudice
relatore Silvana Sciarra;
udito l'avvocato Massimo Luciani per la Cassa nazionale di
previdenza e assistenza forense.
Ritenuto in fatto
1.- Con ordinanza del 9 febbraio 2017, iscritta al n. 88 del
registro ordinanze del 2017, la Corte d'appello di Trieste ha
sollevato questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 70 e
72 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle
disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della
maternita' e della paternita', a norma dell'articolo 15 della legge 8
marzo 2000, n. 53), nel testo antecedente alle modificazioni
apportate dal decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 80 (Misure per
la conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro, in
attuazione dell'articolo 1, commi 8 e 9, della legge 10 dicembre
2014, n. 183), nella parte in cui «vietano in sostanza l'erogazione
dell'indennita' di maternita' al padre adottivo anche nel caso in cui
la madre abbia rinunziato a detta prestazione».
Il giudice a quo prospetta la violazione degli artt. 3, primo e
secondo comma, 29, primo comma, 31, primo e secondo comma, 117, primo
comma, della Costituzione, in relazione agli artt. 12 e 14 della
Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950,
ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 e agli
artt. 21 e 23 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione
europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a
Strasburgo il 12 dicembre 2007.
1.1.- La Corte rimettente espone di dover decidere sull'appello
proposto da un avvocato iscritto alla Cassa nazionale di previdenza e
assistenza forense, che ha chiesto alla Cassa professionale il
riconoscimento dell'indennita' di maternita' in riferimento
all'adozione internazionale di tre minori stranieri e ha dedotto, a
fondamento della richiesta, che la moglie ha rinunciato espressamente
all'indennita' di maternita' di sua spettanza.
La richiesta e' stata respinta dalla Cassa professionale, con
provvedimento confermato dalla sentenza impugnata del Tribunale
ordinario di Pordenone, in funzione di giudice del lavoro, sul
presupposto che la sentenza di questa Corte n. 385 del 2005, nel
dichiarare l'illegittimita' costituzionale degli artt. 70 e 72 del
d.lgs. n. 151 del 2001, nella parte in cui non prevedono che spetti
al padre, in alternativa alla madre, percepire l'indennita' di
maternita', si configuri come «sentenza additiva di principio» e non
sia autoapplicativa.
La Corte rimettente, nella disamina delle ragioni di gravame,
muove dalla premessa che il padre possa godere dell'indennita' di
maternita', in sostituzione della madre, nelle sole ipotesi
tassativamente definite dall'art. 70 e, per i casi di affidamento e
di adozione, dall'art. 72 del d.lgs. n. 151 del 2001, che a sua volta
rinvia alle disposizioni del citato art. 70 e non prevede l'ipotesi
della rinuncia della madre.
Anche l'art. 70, comma 3-ter, del d.lgs. n. 151 del 2001,
aggiunto dal d.lgs. n. 80 del 2015 e peraltro ratione temporis
inapplicabile a una richiesta risalente al 2012, avrebbe contemplato
le sole ipotesi della morte, della grave infermita' della madre,
dell'abbandono, dell'affidamento esclusivo al padre, senza includere
la fattispecie della rinuncia della madre.
Il giudice a quo argomenta che, con riguardo ai congedi
disciplinati dagli artt. 28 e 31 del d.lgs. n. 151 del 2001, la
posizione dei genitori e' paritaria, in quanto il padre puo' goderne
quando la madre non abbia avanzato la relativa richiesta.
La medesima esigenza di trattamento uniforme dei due genitori si
ravviserebbe anche nel caso dell'adozione, «in cui la situazione dei
genitori e' assolutamente paritaria dal momento, come qui, di
ingresso dei figli adottivi in famiglia che costituisce come evidente
il momento di partenza della nuova vita familiare». Nell'ipotesi
dell'adozione, difatti, l'indennita' di maternita' non perseguirebbe
una funzione di tutela della salute della madre: rivestirebbe rilievo
preminente la finalita' di garantire al fanciullo «un'assistenza
completa [...] nella delicata fase del suo inserimento in famiglia» e
dovrebbe essere salvaguardata la liberta' dei genitori di scegliere
«chi debba assentarsi dal lavoro per assistere il bambino».
1.2.- L'assetto delineato dal legislatore contrasterebbe con
l'art. 3, primo e secondo comma, Cost., in quanto, nell'ipotesi di
adozione, dovrebbe essere garantita la parita' di trattamento dei
genitori con riguardo alla fruizione dell'indennita' di maternita',
cosi' come avviene per i congedi previsti dall'art. 31 del d.lgs. n.
151 del 2011, che attribuisce al padre il diritto al congedo, quando
non sia richiesto dalla madre. Nel caso di specie, non si
ravviserebbe alcuna ragione «per una tutela diversificata della sola
figura materna».
Il rimettente denuncia, inoltre, la violazione dell'art. 29,
primo comma, Cost. e argomenta che il diniego dell'indennita' di
maternita', soprattutto nell'ipotesi di «contestuale ingresso in
famiglia [...] di tre figli minori adottivi» pregiudicherebbe il
«valore costituzionale del disposto dell'art. 29 I comma Cost. in
materia di diritti della famiglia» e precluderebbe «una ragionevole e
paritaria soluzione al caso in oggetto».
La disciplina censurata sarebbe lesiva dell'art. 31, primo e
secondo comma, Cost., che protegge «la maternita' e l'infanzia e, in
termini piu' estesi, la condizione di genitore» «anche con misure
economiche e provvidenze». Invero, il diniego dell'indennita' di
maternita' pregiudicherebbe «la formazione di una famiglia, o come
qui il suo incremento, [...] e l'adempimento dei compiti
genitoriali».
Le disposizioni censurate, nel determinare un trattamento
deteriore per il genitore adottivo, si porrebbero in contrasto anche
con l'art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 12 e 14
della CEDU e agli artt. 21 e 23 della CDFUE. Sarebbero violati, in
particolare, il «diritto a contrarre matrimonio ed a fondare una
famiglia» (art. 12 della CEDU), il principio «di non discriminazione
per ragioni di sesso» (artt. 14 della CEDU e 21 della CDFUE), il
principio di «parita' fra uomo e donna in materia di lavoro,
retribuzione ed occupazione» (art. 23 della CDFUE).
2.- Con atto depositato l'11 luglio 2017, si e' costituita la
Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense, e ha chiesto di
dichiarare inammissibili e comunque infondate le questioni di
legittimita' costituzionale proposte dalla Corte d'appello di
Trieste, con argomentazioni riprese anche nella memoria illustrativa
depositata in vista dell'udienza.
2.1.- In punto di ammissibilita', la Cassa forense osserva che
l'ordinanza di rimessione sarebbe carente di motivazione sul profilo
della rilevanza e non descriverebbe in modo esauriente la fattispecie
concreta, soprattutto per quel che attiene alla posizione
assicurativa della moglie del ricorrente.
L'inammissibilita' si riscontrerebbe anche sotto un ulteriore
profilo. A fronte di vicende risalenti al 2012, il rimettente si
limiterebbe a menzionare le disposizioni del d.lgs. n. 151 del 2001,
senza chiarire se si tratti della formulazione successiva o
precedente alla novella del 2015, e indicherebbe soltanto per
relationem il contenuto della disposizione censurata, attraverso il
mero richiamo all'interpretazione offerta in primo grado.
Nella memoria illustrativa la difesa della Cassa professionale
formula un'ulteriore eccezione di inammissibilita' per aberratio
ictus e rileva che, in base alla disciplina applicabile ratione
temporis alle lavoratrici autonome iscritte alla gestione separata
(art. 64, comma 2, del d.lgs. n. 151 del 2001), il nucleo familiare
del ricorrente avrebbe potuto fruire dell'indennita' di maternita',
commisurata a cinque mensilita', ma non avrebbe potuto beneficiare
della «flessibilita' nella prestazione (o meno) dell'attivita'
lavorativa nel periodo dell'erogazione dell'indennita'».
Il rimettente, pertanto, avrebbe dovuto censurare l'art. 64 del
d.lgs. n. 151 del 2001, nella versione applicabile alla vicenda
controversa, nella parte in cui esclude tale flessibilita' nella
prestazione, consentita soltanto a far data dall'entrata in vigore
dell'art. 13, comma 1, della legge 22 maggio 2017, n. 81 (Misure per
la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a
favorire l'articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro
subordinato), che ora concede l'indennita' di maternita' alle
lavoratrici iscritte alla gestione separata a prescindere dalla
effettiva astensione dall'attivita' lavorativa.
Anche la motivazione in punto di non manifesta infondatezza, con
particolare riguardo alle disposizioni della CEDU e della CDFUE,
sarebbe lacunosa. Il giudice a quo avrebbe richiamato in modo
apodittico una pluralita' di parametri costituzionali eterogenei,
senza far luce sulle ragioni del contrasto della disposizione
censurata con i precetti invocati.
Lacunosa e ambigua sarebbe anche l'individuazione del petitum, in
quanto il rimettente non avrebbe specificato il verso dell'addizione
richiesta alla Corte e non ne avrebbe chiarito il carattere
costituzionalmente imposto.
La questione sollevata sarebbe inammissibile anche per l'omessa
sperimentazione di un'interpretazione conforme a Costituzione. Il
giudice a quo avrebbe trascurato di esplorare una diversa
interpretazione del dato normativo, cosi' da riconoscere al
ricorrente «a causa della rinuncia della moglie, l'indennita' di
maternita' spettante a quest'ultima, estendendo al libero
professionista il trattamento del lavoratore autonomo». Nella memoria
illustrativa, si lamenta che il rimettente non abbia approfondito la
praticabilita' di un'interpretazione adeguatrice, che sancisca il
diritto del ricorrente di percepire l'indennita' di maternita'
dall'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) e non gia'
dalla Cassa forense.
2.2.- La questione, nel merito, non sarebbe fondata.
Non sarebbe appropriato il richiamo all'art. 29, primo comma,
Cost., che tutela la famiglia come societa' naturale fondata sul
matrimonio, e all'art. 31, primo e secondo comma, Cost.
L'ordinamento, nella vicenda in esame, avrebbe riconosciuto all'altro
coniuge il beneficio dell'indennita' di maternita', preordinato «ad
agevolare l'inserimento dei minori nell'ambiente familiare», e
avrebbe cosi' gia' apprestato provvidenze efficaci per la tutela
della famiglia.
Neppure il richiamo alla Carta di Nizza sarebbe pertinente, in
quanto i diritti fondamentali che essa garantisce sarebbero provvisti
di forza precettiva, solo quando una normativa nazionale rientri
nell'ambito di applicazione del diritto dell'Unione. Tale ipotesi non
ricorrerebbe nel caso di specie.
La disposizione censurata non recherebbe alcun vulnus al «diritto
a contrarre matrimonio ed a fondare una famiglia» (art. 12 della
CEDU) e non determinerebbe alcuna discriminazione nel godimento dei
diritti e delle liberta' riconosciuti dalla stessa Convenzione (art.
14 della CEDU).
La sentenza n. 385 del 2005, addotta dal rimettente a sostegno
delle censure di violazione dell'art. 3 Cost., demanderebbe comunque
al legislatore «il compito di approntare un meccanismo attuativo che
consenta anche al lavoratore padre un'adeguata tutela».
Il d.lgs. n. 80 del 2015, nell'estendere e nel differenziare le
tutele gia' accordate dal d.lgs. n. 151 del 2001, avrebbe concesso al
padre libero professionista di accedere al beneficio dell'indennita'
di maternita' quando la madre libera professionista non sia in grado
di assistere il minore. Sarebbe stata cosi' completata e rafforzata
la "rete di solidarieta'", che assicura in ogni caso la presenza di
una «figura genitoriale in grado di accudire il minore, sgravata
dalle incombenze del lavoro (dipendente o libero professionale)».
Sarebbe ininfluente il fatto che «in via ordinaria il legislatore
incardini nella figura femminile della coppia il beneficio legato
alla maternita'», poiche', nell'essenziale prospettiva della tutela
del minore, nella specie efficacemente salvaguardata, «eventuali
profili differenziali nel trattamento delle due figure genitoriali
sono irrilevanti».
Non sarebbe meritevole di tutela la pretesa di scegliere
arbitrariamente, per ragioni di mero calcolo economico, il soggetto
chiamato a beneficiare dell'indennita' di maternita', tanto piu' che
le libere professioniste e i liberi professionisti «non sopportano
l'astensione obbligatoria dal lavoro».
L'odierna disciplina, novellata nel 2015, non presenterebbe,
pertanto, i profili di illegittimita' costituzionale denunciati dal
rimettente in riferimento all'art. 3 Cost.
Quanto alla disciplina previgente, gia' dichiarata
costituzionalmente illegittima con la sentenza n. 385 del 2005, la
Corte non potrebbe che pronunciare una nuova sentenza additiva di
principio, ugualmente sprovvista di immediata efficacia applicativa.
Sarebbe necessaria l'interposizione del legislatore, per definire le
modalita' di erogazione dell'indennita' «in modo coerente con
l'interesse pubblico e di tutte le parti coinvolte» e per
individuare, tra molteplici alternative, i parametri di calcolo
dell'indennita' di paternita' e l'ente obbligato a sostenere l'onere
assistenziale.
La scelta di far gravare tale onere sulla cassa professionale,
alimentata dalla solidarieta' della categoria, non solo esulerebbe
dalle soluzioni costituzionalmente obbligate, ma sarebbe arbitraria,
perche' dipenderebbe dalla casuale decisione del professionista
iscritto o «ancor piu' paradossalmente» del coniuge che iscritto non
sia.
La stessa Corte di cassazione, sezione lavoro, con la sentenza 15
gennaio 2013, n. 809, avrebbe escluso il diritto del padre libero
professionista di percepire l'indennita' di maternita' in aggiunta a
quella erogata alla madre adottiva. Il principio di alternativita'
nel godimento del beneficio in esame non implicherebbe il diritto di
scegliere liberamente l'ente previdenziale chiamato a corrispondere
il trattamento, «secondo calcoli di convenienza economica
incompatibili con la natura pubblicistica e solidaristica della
tutela previdenziale e assistenziale», in una logica improntata a uno
«shopping delle tutele».
3.- All'udienza pubblica del 10 aprile 2018, la Cassa nazionale
di previdenza e assistenza forense ha ribadito le conclusioni e le
argomentazioni svolte negli scritti difensivi.
Considerato in diritto
1.- La Corte d'appello di Trieste dubita della legittimita'
costituzionale degli artt. 70 e 72 del decreto legislativo 26 marzo
2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia
di tutela e sostegno della maternita' e della paternita', a norma
dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), nel testo
antecedente alle modificazioni apportate dal decreto legislativo 15
giugno 2015, n. 80 (Misure per la conciliazione delle esigenze di
cura, di vita e di lavoro, in attuazione dell'articolo 1, commi 8 e
9, della legge 10 dicembre 2014, n. 183).
Il giudice a quo censura le disposizioni in esame nella parte in
cui «vietano in sostanza l'erogazione dell'indennita' di maternita'
al padre adottivo anche nel caso in cui la madre abbia rinunziato a
detta prestazione».
Il divieto di corrispondere l'indennita' di maternita' al padre
adottivo, in sostituzione della madre che rinunci a tale trattamento,
contrasterebbe con l'art. 3, primo e secondo comma, della
Costituzione. Nell'ipotesi di adozione, dovrebbe essere garantita la
parita' di trattamento dei genitori con riguardo alla fruizione
dell'indennita' di maternita', cosi' come avviene per i congedi
previsti dall'art. 31 del d.lgs. n. 151 del 2011, che attribuisce al
padre il diritto al congedo, quando non sia richiesto dalla madre.
Nel caso di specie, non si ravviserebbe alcuna ragione «per una
tutela diversificata della sola figura materna».
Il rimettente denuncia, inoltre, la violazione dell'art. 29,
primo comma, Cost., sul presupposto che il diniego dell'indennita' di
maternita', soprattutto nell'ipotesi di «contestuale ingresso in
famiglia [...] di tre figli minori adottivi», pregiudichi il «valore
costituzionale del disposto dell'art. 29 I comma Cost. in materia di
diritti della famiglia» e sia di ostacolo a «una ragionevole e
paritaria soluzione al caso in oggetto».
La disciplina censurata sarebbe lesiva dell'art. 31, primo e
secondo comma, Cost., che protegge «la maternita' e l'infanzia e, in
termini piu' estesi, la condizione di genitore» «anche con misure
economiche e provvidenze». Invero, il diniego dell'indennita' di
maternita' pregiudicherebbe «la formazione di una famiglia, o come
qui il suo incremento, e l'adempimento dei compiti genitoriali».
Le disposizioni censurate, nel determinare un trattamento
deteriore per il genitore adottivo, si porrebbero in contrasto anche
con l'art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 12 e 14
della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950,
ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, e agli
artt. 21 e 23 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione
europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a
Strasburgo il 12 dicembre 2007. Sarebbero violati il «diritto a
contrarre matrimonio ed a fondare una famiglia» (art. 12 della CEDU),
il principio «di non discriminazione per ragioni di sesso» (artt. 14
della CEDU e 21 della CDFUE), il principio di «parita' fra uomo e
donna in materia di lavoro, retribuzione ed occupazione» (art. 23
della CDFUE).
2.- La Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense ha
eccepito l'inammissibilita' della questione di legittimita'
costituzionale in ragione dell'omessa motivazione sulla rilevanza,
dell'indicazione equivoca della disposizione censurata e
dell'aberratio ictus.
Tali eccezioni, che precluderebbero in radice lo scrutinio di
questa Corte e investono a vario titolo il profilo pregiudiziale
della rilevanza, devono essere esaminate preliminarmente e sono da
disattendere.
2.1.- La Cassa forense lamenta che il giudice a quo non abbia
neppure fatto parola del requisito della rilevanza e osserva che tale
lacuna, in virtu' del principio di autosufficienza dell'ordinanza di
rimessione, non puo' essere colmata dall'esame diretto degli atti di
causa.
L'eccezione non e' fondata.
La motivazione sulla rilevanza e' da intendersi correttamente
formulata quando illustra le ragioni che giustificano l'applicazione
della disposizione censurata e determinano la pregiudizialita' della
questione sollevata rispetto alla definizione del processo
principale.
Nel caso di specie, il carattere pregiudiziale della questione
emerge con chiarezza dalla descrizione della fattispecie che ha
svolto il rimettente.
Il giudice a quo evidenzia che la madre adottiva ha rinunciato
all'indennita' di maternita' prevista dagli artt. 70 e seguenti del
d.lgs. n. 151 del 2001 e che il padre adottivo ha chiesto alla Cassa
professionale di poterne fruire in alternativa alla madre, in
ossequio alle enunciazioni di principio della sentenza n. 385 del
2005. La domanda e' stata respinta in primo grado, sul presupposto
che la declaratoria di illegittimita' costituzionale comunque
richieda un espresso intervento del legislatore, e tale statuizione
e' stata impugnata dal ricorrente con il primo motivo di gravame.
La Corte rimettente, con una motivazione non implausibile, ha
dato conto delle ragioni che inducono a dare applicazione agli artt.
70 e 72 del d.lgs. n. 151 del 2001, disposizioni invocate dal
ricorrente a sostegno della domanda e poste dallo stesso giudice di
primo grado a fondamento della sentenza impugnata.
Il giudice a quo, inoltre, specifica che il vaglio di
legittimita' costituzionale e' richiesto a questa Corte anche
sull'art. 70 del d.lgs. n. 151. L'art. 72, nel regolare l'indennita'
di maternita' spettante, nel caso di filiazione adottiva, alle libere
professioniste iscritte a forme obbligatorie di previdenza, sarebbe
modellato sulla disciplina generale dettata dall'art. 70 per la
filiazione biologica.
2.2.- La Cassa forense assume che l'ordinanza di rimessione non
sia univoca nell'individuare l'oggetto della censura e nell'indicare
«quale formulazione degli artt. 70 e 72 del d.lgs. n. 151 del 2001
sia ritenuta applicabile al caso di specie».
Il rimettente descrive la fattispecie in modo tale da non destare
incertezze in ordine alle censure degli artt. 70 e 72 del d.lgs. n.
151 del 2001, nella formulazione antecedente alle innovazioni recate
dal d.lgs. n. 80 del 2015.
Il rimettente pone in risalto, in primo luogo, il dato temporale
e sottolinea che «la domanda di prestazione risale all'anno 2012 e
quindi a prima della novella del 2015 di cui al d.lgs. 80». Questo
dato cronologico, di per se' inequivocabile, e' poi avvalorato
dall'osservazione che le censure si indirizzano contro la normativa
«in base all'interpretazione datane in I grado», ovvero con
riferimento a una sentenza che, nella ricostruzione degli antecedenti
processuali delineata dal rimettente, risale al 28 gennaio 2015, ben
prima dell'entrata in vigore, il 25 giugno 2015, delle nuove
disposizioni (art. 28 del d.lgs. n. 80 del 2015).
Il giudice a quo ha dunque inteso menzionare la normativa del
2015 ad abundantiam, a sostegno della notazione che neanche tale
disciplina varrebbe a tutelare la posizione del ricorrente, poiche'
non sancisce una perfetta equivalenza tra padre e madre adottivi
nell'accesso al beneficio dell'indennita' di maternita'. Pertanto, la
normativa sopravvenuta e' inapplicabile ratione temporis ed esula
dallo scrutinio demandato a questa Corte.
2.3.- Nella memoria illustrativa depositata in vista dell'udienza
la Cassa forense ha rilevato inoltre che, in base alla disciplina
applicabile ratione temporis alle lavoratrici autonome iscritte alla
gestione separata (art. 64, comma 2, del d.lgs. n. 151 del 2001), il
nucleo familiare del ricorrente non avrebbe potuto beneficiare della
«flessibilita' nella prestazione (o meno) dell'attivita' lavorativa
nel periodo dell'erogazione dell'indennita'». Solo con l'entrata in
vigore dell'art. 13, comma 1, della legge 22 maggio 2017, n. 81
(Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e
misure volte a favorire l'articolazione flessibile nei tempi e nei
luoghi del lavoro subordinato), tale flessibilita' sarebbe stata
pienamente garantita e l'indennita' di maternita' sarebbe stata
riconosciuta alle lavoratrici iscritte alla gestione separata, a
prescindere dalla effettiva astensione dall'attivita' lavorativa.
Il rimettente, dunque, avrebbe dovuto censurare l'art. 64, comma
2, del d.lgs. n. 151 del 2001, nella formulazione applicabile alla
fattispecie controversa, nella parte in cui preclude la flessibilita'
nella prestazione dell'attivita' lavorativa nel periodo
dell'erogazione dell'indennita'.
Una tale eccezione di aberratio ictus non coglie nel segno.
Le censure del rimettente non si concentrano sulla flessibilita'
nella prestazione dell'attivita' lavorativa, aspetto estraneo al tema
del decidere devoluto al vaglio di questa Corte, quanto piuttosto
sulla mancata equiparazione di madre e padre adottivi nel godimento
dell'indennita' di maternita', in coerenza con le enunciazioni della
sentenza n. 385 del 2005.
3.- Di quest'ultima pronuncia, tuttavia, il rimettente non valuta
appieno le implicazioni. Le carenze del percorso argomentativo
seguito finiscono per riverberarsi sulla ammissibilita' stessa della
questione proposta.
3.1.- Con la sentenza n. 385 del 2005, questa Corte ha dichiarato
l'illegittimita' costituzionale degli artt. 70 e 72 del d.lgs. n. 151
del 2001, «nella parte in cui non prevedono il principio che al padre
spetti di percepire in alternativa alla madre l'indennita' di
maternita', attribuita solo a quest'ultima».
Essa e' pervenuta a tale conclusione sulla base del rilievo che
il d.lgs. n. 151 del 2001 ha riconosciuto il diritto all'indennita'
al padre adottivo o affidatario lavoratore dipendente e l'ha escluso
per quanti esercitano una libera professione.
Tale disparita' «rappresenta un vulnus sia del principio di
parita' di trattamento tra le figure genitoriali e fra lavoratori
autonomi e dipendenti, sia del valore della protezione della famiglia
e della tutela del minore» e contraddice la ratio degli istituti a
tutela della maternita', che «non hanno piu', come in passato, il
fine precipuo ed esclusivo di protezione della donna, ma sono
destinati alla difesa del preminente interesse del bambino "che va
tutelato non solo per cio' che attiene ai bisogni piu' propriamente
fisiologici, ma anche in riferimento alle esigenze di carattere
relazionale ed affettivo che sono collegate allo sviluppo della sua
personalita'" (sentenza n. 179 del 1993)» (sentenza n. 385 del 2005,
punto 6. del Considerato in diritto).
L'astensione dal lavoro, nei casi dell'affidamento e
dell'adozione, si prefigge di garantire «una completa assistenza al
bambino nella delicata fase del suo inserimento nella famiglia» e
l'effettiva parita' di trattamento tra i genitori, liberi di
accordarsi sull'organizzazione familiare piu' adeguata, risponde al
preminente interesse del minore (sentenza n. 385 del 2005, punto 6.
del Considerato in diritto), come ribadito da questa Corte anche
nella sentenza n. 285 del 2010.
Si e' inoltre specificato che «[n]el rispetto dei principi
sanciti da questa Corte, rimane comunque riservato al legislatore il
compito di approntare un meccanismo attuativo che consenta anche al
lavoratore padre un'adeguata tutela» (sentenza n. 385 del 2005, punto
6. del Considerato in diritto).
3.2.- La Corte rimettente ricorda che il Tribunale ordinario di
Pordenone ha negato al padre l'indennita' di maternita', poiche' ha
ravvisato nella sentenza n. 385 del 2005 una «sentenza additiva di
principio», che richiede l'interposizione del legislatore, e
puntualizza inoltre che il ricorrente, con il primo motivo di
gravame, ha prospettato la violazione dei principi enunciati dalla
giurisprudenza costituzionale.
Il giudice a quo argomenta che «l'intervento della Corte
Costituzionale di cui alla sentenza n. 385/2005 richiamata
dall'attore ha natura non certo autoapplicativa essendo comunque
necessario un intervento legislativo sul tema (vedi, sul tema ed in
tale preciso senso, Cass. 8594/2016)» e, su tale presupposto,
sollecita una nuova pronuncia di questa Corte, calibrata sulla
specifica vicenda sottoposta al suo giudizio, concernente un padre
libero professionista che intenda conseguire l'indennita' di
maternita' al posto della madre che a tale indennita' abbia
rinunciato.
3.3.- La Corte rimettente prende le mosse dall'erroneo
presupposto che, in difetto di un intervento del legislatore, il
principio enunciato da questa Corte con la sentenza n. 385 del 2005
non dispieghi alcuna influenza sulla definizione della vicenda
controversa.
Al contrario, in conseguenza della dichiarazione di
illegittimita' costituzionale degli artt. 70 e 72 del d.lgs. n. 151
del 2001, riguardanti i liberi professionisti iscritti a enti che
gestiscono forme obbligatorie di previdenza, la regola che preclude
al padre adottivo il godimento dell'indennita' di maternita', in
posizione di parita' con la madre, ha cessato di avere efficacia e
non puo' piu' ricevere applicazione dal giorno successivo alla
pubblicazione della decisione (artt. 136 Cost. e 30 della legge 11
marzo 1953 n. 87, recante «Norme sulla costituzione e sul
funzionamento della Corte costituzionale»).
In continuita' con la giurisprudenza di questa Corte (sentenza n.
295 del 1991, punto 3. del Considerato in diritto), si deve affermare
che le dichiarazioni di illegittimita' costituzionale corredate
dall'addizione di un principio, enunciato in maniera puntuale e
quindi suscettibile di diretta applicazione, impongono di ricercare
all'interno del sistema la soluzione piu' corretta (sentenza n. 32
del 1999, punto 6. del Considerato in diritto), anche quando la
sentenza ne ha rimesso l'attuazione al legislatore. E' dovere del
giudice, chiamato ad applicare la Costituzione e le sentenze che
questa Corte adotta a garanzia della stessa, fondare la sua decisione
sul principio enunciato, che e' incardinato nell'ordinamento quale
regola di diritto positivo, ancor prima che il legislatore intervenga
per dare ad esso piena attuazione.
In tale direzione, del resto, si e' gia' orientato il diritto
vivente, quando ha affermato che, nelle more dell'intervento
legislativo, la norma applicabile, idonea a produrre effetti
nell'ordinamento, e' solo quella che si ispira al principio enunciato
da questa Corte (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza
25 gennaio 2017, n. 1946).
Nel caso in discussione, questa circostanza si e' verificata in
modo inequivocabile.
Questa Corte non puo' dunque pronunciarsi una seconda volta, come
richiede il giudice a quo, indotto dalla considerazione che non si
possa altrimenti dirimere la controversia pendente (in termini
analoghi, sentenza n. 295 del 1991, punto 3. del Considerato in
diritto, ripresa dalla sentenza n. 74 del 1996, punto 2. del
Considerato in diritto).
Il principio di parita' tra i genitori adottivi conforma,
difatti, la disciplina dell'indennita' di maternita', che oramai vive
nell'ordinamento, innervata dal principio ordinatore che questa Corte
ha introdotto, come peraltro affermato anche dalla Corte di
cassazione in una pronuncia recente (Corte di cassazione, sezione
lavoro, sentenza 27 aprile 2018, n. 10282).
In conclusione, al principio, enunciato in maniera puntuale nei
termini di una perfetta parita' tra i genitori adottivi, il giudice
dovra' dunque fare riferimento per individuare un criterio di
giudizio della controversia che e' chiamato a decidere.
3.4.- Ogni altro possibile profilo di inammissibilita' resta
assorbito.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibili le questioni di legittimita'
costituzionale degli artt. 70 e 72 del decreto legislativo 26 marzo
2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia
di tutela e sostegno della maternita' e della paternita', a norma
dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), nel testo
antecedente alle modificazioni apportate dal decreto legislativo 15
giugno 2015, n. 80 (Misure per la conciliazione delle esigenze di
cura, di vita e di lavoro, in attuazione dell'articolo 1, commi 8 e
9, della legge 10 dicembre 2014, n. 183), sollevate dalla Corte
d'appello di Trieste, in riferimento agli artt. 3, primo e secondo
comma, 29, primo comma, 31, primo e secondo comma, 117, primo comma,
della Costituzione, in relazione agli artt. 12 e 14 della Convenzione
per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta'
fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e
resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, e agli artt. 21 e 23
della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE),
proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12
dicembre 2007, con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, l'11 aprile 2018.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Silvana SCIARRA, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 23 maggio 2018.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA
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