Translate
mercoledì 25 luglio 2018
N. 170 SENTENZA 4 - 20 luglio 2018 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Ordinamento giudiziario - Illeciti disciplinari dei magistrati - Iscrizione o partecipazione sistematica e continuativa a partiti politici anche per i magistrati fuori dal ruolo organico della magistratura perche' collocati in aspettativa per motivi elettorali. - Decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, recante «Disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, delle relative sanzioni e della procedura per la loro applicabilita', nonche' modifica della disciplina in tema di incompatibilita', dispensa dal servizio e trasferimento di ufficio dei magistrati, a norma dell'articolo 1, comma 1, lettera f), della legge 25 luglio 2005, n. 150», art. 3, comma 1, lettera h), come sostituito dall'art. 1, comma 3, lettera d), numero 2), della legge 24 ottobre 2006, n. 269 (Sospensione dell'efficacia nonche' modifiche di disposizioni in tema di ordinamento giudiziario). - (GU n.30 del 25-7-2018 )
N. 170 SENTENZA 4 - 20 luglio 2018
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
Ordinamento giudiziario - Illeciti disciplinari dei magistrati -
Iscrizione o partecipazione sistematica e continuativa a partiti
politici anche per i magistrati fuori dal ruolo organico della
magistratura perche' collocati in aspettativa per motivi
elettorali.
- Decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, recante «Disciplina
degli illeciti disciplinari dei magistrati, delle relative sanzioni
e della procedura per la loro applicabilita', nonche' modifica
della disciplina in tema di incompatibilita', dispensa dal servizio
e trasferimento di ufficio dei magistrati, a norma dell'articolo 1,
comma 1, lettera f), della legge 25 luglio 2005, n. 150», art. 3,
comma 1, lettera h), come sostituito dall'art. 1, comma 3, lettera
d), numero 2), della legge 24 ottobre 2006, n. 269 (Sospensione
dell'efficacia nonche' modifiche di disposizioni in tema di
ordinamento giudiziario).
-
(GU n.30 del 25-7-2018 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Giorgio LATTANZI;
Giudici :Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI,
Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de
PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA,
Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO',
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 1,
lettera h), del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, recante
«Disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, delle
relative sanzioni e della procedura per la loro applicabilita',
nonche' modifica della disciplina in tema di incompatibilita',
dispensa dal servizio e trasferimento di ufficio dei magistrati, a
norma dell'articolo 1, comma 1, lettera f), della legge 25 luglio
2005, n. 150» come sostituito dall'art. 1, comma 3, lettera d),
numero 2), della legge 24 ottobre 2006, n. 269 (Sospensione
dell'efficacia nonche' modifiche di disposizioni in tema di
ordinamento giudiziario), promosso dalla sezione disciplinare del
Consiglio superiore della magistratura nel procedimento relativo a M.
E. con ordinanza del 28 luglio 2017, iscritta al n. 155 del registro
ordinanze 2017 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 45, prima serie speciale, dell'anno 2017.
Visti l'atto di costituzione di M. E., nonche' l'atto di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella udienza pubblica del 3 luglio 2018 il Giudice
relatore Nicolo' Zanon;
uditi l'avvocato Aldo Loiodice per M. E. e l'avvocato dello Stato
Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.- La sezione disciplinare del Consiglio superiore della
magistratura, con ordinanza del 28 luglio 2017, ha sollevato, in
riferimento agli artt. 2, 3, 18, 49 e 98 della Costituzione,
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 1,
lettera h), del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, recante
«Disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, delle
relative sanzioni e della procedura per la loro applicabilita',
nonche' modifica della disciplina in tema di incompatibilita',
dispensa dal servizio e trasferimento di ufficio dei magistrati, a
norma dell'articolo 1, comma 1, lettera f), della legge 25 luglio
2005, n. 150», nel testo sostituito dall'art. 1, comma 3, lettera d),
numero 2), della legge 24 ottobre 2006, n. 269 (Sospensione
dell'efficacia nonche' modifiche di disposizioni in tema di
ordinamento giudiziario), nella parte in cui prevede quale illecito
disciplinare l'iscrizione o la partecipazione sistematica e
continuativa a partiti politici anche per i magistrati fuori del
ruolo organico della magistratura perche' collocati in aspettativa
«per motivi elettorali».
1.1.- La sezione disciplinare rimettente premette che il
Procuratore generale presso la Corte di cassazione ha esercitato
l'azione disciplinare nei confronti di M. E. - magistrato attualmente
fuori del ruolo organico della magistratura per lo svolgimento del
mandato amministrativo di sindaco del Comune di Bari (dal giugno 2004
al giugno 2014), di assessore «esterno» del Comune di San Severo e
del mandato elettivo di Presidente della Regione Puglia (dal giugno
2015 sino alla data odierna) - contestandogli la violazione degli
artt. 1, comma 1, e 3, comma 1, lettera h), del d.lgs. n. 109 del
2006, come modificato dalla legge n. 269 del 2006, per aver ricoperto
gli incarichi di segretario regionale del Partito Democratico - PD
della Puglia (dall'ottobre 2007 all'ottobre 2009), di Presidente del
Partito Democratico - PD della Puglia (dal novembre 2009 al gennaio
2014), nuovamente di segretario del Partito Democratico - PD della
Puglia (dal febbraio 2014 al 21 maggio 2016), e, con una successiva
contestazione, per aver presentato, nel marzo 2017, la propria
candidatura per l'elezione a segretario nazionale del Partito
Democratico. Secondo il titolare dell'iniziativa disciplinare tutte
le cariche ricoperte - «non coessenziali con l'espletamento dei
mandati amministrativi presso gli enti territoriali» - presuppongono,
per statuto, l'iscrizione al partito politico di riferimento; in tal
modo, M. E., «iscrivendosi ad un partito e svolgendovi attivita'
partecipativa e direttiva in forma sistematica e continuativa»,
avrebbe violato l'art. 3, comma 1, lettera h), del d.lgs. n. 109 del
2006, che appunto configura quale illecito disciplinare l'iscrizione
o la partecipazione sistematica e continuativa a partiti politici a
garanzia dell'esercizio indipendente e imparziale della funzione
giudiziaria, «valevole anche in relazione ai magistrati che non
svolgano temporaneamente detta funzione per essere collocati fuori
del ruolo organico della magistratura».
1.2.- Premette ancora il giudice a quo che deve essere disattesa
l'eccezione di estinzione del procedimento disciplinare per decorso
del termine annuale formulata dalla difesa ai sensi dell'art. 15 del
d.lgs. n. 109 del 2006, in quanto la conoscenza dei fatti che ha dato
origine all'azione disciplinare avviata il 30 ottobre 2014 e' stata
ricondotta ad un articolo di stampa del 2 dicembre 2013 e ad un
esposto del 7 marzo 2014, mentre non sono emersi profili che possono
assumere un concreto rilievo ai fini della formulazione di
circostanziate contestazioni in epoca precedente.
1.3.- Quanto al merito delle censure sollevate, il giudice a quo
ricorda il contenuto della sentenza n. 224 del 2009, con cui la Corte
costituzionale si e' gia' pronunciata sulla compatibilita' dell'art.
3, comma 1, lettera h), del d.lgs. n. 109 del 2006 rispetto ai
parametri evocati. Il rimettente sottolinea pero' la diversita' tra
il caso da cui avevano avuto origine le questioni allora dichiarate
non fondate e quello ora al giudizio della sezione disciplinare del
Consiglio superiore della magistratura: mentre in quella occasione il
magistrato nei cui confronti era stata avviata l'azione disciplinare
era stato collocato fuori ruolo «per svolgere funzioni tecniche di
consulenza a favore di una Commissione parlamentare», nel caso ora
alla sua attenzione il magistrato e' collocato fuori ruolo per
l'esercizio di funzioni elettive «che determinano una fase di
sospensione delle funzioni giudiziarie per un arco temporale non
definibile e che potrebbe finanche superare il periodo di
appartenenza del magistrato all'Ordine Giudiziario».
Inoltre - secondo il rimettente - poiche' le funzioni elettive
sono per loro natura connotate da sicuro rilievo politico, la
compatibilita' della disposizione censurata rispetto ai parametri
evocati deve essere esaminata in una diversa prospettiva, quella
della tutela dei diritti politici riconosciuti dalla Costituzione.
A tal fine, la sezione disciplinare rimettente ricorda tutte le
disposizioni normative che attualmente consentono ai magistrati di
candidarsi alle elezioni politiche e amministrative e di essere
nominati assessori negli organi esecutivi.
Ricorda anche che - «[i]n coerente applicazione del portato
precettivo dell'art. 51 della Costituzione - quale previsione che
assicura in via generale il diritto di elettorato passivo,
riconducibile alla sfera dei "diritti inviolabili della persona" di
cui all'art. 2 Cost. - il Consiglio Superiore della Magistratura ha
ritenuto che l'accesso al pubblico ufficio non e' soggetto ad
autorizzazione, trattandosi di un diritto politico costituzionalmente
riconosciuto in capo ad ogni cittadino senza alcuna distinzione
derivante dall'attivita' o dalle funzioni svolte». Il medesimo
Consiglio ha anche ripetutamente affermato la possibilita' della
contemporanea assunzione di incarichi politico-amministrativi (in
forza di mandato elettorale o di incarico di assessore) in capo ai
magistrati, fermo restando l'obbligo di ricorrere all'istituto
dell'aspettativa ove vi sia coincidenza tra l'ambito territoriale di
svolgimento della funzione giurisdizionale e quello della
circoscrizione elettorale, e cio' in base al rilievo che le cause di
ineleggibilita' ed incompatibilita' hanno carattere tassativo e che
tra esse non e' inclusa l'appartenenza all'ordine giudiziario.
Osserva, quindi, il giudice a quo come la normativa vigente - che
consente, a certe condizioni, lo svolgimento di compiti che non
possono non manifestare caratteristiche collegate alle dinamiche
politico-partitiche - incida sulla corretta interpretazione del
significato del divieto disciplinare di cui all'art. 3, comma 1,
lettera h), del d.lgs. n. 109 del 2006, conducendo ad escludere la
rilevanza disciplinare in tutti quei casi in cui la partecipazione
del magistrato ad aspetti e momenti della vita politico-partitica sia
proporzionalmente e ragionevolmente collegata alle caratteristiche
della funzione legittimamente ricoperta dal magistrato fuori ruolo.
Secondo il rimettente, sarebbe, infatti, irrazionale e
contraddittorio consentire, da una parte, l'assunzione di tali ruoli
e, dall'altra, sostanzialmente vietare - ed anzi sanzionare
disciplinarmente - alcune manifestazioni e situazioni, ritenute
«sintomo di organico schieramento partitico», che risultino
strettamente legate all'essenza di quei ruoli.
1.4.- Posto che attualmente (e nonostante le sollecitazioni
rivolte al legislatore dallo stesso Consiglio superiore della
magistratura ad intervenire in materia) e' consentito ai magistrati
di essere eletti al Parlamento nelle liste di partiti politici, di
iscriversi ai relativi gruppi parlamentari e di contribuire ad
attuarne la linea politica a livello nazionale, il rimettente ritiene
che il «confine tra la militanza e la candidatura indipendente e'
spesso incerto» ed e', pertanto, difficile risolvere «la discrasia»
fra una norma che, vietando l'iscrizione e la partecipazione
sistematica e continuativa all'attivita' dei partiti, mira a
preservare l'imparzialita' del magistrato e la disciplina
dell'esercizio del diritto di elettorato passivo dei magistrati,
soprattutto nei casi in cui la candidatura e' proposta da un partito
oppure presuppone la previa iscrizione del candidato al partito che
presenta la lista, nel pieno esercizio, peraltro, di quanto previsto
dall'art. 49 Cost.
Pur non ignorando la sezione disciplinare rimettente che i
magistrati sono generalmente chiamati a candidarsi come
«indipendenti», essa ritiene che la candidatura non possa prescindere
da una valutazione della storia professionale del magistrato e che,
comunque, e' la stessa candidatura a consentire l'identificazione
dell'area politica di riferimento. D'altro canto - osserva il giudice
a quo - la liberta' di associazione politica in capo ad ogni
cittadino costituisce un'espressione della liberta' di associazione e
rappresenta, insieme alle liberta' consacrate negli artt. 2 e 18
Cost., un cardine essenziale del sistema democratico: di conseguenza,
se la liberta' di associazione, e in particolare la liberta' di
associazione in partiti, possono trovare delle limitazioni, esse
pero' non possono essere completamente eliminate, «tantomeno nei casi
in cui il collocamento in aspettativa del magistrato per motivi
elettorali assume un peso particolare nel giudizio di bilanciamento
tra l'esigenza di salvaguardare l'indipendenza esterna del magistrato
ed il diritto del cittadino-magistrato di non essere escluso dalla
vita politica del proprio Paese».
1.5.- In punto di rilevanza, la sezione disciplinare rimettente
riferisce che M. E. e' collocato fuori del ruolo organico della
magistratura da ormai dodici anni e che in tale periodo e' stato
dapprima sindaco del Comune di Bari e, in seguito, Presidente della
Regione Puglia. Si tratta di organi elettivi di natura politica ai
quali e' assegnato il compito - dalla Costituzione e dalla
legislazione di rango primario - di imprimere un indirizzo politico e
una linea di governo. Sarebbe, percio', «problematico» - secondo il
rimettente - sostenere che un magistrato che esercita legittimamente
le funzioni di sindaco o di Presidente di Regione debba (e possa)
limitarsi a beneficiare, nell'attuazione della propria linea di
governo, di un mero appoggio esterno ed incondizionato da parte di
una entita' politica organizzata con la quale non potrebbe
confrontarsi in sede partitica e politica, se non incorrendo nelle
sanzioni disciplinari previste dalla disposizione censurata. Tali
organi possono, invero, governare solo attuando una linea politica
concordata con i partiti che lo sostengono e che, prima ancora, lo
hanno candidato.
Il rimettente precisa, infine, che l'incolpato ha svolto un
prolungato impegno politico e che non e', dunque, ipotizzabile una
assoluzione per scarsa rilevanza del fatto, ai sensi dell'art. 3-bis
del d.lgs. n. 109 del 2006.
2.- E' intervenuto in giudizio, con atto depositato il 28
novembre 2017, il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato,
chiedendo che le questioni siano dichiarate non fondate.
In primo luogo, l'Avvocatura generale ritiene che la Corte
costituzionale, con la sentenza n. 224 del 2009, si sia gia'
pronunciata sulla compatibilita' dell'art. 3, comma 1, lettera h),
del d.lgs. n. 109 del 2006 in riferimento agli artt. 2, 3, 18, 49 e
98 Cost., e sottolinea come le questioni di legittimita'
costituzionale fossero state allora sollevate «sulla base di
argomenti perfettamente sovrapponibili a quelli contenuti
nell'ordinanza indicata in epigrafe».
Dopo aver riportato ampi stralci di quella pronuncia,
l'Avvocatura rileva come la natura assoluta del divieto contenuto
nella disposizione censurata non incida sulla legittimita' di
quest'ultima, poiche' - come gia' statuito dalla citata sentenza
della Corte costituzionale - tale divieto si correla ad un dovere di
imparzialita', e questo grava sul magistrato, coinvolgendo il suo
operare da semplice cittadino, in ogni momento della sua vita
professionale, anche quando egli sia stato, temporaneamente,
collocato fuori ruolo per lo svolgimento di un compito tecnico, come
nel caso gia' vagliato, o per aver assunto un incarico elettivo, come
in quello ora all'esame del giudice disciplinare.
La difesa statale riporta, sul punto, un altro passo della
sentenza n. 224 del 2009, in cui si legge che «ne' vi e'
contraddizione con il diritto di elettorato passivo spettante ai
magistrati, e cio' sia per la diversita' delle situazioni poste a
raffronto (un conto e' l'iscrizione o comunque la partecipazione
sistematica e continuativa alla vita di un partito politico, altro e'
l'accesso alle cariche elettive), sia perche' quel diritto non e'
senza limitazioni».
In secondo luogo, l'Avvocatura generale dello Stato osserva come
la disposizione censurata costituisca attuazione dell'art. 98, terzo
comma, Cost., che attribuisce al legislatore ordinario la facolta' di
introdurre norme che limitano il diritto dei magistrati di iscriversi
a partiti politici e, quindi, di esercitare il diritto di associarsi
in partiti politici, in deroga all'art. 49 Cost., e come essa non
operi alcuna distinzione con riferimento ai magistrati fuori ruolo.
La Corte costituzionale, nella gia' citata sentenza n. 224 del 2009,
avrebbe gia' affermato che i magistrati devono poter godere degli
stessi diritti di liberta' garantiti agli altri cittadini, ma che,
per le delicate funzioni che svolgono, non possono essere del tutto
equiparati ad essi, cosi' giustificando «l'imposizione di speciali
doveri» a loro carico.
Poiche' la stessa Corte costituzionale ha affermato che i valori
di indipendenza e di imparzialita' vanno tutelati «anche come regola
deontologica da osservarsi in ogni comportamento, al fine di evitare
che possa fondatamente dubitarsi della loro indipendenza e
imparzialita'», non vi sarebbero elementi sufficienti - secondo
l'Avvocatura generale - per distinguere la situazione del magistrato
collocato temporaneamente fuori ruolo che esercita un mandato
elettivo da quella gia' scrutinata dalla Corte costituzionale nella
sentenza n. 224 del 2009.
In conclusione, l'Avvocatura ritiene che la fattispecie
disciplinare contenuta nell'art. 3, comma 1, lettera h), del d.lgs.
n. 109 del 2006 debba essere «interpretata in modo conforme alle
esigenze costituzionali di integrita' del diritto di elettorato
passivo», ma che detta interpretazione debba «in ogni caso restare
ancorata al dato formale della disposizione che vieta al magistrato
l'iscrizione o la partecipazione sistematica e continuativa a partiti
politici, in coerenza con la portata precettiva della norma cosi'
come delineata dalla Corte Costituzionale nella citata sentenza n.
224/2009».
3.- In data 12 giugno 2018, l'Avvocatura generale dello Stato ha
depositato, in vista dell'udienza pubblica, una memoria in cui sono
ribadite le argomentazioni gia' contenute nell'atto di intervento.
L'Avvocatura aggiunge che il rimettente chiede alla Corte
costituzionale di escludere dal divieto previsto all'art. 3, comma 1,
lettera h), del d.lgs. n. 109 del 2006 solo i magistrati che
ricoprono incarichi elettivi, ma rileva che - a suo avviso - limitare
l'accoglimento ad una sola categoria di magistrati, operando una
distinzione all'interno della magistratura, significherebbe
introdurre una disciplina «del tutto nuova» riservata alla
discrezionalita' del legislatore.
4.- Si e' costituito in giudizio, con atto depositato il 28
settembre 2017, M. E., parte del giudizio a quo, chiedendo
l'accoglimento delle questioni di legittimita' costituzionale
sollevate dalla sezione disciplinare del Consiglio superiore della
magistratura.
5.- In prossimita' dell'udienza pubblica, in data 11 giugno 2018,
la difesa di M. E. ha depositato articolata memoria.
5.1.- Eccepisce in primo luogo la difesa della parte che le
questioni di legittimita' costituzionale sollevate dalla sezione
disciplinare del Consiglio superiore della magistratura sarebbero
inammissibili per irrilevanza, in quanto mancherebbe «uno dei
presupposti processuali condizionanti la valida instaurazione del
giudizio principale». Secondo la parte, il procedimento disciplinare
avrebbe dovuto essere dichiarato estinto per mancato rispetto dei
termini dell'azione disciplinare. In base a quanto stabilisce l'art.
15, commi 1 e 7, del d.lgs. n. 109 del 2006, l'azione disciplinare,
infatti, deve essere promossa entro un anno dalla notizia del fatto
della quale il Procuratore generale presso la Corte di cassazione ha
conoscenza a seguito dell'espletamento di sommarie indagini
preliminari o di denuncia circostanziata o di segnalazione del
Ministro della giustizia; se tale termine non e' rispettato, il
procedimento si estingue.
Rileva la difesa di M. E. che la procura generale assume, come
notizia circostanziata, un breve articolo di stampa pubblicato il 27
novembre 2013 e un esposto del 22 febbraio 2014, mentre i fatti
contestati sarebbero stati notori in periodo antecedente, come
dimostrerebbe il numero degli articoli di stampa, risalenti agli anni
precedenti, depositati nel giudizio a quo dalla difesa della parte.
Nonostante la sezione disciplinare rimettente abbia rigettato
l'eccezione di tardivita' dell'esercizio dell'azione disciplinare, la
difesa di M. E. evidenzia come la Corte costituzionale possa, nel
valutare la rilevanza delle questioni, controllare la sussistenza di
uno dei presupposti processuali che condizionano la valida
instaurazione del giudizio principale, arrestandosi tale giudizio
solo se il rimettente abbia offerto una motivazione non implausibile
in ordine alla sussistenza delle condizioni dell'azione.
5.2.- Prima di affrontare nel merito le questioni di legittimita'
costituzionale sollevate dalla sezione disciplinare, la difesa della
parte osserva che, nella prassi, i magistrati fuori ruolo per lo
svolgimento di un mandato elettivo sono stati sempre coinvolti
nell'attivita' dei partiti, anche dopo l'introduzione del divieto
disciplinare previsto dall'art. 3, comma 1, lettera h), del d.lgs. n.
109 del 2006, senza che sia mai stata avviata, nei loro confronti,
un'azione disciplinare. Il primo e unico caso sarebbe quello che ora
vede coinvolto M. E. Secondo la difesa della parte, la sezione
disciplinare avrebbe sollevato le questioni ora all'esame della Corte
proprio per «rimarcare la diversa natura giuridica intercorrente fra
il collocamento fuori ruolo del magistrato per lo svolgimento di una
funzione tecnica o per l'esercizio di un mandato politico».
Cio' spiegherebbe anche perche' la sezione disciplinare avrebbe
deciso di promuovere l'incidente di costituzionalita', anziche'
ricorrere all'interpretazione conforme: per chiarire, con efficacia
erga omnes, «i termini di una questione prima pacifica e ora divenuta
cruciale per il riconoscimento dei diritti politici del
cittadino-magistrato».
5.3.- A sostegno della fondatezza delle questioni di legittimita'
costituzionale sollevate dalla sezione disciplinare rimettente, la
difesa della parte ritiene, anzitutto, che la Corte costituzionale,
nella sentenza n. 224 del 2009, si sarebbe pronunciata solo con
riferimento alla posizione del magistrato fuori ruolo per incarico
tecnico, evidenziando, con ampiezza di argomenti, la differente
condizione in cui versa quest'ultimo rispetto a un magistrato fuori
ruolo per mandato elettorale.
Osserva, in secondo luogo, in base ai principi regolatori del
sistema delle fonti, che l'art. 98, terzo comma, Cost. facoltizza, e
non obbliga, il legislatore ad introdurre il divieto di iscrizione ai
partiti politici, e cio' affinche' l'indipendenza e l'imparzialita'
dei magistrati siano bilanciate con le liberta' garantite dagli artt.
18 e 49 Cost. «a seconda delle esigenze della sperimentazione
storica». Tale interpretazione sarebbe confermata dall'analisi dei
lavori preparatori dell'art. 98, terzo comma, Cost.
La parte evidenzia quindi come, opportunamente, la sezione
disciplinare non abbia lamentato la lesione dell'art. 51 Cost.,
bensi' il contrasto con quei parametri (artt. 2, 3, 18, 49 e 98
Cost.) che garantiscono la realizzabilita' delle condizioni effettive
per il pieno espletamento del mandato elettorale e, dunque,
l'ammissibilita' della partecipazione del magistrato-eletto alla vita
del partito di riferimento.
Ritiene la difesa di M. E. che le cause di limitazione
dell'iscrizione ad un partito politico dovrebbero essere considerate
di stretta interpretazione, al pari di quelle riguardanti
l'ineleggibilita'. Le due situazioni, infatti, se pur diverse,
sarebbero «intimamente collegate», a meno di ritenere che la
candidatura e il seguito dell'attivita' dell'eletto possano derivare
da un rapporto occulto tra quest'ultimo e il partito di riferimento.
La facolta' del legislatore di stabilire limitazioni al diritto
di iscrizione al partito politico sottenderebbe, dunque, il
bilanciamento tra il diritto del magistrato-eletto a svolgere con
pienezza il proprio mandato rappresentativo, da un lato, e la tutela
dei valori di indipendenza e di imparzialita' del magistrato,
dall'altro, valori che - secondo la difesa della parte - sarebbero
«di per se' gia' tutelati dal collocamento fuori ruolo del magistrato
eletto».
La difesa della parte illustra, quindi, le ragioni per le quali -
a suo avviso - sulla base dei principi della rappresentanza politica
e della forma di governo, l'assunzione di cariche dirigenziali nel
partito sarebbero coessenziali al pieno espletamento del mandato
elettorale. A tal fine, osserva come la tesi della procura generale
nell'atto di incolpazione contrasti con il sistema costituzionale
delle garanzie politiche riconosciute al singolo rappresentante,
esprimendo «un'insostenibile scissione fra attivita' istituzionale e
attivita' politica». Sul punto, sono ricordate le regole che
impongono a ciascun eletto di iscriversi ad un gruppo politico di
riferimento e il fatto che la partecipazione dell'eletto al gruppo
presuppone, e non esclude, la necessaria partecipazione sistematica e
continuativa alla vita del partito di riferimento. Ricorda anche la
circostanza che molti statuti di partito prevedono la partecipazione
di diritto dei propri eletti agli organi direttivi del partito. Ad
avviso della difesa della parte, l'attivita' istituzionale
dell'eletto, proprio perche' espressiva della rappresentanza
politica, non potrebbe essere separata «atomisticamente» dal gruppo
politico presente nell'organo rappresentativo, ne' potrebbe essere
«impermeabilizzata» rispetto all'interpretazione delle esigenze del
collegio elettorale di provenienza formulata dal partito di
riferimento, ne', infine, potrebbe prescindere dalla condivisione
sistematica e continuativa delle ragioni fondanti l'indirizzo
politico perseguito dal medesimo partito. Peraltro, in un contesto di
trasformazione dei partiti politici, l'autorevolezza dei titolari
degli incarichi di governo sarebbe a tal punto connessa alla forza
politica ad essi riconosciuta dalla maggioranza da richiedere un loro
diretto coinvolgimento nelle attivita' di partito. Per contro, il
divieto di iscrizione al partito politico del
cittadino-magistrato-eletto avrebbe l'effetto di scindere la sua
attivita' istituzionale da quella politica, «senza tuttavia
corroborare in alcun modo l'indipendenza e l'imparzialita' reale e
apparente della funzione giudiziaria».
Osserva ancora la difesa di M. E. che la soluzione prospettata
dal rimettente sarebbe conforme al principio di ragionevolezza, in
quanto consentirebbe di regolare in maniera diversa situazioni
diverse, quali sono l'iscrizione al partito del giudice collocato
fuori ruolo per motivi tecnici e politici.
Precisa, da ultimo, la difesa della parte che il sindaco e il
Presidente della Giunta regionale non possono essere qualificati
organi tecnici preposti allo svolgimento di funzioni di natura
professionale, bensi' organi di vertice dell'indirizzo politico, da
cui promanano programmi e obiettivi che l'apparato
tecnico-amministrativo e' chiamato ad attuare.
Considerato in diritto
1.- La sezione disciplinare del Consiglio superiore della
magistratura ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 18, 49 e
98 della Costituzione, questioni di legittimita' costituzionale
dell'art. 3, comma 1, lettera h), del decreto legislativo 23 febbraio
2006, n. 109, recante «Disciplina degli illeciti disciplinari dei
magistrati, delle relative sanzioni e della procedura per la loro
applicabilita', nonche' modifica della disciplina in tema di
incompatibilita', dispensa dal servizio e trasferimento di ufficio
dei magistrati, a norma dell'articolo 1, comma 1, lettera f), della
legge 25 luglio 2005, n. 150», nel testo sostituito dall'art. 1,
comma 3, lettera d), numero 2), della legge 24 ottobre 2006, n. 269
(Sospensione dell'efficacia nonche' modifiche di disposizioni in tema
di ordinamento giudiziario), nella parte in cui prevede quale
illecito disciplinare l'iscrizione o la partecipazione sistematica e
continuativa a partiti politici anche per i magistrati fuori del
ruolo organico della magistratura perche' collocati in aspettativa
«per motivi elettorali».
Il rimettente ritiene non conferente, per la soluzione delle
odierne questioni, la sentenza di questa Corte n. 224 del 2009, che
dichiaro' non fondate questioni di legittimita' costituzionale
sollevate in relazione alla medesima disposizione attualmente
censurata e con riferimento agli stessi parametri costituzionali ora
evocati. In quella occasione, sostiene il giudice a quo, il
magistrato incolpato era stato collocato fuori ruolo per lo
svolgimento di un incarico tecnico, non gia' per esercitare il
diritto di elettorato passivo; sicche' quel precedente non potrebbe
essere ora invocato.
Cio' premesso, ritiene la sezione disciplinare del Consiglio
superiore della magistratura che sarebbe irrazionale e
contraddittorio, e percio' in lesione dell'art. 3 Cost., consentire
ai magistrati di essere eletti o di assumere incarichi di natura
politica e, nel contempo, vietare, attraverso la minaccia della
sanzione disciplinare, lo svolgimento di alcune attivita' di
partecipazione alla vita dei partiti politici, ritenute «sintomo di
organico schieramento partitico», particolarmente quando quelle
attivita' risultino strettamente legate alla natura degli incarichi
assunti.
Il giudice rimettente osserva, inoltre, che la liberta' di
associazione politica, garantita ad ogni cittadino dall'art. 49
Cost., costituisce un'espressione della piu' ampia liberta' di
associazione di cui all'art. 18 Cost. e, insieme alle liberta'
consacrate nell'art. 2 Cost., un cardine essenziale del sistema
democratico. Essa, pertanto, nel bilanciamento con l'esigenza di
garantire l'indipendenza dei magistrati, potrebbe essere limitata, ma
non completamente soppressa, soprattutto nei casi in cui il
magistrato sia stato collocato in aspettativa per motivi elettorali.
Per tale ragione, la vigenza del divieto disciplinare anche in questi
casi si porrebbe in contrasto con gli artt. 2, 18, 49 e 98 Cost.
2.- Deve essere preliminarmente rigettata l'eccezione di
inammissibilita' per difetto di rilevanza, formulata dalla difesa di
M. E. Secondo quest'ultima, il procedimento principale avrebbe dovuto
essere dichiarato estinto per mancato rispetto dei termini per
l'esercizio dell'azione disciplinare stabiliti dall'art. 15, commi 1
e 7, del d.lgs. n. 109 del 2006; mancherebbe, pertanto, «uno dei
presupposti processuali condizionanti la valida instaurazione del
giudizio principale».
Secondo un costante orientamento, l'accertamento della validita'
dei presupposti di esistenza del giudizio principale e' prerogativa
del giudice rimettente (sentenza n. 61 del 2012), mentre a questa
Corte spetta verificare esclusivamente che la valutazione del giudice
a quo sia avvalorata da «una motivazione non implausibile» (sentenza
n. 270 del 2010; nello stesso senso, sentenza n. 34 del 2010) e che i
presupposti di esistenza del giudizio «non risultino manifestamente e
incontrovertibilmente carenti» nel momento in cui la questione e'
proposta (sentenze n. 262 del 2015 e n. 62 del 1992).
Pertanto, il rigetto dell'eccezione consegue alla circostanza
che, nel giudizio a quo, la sezione disciplinare ha gia' rigettato,
con argomentazione non implausibile, l'eccezione di tardivita'
dell'azione disciplinare avanzata dalla difesa di M. E.
3.- Le questioni non sono fondate.
4.- Questa Corte ha gia' affermato che, in linea generale, i
magistrati debbono godere degli stessi diritti di liberta' garantiti
ad ogni altro cittadino, ma ha al contempo precisato che le funzioni
esercitate e la qualifica rivestita dai magistrati non sono
indifferenti e prive di effetto per l'ordinamento costituzionale, al
fine di stabilire i limiti che possono essere opposti all'esercizio
di quei diritti (sentenze n. 224 del 2009 e n. 100 del 1981). Tali
limiti sono giustificati sia dalla particolare qualita' e delicatezza
delle funzioni giudiziarie, sia dai principi costituzionali di
indipendenza e imparzialita' (artt. 101, secondo comma, 104, primo
comma, e 108, secondo comma, Cost.) che le caratterizzano.
I principi costituzionali appena richiamati, del resto, vanno
tutelati non solo con specifico riferimento all'esercizio delle
funzioni giudiziarie, ma anche quali criteri ispiratori di regole
deontologiche da osservarsi in ogni comportamento di rilievo
pubblico, al fine di evitare che dell'indipendenza e imparzialita'
dei magistrati i cittadini possano fondatamente dubitare.
Il rapporto tra titolarita', da un lato, e ampiezza e
giustificazione dei limiti opponibili all'esercizio dei diritti
fondamentali dei magistrati, dall'altro, si pone secondo modalita'
particolari per i diritti fondamentali di natura politica, dei quali
e' questione nel giudizio a quo. In tale materia, la Costituzione,
all'art. 98, terzo comma, demanda al legislatore la facolta' di
bilanciare la liberta' di associarsi in partiti, tutelata dall'art.
49 Cost., con l'esigenza di assicurare l'indipendenza dei magistrati
(nonche' di alcune altre categorie di funzionari pubblici). E se tale
facolta' viene utilizzata, come e' accaduto, il bilanciamento deve
essere condotto secondo un preciso obbiettivo, cioe' quello di
impedire i condizionamenti all'attivita' giudiziaria che potrebbero
derivare dal legame stabile che i magistrati contrarrebbero
iscrivendosi ad un partito o partecipando in misura significativa
alla sua attivita'. Questo e' il senso della facolta' di stabilire
con legge limitazioni al diritto dei magistrati d'iscriversi a
partiti politici.
La Costituzione, in tal modo, mostra il proprio sfavore nei
confronti di attivita' o comportamenti idonei a creare tra i
magistrati e i soggetti politici legami di natura stabile, nonche'
manifesti all'opinione pubblica, con conseguente compromissione,
oltre che dell'indipendenza e dell'imparzialita', anche della
apparenza di queste ultime: sostanza e apparenza di principi posti
alla base della fiducia di cui deve godere l'ordine giudiziario in
una societa' democratica.
Quale risultato dell'esercizio, da parte del legislatore, della
facolta' demandatagli dall'art. 98, terzo comma, Cost., la
disposizione censurata stabilisce, dunque, che costituisce illecito
disciplinare per i magistrati l'iscrizione o la partecipazione
sistematica e continuativa a partiti politici.
Questa specifica scelta legislativa, all'esito del bilanciamento
che la Costituzione impone tra titolarita', da parte dei magistrati,
di tutti i diritti fondamentali, da una parte, e tutela dei principi
di indipendenza ed imparzialita', dall'altra, non impedisce peraltro
di riconoscere (sentenza n. 224 del 2009) che il cittadino-magistrato
gode certamente dei diritti fondamentali di cui agli artt. 17, 18 e
21 Cost. L'esercizio di questi ultimi diritti gli consente di
manifestare legittimamente le proprie idee, anche di natura politica,
a condizione che cio' avvenga con l'equilibrio e la misura che non
possono non caratterizzare ogni suo comportamento di rilevanza
pubblica.
5.- La questione che viene portata all'attenzione di questa Corte
e' se la fattispecie disciplinare prima ricordata, che punisce
l'iscrizione o la partecipazione sistematica e continuativa ai
partiti, si applichi anche ai magistrati che, esercitando il diritto
di elettorato passivo, sono collocati fuori del ruolo organico della
magistratura perche' in aspettativa, come afferma testualmente la
sezione disciplinare rimettente, «per motivi elettorali».
In tal modo, il giudice a quo costruisce la richiesta di una
declaratoria di illegittimita' costituzionale limitata ad una
specifica ipotesi, quella del magistrato che, avendo chiesto
l'aspettativa, partecipa ad elezioni o e' eletto. Ma, in verita', la
questione riguarda, piu' in generale, l'assunzione, in posizione di
fuori ruolo, anche di incarichi, pur non elettivi, di natura politica
(ministro nel Governo della Repubblica, assessore in esecutivi
regionali o locali).
E' gia' stato affermato dalla giurisprudenza di questa Corte che
la disposizione censurata si riferisce legittimamente ai magistrati
collocati fuori ruolo per l'esercizio di un compito di natura tecnica
(sentenza n. 224 del 2009), espressione con la quale ci si riferisce
ai magistrati non gia' in aspettativa per esercitare il diritto
fondamentale di elettorato passivo o di accesso agli uffici pubblici
di natura politica (art. 51 Cost.), ma fuori del ruolo per
l'esercizio di una funzione o di un compito non compatibile (per
ragioni diverse da quelle considerate nel giudizio a quo) con il
contemporaneo esercizio delle funzioni giudiziarie.
Si tratta ora di comprendere se, come chiede la sezione
disciplinare rimettente, l'esercizio del diritto di elettorato
passivo o l'accesso ad un ufficio pubblico di natura politica
costituisca una scriminante rispetto all'applicazione del divieto
disciplinare in questione, e ne consegua l'illegittimita'
costituzionale della disposizione censurata nella parte in cui tale
scriminante non riconosca.
L'art. 3, comma 1, lettera h), del d.lgs. n. 109 del 2006
sanziona innanzitutto l'iscrizione del magistrato al partito
politico. Questa prima fattispecie disciplinarmente rilevante
costituisce un dato oggettivo rivelatore della stabile e continuativa
adesione a un determinato partito politico. Per quanto sia
configurabile un'iscrizione cui non segua una partecipazione assidua
e costante alla vita di partito, l'iscrizione - del resto normalmente
rinnovata a scadenze periodiche - resta un atto solenne e formale, di
significato certo, che non a caso il legislatore affianca,
considerandola equivalente, ad una seconda fattispecie, ossia alla
partecipazione non meramente saltuaria, ma sistematica e
continuativa, alla vita di partito. Aggiungendo tali due aggettivi
alla originaria versione della previsione di illecito disciplinare
(che puniva «l'iscrizione o la partecipazione a partiti politici»),
il legislatore (con l'art. 1, comma 3, lettera d, numero 2, della
legge 269 del 2006) ha inteso delimitare il disvalore disciplinare
alle sole ipotesi di un coinvolgimento non gia' occasionale, bensi'
rivelatore di uno schieramento stabile ed organico del magistrato con
una delle parti politiche in gioco.
Questa Corte ritiene che non vi sia alcuna irrazionale discrasia,
in pretesa violazione dell'art. 3 Cost., ne' alcuna lesione dei
diritti fondamentali di natura politica di cui agli artt. 2, 18 e 49
Cost., e neppure alcun abuso della facolta' che l'art. 98, terzo
comma, Cost. demanda al legislatore, nella circostanza per cui il
divieto in esame si applica anche ai magistrati fuori ruolo perche'
collocati in aspettativa per lo svolgimento di un mandato elettivo o
di un incarico politico.
Per i magistrati, infatti, un conto e' l'iscrizione o comunque la
partecipazione sistematica e continuativa alla vita di un partito
politico, che la fattispecie disciplinare vieta, altro e' l'accesso
alle cariche elettive e agli uffici pubblici di natura politica che,
a determinate condizioni (sentenza n. 172 del 1982), la legislazione
vigente consente loro. Non e' irragionevole, come opina la sezione
disciplinare rimettente, operare una distinzione tra le due ipotesi,
e percio' considerare non solo lecito, ma esercizio di un diritto
fondamentale la seconda ipotesi, mantenendo al contempo quale
illecito disciplinare la prima. Tanto piu' in un contesto normativo
che consente al magistrato di tornare alla giurisdizione, in caso di
mancata elezione oppure al termine del mandato elettivo o
dell'incarico politico, va preservato il significato dei principi di
indipendenza e imparzialita', nonche' della loro apparenza, quali
requisiti essenziali che caratterizzano la figura del magistrato in
ogni aspetto della sua vita pubblica. Di tali principi il divieto
disciplinare in questione e' saldo presidio, e come tale esso non
puo' che dirigersi nei confronti di ogni magistrato, in qualunque
posizione egli si trovi.
6.- Tutto cio' premesso, questa Corte non ignora che la
rappresentanza politica, nella Costituzione repubblicana, e' in
principio rappresentanza attraverso i partiti politici, i quali, ai
sensi dell'art. 49 Cost., sono le associazioni che consentono ai
cittadini di concorrere, con metodo democratico, a determinare, anche
attraverso la partecipazione alle elezioni, la politica nazionale
(sentenza n. 35 del 2017).
Questa Corte e' altresi' consapevole della circostanza che, anche
a prescindere dalle caratteristiche del sistema elettorale di volta
in volta rilevante, nessun cittadino, nemmeno il
cittadino-magistrato, si candida "da solo". E, cosi' come avviene per
la candidatura alle elezioni politiche, amministrative od europee,
anche l'assunzione di incarichi negli organi esecutivi di vario
livello presuppone necessariamente un collegamento del nominato con i
partiti politici.
Per quanto l'autorevolezza e la notorieta' di un magistrato
possano favorire candidature cosiddette "indipendenti", anche queste
ultime debbono nondimeno trovare spazio all'interno di liste di
partito, e, ugualmente, le nomine di magistrati alle cariche di
ministro o assessore sono tutt'altro che estranee alle scelte dei
partiti.
Parimenti, non sfugge che l'esercizio del mandato elettivo o
dell'incarico politico, per chiunque ne sia investito all'esito di
una campagna elettorale o di una nomina, avviene abitualmente
all'interno di una dialettica dominata dal confronto tra i partiti
politici, secondo una logica corrispondente al complessivo disegno
costituzionale.
Pertanto, la stessa iniziale accettazione della candidatura o
della nomina, l'eventuale partecipazione ad una campagna elettorale,
ed altre attivita' tipicamente richieste a coloro che concorrono per
mandati ed incarichi di natura politica, presuppongono assai spesso
contatti di varia natura con la vita dei partiti e dei movimenti
politici e con le iniziative da questi assunte. E tali contatti, come
e' ovvio, proseguono nel corso dell'esercizio del mandato o
dell'incarico.
Questi doverosi rilievi, tuttavia, non spostano i termini della
questione e non depongono per l'accoglimento delle censure sollevate
dalla sezione disciplinare rimettente. Al contrario, per il
magistrato, deve restar fermo che il riconoscimento della particolare
natura della competizione e della vita politica, alla quale gli e'
consentito a certe condizioni di partecipare, non puo' tradursi nella
liceita' ne' della sua iscrizione, ne' della sua partecipazione
stabile e continuativa all'attivita' di un determinato partito, cui
invece condurrebbe l'accoglimento delle questioni di legittimita'
costituzionale sollevate.
Come del resto qualunque cittadino, anche (e a maggior ragione)
il magistrato ben puo', ad esempio, svolgere una campagna elettorale
o compiere atti tipici del suo mandato od incarico politico senza
necessariamente assumere, al contempo, tutti quei vincoli (a partire
dallo stabile schieramento che l'iscrizione testimonia) che
normalmente discendono dalla partecipazione organica alla vita di un
partito politico. Da questo punto di vista, non e' senza significato
che il divieto disciplinare in questione sia inserito all'interno di
una disposizione che attrae nell'area del disciplinarmente rilevante
altri comportamenti (come il «coinvolgimento nelle attivita' di
soggetti operanti nel settore economico o finanziario») che, allo
stesso modo della fattispecie qui in esame, possono implicare
l'insorgere di legami suscettibili di condizionare (anche per il
futuro) l'esercizio delle funzioni, oltre che di offuscare l'immagine
del magistrato presso l'opinione pubblica.
Ma vi e' un'ulteriore ragione che depone per l'inesistenza di
contraddizione tra l'essere ammessi a partecipare alla vita politica
attiva in una realta' dominata dalla competizione partitica, da un
lato, e l'essere soggetti al divieto disciplinare censurato,
dall'altro.
Emerge da quanto fin qui chiarito che, per tutti i magistrati,
non ogni partecipazione a manifestazioni politiche o ad iniziative di
partito assume significato disciplinarmente rilevante. Lo stesso
tenore della disposizione contestata si sottrae a censure
d'illegittimita' costituzionale proprio perche' consente al giudice
disciplinare le ragionevoli distinzioni richieste dalla varieta'
delle situazioni che la vita politico-istituzionale presenta. In
disparte l'iscrizione al partito politico - fattispecie rivelatrice,
come si e' detto, di una stabile e continuativa adesione del
magistrato a un determinato partito politico e il cui oggettivo
disvalore non e' suscettibile di attenuazioni - la valutazione sui
requisiti di sistematicita' e continuativita' della partecipazione
del magistrato alla vita di un partito esclude ogni automatismo
sanzionatorio permettendo, al contrario, soluzioni adeguate alle
peculiarita' dei singoli casi.
E se tale rilievo vale, in generale, per tutti i magistrati, vale
particolarmente per coloro, tra di essi, che siano collocati in
aspettativa per soddisfare i diritti fondamentali garantiti dall'art.
51 Cost.
Resta ovviamente rimesso al prudente apprezzamento del giudice
disciplinare stabilire in concreto se la condotta del magistrato
fuori ruolo possa legittimamente incontrare la vita di un partito, o
se costituisca invece illecito disciplinare, meritando appropriata
sanzione.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni di legittimita' costituzionale
dell'art. 3, comma 1, lettera h), del decreto legislativo 23 febbraio
2006, n. 109, recante «Disciplina degli illeciti disciplinari dei
magistrati, delle relative sanzioni e della procedura per la loro
applicabilita', nonche' modifica della disciplina in tema di
incompatibilita', dispensa dal servizio e trasferimento di ufficio
dei magistrati, a norma dell'articolo 1, comma 1, lettera f), della
legge 25 luglio 2005, n. 150», nel testo sostituito dall'art. 1,
comma 3, lettera d), numero 2), della legge 24 ottobre 2006, n. 269
(Sospensione dell'efficacia nonche' modifiche di disposizioni in tema
di ordinamento giudiziario), sollevate, in riferimento agli artt. 2,
3, 18, 49 e 98 della Costituzione, dalla sezione disciplinare del
Consiglio superiore della magistratura, con l'ordinanza indicata in
epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 4 luglio 2018.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Nicolo' ZANON, Redattore
Filomena PERRONE, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 20 luglio 2018.
Il Cancelliere
F.to: Filomena PERRONE
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento