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mercoledì 25 luglio 2018
N. 166 SENTENZA 20 giugno - 20 luglio 2018 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Assistenza e solidarieta' sociale - Requisiti di accesso al Fondo nazionale per il sostegno alle locazioni - Stranieri immigrati - Possesso del certificato storico di residenza da almeno dieci anni nel territorio nazionale ovvero da almeno cinque nella medesima Regione. - Decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita', la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria) - convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133 - art. 11, comma 13. - (GU n.30 del 25-7-2018 )
N. 166 SENTENZA 20 giugno - 20 luglio 2018
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
Assistenza e solidarieta' sociale - Requisiti di accesso al Fondo
nazionale per il sostegno alle locazioni - Stranieri immigrati -
Possesso del certificato storico di residenza da almeno dieci anni
nel territorio nazionale ovvero da almeno cinque nella medesima
Regione.
- Decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo
sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita', la
stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione
tributaria) - convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto
2008, n. 133 - art. 11, comma 13.
-
(GU n.30 del 25-7-2018 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Giorgio LATTANZI;
Giudici :Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI,
Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de
PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA,
Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO',
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 11, comma
13, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti
per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita', la
stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria),
convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133,
promosso dalla Corte d'appello di Milano, sezione lavoro, nel
procedimento vertente tra V.C. L. e altri e la Regione Lombardia e
altro, con ordinanza del 7 novembre 2016, iscritta al n. 41 del
registro ordinanze 2017 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell'anno 2017.
Visti gli atti di costituzione dell'ASGI - Associazione per gli
studi giuridici sull'immigrazione e altra, e della Regione Lombardia,
nonche' l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nella udienza pubblica del 20 giugno 2018 il Giudice
relatore Marta Cartabia;
uditi gli avvocati Alberto Guariso per l'ASGI - Associazione per
gli studi giuridici sull'immigrazione e altra, Maria Lucia Tamborino
per la Regione Lombardia e l'avvocato dello Stato Giuseppe Albenzio
per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.- Con ordinanza del 7 novembre 2016 (r.o. n. 41 del 2017), la
Corte d'appello di Milano, sezione lavoro, ha sollevato questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 11, comma 13, del decreto-legge
25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo
economico, la semplificazione, la competitivita', la stabilizzazione
della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con
modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133, in riferimento
all'art. 3 della Costituzione.
1.1.- La Corte rimettente e' investita della causa civile in
grado di appello avverso l'ordinanza del Tribunale ordinario di
Milano, con la quale e' stata rigettata la domanda proposta da V.C.
L., dall'ASGI - Associazione per gli studi giuridici
sull'immigrazione e da Avvocati Per Niente Onlus, per l'accertamento
del carattere discriminatorio della deliberazione della Giunta della
Regione Lombardia «n. X/3495» del 30 aprile 2015 nonche' delle
determinazioni del Comune di Milano «PG n. 264079» dell'8 maggio 2015
e «n. 68/2015 - prot.» del 12 maggio 2015, nella parte in cui fissano
i requisiti necessari per l'accesso al Fondo «sostegno affitti»
(recte: «sostegno alla locazione 2015 per i cittadini in grave
disagio economico»).
La Corte rimettente precisa che il Tribunale ha respinto la
domanda, non avendo riscontrato il carattere discriminatorio delle
condizioni di accesso al fondo di sostegno. A fondamento della
decisione sono state richiamate alcune sentenze della Corte
costituzionale (n. 187 del 2010 e n. 432 del 2005) con cui si e'
ammessa la possibilita' di prevedere requisiti di accesso alle
provvidenze sociali per i cittadini stranieri, nel rispetto del
principio di ragionevolezza. Inoltre, nell'ordinanza impugnata sono
stati richiamati l'art. 11 della direttiva 2003/109/CE del Consiglio,
del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di paesi
terzi che siano soggiornanti di lungo periodo e l'art. 9 del decreto
legislativo 8 gennaio 2007, n. 3 (Attuazione della direttiva
2003/109/CE relativa allo status di cittadini di Paesi terzi
soggiornanti di lungo periodo), che l'ha recepita nell'ordinamento
italiano, per desumerne che l'assegno in questione avrebbe natura di
misura di sostegno al reddito e non di prestazione assistenziale
essenziale a carico dello Stato da garantirsi universalmente.
Il giudice a quo ha poi riferito che i ricorrenti, nell'appellare
la suddetta decisione, hanno riproposto l'eccezione di legittimita'
costituzionale dell'art. 11, commi 2 e 13, d.l. n. 112 del 2008,
convertito, con modificazioni, nella legge n. 133 del 2008, per
contrasto con gli artt. 3 e 117, primo comma, Cost., gia' sollevata
in primo grado. La Corte d'appello di Milano ha, quindi, ritenuto
rilevante e non manifestamente infondata la questione, ma
limitatamente al citato art. 11, comma 13, e in riferimento al solo
art. 3 Cost.
1.2.- Piu' precisamente, l'ordinanza di rimessione da' conto del
fatto che la legge 9 dicembre 1998, n. 431 (Disciplina delle
locazioni e del rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo) ha
istituito il «Fondo Nazionale per il sostegno all'accesso alle
abitazioni in locazione», che mira a sostenere, tramite contributi
monetari, le famiglie meno abbienti gravate da canoni di locazione,
senza operare distinzioni tra cittadini italiani e stranieri quanto
alle possibilita' di accesso al fondo medesimo. L'ordinanza espone
poi che il citato d.l. n. 112 del 2008, come convertito, ha previsto,
all'art. 11, comma 13, che «[a]i fini del riparto del Fondo nazionale
per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione, di cui
all'articolo 11 della legge 9 dicembre 1998, n. 431, i requisiti
minimi necessari per beneficiare dei contributi integrativi come
definiti ai sensi del comma 4 del medesimo articolo devono prevedere
per gli immigrati il possesso del certificato storico di residenza da
almeno dieci anni nel territorio nazionale ovvero da almeno cinque
anni nella medesima regione».
Cosi' ricostruito il quadro normativo, nell'ordinanza di
rimessione si osserva che l'impugnata delibera della Giunta della
Regione Lombardia del 30 aprile 2015 e' frutto di una iniziativa
regionale finanziata dal fondo di cui alla legge n. 431 del 1998 a
cui sono aggiunte risorse regionali, confluite nel «Fondo Sostegno
"Grave Disagio Economico 2015"». Quanto ai criteri per l'accesso a
tale fondo, la prodotta delibera ricalca (secondo la ricostruzione
del rimettente) quelli previsti dal legislatore statale, come
modificati nel 2008; sicche', all'art. 2 dell'Allegato all'impugnata
delibera della Giunta regionale, si prevede che possano richiedere i
contributi in questione i conduttori residenti nella Regione
Lombardia che abbiano l'«indicatore della situazione economica
equivalente» (ISEE) non superiore ad euro 7.000 e che, nel caso in
cui i richiedenti non siano cittadini italiani o di altro Stato
dell'Unione europea, sono condizioni di ammissione anche l'esercizio
di un'attivita' lavorativa (subordinata o autonoma, pure non
continuativa) e la certificazione della residenza almeno decennale
nel territorio nazionale ovvero quinquennale nel territorio della
Regione Lombardia.
La determinazione dirigenziale del Comune di Milano n. 68 del
2015 ha riprodotto i medesimi contenuti della delibera di Giunta
regionale.
1.3.- Cio' premesso, la Corte rimettente osserva, in punto di
rilevanza, che V.C. L., cittadina salvadoregna residente in Italia
dal novembre 2011, non soddisfaceva i requisiti richiesti dalla
normativa e percio' non ha potuto ricevere alcun contributo dal
«Fondo Sostegno "Grave Disagio Economico 2015"» per il pagamento del
canone di locazione, pur essendo titolare di un reddito molto basso e
in possesso di un permesso di soggiorno per motivi di lavoro.
Quanto al requisito dello svolgimento di attivita' lavorativa,
previsto dalla delibera di Giunta regionale, ad avviso della Corte a
quo esso non sarebbe supportato da alcuna fonte normativa di rango
primario, nonostante la Regione sostenga di ricavarlo
dall'interpretazione analogica di quanto previsto dall'art. 40, comma
6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo Unico delle
disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme
sulla condizione dello straniero), nonche' dai principi generali
sulla condizione giuridica dello straniero. Conseguentemente, sarebbe
possibile per il giudice comune procedere alla disapplicazione
dell'atto secondario illegittimo, nella parte in cui stabilisce il
suddetto requisito discriminatorio. Al contrario, l'ulteriore
presupposto della residenza protratta per dieci anni sul territorio
nazionale ovvero per cinque anni su quello regionale trova fondamento
nel censurato art. 11, comma 13, d.l. n. 112 del 2008, convertito,
con modificazioni, nella legge n. 133 del 2008: da qui la rilevanza
della questione di legittimita' costituzionale avente ad oggetto tale
norma, in quanto essa offrirebbe una base legale al provvedimento
amministrativo discriminatorio oggetto di giudizio.
1.4.- Secondo la Corte rimettente la questione di legittimita'
costituzionale del citato art. 11, comma 13, sarebbe non
manifestamente infondata in riferimento all'art. 3 Cost., per vizi di
irragionevolezza. In particolare, il giudice a quo richiama alcune
pronunce di questa Corte (sentenze n. 230 e n. 22 del 2015, n. 222,
n. 172, n. 133, n. 40 e n. 2 del 2013, n. 329 e n. 40 del 2011 e n.
187 del 2010), nelle quali si trova l'affermazione del principio per
cui i limiti alle prestazioni di assistenza devono sempre rispondere
a criteri di ragionevolezza, indipendentemente dalla natura
essenziale o meno delle stesse. Nella fattispecie, non vi sarebbe
alcuna ragionevole correlazione tra la durata della residenza
prevista dall'art. 11, comma 13, d.l. n. 112 del 2008, come
convertito, e la situazione di disagio economico che il contributo in
questione mira ad alleviare. Non sarebbe, infatti, ragionevole
presumere, in assoluto, che gli immigrati che vivono in Italia da
meno di dieci anni e nella Regione Lombardia da meno di cinque
soffrano una condizione di disagio minore rispetto a chi vi risieda
da piu' anni o sia cittadino europeo.
2.- Con atto depositato il 13 aprile 2017, si sono costituite nel
giudizio di legittimita' costituzionale le associazioni appellanti
nel giudizio a quo, insistendo per l'accoglimento della sollevata
questione di legittimita' costituzionale.
In particolare, esse sostengono che la condizione della
cosiddetta "lungo-residenza" prevista per i soli stranieri non e'
stata mai considerata costituzionalmente legittima dalla Corte
costituzionale (sono richiamate le sentenze n. 230 e n. 22 del 2015,
n. 168 del 2014, n. 222, n. 133, n. 40 e n. 2 del 2013, n. 329 e n.
40 del 2011, n. 187 del 2010).
La norma oggetto del giudizio costituzionale, in particolare,
sarebbe illegittima poiche' comporta una diversa valutazione del
radicamento territoriale del richiedente la prestazione a seconda
della cittadinanza dello stesso: un cittadino italiano, infatti,
anche se residente sul territorio italiano o regionale da pochi mesi
potrebbe accedere al beneficio, diversamente dal cittadino straniero.
Le parti costituite sottolineano che una simile differenziazione di
trattamento e' stata censurata dalla Corte di Giustizia dell'Unione
europea nella decisione del caso Kamberaj (sentenza 24 aprile 2012,
in causa C-571/10), vertente sulla esclusione dello straniero
dall'accesso ad una prestazione di ugual natura rispetto a quella di
cui si discute, nella quale la Corte di giustizia ha stabilito che la
disciplina del contributo al pagamento del canone di locazione dei
conduttori meno abbienti vada letta alla luce dell'art. 34 della
Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, proclamata a
Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007,
che riconosce il diritto all'assistenza sociale e all'assistenza
abitativa.
3.- Con atto depositato il 14 aprile 2017, si e' costituita in
giudizio anche la Regione Lombardia, chiedendo che questa Corte
dichiari inammissibile, o in subordine non fondata, la questione di
legittimita' costituzionale.
La Regione sostiene che la questione sarebbe inammissibile per
omessa definizione della fattispecie in contenzioso e perche'
l'ordinanza di rimessione non argomenta adeguatamente con riguardo
alla sua rilevanza e non manifesta infondatezza.
In particolare, la Regione nota che si ometterebbe di dar rilievo
al fatto che quella in discussione non e' una prestazione inerente al
diritto fondamentale all'abitazione, come potrebbe essere l'accesso
agli alloggi di edilizia residenziale pubblica, ma si tratterebbe
invece di un «ordinario contributo» di natura non assistenziale. A
sostegno di tale assunto viene ricostruito il quadro normativo di
riferimento e, segnatamente, si precisa che, con legge della Regione
Lombardia 4 dicembre 2009, n. 27 (Testo unico delle leggi regionali
in materia di edilizia residenziale pubblica), e' stato istituito un
fondo regionale, concorrente con quello nazionale previsto dalla
legge n. 431 del 1998. Detto fondo regionale e' finanziato dallo
Stato (per il 50% circa), dalla Regione (per il 35% circa) e dai
Comuni (per il 15% circa). I Comuni, ai sensi dell'art. 11, comma 8,
legge n. 431 del 1998, definiscono l'entita' e le modalita' di
erogazione dei contributi, nel rispetto dei requisiti minimi fissati
dal Ministero per i lavori pubblici. Da cio' viene tratta la
conclusione che la Regione - e poi il Comune - ben potrebbero
prescrivere ulteriori requisiti di accesso, come accade nel caso di
specie, in cui, peraltro, le condizioni stabilite dalla Regione
trovano riscontro nelle previsioni della legge statale e in
particolare nell'art. 11, comma 13, oggetto del presente giudizio.
Si eccepisce, dunque, l'assenza di argomentazioni sulla rilevanza
della questione di legittimita' costituzionale, contestandosi la
ricostruzione del giudice a quo, secondo la quale la natura
essenziale o meno del beneficio in discussione non inciderebbe sulla
non manifesta infondatezza della questione stessa. Al contrario, la
Regione ritiene che la differenza tra prestazioni essenziali o non
essenziali rileva solamente all'interno della categoria delle
prestazioni assistenziali, tra le quali il contributo al pagamento
dei canoni di locazione non rientrerebbe. Come gia' affermato dal
Tribunale ordinario di Milano in primo grado, infatti, detto
contributo costituirebbe una «misura di sostegno al reddito» e non
una «prestazione assistenziale». La Regione supporta la propria
argomentazione mettendo in rilievo una sere di caratteristiche della
prestazione in oggetto: si tratterebbe di una erogazione una tantum
(e cio' verrebbe ammesso anche da parte appellante); mirerebbe a
sostenere il conduttore, ma andrebbe a beneficio anche del locatore;
si tratterebbe di un ammontare non pignorabile presso terzi e,
dunque, non annoverabile tra i crediti alimentari, come precisato
dalla giurisprudenza di merito; non sarebbe elencata tra quelle
rientranti nei livelli essenziali ai sensi della legge 8 novembre
2000, n. 328 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato
di interventi e servizi sociali); non sarebbe in alcun modo destinata
a far fronte a situazioni di grave difficolta', altre essendo le
provvidenze pubbliche precipuamente funzionali al sostegno nelle
condizioni di indigenza, tanto che il fondo in questione non viene
finanziato tutti gli anni.
L'ordinanza di rimessione si baserebbe, secondo la difesa
regionale, su un erroneo presupposto interpretativo, poiche' lascia
intendere che la prestazione de qua avrebbe natura assistenziale.
Si sottolinea, inoltre, che, in base alla direttiva 2003/109/CE,
«[g]li Stati membri possono limitare la parita' di trattamento in
materia di assistenza e protezione sociale alle prestazioni
essenziali» (art. 11, paragrafo 4).
La stessa giurisprudenza costituzionale, infine, avrebbe
interpretato l'art. 3 Cost. come norma che vieta differenziazioni
laddove manchi una correlazione tra requisito richiesto e scopo
perseguito dalla norma che prevede le prestazioni: nel caso di
specie, sussisterebbe invece una correlazione tra la durata della
permanenza sul territorio, il possesso di una regolare attivita'
lavorativa e le finalita' del cosiddetto "bonus affitti".
4.- Con atto depositato il 18 aprile 2017, e' intervenuto nel
giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la
questione di legittimita' costituzionale venga «rigettata in quanto
inammissibile» o, comunque, ritenuta non fondata.
4.1.- L'interveniente argomenta l'inammissibilita' della
questione di legittimita' costituzionale sostenendo che la Corte
d'appello di Milano non ha chiesto ne' un intervento additivo ne' uno
propriamente ablativo da parte della Corte costituzionale,
prospettando semplicemente la necessita' di una disciplina che non
presuma «in termini assoluti che gli stranieri immigrati in Italia da
meno di dieci anni e nella Regione da meno di cinque [...] versino in
uno stato di disagio e di difficolta', ai fini delle fruizioni di
quei contributi, minori rispetto a chi vi risieda da piu' anni».
L'ordinanza di rimessione non indicherebbe, dunque, alcuna soluzione
costituzionalmente obbligata, lasciando indeterminato il contenuto
dell'intervento richiesto.
4.2.- Nel merito, l'Avvocatura generale dello Stato ha
individuato i ruoli delle Regioni e dei Comuni nella concreta
erogazione dei contributi del fondo istituito dalla legge n. 431 del
1998: in particolare, si sottolinea che il Comune rappresenta
l'«organismo terminale nell'attuazione del sistema di sostegno
all'accesso alle locazioni», come affermato da questa Corte nella
sentenza n. 520 del 2000. Afferma poi l'Avvocatura generale dello
Stato che il contributo ex art. 11 della legge n. 431 del 1998 non ha
ne' struttura ne' finalita' alimentare e sarebbe, invece, un «mero
sussidio», ovvero una «elargizione a fondo perduto» - come definita
dalla Corte dei conti, nella sentenza della Corte dei conti, sezione
giurisdizionale per l'Umbria, 3 dicembre 2008, n. 193. L'Avvocatura
generale dello Stato precisa, poi, che dopo l'entrata in vigore della
disposizione impugnata, la Corte costituzionale ha analizzato «gran
parte dei commi del citato art. 11» con la sentenza 121 del 2010,
dichiarando in parte inammissibili e in parte non fondate le
questioni inerenti i commi 1, 2, 3, 4, 5, 6, 8, 9, 11 e 12.
Piu' precisamente, a sostegno della infondatezza, l'Avvocatura
generale dello Stato richiama l'art. 40, comma 6, d.lgs. n. 286 del
1998, che si occupa proprio di diritti e doveri degli stranieri: la
disposizione evocata, in tema di agevolazioni all'accesso alle
locazioni abitative, effettua una delimitazione dei beneficiari dei
contributi, in modo assimilabile alla normativa oggetto di giudizio.
Sarebbe dunque possibile, entro i limiti consentiti dall'art. 11
direttiva 2003/109/CE, cui ha dato attuazione il d.lgs. n. 3 del
2007, e nel rispetto dei diritti fondamentali dell'uomo
costituzionalmente garantiti, riservare talune prestazioni
assistenziali ai soli cittadini e alle persone «extra-UE» ad essi
equiparati perche' residenti in Italia da tempo. L'Avvocatura
generale dello Stato ritiene comunque opportuno precisare, in questa
prospettiva, che non solo gli stranieri vedono limitate le
possibilita' di accesso alle prestazioni, giacche' anche per i
cittadini italiani sono prescritti dei limiti: si puo' richiedere il
contributo, ad esempio, solo se si e' titolari di contratto di
locazione di immobile utilizzato come residenza anagrafica e
abitazione principale (art. 2 della citata delibera della Giunta
della Regione Lombardia n. 3495 del 2015); e' prescritto che
«l'offerta di abitazioni di edilizia residenziale debba essere
destinata prioritariamente a prima casa per determinate categorie di
soggetti» (art. 11, comma 2, d.l. n.112 del 2008, come convertito).
La legge prevederebbe, quindi, in modo non irragionevole, che
l'erogazione di determinate prestazioni sia subordinata ad un titolo
di legittimazione rappresentato dal soggiorno «non episodico e di non
breve durata» nel territorio dello Stato.
5.- Con memoria depositata il 25 maggio 2018, il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura
generale dello Stato, ha insistito perche' la questione sia
dichiarata inammissibile o infondata.
In particolare, l'interveniente ha insistito sul fatto che la
Corte costituzionale con la sentenza n. 121 del 2010 ha gia' ritenuto
non illegittima la gran parte dei commi dell'impugnato art. 11 d.l.
n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, nella legge n. 133
del 2008. Sulla base dei principi stabiliti in detta sentenza si
dovrebbe, quindi, ritenere non fondata anche la questione sollevata
sul comma 13 del citato art. 11, posto che entrambi i requisiti -
cioe' quelli della residenza e dell'esercizio di regolare attivita'
lavorativa nel territorio (quest'ultimo con base legislativa negli
artt. 3, comma 5, 4, comma 3, 5, e 40, comma 6, d.lgs. n. 286 del
1998) - non avrebbero natura discriminatoria, ma rappresenterebbero
espressione dell'esigenza che lo straniero, cittadino di Stati non
appartenenti all'Unione europea, sia stabilmente inserito nella
compagine sociale italiana.
Il necessario e duraturo collegamento con la realta' territoriale
sarebbe, poi, gia' stato considerato, quale base ragionevole di
analoghe previsioni legislative, da questa Corte nella sentenza n.
306 del 2008. Del resto, tale collegamento sarebbe previsto anche per
i cittadini italiani, in base alla delibera della Giunta della
Regione Lombardia n. 3495 del 2015 e, in generale, per l'offerta di
abitazioni di edilizia residenziale dal citato d.l. n. 112 del 2008.
La duratura integrazione sociale dei cittadini di paesi terzi sarebbe
poi coerente anche con la gia' citata direttiva 2003/109/CE.
Ad avviso dell'interveniente questa stessa Corte avrebbe
riconosciuto che lo Stato puo' riservare determinate prestazioni
assistenziali solo ai cittadini di Stati appartenenti all'Unione
europea o a quelli appartenenti a paesi terzi che risiedano da lungo
tempo in Italia, cosi' da generare un nesso tra la partecipazione
alla organizzazione politica, economica e sociale della Repubblica e
l'erogazione del contributo (vengono citate le sentenze n. 4 e n. 222
del 2013).
6.- Con memoria depositata il 30 maggio 2018, le parti ricorrenti
nel giudizio a quo hanno svolto precisazioni ritenute necessarie alla
luce della giurisprudenza di questa Corte successiva alla ordinanza
di rimessione, oltre a richiamare argomenti gia' sviluppati in
precedenza, insistendo per l'accoglimento della questione di
legittimita' costituzionale.
In particolare, le parti costituite sostengono che non sia in
alcun modo applicabile al caso in esame quanto affermato in ordine
all'«accesso all'abitazione» nella recente sentenza n. 106 del 2018,
ossia che «l'accesso a un bene di primaria importanza e a godimento
tendenzialmente duraturo, come l'abitazione, per un verso, si colloca
a conclusione del percorso di integrazione della persona presso la
comunita' locale e, per altro verso, puo' richiedere garanzie di
stabilita', che, nell'ambito dell'assegnazione di alloggi pubblici in
locazione, scongiurino avvicendamenti troppo ravvicinati tra
conduttori, aggravando l'azione amministrativa e riducendone
l'efficacia». I destinatari del fondo ex lege n. 431 del 1998,
infatti, sono soggetti che hanno gia' avuto accesso all'abitazione:
non rileva, dunque, l'esigenza di scongiurare avvicendamenti
ravvicinati tra conduttori, bensi' la circostanza che essi si trovino
in difficolta' con il pagamento del canone di locazione. Rileva,
insomma, solamente che siano soggetti in condizioni di grave disagio
economico, come si evince dalla rubrica della delibera della Giunta
regionale impugnata nel giudizio a quo (del seguente tenore: «[...]
iniziativa di sostegno alla locazione 2015 per i cittadini in grave
disagio economico») e come si deduce anche dalla previsione di
«requisiti economici» per l'accesso al fondo, sia da parte del
decreto del Ministero dei lavori pubblici e delle infrastrutture, 7
giugno 1999, che da parte della medesima delibera della Giunta
regionale (che fissa il limite dell'ISEE non superiore a 7000 euro).
Non sarebbe dunque possibile riscontrare una ragionevole correlazione
tra il requisito della cittadinanza (che consente l'accesso alla
prestazione indipendentemente dalla residenza prolungata sul
territorio) e la ratio legis.
Le due associazioni aggiungono, poi, che la residenza protratta
per cosi' lunghi periodi di tempo e' requisito contrastante anche con
i diritti dei titolari di permesso di soggiorno di lungo periodo, i
quali, pur godendo della parita' di trattamento rispetto ai cittadini
(viene citato l'art. 11 direttiva 2003/109/CE), qualora risiedessero
da piu' di cinque anni (e meno di dieci) sul territorio nazionale, ma
decidessero di spostarsi da una Regione all'altra, non potrebbero
accedere alla provvidenza, non soddisfacendo «nessuno dei due
requisiti alternativamente richiesti dalla norma». Le due
associazioni osservano inoltre che la condizione appare illogica
poiche', essendo il fondo finanziato con risorse statali, «il
requisito della "stabilita' regionale" e' del tutto incongruo (non si
vede quale interesse lo Stato possa vantare a che lo straniero
permanga per piu' di cinque anni nella stessa Regione)»; mentre, per
quanto riguarda la «stabilita' nazionale» (certificato di residenza
decennale), il requisito sarebbe «assolutamente sproporzionato».
La memoria evoca, in conclusione, la sentenza della Corte
costituzionale n. 107 del 2018 nella parte in cui richiama la
giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo: essa
avrebbe affermato che il criterio per l'individuazione del
collegamento col territorio non puo' essere «troppo esclusivo,
potendo sussistere altri elementi rivelatori del nesso reale tra il
richiedente e lo Stato». Nel caso in esame, in particolare, la gia'
acquisita titolarita' di un contratto di locazione esprimerebbe di
per se' un «"nesso reale" che andrebbe valorizzato», cosi' come la
titolarita' di un rapporto di lavoro o la presenza nel nucleo
familiare di figli minori, «che tendera' anch'essa a ridurre la
mobilita' rafforzando il nesso reale con il territorio».
Considerato in diritto
1.- Con ordinanza del 7 novembre 2016 (r.o. n. 41 del 2017), la
Corte d'appello di Milano, sezione lavoro, ha sollevato questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 11, comma 13, del decreto-legge
25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo
economico, la semplificazione, la competitivita', la stabilizzazione
della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con
modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133, in riferimento
all'art. 3 della Costituzione.
La norma censurata prevede che «[a]i fini del riparto del Fondo
nazionale per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione,
di cui all'articolo 11 della legge 9 dicembre 1998, n. 431, i
requisiti minimi necessari per beneficiare dei contributi integrativi
come definiti ai sensi del comma 4 del medesimo articolo devono
prevedere per gli immigrati il possesso del certificato storico di
residenza da almeno dieci anni nel territorio nazionale ovvero da
almeno cinque anni nella medesima regione».
Secondo la Corte rimettente questa previsione, a parita' di
condizioni di bisogno, discriminerebbe i cittadini dei Paesi non
appartenenti all'Unione europea, in quanto richiederebbe solo per i
questi ultimi un periodo di residenza sul territorio nazionale o
regionale, senza che sia ravvisabile alcuna ragionevole correlazione
tra la durata della residenza e l'accesso alla misura di sostegno al
pagamento del canone di locazione.
2.- In via preliminare deve rilevarsi che si sono costituite nel
giudizio costituzionale V.C. L., ASGI - Associazione per gli studi
giuridici sull'immigrazione, Avvocati Per Niente Onlus e la Regione
Lombardia. Trattandosi delle parti del giudizio a quo, risulta
pacifica, in base alla giurisprudenza di questa Corte,
l'ammissibilita' della loro costituzione nel giudizio incidentale.
3.- La Regione Lombardia ha eccepito l'inammissibilita' della
questione per difetto di motivazione dell'ordinanza di rimessione
riguardo alla qualificazione giuridica del contributo di cui alla
disposizione impugnata. Secondo la ricostruzione della Regione,
infatti, tale contributo non avrebbe natura assistenziale e non
costituirebbe una prestazione essenziale inerente alla garanzia del
diritto fondamentale all'abitazione, come invece presuppone il
giudice a quo.
L'eccezione non e' fondata.
Va osservato in proposito che il giudice rimettente, esponendo e
richiamando svariate decisioni di questa Corte a sostegno della
propria tesi, assume una precisa e argomentata posizione in ordine
alla natura assistenziale del «sostegno alla locazione dei cittadini
in grave disagio economico». L'ordinanza osserva che, nello stabilire
i requisiti per l'accesso a tale prestazione e indipendentemente dal
fatto che ad essa debba essere riconosciuto carattere «essenziale»,
il legislatore deve rispettare i canoni della ragionevolezza: tali
canoni nella specie si ritengono violati, in quanto non si potrebbe
ravvisare alcuna ragionevole correlazione tra la durata della
residenza prevista dalla disposizione impugnata per i soli immigrati
e la situazione di disagio economico che il contributo in questione
mira ad alleviare. Inoltre, la Corte rimettente espone chiaramente
che il requisito di durata della residenza, della cui legittimita' si
dubita, trova il proprio fondamento legislativo nella disposizione
censurata, sicche' solo in seguito alla (eventuale) dichiarazione di
illegittimita' costituzionale di tale disposizione si potra'
procedere alla disapplicazione degli atti amministrativi che tali
requisiti riproducono.
L'ordinanza di rimessione non presenta, dunque, le lamentate
carenze di motivazione sulla rilevanza e sulla non manifesta
infondatezza, di tal che le obiezioni della Regione Lombardia non
attengono all'ammissibilita' della questione, ma semmai alla sua
fondatezza nel merito.
4.- Sempre in punto di ammissibilita', il Presidente del
Consiglio dei ministri ha da parte sua eccepito difetti del petitum.
Il giudice rimettente non avrebbe chiesto a questa Corte ne' un
intervento additivo, ne' uno propriamente ablativo, prospettando
semplicemente la necessita' di una disciplina che «non presuma in
termini assoluti che gli stranieri immigrati in Italia da meno di
dieci anni e nella Regione da meno di cinque [...] versino in uno
stato di disagio e di difficolta', ai fini delle fruizioni di quei
contributi, minori rispetto a chi vi risieda da piu' anni». Sicche',
da un lato l'ordinanza di rimessione lascerebbe indeterminato il
contenuto dell'intervento richiesto alla Corte costituzionale; e
dall'altro, una disciplina sostitutiva non potrebbe essere introdotta
dalla Corte in assenza di contenuti costituzionalmente obbligati,
dato che l'intervento inciderebbe in una materia riservata alla
discrezionalita' e alla responsabilita' politica del legislatore.
Anche questa eccezione non e' fondata.
Il giudice a quo, infatti, non sollecita un intervento
sostitutivo di questa Corte che introduca una nuova disciplina in
tema di requisiti di accesso al citato fondo di sostegno ai canoni di
locazione. L'ordinanza lamenta, invece, una violazione dell'art. 3
Cost., in quanto la disposizione impugnata reca una irragionevole
discriminazione tra gli aspiranti alla provvidenza, a danno dei soli
cittadini di Paesi non appartenenti all'Unione europea, per i quali
soltanto e' richiesta una residenza qualificata: la richiesta rivolta
a questa Corte e' chiara e prospetta un petitum che mira ad eliminare
tale discriminazione attraverso una mera ablazione.
5. Nel merito la questione e' fondata per le ragioni di seguito
precisate.
5.1.- Il sostegno alle abitazioni in locazione e' stato istituito
dall'art. 11 della legge 9 dicembre 1998, n. 431 (Disciplina delle
locazioni e del rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo) e
consiste in un contributo destinato al pagamento del canone, da
erogarsi a soggetti che si trovino in una situazione di indigenza
qualificata.
Piu' precisamente, l'art. 11, legge n. 431 del 1998 stabilisce
che «[p]resso il Ministero dei lavori pubblici e' istituito il Fondo
nazionale per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione,
la cui dotazione annua e' determinata dalla legge finanziaria [...]»
(comma 1) e che «[l]e somme assegnate al Fondo di cui al comma 1 sono
utilizzate per la concessione, ai conduttori aventi i requisiti
minimi individuati con le modalita' di cui al comma 4, di contributi
integrativi per il pagamento dei canoni di locazione dovuti ai
proprietari degli immobili, di proprieta' sia pubblica sia privata,
nonche', qualora le disponibilita' del Fondo lo consentano, per
sostenere le iniziative intraprese dai comuni anche attraverso la
costituzione di agenzie o istituti per la locazione o attraverso
attivita' di promozione in convenzione con cooperative edilizie per
la locazione, tese a favorire la mobilita' nel settore della
locazione attraverso il reperimento di alloggi da concedere in
locazione per periodi determinati» (comma 3).
Il richiamato comma 4 dell'art. 11 della medesima legge n. 431
del 1998 precisa che «[i]l Ministro dei lavori pubblici, entro
novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge,
previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti fra lo
Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano,
definisce, con proprio decreto, i requisiti minimi necessari per
beneficiare dei contributi integrativi di cui al comma 3 e i criteri
per la determinazione dell'entita' dei contributi stessi in relazione
al reddito familiare e all'incidenza sul reddito medesimo del canone
di locazione».
In esecuzione della disposizione da ultimo richiamata, il decreto
del Ministero dei lavori pubblici e delle infrastrutture, 7 giugno
1999, recante appunto i «[r]equisiti minimi dei conduttori per
beneficiare dei contributi integrativi a valere sulle risorse
assegnate al Fondo nazionale di sostegno per l'accesso alle
abitazioni in locazione di cui all'art. 11 della legge 9 dicembre
1998, n. 431, e criteri per la determinazione degli stessi», prevede,
all'art. 1, la compilazione di una graduatoria comunale secondo
determinati criteri reddituali, costituiti per ciascun nucleo
familiare richiedente da: «a) reddito annuo imponibile complessivo
non superiore a due pensioni minime INPS, rispetto al quale
l'incidenza del canone di locazione risulti non inferiore al 14 per
cento; b) reddito annuo imponibile complessivo non superiore a quello
determinato dalle regioni e dalle province autonome di Trento e
Bolzano per l'assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale
pubblica, rispetto al quale l'incidenza del canone di locazione
risulti non inferiore al 24 per cento». L'ammontare dei redditi da
assumere a riferimento e' quello risultante dall'ultima dichiarazione
dei redditi ed il valore dei canoni e' quello risultante dai
contratti di locazione regolarmente registrati, al netto degli oneri
accessori. All'art. 2, si stabilisce poi che le Regioni e le Province
autonome di Trento e Bolzano ed i Comuni, qualora concorrano con
propri fondi ad incrementare le risorse attribuite dal fondo
nazionale, possono stabilire ulteriori articolazioni delle classi di
reddito o soglie di incidenze del canone piu' favorevoli (comma 1);
che «i comuni fissano l'entita' dei contributi secondo un principio
di gradualita' che favorisca i nuclei familiari con redditi bassi e
con elevate soglie di incidenza del canone» (comma 3); e che si tenga
conto della presenza nel nucleo familiare di «ultra
sessantacinquenni, disabili o [...] altre analoghe situazioni di
particolare debolezza sociale» (comma 4).
5.2.- In origine, dunque, i destinatari del contributo erano
tutti i «conduttori», titolari di un contratto di locazione
registrato, che, per basso reddito ed elevate soglie di incidenza del
canone, potessero ritenersi in una situazione di indigenza tale da
non disporre di risorse sufficienti a sostenere l'onere del pagamento
dell'ammontare dovuto per l'abitazione. Ne' la legge, ne' il decreto
ministeriale prevedevano distinzioni tra cittadini e stranieri e
neppure menzionavano requisiti legati alla durata della residenza sul
territorio nazionale e regionale, ma individuavano solo criteri di
carattere economico, tali da riservare la distribuzione del fondo a
soggetti seriamente disagiati.
Il legislatore intendeva, dunque, rivolgersi a situazioni di
cosi' grave bisogno da compromettere la fruizione di un bene di
primaria importanza qual e' l'abitazione.
E' pur vero che il contributo in oggetto si distingue da altre
misure affini, quale ad esempio l'assegnazione di alloggi di edilizia
residenziale pubblica, che soddisfa direttamente ed esclusivamente
l'esigenza abitativa degli indigenti. Il sostegno al pagamento del
canone di locazione di alloggi, di proprieta' sia pubblica sia
privata, qui in discussione, soddisfa varie esigenze e reca beneficio
a vari soggetti: senz'altro al conduttore indigente e ai suoi bisogni
abitativi, concorrendo alla spesa per la casa in situazioni di
contingente poverta' economica; al locatore, che viene tutelato dai
rischi di morosita' dei conduttori; alla pubblica amministrazione,
sopperendo alle eventuali insufficienze nell'offerta di alloggi di
edilizia residenziale pubblica. Si tratta, percio' di prestazione
polifunzionale (sentenza n. 329 del 2011), suscettibile di essere
finanziata in modo variabile e discontinuo, in ragione di valutazioni
politiche circa la necessita' della sua erogazione, nell'an e nel
quantum.
La circostanza che plurime siano le esigenze che il contributo
puo' soddisfare non esclude che tra queste ve ne siano di decisive
per chi versi in una situazione di indigenza, si' da incontrare gravi
difficolta' nel corrispondere il canone di locazione per la casa.
Non e' di ostacolo a riconoscere che il sostegno al canone e'
volto a sostenere gli indigenti e a contrastare la poverta' il fatto
che tale beneficio sociale sia destinato a soggetti gia' titolari di
un contratto di locazione (art. 11, comma 2, legge n. 431 del 1998):
le difficolta' economiche possono manifestarsi successivamente alla
locazione e in ogni caso l'erogazione del contributo e' subordinata
al verificarsi di documentate situazioni di poverta'.
Si tratta, quindi, di una misura polifunzionale la cui ratio e'
quella di sostenere gli indigenti al fine di consentire loro di
soddisfare le esigenze abitative mediante ricorso al mercato e
prevenire il rischio di sfratti per morosita'.
5.3.- Dieci anni dopo l'istituzione del fondo, il d.l. n. 112 del
2008, convertito, con modificazioni, nella legge n. 133 del 2008, ha
introdotto una distinzione tra i conduttori beneficiari, richiedendo
requisiti ulteriori, per accedere ai fondi, ai soli cittadini di
Stati non appartenenti all'Unione europea e agli apolidi. In
particolare, il censurato art. 11, comma 13, del citato d.l.
stabilisce che «[a]i fini del riparto del Fondo nazionale per il
sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione, di cui
all'articolo 11 della legge n. 431 del 1998, i requisiti minimi
necessari per beneficiare dei contributi integrativi come definiti ai
sensi del comma 4 del medesimo articolo devono prevedere per gli
immigrati il possesso del certificato storico di residenza da almeno
dieci anni nel territorio nazionale ovvero da almeno cinque anni
nella medesima regione».
Il requisito aggiuntivo della residenza qualificata e' dunque
richiesto, come si desume dall'inequivoco testo letterale della
disposizione, per i soli «immigrati», vale a dire per i cittadini di
paesi non appartenenti all'Unione europea e per gli apolidi: la
nozione di immigrato e di immigrazione si ricava dal relativo testo
unico - decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo Unico delle
disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme
sulla condizione dello straniero), anteriore alla stessa legge
istitutiva del Fondo nazionale in esame - e, segnatamente, dal Titolo
I, contenente i «Principi generali» e dallo stesso art. 1, che
definisce l'ambito di applicazione della disciplina sull'immigrazione
come rivolta «ai cittadini di Stati non appartenenti all'Unione
europea e agli apolidi, di seguito indicati come stranieri».
Per quanto riguarda, infatti, i cittadini degli Stati membri
dell'Unione europea si applica, a seguito degli Accordi di Schengen e
del Trattato di Maastricht, l'istituto della «cittadinanza europea»,
che comprende il diritto di soggiorno e circolazione in tutto il
territorio dell'Unione europea - secondo le condizioni stabilite con
la direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del
29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei
loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel
territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n.
1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE,
73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE
- e non il testo unico sull'immigrazione.
Il censurato art. 11, comma 13, prevede, dunque, solo per gli
«immigrati» una certa durata della residenza, tanto a livello
nazionale quanto in territorio regionale; per i cittadini italiani ed
europei tale requisito non e' richiesto, mentre restano fermi i
criteri di carattere economico e l'attestazione di un contratto di
locazione registrato, come si desume dall'art. 2 della citata legge
n. 431 del 1998.
6.- Alla luce di quanto sopra esposto, risulta che la
disposizione censurata introduce una irragionevole discriminazione a
danno dei cittadini di paesi non appartenenti all'Unione europea,
richiedendo solo ad essi il possesso del certificato storico di
residenza da almeno dieci anni nel territorio nazionale ovvero da
almeno cinque anni nella medesima regione.
Invero, secondo la giurisprudenza di questa Corte, consolidatasi
a partire dalla sentenza n. 432 del 2005, il legislatore puo'
legittimamente circoscrivere la platea dei beneficiari delle
prestazioni sociali in ragione della limitatezza delle risorse
destinate al loro finanziamento (sentenza n. 133 del 2013). Tuttavia,
la scelta legislativa non e' esente da vincoli di ordine
costituzionale.
La legge deve anzitutto rispettare gli obblighi europei che,
anche per quanto riguarda le prestazioni sociali, esigono la parita'
di trattamento tra i cittadini italiani ed europei e i soggiornanti
di lungo periodo. In particolare, la direttiva 2003/109/CE, del
Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini
di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo, riconosce lo
status di soggiornante di lungo periodo ai cittadini di paesi terzi
che risiedano regolarmente in uno Stato membro da almeno cinque anni
(art. 4); prevede poi che i soggiornanti di lungo periodo siano
equiparati ai cittadini dello Stato membro in cui si trovano ai fini,
tra l'altro, del godimento dei servizi e prestazioni sociali (art.
11). Con l'art. 1 del decreto legislativo 8 gennaio 2007, n. 3
(Attuazione della direttiva 2003/109/CE relativa allo status di
cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo) e' stato poi
modificato l'art. 9 d.lgs. n. 286 del 1998, che ora riconosce al
cittadino di un paese terzo la possibilita' di ottenere, nel rispetto
dei requisiti di legge, lo status di soggiornante di lungo periodo
(che gli viene riconosciuto dal questore mediante il rilascio di uno
specifico permesso di soggiorno), con cio' acquisendo il diritto di
partecipare alla prestazioni di assistenza in condizioni di parita'
con i cittadini.
Inoltre, ogni norma che imponga distinzioni fra varie categorie
di persone in ragione della cittadinanza e della residenza per
regolare l'accesso alle prestazioni sociali deve pur sempre
rispondere al principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost. Come ha
recentemente ribadito questa Corte, tale principio puo' ritenersi
rispettato solo qualora esista una «causa normativa» della
differenziazione, che sia «giustificata da una ragionevole
correlazione tra la condizione cui e' subordinata l'attribuzione del
beneficio e gli altri peculiari requisiti che ne condizionano il
riconoscimento e ne definiscono la ratio» (sentenza n. 107 del 2018).
Una simile ragionevole causa normativa puo' in astratto consistere
nella richiesta di un titolo che dimostri il carattere non episodico
o di breve durata della permanenza sul territorio dello Stato: anche
in questi casi, peraltro, occorre pur sempre che sussista una
ragionevole correlazione tra la richiesta e le situazioni di bisogno
o di disagio, in vista delle quali le singole prestazioni sono state
previste (sentenza n. 133 del 2013).
Infine, ma non e' questo il caso, occorre che la distinzione non
si traduca mai nell'esclusione del non cittadino dal godimento dei
diritti fondamentali che attengono ai «bisogni primari» della
persona, indifferenziabili e indilazionabili, riconosciuti invece ai
cittadini (come precisato in progresso di tempo, ad esempio, dalle
sentenze n. 306 del 2008, n. 187 del 2010, n. 2, n. 40 e n. 172 del
2013, n. 22 e n. 230 del 2015, n. 107 del 2018).
Piu' specificamente, in relazione al requisito della residenza
qualificata, questa Corte con la sentenza n. 222 del 2013 ha ritenuto
che le politiche sociali dirette al soddisfacimento dei bisogni
abitativi possono prendere in considerazione un radicamento
territoriale ulteriore rispetto alla semplice residenza, purche'
contenuto in limiti non palesemente arbitrari o irragionevoli.
7.- Alla luce di tali principi, deve ritenersi che dieci anni di
residenza sul territorio nazionale o cinque anni sul territorio
regionale - richiesti dal censurato art. 11, comma 13, d.l. n. 112
del 2008, convertito, con modificazioni, nella legge n. 133 del 2008
- costituiscano una durata palesemente irragionevole e arbitraria,
oltre che non rispettosa dei vincoli europei, al fine dell'accesso al
contributo al pagamento del canone di locazione da parte degli
stranieri cittadini di paesi terzi non appartenenti all'Unione
europea, cosi' da violare il dedotto parametro costituzionale di cui
all'art. 3 Cost.
In primo luogo, la disposizione attinge gli estremi
dell'irrazionalita' intrinseca nella parte in cui esige una residenza
protratta per dieci anni sul territorio nazionale, dato che tale
termine coincide con quello necessario e sufficiente a richiedere la
cittadinanza italiana ai sensi dell'art. 9, comma 1, lettera f),
della legge 5 febbraio 1992, n. 91 (Nuove norme sulla cittadinanza).
In ogni caso, tale previsione contrasta con la richiamata direttiva
2003/109/CE che prevede come regola l'equiparazione tra cittadini e
soggiornanti di lungo periodo, condizione quest'ultima che - come si
e' detto - si puo' ottenere dopo cinque anni di permanenza sul
territorio di uno Stato membro.
In secondo luogo, anche il termine di cinque anni nel territorio
regionale risulta palesemente irragionevole e sproporzionato,
considerato che i fondi sono stati istituiti dal legislatore in un
contesto normativo volto anche a «favorire la mobilita' nel settore
della locazione attraverso il reperimento di alloggi da concedere in
locazione per periodi determinati» (art. 11, comma 3, legge n. 431
del 1998) e, dunque, per esigenze transitorie, relative a periodi
limitati, che sarebbero frustrate dalla richiesta di una permanenza
addirittura quinquennale.
Inoltre, trattandosi di una provvidenza che, alla luce della
scarsita' delle risorse destinabili alle politiche sociali
nell'attuale contesto storico, viene riservata a casi di vera e
propria indigenza, non si puo' ravvisare alcuna ragionevole
correlazione tra il soddisfacimento dei bisogni abitativi primari
della persona che versi in condizioni di poverta' e sia insediata nel
territorio regionale, e la lunga protrazione nel tempo di tale
radicamento territoriale (sentenze n. 222 del 2013, n. 40 del 2011 e
n. 187 del 2010). D'altra parte, questa Corte ha recentemente
dichiarato l'illegittimita' costituzionale di una legge regionale che
richiedeva una residenza di lunga durata (dieci anni) per l'accesso
all'edilizia residenziale pubblica (sentenza n. 106 del 2018).
Tutti questi indici normativi e giurisprudenziali, relativi e
attuativi anche di precisi obblighi assunti dallo Stato nel contesto
dell'Unione europea, confermano che la previsione di un requisito di
residenza decennale nel territorio dello Stato e quinquennale in
quello della Regione risulta sproporzionato e percio' irragionevole,
oltre che non rispettoso dei predetti obblighi europei.
8.- Alle luce delle osservazioni che precedono, pertanto, il
censurato art. 11, comma 13, deve essere dichiarato illegittimo per
violazione dell'art. 3 Cost.
Resta ferma ovviamente la possibilita' che il legislatore
individui altri indici di radicamento territoriale e sociale a cui
subordinare l'erogazione del sostegno al canone di locazione ed altri
sussidi per l'alloggio, nei limiti imposti dal principio di non
discriminazione e di ragionevolezza, come sopra enunciati.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 11, comma 13,
del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo
sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita', la
stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria),
convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 giugno 2018.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Marta CARTABIA, Redattore
Filomena PERRONE, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 20 luglio 2018.
Il Cancelliere
F.to: Filomena PERRONE
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