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mercoledì 25 luglio 2018

N. 166 SENTENZA 20 giugno - 20 luglio 2018 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Assistenza e solidarieta' sociale - Requisiti di accesso al Fondo nazionale per il sostegno alle locazioni - Stranieri immigrati - Possesso del certificato storico di residenza da almeno dieci anni nel territorio nazionale ovvero da almeno cinque nella medesima Regione. - Decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita', la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria) - convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133 - art. 11, comma 13. - (GU n.30 del 25-7-2018 )



N. 166 SENTENZA 20 giugno - 20 luglio 2018

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Assistenza e solidarieta' sociale - Requisiti  di  accesso  al  Fondo
  nazionale per il sostegno alle locazioni -  Stranieri  immigrati  -
  Possesso del certificato storico di residenza da almeno dieci  anni
  nel territorio nazionale ovvero da  almeno  cinque  nella  medesima
  Regione.
- Decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti  per  lo
  sviluppo  economico,  la  semplificazione,  la  competitivita',  la
  stabilizzazione  della   finanza   pubblica   e   la   perequazione
  tributaria) - convertito, con modificazioni, nella legge  6  agosto
  2008, n. 133 - art. 11, comma 13. 


(GU n.30 del 25-7-2018 )

 

                       LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
Presidente:Giorgio LATTANZI;
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo CORAGGIO,  Giuliano  AMATO,  Silvana  SCIARRA,  Daria  de
  PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,
  Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO',

     
    ha pronunciato la seguente

                              SENTENZA

    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  11,  comma
13, del decreto-legge 25 giugno 2008, n.  112  (Disposizioni  urgenti
per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita',  la
stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria),
convertito, con modificazioni, nella legge 6  agosto  2008,  n.  133,
promosso  dalla  Corte  d'appello  di  Milano,  sezione  lavoro,  nel
procedimento vertente tra V.C. L. e altri e la  Regione  Lombardia  e
altro, con ordinanza del 7 novembre  2016,  iscritta  al  n.  41  del
registro ordinanze 2017 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell'anno 2017.
    Visti gli atti di costituzione dell'ASGI - Associazione  per  gli
studi giuridici sull'immigrazione e altra, e della Regione Lombardia,
nonche'  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri;
    udito nella udienza  pubblica  del  20  giugno  2018  il  Giudice
relatore Marta Cartabia;
    uditi gli avvocati Alberto Guariso per l'ASGI - Associazione  per
gli studi giuridici sull'immigrazione e altra, Maria Lucia  Tamborino
per la Regione Lombardia e l'avvocato dello Stato  Giuseppe  Albenzio
per il Presidente del Consiglio dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.- Con ordinanza del 7 novembre 2016 (r.o. n. 41 del  2017),  la
Corte d'appello di Milano, sezione lavoro, ha sollevato questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 11, comma 13, del decreto-legge
25  giugno  2008,  n.  112  (Disposizioni  urgenti  per  lo  sviluppo
economico, la semplificazione, la competitivita', la  stabilizzazione
della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con
modificazioni, nella legge 6 agosto  2008,  n.  133,  in  riferimento
all'art. 3 della Costituzione.
    1.1.- La Corte rimettente e'  investita  della  causa  civile  in
grado di appello  avverso  l'ordinanza  del  Tribunale  ordinario  di
Milano, con la quale e' stata rigettata la domanda proposta  da  V.C.
L.,   dall'ASGI   -   Associazione   per    gli    studi    giuridici
sull'immigrazione e da Avvocati Per Niente Onlus, per  l'accertamento
del carattere discriminatorio della deliberazione della Giunta  della
Regione Lombardia «n.  X/3495»  del  30  aprile  2015  nonche'  delle
determinazioni del Comune di Milano «PG n. 264079» dell'8 maggio 2015
e «n. 68/2015 - prot.» del 12 maggio 2015, nella parte in cui fissano
i requisiti necessari  per  l'accesso  al  Fondo  «sostegno  affitti»
(recte: «sostegno alla  locazione  2015  per  i  cittadini  in  grave
disagio economico»).
    La Corte rimettente precisa  che  il  Tribunale  ha  respinto  la
domanda, non avendo riscontrato il  carattere  discriminatorio  delle
condizioni di accesso  al  fondo  di  sostegno.  A  fondamento  della
decisione  sono  state  richiamate  alcune   sentenze   della   Corte
costituzionale (n. 187 del 2010 e n. 432 del  2005)  con  cui  si  e'
ammessa la  possibilita'  di  prevedere  requisiti  di  accesso  alle
provvidenze sociali per  i  cittadini  stranieri,  nel  rispetto  del
principio di ragionevolezza. Inoltre, nell'ordinanza  impugnata  sono
stati richiamati l'art. 11 della direttiva 2003/109/CE del Consiglio,
del 25 novembre 2003, relativa allo status  dei  cittadini  di  paesi
terzi che siano soggiornanti di lungo periodo e l'art. 9 del  decreto
legislativo  8  gennaio  2007,  n.  3  (Attuazione  della   direttiva
2003/109/CE  relativa  allo  status  di  cittadini  di  Paesi   terzi
soggiornanti di lungo periodo), che  l'ha  recepita  nell'ordinamento
italiano, per desumerne che l'assegno in questione avrebbe natura  di
misura di sostegno al reddito  e  non  di  prestazione  assistenziale
essenziale a carico dello Stato da garantirsi universalmente.
    Il giudice a quo ha poi riferito che i ricorrenti, nell'appellare
la suddetta decisione, hanno riproposto l'eccezione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 11, commi 2 e 13,  d.l.  n.  112  del  2008,
convertito, con modificazioni, nella  legge  n.  133  del  2008,  per
contrasto con gli artt. 3 e 117, primo comma, Cost.,  gia'  sollevata
in primo grado. La Corte d'appello di  Milano  ha,  quindi,  ritenuto
rilevante  e  non   manifestamente   infondata   la   questione,   ma
limitatamente al citato art. 11, comma 13, e in riferimento  al  solo
art. 3 Cost.
    1.2.- Piu' precisamente, l'ordinanza di rimessione da' conto  del
fatto che  la  legge  9  dicembre  1998,  n.  431  (Disciplina  delle
locazioni e del rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo)  ha
istituito il  «Fondo  Nazionale  per  il  sostegno  all'accesso  alle
abitazioni in locazione», che mira a  sostenere,  tramite  contributi
monetari, le famiglie meno abbienti gravate da canoni  di  locazione,
senza operare distinzioni tra cittadini italiani e  stranieri  quanto
alle possibilita' di accesso al fondo  medesimo.  L'ordinanza  espone
poi che il citato d.l. n. 112 del 2008, come convertito, ha previsto,
all'art. 11, comma 13, che «[a]i fini del riparto del Fondo nazionale
per il sostegno all'accesso alle  abitazioni  in  locazione,  di  cui
all'articolo 11 della legge 9 dicembre  1998,  n.  431,  i  requisiti
minimi necessari per  beneficiare  dei  contributi  integrativi  come
definiti ai sensi del comma 4 del medesimo articolo devono  prevedere
per gli immigrati il possesso del certificato storico di residenza da
almeno dieci anni nel territorio nazionale ovvero  da  almeno  cinque
anni nella medesima regione».
    Cosi'  ricostruito  il  quadro   normativo,   nell'ordinanza   di
rimessione si osserva che l'impugnata  delibera  della  Giunta  della
Regione Lombardia del 30 aprile 2015  e'  frutto  di  una  iniziativa
regionale finanziata dal fondo di cui alla legge n. 431  del  1998  a
cui sono aggiunte risorse regionali, confluite  nel  «Fondo  Sostegno
"Grave Disagio Economico 2015"». Quanto ai criteri  per  l'accesso  a
tale fondo, la prodotta delibera ricalca  (secondo  la  ricostruzione
del  rimettente)  quelli  previsti  dal  legislatore  statale,   come
modificati nel 2008; sicche', all'art. 2 dell'Allegato  all'impugnata
delibera della Giunta regionale, si prevede che possano richiedere  i
contributi  in  questione  i  conduttori  residenti   nella   Regione
Lombardia  che  abbiano  l'«indicatore  della  situazione   economica
equivalente» (ISEE) non superiore ad euro 7.000 e che,  nel  caso  in
cui i richiedenti non siano  cittadini  italiani  o  di  altro  Stato
dell'Unione europea, sono condizioni di ammissione anche  l'esercizio
di  un'attivita'  lavorativa  (subordinata  o  autonoma,   pure   non
continuativa) e la certificazione della  residenza  almeno  decennale
nel territorio nazionale ovvero  quinquennale  nel  territorio  della
Regione Lombardia.
    La determinazione dirigenziale del Comune di  Milano  n.  68  del
2015 ha riprodotto i medesimi  contenuti  della  delibera  di  Giunta
regionale.
    1.3.- Cio' premesso, la Corte rimettente  osserva,  in  punto  di
rilevanza, che V.C. L., cittadina salvadoregna  residente  in  Italia
dal novembre 2011,  non  soddisfaceva  i  requisiti  richiesti  dalla
normativa e percio' non  ha  potuto  ricevere  alcun  contributo  dal
«Fondo Sostegno "Grave Disagio Economico 2015"» per il pagamento  del
canone di locazione, pur essendo titolare di un reddito molto basso e
in possesso di un permesso di soggiorno per motivi di lavoro.
    Quanto al requisito dello svolgimento  di  attivita'  lavorativa,
previsto dalla delibera di Giunta regionale, ad avviso della Corte  a
quo esso non sarebbe supportato da alcuna fonte  normativa  di  rango
primario,   nonostante   la    Regione    sostenga    di    ricavarlo
dall'interpretazione analogica di quanto previsto dall'art. 40, comma
6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo Unico  delle
disposizioni concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e  norme
sulla condizione dello  straniero),  nonche'  dai  principi  generali
sulla condizione giuridica dello straniero. Conseguentemente, sarebbe
possibile  per  il  giudice  comune  procedere  alla  disapplicazione
dell'atto secondario illegittimo, nella parte in  cui  stabilisce  il
suddetto  requisito  discriminatorio.   Al   contrario,   l'ulteriore
presupposto della residenza protratta per dieci anni  sul  territorio
nazionale ovvero per cinque anni su quello regionale trova fondamento
nel censurato art. 11, comma 13, d.l. n. 112  del  2008,  convertito,
con modificazioni, nella legge n. 133 del 2008: da qui  la  rilevanza
della questione di legittimita' costituzionale avente ad oggetto tale
norma, in quanto essa offrirebbe una  base  legale  al  provvedimento
amministrativo discriminatorio oggetto di giudizio.
    1.4.- Secondo la Corte rimettente la  questione  di  legittimita'
costituzionale  del  citato  art.   11,   comma   13,   sarebbe   non
manifestamente infondata in riferimento all'art. 3 Cost., per vizi di
irragionevolezza. In particolare, il giudice a  quo  richiama  alcune
pronunce di questa Corte (sentenze n. 230 e n. 22 del 2015,  n.  222,
n. 172, n. 133, n. 40 e n. 2 del 2013, n. 329 e n. 40 del 2011  e  n.
187 del 2010), nelle quali si trova l'affermazione del principio  per
cui i limiti alle prestazioni di assistenza devono sempre  rispondere
a  criteri  di   ragionevolezza,   indipendentemente   dalla   natura
essenziale o meno delle stesse. Nella  fattispecie,  non  vi  sarebbe
alcuna  ragionevole  correlazione  tra  la  durata  della   residenza
prevista  dall'art.  11,  comma  13,  d.l.  n.  112  del  2008,  come
convertito, e la situazione di disagio economico che il contributo in
questione  mira  ad  alleviare.  Non  sarebbe,  infatti,  ragionevole
presumere, in assoluto, che gli immigrati che  vivono  in  Italia  da
meno di dieci anni e  nella  Regione  Lombardia  da  meno  di  cinque
soffrano una condizione di disagio minore rispetto a chi  vi  risieda
da piu' anni o sia cittadino europeo.
    2.- Con atto depositato il 13 aprile 2017, si sono costituite nel
giudizio di legittimita' costituzionale  le  associazioni  appellanti
nel giudizio a quo, insistendo  per  l'accoglimento  della  sollevata
questione di legittimita' costituzionale.
    In  particolare,  esse  sostengono  che   la   condizione   della
cosiddetta "lungo-residenza" prevista per i  soli  stranieri  non  e'
stata  mai  considerata  costituzionalmente  legittima  dalla   Corte
costituzionale (sono richiamate le sentenze n. 230 e n. 22 del  2015,
n. 168 del 2014, n. 222, n. 133, n. 40 e n. 2 del 2013, n. 329  e  n.
40 del 2011, n. 187 del 2010).
    La norma oggetto del  giudizio  costituzionale,  in  particolare,
sarebbe illegittima poiche'  comporta  una  diversa  valutazione  del
radicamento territoriale del richiedente  la  prestazione  a  seconda
della cittadinanza dello  stesso:  un  cittadino  italiano,  infatti,
anche se residente sul territorio italiano o regionale da pochi  mesi
potrebbe accedere al beneficio, diversamente dal cittadino straniero.
Le parti costituite sottolineano che una simile  differenziazione  di
trattamento e' stata censurata dalla Corte di  Giustizia  dell'Unione
europea nella decisione del caso Kamberaj (sentenza 24  aprile  2012,
in  causa  C-571/10),  vertente  sulla  esclusione  dello   straniero
dall'accesso ad una prestazione di ugual natura rispetto a quella  di
cui si discute, nella quale la Corte di giustizia ha stabilito che la
disciplina del contributo al pagamento del canone  di  locazione  dei
conduttori meno abbienti vada letta  alla  luce  dell'art.  34  della
Carta dei diritti  fondamentali  dell'Unione  europea,  proclamata  a
Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007,
che riconosce il  diritto  all'assistenza  sociale  e  all'assistenza
abitativa.
    3.- Con atto depositato il 14 aprile 2017, si  e'  costituita  in
giudizio anche la  Regione  Lombardia,  chiedendo  che  questa  Corte
dichiari inammissibile, o in subordine non fondata, la  questione  di
legittimita' costituzionale.
    La Regione sostiene che la questione  sarebbe  inammissibile  per
omessa  definizione  della  fattispecie  in  contenzioso  e   perche'
l'ordinanza di rimessione non argomenta  adeguatamente  con  riguardo
alla sua rilevanza e non manifesta infondatezza.
    In particolare, la Regione nota che si ometterebbe di dar rilievo
al fatto che quella in discussione non e' una prestazione inerente al
diritto fondamentale all'abitazione, come potrebbe  essere  l'accesso
agli alloggi di edilizia residenziale  pubblica,  ma  si  tratterebbe
invece di un «ordinario contributo» di natura  non  assistenziale.  A
sostegno di tale assunto viene ricostruito  il  quadro  normativo  di
riferimento e, segnatamente, si precisa che, con legge della  Regione
Lombardia 4 dicembre 2009, n. 27 (Testo unico delle  leggi  regionali
in materia di edilizia residenziale pubblica), e' stato istituito  un
fondo regionale, concorrente  con  quello  nazionale  previsto  dalla
legge n. 431 del 1998. Detto  fondo  regionale  e'  finanziato  dallo
Stato (per il 50% circa), dalla Regione (per  il  35%  circa)  e  dai
Comuni (per il 15% circa). I Comuni, ai sensi dell'art. 11, comma  8,
legge n. 431 del  1998,  definiscono  l'entita'  e  le  modalita'  di
erogazione dei contributi, nel rispetto dei requisiti minimi  fissati
dal Ministero  per  i  lavori  pubblici.  Da  cio'  viene  tratta  la
conclusione che la Regione  -  e  poi  il  Comune  -  ben  potrebbero
prescrivere ulteriori requisiti di accesso, come accade nel  caso  di
specie, in cui,  peraltro,  le  condizioni  stabilite  dalla  Regione
trovano  riscontro  nelle  previsioni  della  legge  statale   e   in
particolare nell'art. 11, comma 13, oggetto del presente giudizio.
    Si eccepisce, dunque, l'assenza di argomentazioni sulla rilevanza
della questione  di  legittimita'  costituzionale,  contestandosi  la
ricostruzione  del  giudice  a  quo,  secondo  la  quale  la   natura
essenziale o meno del beneficio in discussione non inciderebbe  sulla
non manifesta infondatezza della questione stessa. Al  contrario,  la
Regione ritiene che la differenza tra prestazioni  essenziali  o  non
essenziali  rileva  solamente  all'interno  della   categoria   delle
prestazioni assistenziali, tra le quali il  contributo  al  pagamento
dei canoni di locazione non rientrerebbe.  Come  gia'  affermato  dal
Tribunale  ordinario  di  Milano  in  primo  grado,  infatti,   detto
contributo costituirebbe una «misura di sostegno al  reddito»  e  non
una «prestazione  assistenziale».  La  Regione  supporta  la  propria
argomentazione mettendo in rilievo una sere di caratteristiche  della
prestazione in oggetto: si tratterebbe di una erogazione  una  tantum
(e cio' verrebbe ammesso anche  da  parte  appellante);  mirerebbe  a
sostenere il conduttore, ma andrebbe a beneficio anche del  locatore;
si tratterebbe di  un  ammontare  non  pignorabile  presso  terzi  e,
dunque, non annoverabile tra i  crediti  alimentari,  come  precisato
dalla giurisprudenza di  merito;  non  sarebbe  elencata  tra  quelle
rientranti nei livelli essenziali ai sensi  della  legge  8  novembre
2000, n. 328 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato
di interventi e servizi sociali); non sarebbe in alcun modo destinata
a far fronte a situazioni di  grave  difficolta',  altre  essendo  le
provvidenze pubbliche  precipuamente  funzionali  al  sostegno  nelle
condizioni di indigenza, tanto che il fondo in  questione  non  viene
finanziato tutti gli anni.
    L'ordinanza  di  rimessione  si  baserebbe,  secondo  la   difesa
regionale, su un erroneo presupposto interpretativo,  poiche'  lascia
intendere che la prestazione de qua avrebbe natura assistenziale.
    Si sottolinea, inoltre, che, in base alla direttiva  2003/109/CE,
«[g]li Stati membri possono limitare la  parita'  di  trattamento  in
materia  di  assistenza  e  protezione   sociale   alle   prestazioni
essenziali» (art. 11, paragrafo 4).
    La  stessa   giurisprudenza   costituzionale,   infine,   avrebbe
interpretato l'art. 3 Cost. come  norma  che  vieta  differenziazioni
laddove manchi una  correlazione  tra  requisito  richiesto  e  scopo
perseguito dalla norma  che  prevede  le  prestazioni:  nel  caso  di
specie, sussisterebbe invece una correlazione  tra  la  durata  della
permanenza sul territorio, il  possesso  di  una  regolare  attivita'
lavorativa e le finalita' del cosiddetto "bonus affitti".
    4.- Con atto depositato il 18 aprile  2017,  e'  intervenuto  nel
giudizio il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  che   la
questione di legittimita' costituzionale venga «rigettata  in  quanto
inammissibile» o, comunque, ritenuta non fondata.
    4.1.-   L'interveniente   argomenta   l'inammissibilita'    della
questione di legittimita'  costituzionale  sostenendo  che  la  Corte
d'appello di Milano non ha chiesto ne' un intervento additivo ne' uno
propriamente  ablativo   da   parte   della   Corte   costituzionale,
prospettando semplicemente la necessita' di una  disciplina  che  non
presuma «in termini assoluti che gli stranieri immigrati in Italia da
meno di dieci anni e nella Regione da meno di cinque [...] versino in
uno stato di disagio e di difficolta', ai  fini  delle  fruizioni  di
quei contributi, minori rispetto a chi  vi  risieda  da  piu'  anni».
L'ordinanza di rimessione non indicherebbe, dunque, alcuna  soluzione
costituzionalmente obbligata, lasciando  indeterminato  il  contenuto
dell'intervento richiesto.
    4.2.-  Nel  merito,  l'Avvocatura   generale   dello   Stato   ha
individuato i  ruoli  delle  Regioni  e  dei  Comuni  nella  concreta
erogazione dei contributi del fondo istituito dalla legge n. 431  del
1998:  in  particolare,  si  sottolinea  che  il  Comune  rappresenta
l'«organismo  terminale  nell'attuazione  del  sistema  di   sostegno
all'accesso alle locazioni», come affermato  da  questa  Corte  nella
sentenza n. 520 del 2000. Afferma  poi  l'Avvocatura  generale  dello
Stato che il contributo ex art. 11 della legge n. 431 del 1998 non ha
ne' struttura ne' finalita' alimentare e sarebbe,  invece,  un  «mero
sussidio», ovvero una «elargizione a fondo perduto» -  come  definita
dalla Corte dei conti, nella sentenza della Corte dei conti,  sezione
giurisdizionale per l'Umbria, 3 dicembre 2008, n.  193.  L'Avvocatura
generale dello Stato precisa, poi, che dopo l'entrata in vigore della
disposizione impugnata, la Corte costituzionale ha  analizzato  «gran
parte dei commi del citato art. 11» con la  sentenza  121  del  2010,
dichiarando  in  parte  inammissibili  e  in  parte  non  fondate  le
questioni inerenti i commi 1, 2, 3, 4, 5, 6, 8, 9, 11 e 12.
    Piu' precisamente, a sostegno  della  infondatezza,  l'Avvocatura
generale dello Stato richiama l'art. 40, comma 6, d.lgs. n.  286  del
1998, che si occupa proprio di diritti e doveri degli  stranieri:  la
disposizione  evocata,  in  tema  di  agevolazioni  all'accesso  alle
locazioni abitative, effettua una delimitazione dei  beneficiari  dei
contributi, in modo assimilabile alla normativa oggetto di  giudizio.
Sarebbe dunque possibile, entro  i  limiti  consentiti  dall'art.  11
direttiva 2003/109/CE, cui ha dato attuazione  il  d.lgs.  n.  3  del
2007,   e   nel   rispetto   dei   diritti   fondamentali   dell'uomo
costituzionalmente   garantiti,    riservare    talune    prestazioni
assistenziali ai soli cittadini e alle  persone  «extra-UE»  ad  essi
equiparati  perche'  residenti  in  Italia  da  tempo.   L'Avvocatura
generale dello Stato ritiene comunque opportuno precisare, in  questa
prospettiva,  che  non  solo  gli  stranieri   vedono   limitate   le
possibilita' di  accesso  alle  prestazioni,  giacche'  anche  per  i
cittadini italiani sono prescritti dei limiti: si puo' richiedere  il
contributo, ad esempio, solo  se  si  e'  titolari  di  contratto  di
locazione  di  immobile  utilizzato  come  residenza   anagrafica   e
abitazione principale (art. 2  della  citata  delibera  della  Giunta
della  Regione  Lombardia  n.  3495  del  2015);  e'  prescritto  che
«l'offerta  di  abitazioni  di  edilizia  residenziale  debba  essere
destinata prioritariamente a prima casa per determinate categorie  di
soggetti» (art. 11, comma 2, d.l. n.112 del 2008,  come  convertito).
La  legge  prevederebbe,  quindi,  in  modo  non  irragionevole,  che
l'erogazione di determinate prestazioni sia subordinata ad un  titolo
di legittimazione rappresentato dal soggiorno «non episodico e di non
breve durata» nel territorio dello Stato.
    5.- Con memoria depositata il 25 maggio 2018, il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale  dello  Stato,  ha  insistito  perche'  la   questione   sia
dichiarata inammissibile o infondata.
    In particolare, l'interveniente ha insistito  sul  fatto  che  la
Corte costituzionale con la sentenza n. 121 del 2010 ha gia' ritenuto
non illegittima la gran parte dei commi dell'impugnato art.  11  d.l.
n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, nella  legge  n.  133
del 2008. Sulla base dei principi  stabiliti  in  detta  sentenza  si
dovrebbe, quindi, ritenere non fondata anche la  questione  sollevata
sul comma 13 del citato art. 11, posto che  entrambi  i  requisiti  -
cioe' quelli della residenza e dell'esercizio di  regolare  attivita'
lavorativa nel territorio (quest'ultimo con  base  legislativa  negli
artt. 3, comma 5, 4, comma 3, 5, e 40, comma 6,  d.lgs.  n.  286  del
1998) - non avrebbero natura discriminatoria,  ma  rappresenterebbero
espressione dell'esigenza che lo straniero, cittadino  di  Stati  non
appartenenti  all'Unione  europea,  sia  stabilmente  inserito  nella
compagine sociale italiana.
    Il necessario e duraturo collegamento con la realta' territoriale
sarebbe, poi, gia'  stato  considerato,  quale  base  ragionevole  di
analoghe previsioni legislative, da questa Corte  nella  sentenza  n.
306 del 2008. Del resto, tale collegamento sarebbe previsto anche per
i cittadini italiani,  in  base  alla  delibera  della  Giunta  della
Regione Lombardia n. 3495 del 2015 e, in generale, per  l'offerta  di
abitazioni di edilizia residenziale dal citato d.l. n. 112 del  2008.
La duratura integrazione sociale dei cittadini di paesi terzi sarebbe
poi coerente anche con la gia' citata direttiva 2003/109/CE.
    Ad  avviso  dell'interveniente  questa   stessa   Corte   avrebbe
riconosciuto che lo  Stato  puo'  riservare  determinate  prestazioni
assistenziali solo ai  cittadini  di  Stati  appartenenti  all'Unione
europea o a quelli appartenenti a paesi terzi che risiedano da  lungo
tempo in Italia, cosi' da generare un  nesso  tra  la  partecipazione
alla organizzazione politica, economica e sociale della Repubblica  e
l'erogazione del contributo (vengono citate le sentenze n. 4 e n. 222
del 2013).
    6.- Con memoria depositata il 30 maggio 2018, le parti ricorrenti
nel giudizio a quo hanno svolto precisazioni ritenute necessarie alla
luce della giurisprudenza di questa Corte successiva  alla  ordinanza
di rimessione,  oltre  a  richiamare  argomenti  gia'  sviluppati  in
precedenza,  insistendo  per  l'accoglimento   della   questione   di
legittimita' costituzionale.
    In particolare, le parti costituite sostengono  che  non  sia  in
alcun modo applicabile al caso in esame quanto  affermato  in  ordine
all'«accesso all'abitazione» nella recente sentenza n. 106 del  2018,
ossia che «l'accesso a un bene di primaria importanza e  a  godimento
tendenzialmente duraturo, come l'abitazione, per un verso, si colloca
a conclusione del percorso di integrazione della  persona  presso  la
comunita' locale e, per altro  verso,  puo'  richiedere  garanzie  di
stabilita', che, nell'ambito dell'assegnazione di alloggi pubblici in
locazione,  scongiurino   avvicendamenti   troppo   ravvicinati   tra
conduttori,  aggravando   l'azione   amministrativa   e   riducendone
l'efficacia». I destinatari del  fondo  ex  lege  n.  431  del  1998,
infatti, sono soggetti che hanno gia' avuto  accesso  all'abitazione:
non  rileva,  dunque,  l'esigenza   di   scongiurare   avvicendamenti
ravvicinati tra conduttori, bensi' la circostanza che essi si trovino
in difficolta' con il pagamento  del  canone  di  locazione.  Rileva,
insomma, solamente che siano soggetti in condizioni di grave  disagio
economico, come si evince dalla rubrica della delibera  della  Giunta
regionale impugnata nel giudizio a quo (del seguente  tenore:  «[...]
iniziativa di sostegno alla locazione 2015 per i cittadini  in  grave
disagio economico») e  come  si  deduce  anche  dalla  previsione  di
«requisiti economici» per  l'accesso  al  fondo,  sia  da  parte  del
decreto del Ministero dei lavori pubblici e delle  infrastrutture,  7
giugno 1999, che  da  parte  della  medesima  delibera  della  Giunta
regionale (che fissa il limite dell'ISEE non superiore a 7000  euro).
Non sarebbe dunque possibile riscontrare una ragionevole correlazione
tra il requisito della  cittadinanza  (che  consente  l'accesso  alla
prestazione  indipendentemente   dalla   residenza   prolungata   sul
territorio) e la ratio legis.
    Le due associazioni aggiungono, poi, che la  residenza  protratta
per cosi' lunghi periodi di tempo e' requisito contrastante anche con
i diritti dei titolari di permesso di soggiorno di lungo  periodo,  i
quali, pur godendo della parita' di trattamento rispetto ai cittadini
(viene citato l'art. 11 direttiva 2003/109/CE), qualora  risiedessero
da piu' di cinque anni (e meno di dieci) sul territorio nazionale, ma
decidessero di spostarsi da una  Regione  all'altra,  non  potrebbero
accedere  alla  provvidenza,  non  soddisfacendo  «nessuno  dei   due
requisiti   alternativamente   richiesti   dalla   norma».   Le   due
associazioni osservano inoltre  che  la  condizione  appare  illogica
poiche',  essendo  il  fondo  finanziato  con  risorse  statali,  «il
requisito della "stabilita' regionale" e' del tutto incongruo (non si
vede quale interesse lo  Stato  possa  vantare  a  che  lo  straniero
permanga per piu' di cinque anni nella stessa Regione)»; mentre,  per
quanto riguarda la «stabilita' nazionale» (certificato  di  residenza
decennale), il requisito sarebbe «assolutamente sproporzionato».
    La  memoria  evoca,  in  conclusione,  la  sentenza  della  Corte
costituzionale n. 107  del  2018  nella  parte  in  cui  richiama  la
giurisprudenza  della  Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo:  essa
avrebbe  affermato  che  il   criterio   per   l'individuazione   del
collegamento  col  territorio  non  puo'  essere  «troppo  esclusivo,
potendo sussistere altri elementi rivelatori del nesso reale  tra  il
richiedente e lo Stato». Nel caso in esame, in particolare,  la  gia'
acquisita titolarita' di un contratto di  locazione  esprimerebbe  di
per se' un «"nesso reale" che andrebbe valorizzato»,  cosi'  come  la
titolarita' di un  rapporto  di  lavoro  o  la  presenza  nel  nucleo
familiare di figli minori,  «che  tendera'  anch'essa  a  ridurre  la
mobilita' rafforzando il nesso reale con il territorio».

                       Considerato in diritto

    1.- Con ordinanza del 7 novembre 2016 (r.o. n. 41 del  2017),  la
Corte d'appello di Milano, sezione lavoro, ha sollevato questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 11, comma 13, del decreto-legge
25  giugno  2008,  n.  112  (Disposizioni  urgenti  per  lo  sviluppo
economico, la semplificazione, la competitivita', la  stabilizzazione
della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con
modificazioni, nella legge 6 agosto  2008,  n.  133,  in  riferimento
all'art. 3 della Costituzione.
    La norma censurata prevede che «[a]i fini del riparto  del  Fondo
nazionale per il sostegno all'accesso alle abitazioni  in  locazione,
di cui all'articolo 11  della  legge  9  dicembre  1998,  n.  431,  i
requisiti minimi necessari per beneficiare dei contributi integrativi
come definiti ai sensi del  comma  4  del  medesimo  articolo  devono
prevedere per gli immigrati il possesso del  certificato  storico  di
residenza da almeno dieci anni nel  territorio  nazionale  ovvero  da
almeno cinque anni nella medesima regione».
    Secondo la Corte  rimettente  questa  previsione,  a  parita'  di
condizioni di bisogno, discriminerebbe  i  cittadini  dei  Paesi  non
appartenenti all'Unione europea, in quanto richiederebbe solo  per  i
questi ultimi un periodo di  residenza  sul  territorio  nazionale  o
regionale, senza che sia ravvisabile alcuna ragionevole  correlazione
tra la durata della residenza e l'accesso alla misura di sostegno  al
pagamento del canone di locazione.
    2.- In via preliminare deve rilevarsi che si sono costituite  nel
giudizio costituzionale V.C. L., ASGI - Associazione  per  gli  studi
giuridici sull'immigrazione, Avvocati Per Niente Onlus e  la  Regione
Lombardia. Trattandosi  delle  parti  del  giudizio  a  quo,  risulta
pacifica,   in   base   alla   giurisprudenza   di   questa    Corte,
l'ammissibilita' della loro costituzione nel giudizio incidentale.
    3.- La Regione Lombardia  ha  eccepito  l'inammissibilita'  della
questione per difetto di  motivazione  dell'ordinanza  di  rimessione
riguardo alla qualificazione giuridica del  contributo  di  cui  alla
disposizione  impugnata.  Secondo  la  ricostruzione  della  Regione,
infatti, tale contributo  non  avrebbe  natura  assistenziale  e  non
costituirebbe una prestazione essenziale inerente alla  garanzia  del
diritto  fondamentale  all'abitazione,  come  invece  presuppone   il
giudice a quo.
    L'eccezione non e' fondata.
    Va osservato in proposito che il giudice rimettente, esponendo  e
richiamando svariate decisioni  di  questa  Corte  a  sostegno  della
propria tesi, assume una precisa e argomentata  posizione  in  ordine
alla natura assistenziale del «sostegno alla locazione dei  cittadini
in grave disagio economico». L'ordinanza osserva che, nello stabilire
i requisiti per l'accesso a tale prestazione e indipendentemente  dal
fatto che ad essa debba essere riconosciuto  carattere  «essenziale»,
il legislatore deve rispettare i canoni  della  ragionevolezza:  tali
canoni nella specie si ritengono violati, in quanto non  si  potrebbe
ravvisare  alcuna  ragionevole  correlazione  tra  la  durata   della
residenza prevista dalla disposizione impugnata per i soli  immigrati
e la situazione di disagio economico che il contributo  in  questione
mira ad alleviare. Inoltre, la Corte  rimettente  espone  chiaramente
che il requisito di durata della residenza, della cui legittimita' si
dubita, trova il proprio fondamento  legislativo  nella  disposizione
censurata, sicche' solo in seguito alla (eventuale) dichiarazione  di
illegittimita'  costituzionale  di  tale   disposizione   si   potra'
procedere alla disapplicazione degli  atti  amministrativi  che  tali
requisiti riproducono.
    L'ordinanza di rimessione  non  presenta,  dunque,  le  lamentate
carenze  di  motivazione  sulla  rilevanza  e  sulla  non   manifesta
infondatezza, di tal che le obiezioni  della  Regione  Lombardia  non
attengono all'ammissibilita' della  questione,  ma  semmai  alla  sua
fondatezza nel merito.
    4.-  Sempre  in  punto  di  ammissibilita',  il  Presidente   del
Consiglio dei ministri ha da parte sua eccepito difetti del  petitum.
Il giudice rimettente non avrebbe  chiesto  a  questa  Corte  ne'  un
intervento additivo,  ne'  uno  propriamente  ablativo,  prospettando
semplicemente la necessita' di una disciplina  che  «non  presuma  in
termini assoluti che gli stranieri immigrati in  Italia  da  meno  di
dieci anni e nella Regione da meno di cinque  [...]  versino  in  uno
stato di disagio e di difficolta', ai fini delle  fruizioni  di  quei
contributi, minori rispetto a chi vi risieda da piu' anni».  Sicche',
da un lato l'ordinanza  di  rimessione  lascerebbe  indeterminato  il
contenuto dell'intervento  richiesto  alla  Corte  costituzionale;  e
dall'altro, una disciplina sostitutiva non potrebbe essere introdotta
dalla Corte in assenza  di  contenuti  costituzionalmente  obbligati,
dato che l'intervento  inciderebbe  in  una  materia  riservata  alla
discrezionalita' e alla responsabilita' politica del legislatore.
    Anche questa eccezione non e' fondata.
    Il  giudice  a  quo,  infatti,  non   sollecita   un   intervento
sostitutivo di questa Corte che introduca  una  nuova  disciplina  in
tema di requisiti di accesso al citato fondo di sostegno ai canoni di
locazione. L'ordinanza lamenta, invece, una  violazione  dell'art.  3
Cost., in quanto la disposizione  impugnata  reca  una  irragionevole
discriminazione tra gli aspiranti alla provvidenza, a danno dei  soli
cittadini di Paesi non appartenenti all'Unione europea, per  i  quali
soltanto e' richiesta una residenza qualificata: la richiesta rivolta
a questa Corte e' chiara e prospetta un petitum che mira ad eliminare
tale discriminazione attraverso una mera ablazione.
    5. Nel merito la questione e' fondata per le ragioni  di  seguito
precisate.
    5.1.- Il sostegno alle abitazioni in locazione e' stato istituito
dall'art. 11 della legge 9 dicembre 1998, n.  431  (Disciplina  delle
locazioni e del rilascio degli immobili adibiti ad uso  abitativo)  e
consiste in un contributo  destinato  al  pagamento  del  canone,  da
erogarsi a soggetti che si trovino in  una  situazione  di  indigenza
qualificata.
    Piu' precisamente, l'art. 11, legge n. 431  del  1998  stabilisce
che «[p]resso il Ministero dei lavori pubblici e' istituito il  Fondo
nazionale per il sostegno all'accesso alle abitazioni  in  locazione,
la cui dotazione annua e' determinata dalla legge finanziaria  [...]»
(comma 1) e che «[l]e somme assegnate al Fondo di cui al comma 1 sono
utilizzate per la  concessione,  ai  conduttori  aventi  i  requisiti
minimi individuati con le modalita' di cui al comma 4, di  contributi
integrativi per il  pagamento  dei  canoni  di  locazione  dovuti  ai
proprietari degli immobili, di proprieta' sia pubblica  sia  privata,
nonche', qualora le  disponibilita'  del  Fondo  lo  consentano,  per
sostenere le iniziative intraprese dai  comuni  anche  attraverso  la
costituzione di agenzie o istituti  per  la  locazione  o  attraverso
attivita' di promozione in convenzione con cooperative  edilizie  per
la  locazione,  tese  a  favorire  la  mobilita'  nel  settore  della
locazione attraverso  il  reperimento  di  alloggi  da  concedere  in
locazione per periodi determinati» (comma 3).
    Il richiamato comma 4 dell'art. 11 della medesima  legge  n.  431
del 1998 precisa  che  «[i]l  Ministro  dei  lavori  pubblici,  entro
novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente  legge,
previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti fra  lo
Stato, le regioni e le province autonome  di  Trento  e  di  Bolzano,
definisce, con proprio decreto,  i  requisiti  minimi  necessari  per
beneficiare dei contributi integrativi di cui al comma 3 e i  criteri
per la determinazione dell'entita' dei contributi stessi in relazione
al reddito familiare e all'incidenza sul reddito medesimo del  canone
di locazione».
    In esecuzione della disposizione da ultimo richiamata, il decreto
del Ministero dei lavori pubblici e delle  infrastrutture,  7  giugno
1999, recante  appunto  i  «[r]equisiti  minimi  dei  conduttori  per
beneficiare  dei  contributi  integrativi  a  valere  sulle   risorse
assegnate  al  Fondo  nazionale  di  sostegno  per   l'accesso   alle
abitazioni in locazione di cui all'art. 11  della  legge  9  dicembre
1998, n. 431, e criteri per la determinazione degli stessi», prevede,
all'art. 1, la  compilazione  di  una  graduatoria  comunale  secondo
determinati  criteri  reddituali,  costituiti  per   ciascun   nucleo
familiare richiedente da: «a) reddito  annuo  imponibile  complessivo
non  superiore  a  due  pensioni  minime  INPS,  rispetto  al   quale
l'incidenza del canone di locazione risulti non inferiore al  14  per
cento; b) reddito annuo imponibile complessivo non superiore a quello
determinato dalle regioni e  dalle  province  autonome  di  Trento  e
Bolzano per l'assegnazione degli  alloggi  di  edilizia  residenziale
pubblica, rispetto al  quale  l'incidenza  del  canone  di  locazione
risulti non inferiore al 24 per cento». L'ammontare  dei  redditi  da
assumere a riferimento e' quello risultante dall'ultima dichiarazione
dei redditi  ed  il  valore  dei  canoni  e'  quello  risultante  dai
contratti di locazione regolarmente registrati, al netto degli  oneri
accessori. All'art. 2, si stabilisce poi che le Regioni e le Province
autonome di Trento e Bolzano ed  i  Comuni,  qualora  concorrano  con
propri  fondi  ad  incrementare  le  risorse  attribuite  dal   fondo
nazionale, possono stabilire ulteriori articolazioni delle classi  di
reddito o soglie di incidenze del canone piu' favorevoli  (comma  1);
che «i comuni fissano l'entita' dei contributi secondo  un  principio
di gradualita' che favorisca i nuclei familiari con redditi  bassi  e
con elevate soglie di incidenza del canone» (comma 3); e che si tenga
conto   della   presenza   nel    nucleo    familiare    di    «ultra
sessantacinquenni, disabili o  [...]  altre  analoghe  situazioni  di
particolare debolezza sociale» (comma 4).
    5.2.- In origine, dunque,  i  destinatari  del  contributo  erano
tutti  i  «conduttori»,  titolari  di  un  contratto   di   locazione
registrato, che, per basso reddito ed elevate soglie di incidenza del
canone, potessero ritenersi in una situazione di  indigenza  tale  da
non disporre di risorse sufficienti a sostenere l'onere del pagamento
dell'ammontare dovuto per l'abitazione. Ne' la legge, ne' il  decreto
ministeriale prevedevano distinzioni  tra  cittadini  e  stranieri  e
neppure menzionavano requisiti legati alla durata della residenza sul
territorio nazionale e regionale, ma individuavano  solo  criteri  di
carattere economico, tali da riservare la distribuzione del  fondo  a
soggetti seriamente disagiati.
    Il legislatore intendeva,  dunque,  rivolgersi  a  situazioni  di
cosi' grave bisogno da compromettere  la  fruizione  di  un  bene  di
primaria importanza qual e' l'abitazione.
    E' pur vero che il contributo in oggetto si  distingue  da  altre
misure affini, quale ad esempio l'assegnazione di alloggi di edilizia
residenziale pubblica, che soddisfa  direttamente  ed  esclusivamente
l'esigenza abitativa degli indigenti. Il sostegno  al  pagamento  del
canone di locazione  di  alloggi,  di  proprieta'  sia  pubblica  sia
privata, qui in discussione, soddisfa varie esigenze e reca beneficio
a vari soggetti: senz'altro al conduttore indigente e ai suoi bisogni
abitativi, concorrendo alla  spesa  per  la  casa  in  situazioni  di
contingente poverta' economica; al locatore, che viene  tutelato  dai
rischi di morosita' dei conduttori;  alla  pubblica  amministrazione,
sopperendo alle eventuali insufficienze nell'offerta  di  alloggi  di
edilizia residenziale pubblica. Si  tratta,  percio'  di  prestazione
polifunzionale (sentenza n. 329 del  2011),  suscettibile  di  essere
finanziata in modo variabile e discontinuo, in ragione di valutazioni
politiche circa la necessita' della sua  erogazione,  nell'an  e  nel
quantum.
    La circostanza che plurime siano le esigenze  che  il  contributo
puo' soddisfare non esclude che tra queste ve ne  siano  di  decisive
per chi versi in una situazione di indigenza, si' da incontrare gravi
difficolta' nel corrispondere il canone di locazione per la casa.
    Non e' di ostacolo a riconoscere che il  sostegno  al  canone  e'
volto a sostenere gli indigenti e a contrastare la poverta' il  fatto
che tale beneficio sociale sia destinato a soggetti gia' titolari  di
un contratto di locazione (art. 11, comma 2, legge n. 431 del  1998):
le difficolta' economiche possono manifestarsi  successivamente  alla
locazione e in ogni caso l'erogazione del contributo  e'  subordinata
al verificarsi di documentate situazioni di poverta'.
    Si tratta, quindi, di una misura polifunzionale la cui  ratio  e'
quella di sostenere gli indigenti  al  fine  di  consentire  loro  di
soddisfare le  esigenze  abitative  mediante  ricorso  al  mercato  e
prevenire il rischio di sfratti per morosita'.
    5.3.- Dieci anni dopo l'istituzione del fondo, il d.l. n. 112 del
2008, convertito, con modificazioni, nella legge n. 133 del 2008,  ha
introdotto una distinzione tra i conduttori beneficiari,  richiedendo
requisiti ulteriori, per accedere ai  fondi,  ai  soli  cittadini  di
Stati  non  appartenenti  all'Unione  europea  e  agli  apolidi.   In
particolare,  il  censurato  art.  11,  comma  13,  del  citato  d.l.
stabilisce che «[a]i fini del riparto  del  Fondo  nazionale  per  il
sostegno  all'accesso  alle   abitazioni   in   locazione,   di   cui
all'articolo 11 della legge n.  431  del  1998,  i  requisiti  minimi
necessari per beneficiare dei contributi integrativi come definiti ai
sensi del comma 4 del medesimo  articolo  devono  prevedere  per  gli
immigrati il possesso del certificato storico di residenza da  almeno
dieci anni nel territorio nazionale  ovvero  da  almeno  cinque  anni
nella medesima regione».
    Il requisito aggiuntivo della  residenza  qualificata  e'  dunque
richiesto, come  si  desume  dall'inequivoco  testo  letterale  della
disposizione, per i soli «immigrati», vale a dire per i cittadini  di
paesi non appartenenti all'Unione  europea  e  per  gli  apolidi:  la
nozione di immigrato e di immigrazione si ricava dal  relativo  testo
unico - decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo Unico delle
disposizioni concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e  norme
sulla  condizione  dello  straniero),  anteriore  alla  stessa  legge
istitutiva del Fondo nazionale in esame - e, segnatamente, dal Titolo
I, contenente i «Principi  generali»  e  dallo  stesso  art.  1,  che
definisce l'ambito di applicazione della disciplina sull'immigrazione
come rivolta «ai  cittadini  di  Stati  non  appartenenti  all'Unione
europea e agli apolidi, di seguito indicati come stranieri».
    Per quanto riguarda, infatti,  i  cittadini  degli  Stati  membri
dell'Unione europea si applica, a seguito degli Accordi di Schengen e
del Trattato di Maastricht, l'istituto della «cittadinanza  europea»,
che comprende il diritto di soggiorno  e  circolazione  in  tutto  il
territorio dell'Unione europea - secondo le condizioni stabilite  con
la direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del  Consiglio,  del
29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell'Unione  e  dei
loro  familiari  di  circolare  e  di  soggiornare  liberamente   nel
territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento  (CEE)  n.
1612/68 ed abroga le direttive  64/221/CEE,  68/360/CEE,  72/194/CEE,
73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e  93/96/CEE
- e non il testo unico sull'immigrazione.
    Il censurato art. 11, comma 13, prevede,  dunque,  solo  per  gli
«immigrati»  una  certa  durata  della  residenza,  tanto  a  livello
nazionale quanto in territorio regionale; per i cittadini italiani ed
europei tale requisito non  e'  richiesto,  mentre  restano  fermi  i
criteri di carattere economico e l'attestazione di  un  contratto  di
locazione registrato, come si desume dall'art. 2 della  citata  legge
n. 431 del 1998.
    6.-  Alla  luce  di  quanto  sopra  esposto,   risulta   che   la
disposizione censurata introduce una irragionevole discriminazione  a
danno dei cittadini di paesi  non  appartenenti  all'Unione  europea,
richiedendo solo ad essi  il  possesso  del  certificato  storico  di
residenza da almeno dieci anni nel  territorio  nazionale  ovvero  da
almeno cinque anni nella medesima regione.
    Invero, secondo la giurisprudenza di questa Corte,  consolidatasi
a partire dalla  sentenza  n.  432  del  2005,  il  legislatore  puo'
legittimamente  circoscrivere  la  platea   dei   beneficiari   delle
prestazioni  sociali  in  ragione  della  limitatezza  delle  risorse
destinate al loro finanziamento (sentenza n. 133 del 2013). Tuttavia,
la  scelta  legislativa  non  e'  esente   da   vincoli   di   ordine
costituzionale.
    La legge deve anzitutto  rispettare  gli  obblighi  europei  che,
anche per quanto riguarda le prestazioni sociali, esigono la  parita'
di trattamento tra i cittadini italiani ed europei e  i  soggiornanti
di lungo periodo.  In  particolare,  la  direttiva  2003/109/CE,  del
Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status  dei  cittadini
di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo, riconosce  lo
status di soggiornante di lungo periodo ai cittadini di  paesi  terzi
che risiedano regolarmente in uno Stato membro da almeno cinque  anni
(art. 4); prevede poi che  i  soggiornanti  di  lungo  periodo  siano
equiparati ai cittadini dello Stato membro in cui si trovano ai fini,
tra l'altro, del godimento dei servizi e  prestazioni  sociali  (art.
11). Con l'art. 1 del  decreto  legislativo  8  gennaio  2007,  n.  3
(Attuazione della  direttiva  2003/109/CE  relativa  allo  status  di
cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo) e' stato  poi
modificato l'art. 9 d.lgs. n. 286 del  1998,  che  ora  riconosce  al
cittadino di un paese terzo la possibilita' di ottenere, nel rispetto
dei requisiti di legge, lo status di soggiornante  di  lungo  periodo
(che gli viene riconosciuto dal questore mediante il rilascio di  uno
specifico permesso di soggiorno), con cio' acquisendo il  diritto  di
partecipare alla prestazioni di assistenza in condizioni  di  parita'
con i cittadini.
    Inoltre, ogni norma che imponga distinzioni fra  varie  categorie
di persone in  ragione  della  cittadinanza  e  della  residenza  per
regolare  l'accesso  alle  prestazioni  sociali   deve   pur   sempre
rispondere al principio di ragionevolezza ex art.  3  Cost.  Come  ha
recentemente ribadito questa Corte,  tale  principio  puo'  ritenersi
rispettato  solo  qualora  esista   una   «causa   normativa»   della
differenziazione,  che   sia   «giustificata   da   una   ragionevole
correlazione tra la condizione cui e' subordinata l'attribuzione  del
beneficio e gli altri peculiari  requisiti  che  ne  condizionano  il
riconoscimento e ne definiscono la ratio» (sentenza n. 107 del 2018).
Una simile ragionevole causa normativa puo'  in  astratto  consistere
nella richiesta di un titolo che dimostri il carattere non  episodico
o di breve durata della permanenza sul territorio dello Stato:  anche
in questi  casi,  peraltro,  occorre  pur  sempre  che  sussista  una
ragionevole correlazione tra la richiesta e le situazioni di  bisogno
o di disagio, in vista delle quali le singole prestazioni sono  state
previste (sentenza n. 133 del 2013).
    Infine, ma non e' questo il caso, occorre che la distinzione  non
si traduca mai nell'esclusione del non cittadino  dal  godimento  dei
diritti  fondamentali  che  attengono  ai  «bisogni  primari»   della
persona, indifferenziabili e indilazionabili, riconosciuti invece  ai
cittadini (come precisato in progresso di tempo,  ad  esempio,  dalle
sentenze n. 306 del 2008, n. 187 del 2010, n. 2, n. 40 e n.  172  del
2013, n. 22 e n. 230 del 2015, n. 107 del 2018).
    Piu' specificamente, in relazione al  requisito  della  residenza
qualificata, questa Corte con la sentenza n. 222 del 2013 ha ritenuto
che le politiche  sociali  dirette  al  soddisfacimento  dei  bisogni
abitativi  possono  prendere   in   considerazione   un   radicamento
territoriale ulteriore  rispetto  alla  semplice  residenza,  purche'
contenuto in limiti non palesemente arbitrari o irragionevoli.
    7.- Alla luce di tali principi, deve ritenersi che dieci anni  di
residenza sul territorio  nazionale  o  cinque  anni  sul  territorio
regionale - richiesti dal censurato art. 11, comma 13,  d.l.  n.  112
del 2008, convertito, con modificazioni, nella legge n. 133 del  2008
- costituiscano una durata palesemente  irragionevole  e  arbitraria,
oltre che non rispettosa dei vincoli europei, al fine dell'accesso al
contributo al pagamento  del  canone  di  locazione  da  parte  degli
stranieri  cittadini  di  paesi  terzi  non  appartenenti  all'Unione
europea, cosi' da violare il dedotto parametro costituzionale di  cui
all'art. 3 Cost.
    In   primo   luogo,   la   disposizione   attinge   gli   estremi
dell'irrazionalita' intrinseca nella parte in cui esige una residenza
protratta per dieci anni sul  territorio  nazionale,  dato  che  tale
termine coincide con quello necessario e sufficiente a richiedere  la
cittadinanza italiana ai sensi dell'art.  9,  comma  1,  lettera  f),
della legge 5 febbraio 1992, n. 91 (Nuove norme sulla  cittadinanza).
In ogni caso, tale previsione contrasta con la  richiamata  direttiva
2003/109/CE che prevede come regola l'equiparazione tra  cittadini  e
soggiornanti di lungo periodo, condizione quest'ultima che - come  si
e' detto - si puo'  ottenere  dopo  cinque  anni  di  permanenza  sul
territorio di uno Stato membro.
    In secondo luogo, anche il termine di cinque anni nel  territorio
regionale  risulta  palesemente   irragionevole   e   sproporzionato,
considerato che i fondi sono stati istituiti dal  legislatore  in  un
contesto normativo volto anche a «favorire la mobilita'  nel  settore
della locazione attraverso il reperimento di alloggi da concedere  in
locazione per periodi determinati» (art. 11, comma 3,  legge  n.  431
del 1998) e, dunque, per esigenze  transitorie,  relative  a  periodi
limitati, che sarebbero frustrate dalla richiesta di  una  permanenza
addirittura quinquennale.
    Inoltre, trattandosi di una  provvidenza  che,  alla  luce  della
scarsita'  delle   risorse   destinabili   alle   politiche   sociali
nell'attuale contesto storico, viene  riservata  a  casi  di  vera  e
propria  indigenza,  non  si  puo'   ravvisare   alcuna   ragionevole
correlazione tra il soddisfacimento  dei  bisogni  abitativi  primari
della persona che versi in condizioni di poverta' e sia insediata nel
territorio regionale, e  la  lunga  protrazione  nel  tempo  di  tale
radicamento territoriale (sentenze n. 222 del 2013, n. 40 del 2011  e
n. 187  del  2010).  D'altra  parte,  questa  Corte  ha  recentemente
dichiarato l'illegittimita' costituzionale di una legge regionale che
richiedeva una residenza di lunga durata (dieci anni)  per  l'accesso
all'edilizia residenziale pubblica (sentenza n. 106 del 2018).
    Tutti questi indici normativi  e  giurisprudenziali,  relativi  e
attuativi anche di precisi obblighi assunti dallo Stato nel  contesto
dell'Unione europea, confermano che la previsione di un requisito  di
residenza decennale nel territorio  dello  Stato  e  quinquennale  in
quello della Regione risulta sproporzionato e percio'  irragionevole,
oltre che non rispettoso dei predetti obblighi europei.
    8.- Alle luce delle  osservazioni  che  precedono,  pertanto,  il
censurato art. 11, comma 13, deve essere dichiarato  illegittimo  per
violazione dell'art. 3 Cost.
    Resta  ferma  ovviamente  la  possibilita'  che  il   legislatore
individui altri indici di radicamento territoriale e  sociale  a  cui
subordinare l'erogazione del sostegno al canone di locazione ed altri
sussidi per l'alloggio, nei  limiti  imposti  dal  principio  di  non
discriminazione e di ragionevolezza, come sopra enunciati.

     

                          per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE

    dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 11, comma  13,
del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo
sviluppo  economico,  la  semplificazione,  la   competitivita',   la
stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria),
convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133.
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 giugno 2018.

                                F.to:
                    Giorgio LATTANZI, Presidente
                      Marta CARTABIA, Redattore
                    Filomena PERRONE, Cancelliere

    Depositata in Cancelleria il 20 luglio 2018.

                           Il Cancelliere
                       F.to: Filomena PERRONE


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