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mercoledì 25 luglio 2018

N. 174 SENTENZA 4 - 23 luglio 2018 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Ordinamento penitenziario - Assistenza all'esterno dei figli minori - Esclusione dal beneficio per le detenute condannate alla pena della reclusione per uno dei delitti indicati nei commi 1, 1-ter e 1-quater dell'art. 4-bis della legge n. 354 del 1975, che non abbiano ancora espiato una frazione di pena. - Legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liberta'), art. 21-bis. - (GU n.30 del 25-7-2018 )





N. 174 SENTENZA 4 - 23 luglio 2018

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Ordinamento penitenziario - Assistenza all'esterno dei figli minori -
  Esclusione dal beneficio per le detenute condannate alla pena della
  reclusione per uno dei  delitti  indicati  nei  commi  1,  1-ter  e
  1-quater dell'art. 4-bis della legge  n.  354  del  1975,  che  non
  abbiano ancora espiato una frazione di pena.
- Legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento  penitenziario
  e sulla  esecuzione  delle  misure  privative  e  limitative  della
  liberta'), art. 21-bis.


(GU n.30 del 25-7-2018 )

 

                       LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
Presidente:Giorgio LATTANZI;
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo CORAGGIO,  Silvana  SCIARRA,  Daria  de  PRETIS,  Nicolo'
  ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,
  Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO',

     
    ha pronunciato la seguente

                              SENTENZA

    nel giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  21-bis
della  legge  26  luglio  1975,  n.   354   (Norme   sull'ordinamento
penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e  limitative
della liberta'), promosso dal Magistrato di sorveglianza di  Lecce  e
Brindisi, nel procedimento su reclamo di M. D.D., con  ordinanza  del
22 maggio 2017, iscritta al n. 142  del  registro  ordinanze  2017  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  42,  prima
serie speciale, dell'anno 2017.
    Udito nella camera di consiglio del  4  luglio  2018  il  Giudice
relatore Nicolo' Zanon.

                          Ritenuto in fatto

    1.- Con ordinanza del 22 maggio 2017,  iscritta  al  n.  142  del
registro ordinanze 2017, il Magistrato di  sorveglianza  di  Lecce  e
Brindisi ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 29, 30 e 31 della
Costituzione,  questioni  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.
21-bis della legge 26 luglio 1975,  n.  354  (Norme  sull'ordinamento
penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e  limitative
della liberta'), nella parte in cui tale disposizione, facendo rinvio
all'art. 21 della  medesima  legge  n.  354  del  1975,  esclude  dal
beneficio dell'assistenza all'esterno dei figli di eta' non superiore
agli anni dieci il detenuto condannato «per reato ostativo»  che  non
abbia ancora espiato almeno un terzo della pena.
    1.1.- Le questioni  di  legittimita'  costituzionale  sono  state
sollevate dal giudice chiamato a decidere il reclamo  presentato,  ex
art. 35-bis della legge n. 354 del 1975, da M. D.D., condannata  alla
pena di quattro anni e dieci mesi di reclusione per i delitti di  cui
agli artt. 73 e 74 del d.P.R. 9 ottobre 1990,  n.  309  (Testo  unico
delle leggi in materia di disciplina degli  stupefacenti  e  sostanze
psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati  di
tossicodipendenza), con fine pena al 30 maggio 2021.
    Il giudice a quo ricorda che la condannata, in  quanto  madre  di
tre figli (due gemelli di cinque anni e un figlio di  tre  anni),  ha
chiesto   all'amministrazione   penitenziaria   di   essere   ammessa
all'assistenza all'esterno dei figli minori ai sensi dell'art. 21-bis
della legge n. 354 del 1975, ma che tale istanza e' stata  rigettata,
in quanto M. D.D. non ha ancora espiato un  terzo  della  pena.  Tale
requisito  e'  previsto  dall'art.  21,  comma  1,  cui   rinvia   la
disposizione da ultimo citata, per i detenuti condannati per uno  dei
reati elencati all'art. 4-bis, commi 1, 1-ter e 1-quater, della legge
n. 354  del  1975.  Il  difensore  di  M.  D.D.,  nell'insistere  per
l'accoglimento   del    reclamo,    ha    dedotto    l'illegittimita'
costituzionale del ricordato art. 21-bis.
    Il giudice rimettente osserva che le  questioni  di  legittimita'
costituzionale eccepite dalla parte sarebbero rilevanti, atteso  che,
con il reclamo presentato ex art. 35-bis, e'  stato  lamentato  -  ai
sensi dell'art. 68, comma 2, lettera b) [recte:  art.  69,  comma  6,
lettera b)], della  legge  n.  354  del  1975  -  l'attuale  e  grave
pregiudizio  determinato  dall'adozione  di  un   atto   di   rigetto
dell'ammissione   al   beneficio   da   parte    dell'amministrazione
penitenziaria, la quale ha assunto la propria  decisione  sulla  base
dell'art. 21-bis della legge n. 354 del 1975.
    Evidenzia, inoltre, il giudice a quo che, sebbene a seguito della
sentenza della Corte costituzionale n. 76 del 2017 la detenuta  possa
avanzare istanza per l'accesso alla detenzione  domiciliare  speciale
ex art. 47-quinquies della legge n. 354 del 1975, ella «in  concreto»
non risulterebbe «ancora nelle condizioni di merito per accedere alla
misura alternativa,  attesa  l'esiguita'  della  pena  espiata  e  la
valutazione di prematurita' per  l'avvio  di  una  progettualita'  in
esternato, espressa anche dall'Equipe di Osservazione».
    Ad avviso del rimettente, la misura alternativa  alla  detenzione
prevista dal citato art.  47-quinquies  costituirebbe  uno  strumento
trattamentale non sovrapponibile, bensi' complementare e progressivo,
rispetto a quello dell'assistenza all'esterno dei figli  minori,  che
conserva carattere inframurario.
    Ne consegue  -  secondo  il  rimettente  -  che  la  detenuta  ha
interesse  alla  fruizione  del  beneficio   penitenziario   previsto
dall'art. 21-bis della legge n. 354 del 1975 pur successivamente alla
decisione della Corte costituzionale n. 76 del 2017.
    1.2.- Nel merito,  il  rimettente  ricorda  che  la  disposizione
censurata fu introdotta dalla legge  8  marzo  2001,  n.  40  (Misure
alternative alla detenzione a tutela  del  rapporto  tra  detenute  e
figli minori), ossia da una legge preordinata a tutelare  il  diritto
del minore a mantenere, nella prima  infanzia,  un  sano  e  corretto
rapporto con la madre detenuta  in  un  contesto  diverso  da  quello
carcerario, del tutto inadatto a tale scopo.
    La disposizione censurata,  contenendo  quel  che  il  rimettente
definisce un «automatismo di  preclusione  assoluta»  all'accesso  al
beneficio, si porrebbe, invece, in contrasto con gli artt. 3, 29,  30
e 31 Cost. e, in particolare, con il diritto del minore  a  mantenere
un rapporto con la madre all'esterno del carcere (diritto,  peraltro,
gia' riconosciuto dalla Convenzione sui diritti del fanciullo,  fatta
a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge
27 maggio 1991, n.  176,  e  dalla  Carta  dei  diritti  fondamentali
dell'Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000  e
adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007).  In  particolare,  l'art.
21-bis della legge n. 354  del  1975  sarebbe  in  contrasto  con  il
principio secondo cui  il  «superiore  e  preminente»  interesse  del
minore puo' essere «limitato», in occasione di decisioni assunte  «da
autorita' pubbliche o istituzioni private»,  solo  a  seguito  di  un
bilanciamento con  interessi  contrapposti  (come  quelli  di  difesa
sociale sottesi all'esecuzione della pena).
    Affermando di non ignorare che tale bilanciamento  e'  rimesso  a
scelte discrezionali  di  politica  legislativa,  il  giudice  a  quo
lamenta, tuttavia, che la disposizione censurata  si  limiterebbe  «a
fissare una preclusione rigida» e che essa impedirebbe la concessione
del beneficio prima che sia stato espiato un congruo periodo di pena,
senza che possa essere verificata in concreto la sussistenza  di  una
prevalente ragione che alla concessione di tale beneficio si opponga.
    La    disposizione    censurata    si    inserirebbe,    inoltre,
disarmonicamente in un sistema che consente alle madri condannate per
delitti  ostativi  di  essere  da  subito  ammesse,   a   prescindere
dall'entita' della pena da espiare,  alla  misura  alternativa  della
detenzione domiciliare ordinaria, nelle ipotesi in cui  e'  possibile
disporre il rinvio obbligatorio o facoltativo  dell'esecuzione  della
pena ai sensi degli artt. 146 e 147 del codice penale  (art.  47-ter,
comma 1-ter, della legge n. 354 del 1975) e, in forza della  sentenza
della  Corte  costituzionale  n.  76  del  2017,  alla  misura  della
detenzione domiciliare  speciale  (art.  47-quinquies,  comma  1-bis,
della legge n. 354 del 1975). In tale  contesto,  il  censurato  art.
21-bis si porrebbe «come ultimo tassello normativo costituzionalmente
illegittimo»,   in   quanto   esclude   dal   beneficio,   sia    pur
temporaneamente,  le  condannate  per   reato   ostativo,   con   una
presunzione di assoluta immeritevolezza.
    Precisa, infine, il giudice a  quo  che  la  circostanza  che  la
detenuta  possa  chiedere  di  essere  ammessa  alla   misura   della
detenzione domiciliare speciale non inciderebbe sulla rilevanza delle
questioni di legittimita' costituzionale  cosi'  formulate.  Infatti,
l'art. 47-quinquies della legge  n.  354  del  1975,  comportando  la
formale  scarcerazione,  prevede  un   regime   differente   e   meno
contenitivo rispetto alla concessione del beneficio di  cui  all'art.
21-bis, che,  invece,  comporta  solo  una  differente  modalita'  di
trattamento  inframurario.  Nella  prospettiva  del  rimettente,   la
«previsione di una progressivita' di trattamento», la cui valutazione
e' demandata alla magistratura di sorveglianza, dovrebbe  logicamente
comportare che ai due menzionati istituti  la  detenuta  sia  ammessa
sulla base di  identici  presupposti,  opportunamente  valutabili  in
relazione al caso concreto e sulla base della  pericolosita'  sociale
di una condannata, che, come accade nel caso di specie, abbia da poco
iniziato ad espiare la pena per uno dei reati elencati all'art. 4-bis
della legge n. 354 del 1975.

                       Considerato in diritto

    1.- Il Magistrato di sorveglianza  di  Lecce  e  Brindisi  dubita
della legittimita' costituzionale dell'art.  21-bis  della  legge  26
luglio 1975, n. 354 (Norme  sull'ordinamento  penitenziario  e  sulla
esecuzione delle misure privative e limitative della liberta'), nella
parte in cui tale disposizione, facendo rinvio a quanto  disposto  al
precedente art. 21 della medesima legge n. 354 del 1975, esclude  dal
beneficio dell'assistenza all'esterno dei figli di eta' non superiore
agli anni dieci il detenuto condannato «per reato ostativo»  che  non
abbia ancora espiato almeno un terzo della pena.
    La disposizione censurata, al comma 1, prevede che le  condannate
e  le  internate  possono  essere  ammesse  a  tale  beneficio   alle
condizioni previste dal precedente art. 21. Quest'ultimo, in tema  di
accesso dei detenuti al lavoro all'esterno, al comma 1, dispone  che,
in caso di condanna alla pena della reclusione per  uno  dei  delitti
indicati nei commi 1, 1-ter e 1-quater, dell'art. 4-bis  della  legge
n. 354 del 1975, il beneficio puo' essere concesso dopo  l'espiazione
di almeno un terzo della pena in carcere e, comunque,  di  non  oltre
cinque   anni.   Nei   confronti   dei    condannati    all'ergastolo
l'assegnazione al lavoro all'esterno puo' avvenire dopo  l'espiazione
di almeno dieci anni.
    Secondo il rimettente, l'esclusione dal beneficio dell'assistenza
all'esterno dei figli minori per la detenuta  condannata  «per  reato
ostativo» che non abbia ancora espiato almeno una  parte  di  pena  -
esclusione derivante dal sistema  normativo  appena  descritto  -  si
porrebbe  in  contrasto  con  gli  artt.  3,  29,  30  e   31   della
Costituzione.  La  disposizione  censurata  finirebbe   infatti   per
contenere un «automatismo di  preclusione  assoluta»  all'accesso  al
beneficio e impedirebbe al giudice,  laddove  non  sia  ancora  stata
espiata una parte di  pena,  di  bilanciare  le  esigenze  di  difesa
sociale con l'interesse  del  minore,  pregiudicando  il  diritto  di
quest'ultimo a mantenere un rapporto con  la  madre  all'esterno  del
carcere (diritto, peraltro, gia' riconosciuto dalla  Convenzione  sui
diritti del  fanciullo,  fatta  a  New  York  il  20  novembre  1989,
ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176, e dalla
Carta  dei  diritti   fondamentali   dell'Unione   europea   (CDFUE),
proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo  il  12
dicembre 2007).
    Secondo il giudice a quo, inoltre, la disposizione  censurata  si
inserirebbe disarmonicamente in un sistema  che  gia'  consente  alle
madri condannate per delitti ostativi di essere da subito ammesse,  a
prescindere dall'entita' della  pena  da  espiare,  sia  alla  misura
alternativa della detenzione domiciliare ordinaria, nelle ipotesi  in
cui e'  possibile  disporre  il  rinvio  obbligatorio  o  facoltativo
dell'esecuzione della pena ai sensi degli artt. 146 e 147 del  codice
penale (art. 47-ter, comma 1-ter, della legge n. 354 del 1975),  sia,
in forza della sentenza della Corte costituzionale n.  76  del  2017,
alla misura della detenzione domiciliare speciale (art. 47-quinquies,
comma 1-bis, della legge n. 354 del 1975).
    2.- La questione e' fondata.
    2.1.- L'art.  21-bis  della  legge  n.  354  del  1975  e'  stato
introdotto dall'art. 5 della  legge  8  marzo  2001,  n.  40  (Misure
alternative alla detenzione a tutela  del  rapporto  tra  detenute  e
figli minori), al fine di ampliare  le  possibilita',  per  la  madre
detenuta che non abbia ottenuto la detenzione domiciliare ordinaria o
la detenzione domiciliare  speciale,  di  provvedere  alla  cura  dei
figli, in un  ambiente  non  carcerario,  per  un  periodo  di  tempo
predeterminato nel corso della giornata.
    Come emerge dai lavori preparatori della legge n. 40 del 2001 (ed
in particolare dalla  Relazione  illustrativa  al  disegno  di  legge
C-4426 presentato alla Camera dei deputati il 24  dicembre  1997)  il
legislatore,  da  un  lato,  ha  inteso  ampliare  le  modalita'  che
assicurano la continuita' della funzione genitoriale, dall'altro,  ha
ritenuto che i compiti di cura dei figli minori  abbiano  «lo  stesso
valore   sociale   e   la   stessa   potenzialita'    risocializzante
dell'attivita' lavorativa». Per  tale  ragione,  le  condizioni  alle
quali e' possibile ottenere il beneficio dell'assistenza  all'esterno
ai figli di eta' non superiore agli anni dieci coincidono con  quelle
previste per l'accesso al lavoro  all'esterno.  L'art.  21-bis  della
legge n. 354 del 1975, quindi, rinvia  al  precedente  art.  21,  che
prevede, per i condannati alla pena  della  reclusione  per  uno  dei
delitti indicati nei commi  1,  1-ter  e  1-quater,  dell'art.  4-bis
dell'ordinamento penitenziario, che l'accesso al  lavoro  all'esterno
sia subordinato alla previa espiazione di almeno un terzo della  pena
detentiva, e comunque di non oltre  cinque  anni,  oppure  almeno  di
dieci anni in caso di condannati alla pena dell'ergastolo.
    Alla luce di questa ricostruzione, le sollevate  questioni  sulla
disposizione in tema di accesso all'assistenza all'esterno  ai  figli
in tenera eta' pongono il seguente quesito: se sia costituzionalmente
corretto  che  i  requisiti  previsti  per  ottenere   un   beneficio
prevalentemente finalizzato a favorire, al di fuori della restrizione
carceraria, il rapporto tra  madre  e  figli  in  tenera  eta'  siano
identici a quelli prescritti per l'accesso al diverso  beneficio  del
lavoro  all'esterno,  il  quale  e'  esclusivamente  preordinato   al
reinserimento sociale del condannato,  senza  immediate  ricadute  su
soggetti diversi da quest'ultimo.
    2.2.-  Per  inquadrare  correttamente  le  questioni   sottoposte
all'esame della Corte, occorre premettere che l'art. 21, nella  parte
in cui regola l'accesso al beneficio per i  condannati  per  uno  dei
delitti elencati all'art. 4-bis della legge n.  354  del  1975,  deve
essere interpretato in base a quanto disposto  dagli  artt.  4-bis  e
58-ter della medesima legge.
    Tali due ultime disposizioni consentono un  accesso  ai  benefici
penitenziari differenziato a seconda del titolo di reato per i  quali
i condannati scontano la pena, nonche' a seconda della condizione  in
cui essi si trovano in punto di collaborazione con la giustizia.
    In base al citato art. 4-bis i condannati per i delitti  elencati
nel comma 1 del medesimo articolo (tra i quali e'  da  annoverare  la
madre detenuta di cui si tratta nel giudizio a quo) possono  accedere
ai benefici  previsti  dall'ordinamento  penitenziario  solo  qualora
collaborino con la giustizia a norma dell'art.  58-ter  della  stessa
legge.
    Per  parte  sua,  l'art.  58-ter  prevede,   tra   l'altro,   con
riferimento alle persone condannate per taluno dei  delitti  indicati
nei commi 1, 1-ter e 1-quater, dell'art. 4-bis, che  l'aver  scontato
almeno la parte di pena detentiva prevista al comma  1  dell'art.  21
non  costituisce  presupposto  necessario  per  l'accesso  al  lavoro
all'esterno (e dunque, per quel  che  qui  interessa,  all'assistenza
all'esterno ai figli minori) se, anche  dopo  la  condanna,  si  sono
adoperati per  evitare  che  l'attivita'  delittuosa  sia  portata  a
conseguenze ulteriori ovvero hanno aiutato concretamente  l'autorita'
di polizia o  l'autorita'  giudiziaria  nella  raccolta  di  elementi
decisivi per la ricostruzione dei fatti e per l'individuazione  o  la
cattura degli autori dei reati.
    L'operare congiunto delle tre disposizioni  ricordate  (dell'art.
21, nonche' degli artt. 4-bis, comma 1, e 58-ter della legge  n.  354
del  1975)  comporta,  in  definitiva,  che   l'accesso   al   lavoro
all'esterno - e, di conseguenza, all'assistenza all'esterno dei figli
minori - sia soggetto a requisiti differenziati,  a  seconda  che  il
detenuto sia stato condannato per uno dei delitti  elencati  all'art.
4-bis, comma 1 (delitti cosiddetti  di  prima  fascia),  comma  1-ter
(cosiddetti di seconda fascia) o comma 1-quater (cosiddetti di  terza
fascia), nonche' a seconda della condizione in  cui  il  detenuto  si
trovi in punto di collaborazione con la giustizia.
    In particolare, i condannati per  uno  dei  delitti  elencati  ai
commi 1-ter (di "seconda fascia")  e  1-quater  (di  "terza  fascia")
dell'art. 4-bis  della  legge  n.  354  del  1975,  per  accedere  al
beneficio, dovranno, alternativamente,  scontare  la  parte  di  pena
prevista dall'art. 21, oppure potranno  ottenerlo  immediatamente  se
collaborano attivamente con la giustizia ex art. 58-ter.
    Invece,  stante   il   perentorio   contenuto   letterale   della
disposizione, i condannati per i delitti di cui al comma 1  dell'art.
4-bis della legge n.  354  del  1975  (di  "prima  fascia"),  se  non
collaborano con la  giustizia  non  potranno  accedere  al  beneficio
neppure dopo aver scontato un terzo di pena (o dieci anni in caso  di
condanna  all'ergastolo);  se,  invece,  essi   tale   collaborazione
assicurino seguendo le modalita' previste dall'art. 58-ter, comma  1,
della  legge  n.  354  del  1975,  potranno  accedervi  senza   dover
previamente scontare una frazione  di  pena,  secondo  una  soluzione
interpretativa gia' individuata da questa Corte (sentenza n. 504  del
1995; nello stesso senso, Corte di cassazione, sezione prima  penale,
sentenza 3 febbraio 2016, n. 37578, e sentenza  12  luglio  2006,  n.
30434).
    In  base  ad  una  interpretazione  letterale   delle   ricordate
disposizioni, debbono invece scontare una frazione di pena  prima  di
accedere al beneficio i condannati per  uno  dei  delitti  di  "prima
fascia" che si trovino nelle  condizioni  previste  dal  comma  1-bis
dell'art. 4-bis della legge n. 354 del  1975.  In  altre  parole,  la
previsione secondo cui e' necessario scontare un  terzo  di  pena,  o
dieci anni in caso di ergastolo, prima di poter accedere al beneficio
del lavoro all'esterno (e, per cio' che qui interessa, all'assistenza
all'esterno dei figli minori) si applica a quei  condannati  per  uno
dei delitti elencati all'art. 4-bis, comma 1, per  i  quali  un'utile
collaborazione con la giustizia risulti  inesigibile  a  causa  della
limitata partecipazione al fatto criminoso accertata  nella  sentenza
di condanna, ovvero risulti impossibile, per l'integrale accertamento
dei  fatti  e  delle  responsabilita',  operato   con   la   sentenza
irrevocabile; nonche' nei casi in cui la collaborazione  offerta  dal
condannato si riveli «oggettivamente  irrilevante»  (sempre  che,  in
questa evenienza, sia stata  applicata  al  condannato  taluna  delle
circostanze attenuanti di cui agli artt. 62, numero 6, 114 o 116 cod.
pen.), e comunque «siano stati acquisiti elementi tali  da  escludere
l'attualita'  di  collegamenti  con  la   criminalita'   organizzata,
terroristica o eversiva».
    2.3.- Qualunque sia la scelta della madre detenuta  in  punto  di
collaborazione con la giustizia, la disposizione  censurata  esibisce
un contenuto normativo in contrasto con  l'art.  31,  secondo  comma,
Cost.
    2.4.- In primo luogo, infatti, per le detenute per uno dei  reati
elencati all'art. 4-bis,  comma  1,  della  legge  n.  354  del  1975
l'accesso all'assistenza all'esterno dei figli minori e' subordinato,
quale  requisito  imprescindibile,  a  tale  collaborazione,   svolta
secondo le  indicazioni  contenute  nell'art.  58-ter  ordin.  penit.
Infatti, quand'anche la condannata abbia  scontato  una  parte  della
pena, in assenza di collaborazione non potra' accedere al beneficio.
    In tal caso, la situazione della detenuta, madre di figli di eta'
non superiore agli anni dieci, ricade nelle valutazioni  compiute  da
questa Corte nella sentenza n. 239 del 2014. In quest'ultima,  si  e'
affermato che l'incentivazione alla collaborazione con la  giustizia,
quale strategia di contrasto con la  criminalita'  organizzata,  puo'
perseguirsi impedendo la fruizione di benefici penitenziari costruiti
in  funzione  di  un  progresso  individuale  del  condannato   verso
l'obbiettivo della risocializzazione. Si e' altresi' chiarito che  la
conclusione deve essere ben diversa quando una simile  strategia  non
si  limiti  a  produrre  effetti  sulla  condizione  individuale  del
detenuto, ma, impedendo a  quest'ultimo  l'accesso  a  un  beneficio,
finisca per incidere anche su terzi, e in  particolare  su  soggetti,
come i minori in tenera eta', ai quali la  Costituzione  esige  siano
garantite le condizioni per il migliore e piu'  equilibrato  sviluppo
psico-fisico.
    Nella sentenza  n.  239  del  2014  si  e'  anche  precisato  che
l'interesse  del  minore   a   beneficiare   in   modo   continuativo
dell'affetto e delle cure materne non forma oggetto di una protezione
assoluta, insuscettibile di bilanciamento con contrapposte  esigenze,
pure di rilievo  costituzionale,  quali  quelle  di  difesa  sociale,
sottese alla necessaria esecuzione della pena. Ma si e' aggiunto che,
affinche'  l'interesse  del  minore   non   resti   irragionevolmente
recessivo rispetto alle esigenze di  protezione  della  societa'  dal
crimine, «occorre che la  sussistenza  e  la  consistenza  di  queste
ultime venga verificata [...] in concreto [...] e non gia'  collegata
ad indici presuntivi [...] che precludono al giudice ogni margine  di
apprezzamento delle singole situazioni».
    Se queste considerazioni vengono riferite  al  caso  dell'accesso
all'assistenza all'esterno dei figli minori di  cui  all'art.  21-bis
della legge n. 354 del 1975, la conclusione e' obbligata. Subordinare
la concessione di tale beneficio alla collaborazione con la giustizia
significa condizionare in via assoluta e  presuntiva  la  tutela  del
rapporto tra madre e figlio in tenera eta' ad un  indice  legale  del
"ravvedimento" della condannata. E se pur sia possibile  condizionare
alla collaborazione con  la  giustizia  l'accesso  ad  un  beneficio,
laddove  quest'ultimo   abbia   di   mira   in   via   esclusiva   la
risocializzazione  dell'autore  della  condotta  illecita,  una  tale
possibilita' non vi e' quando al centro  della  tutela  si  trovi  un
interesse "esterno", e in  particolare  il  peculiare  interesse  del
figlio minore, garantito dall'art. 31, secondo comma,  Cost.,  ad  un
rapporto quanto piu' possibile  normale  con  la  madre  (o,  in  via
subordinata, con il padre).
    Per identiche ragioni, tra l'altro, la disposizione censurata  si
pone in contrasto con il parametro costituzionale da ultimo ricordato
anche nella parte  in  cui  condiziona  alla  collaborazione  con  la
giustizia l'immediato accesso al beneficio per i condannati  per  uno
dei delitti elencati all'art. 4-bis, commi 1-ter  e  1-quater,  della
legge n. 354 del 1975 (cosiddetti di seconda o di terza fascia).
    Ciascuna  delle  ipotesi  considerate,   infatti,   finisce   per
subordinare l'accesso all'assistenza all'esterno al figlio minore  ad
una scelta in tema di collaborazione  con  la  giustizia,  in  palese
contrasto con quanto affermato da questa Corte nella sentenza n.  239
del 2014.
    2.5.- L'art. 21-bis della legge n. 354 del 1975 si pone,  infine,
in contrasto con  l'art.  31,  secondo  comma,  Cost.  anche  per  le
conseguenze che determina in capo alle madri  detenute  per  uno  dei
reati ex art. 4-bis, comma 1, ordin. penit.,  la  cui  collaborazione
con la giustizia sia impossibile, inesigibile o irrilevante.
    Tali detenute - come ricordato  -  debbono  sempre  scontare  una
parte di pena  prima  di  accedere  al  beneficio.  L'amministrazione
penitenziaria prima, e il giudice poi, si trovano, cosi', al cospetto
di una presunzione assoluta e insuperabile, non essendo loro concesso
di bilanciare in concreto, a prescindere da indici legali presuntivi,
le esigenze di difesa sociale  rispetto  al  migliore  interesse  del
minore.
    Cio' e' in contrasto con i principi  affermati  da  questa  Corte
nella sentenza n. 76 del 2017, che ha  dichiarato  costituzionalmente
illegittimo l'art. 47-quinquies, comma 1-bis, della legge n. 354  del
1975, nella parte in cui imponeva alle condannate per uno dei delitti
di cui all'art. 4-bis della medesima legge di scontare  una  frazione
di  pena  in  carcere  prima  di  poter  accedere   alla   detenzione
domiciliare speciale, cioe' ad altra misura finalizzata  a  garantire
il rapporto tra la madre detenuta e il figlio in tenera eta'.
    In tale sentenza si e' affermato che se il  legislatore,  tramite
il ricorso a presunzioni insuperabili, nega in radice l'accesso della
madre a modalita' agevolate di espiazione della  pena,  impedendo  al
giudice  di  valutare  la   concreta   sussistenza,   nelle   singole
situazioni, di esigenze  di  difesa  sociale,  bilanciandole  con  il
migliore interesse del minore in  tenera  eta',  si  e'  al  cospetto
dell'introduzione di un automatismo basato su indici  presuntivi,  il
quale comporta il totale sacrificio di quell'interesse.
    Tale conclusione non puo' che essere ora ribadita con riferimento
all'accesso al beneficio dell'assistenza all'esterno ai figli di eta'
non superiore agli anni dieci per le detenute per uno  dei  reati  ex
art. 4-bis, comma 1, ordin. penit.,  la  cui  collaborazione  con  la
giustizia sia impossibile, inesigibile o irrilevante.
    2.6.-  In  definitiva,  i  requisiti  legislativi  previsti   per
l'accesso a un beneficio prevalentemente finalizzato a  favorire,  al
di fuori della restrizione carceraria, il rapporto tra madre e  figli
in tenera eta', non possono coincidere con quelli  per  l'accesso  al
diverso beneficio del lavoro all'esterno, il quale e'  esclusivamente
preordinato al reinserimento sociale del condannato, senza  immediate
ricadute su soggetti diversi da quest'ultimo.
    L'art. 21-bis della legge n. 354 del  1975,  operando  invece  un
rinvio al precedente art. 21, e parificando i requisiti in  discorso,
si pone in contrasto con l'art. 31, secondo  comma,  Cost.,  poiche',
salvo  che  sia  stata  accertata  la  sussistenza  delle  condizioni
previste dall'art. 58-ter della medesima legge, con riferimento  alle
detenute condannate alla pena della reclusione per uno dei delitti di
cui all'art. 4-bis, commi 1, 1-ter e 1-quater, non consente l'accesso
all'assistenza all'esterno dei figli minori oppure lo subordina  alla
previa espiazione di una frazione di pena.
    Restano assorbite le  questioni  sollevate  in  riferimento  agli
altri parametri evocati dal rimettente.
    2.7.- Osserva, infine, questa Corte che la presente pronuncia  di
accoglimento non pregiudica le esigenze  di  difesa  sociale  sottese
alla previsione di limiti all'accesso al beneficio  di  cui  all'art.
21-bis della legge n. 354 del 1975 per i condannati  per  taluno  dei
reati elencati all'art. 4-bis della medesima  legge  (siano  essi  la
madre detenuta o, in via subordinata, il padre ex art  21-bis,  comma
3). La  concessione  del  beneficio  resta  pur  sempre  affidata  al
prudente apprezzamento del magistrato di  sorveglianza,  chiamato  ad
approvare    il    provvedimento    disposto     dall'amministrazione
penitenziaria (ai sensi degli artt. 21, comma 4, e 69, comma 5, della
legge  n.  354  del  1975).  In  tale  sede,   infatti,   l'autorita'
giudiziaria deve «tenere conto  del  tipo  di  reato,  della  durata,
effettiva o prevista, della misura privativa della liberta'  e  della
residua parte di essa, nonche' dell'esigenza di prevenire il pericolo
che l'ammesso al lavoro all'esterno [nel nostro caso:  all'assistenza
all'esterno ai figli] commetta altri reati» (art. 48,  comma  4,  del
d.P.R. 30 giugno 2000, n. 230, intitolato «Regolamento recante  norme
sull'ordinamento penitenziario e sulle misure privative e  limitative
della liberta'»).

     

                          per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE

    dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art.  21-bis  della
legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario  e
sull'esecuzione delle misure privative e limitative della  liberta'),
nella parte in cui, attraverso il rinvio al precedente art.  21,  con
riferimento alle detenute condannate alla pena della  reclusione  per
uno dei delitti di cui all'art. 4-bis, commi  1,  1-ter  e  1-quater,
della legge n. 354 del 1975, non  consente  l'accesso  all'assistenza
all'esterno dei figli di eta' non superiore agli anni dieci oppure lo
subordina alla previa espiazione di una frazione di pena,  salvo  che
sia  stata  accertata  la  sussistenza  delle   condizioni   previste
dall'art. 58-ter della medesima legge.
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, 4 luglio 2018.

                                F.to:
                    Giorgio LATTANZI, Presidente
                      Nicolo' ZANON, Redattore
                     Roberto MILANA, Cancelliere

    Depositata in Cancelleria il 23 luglio 2018.

                   Il Direttore della Cancelleria
                        F.to: Roberto MILANA


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