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mercoledì 25 luglio 2018
N. 161 SENTENZA 20 giugno - 17 luglio 2018 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Professioni - Requisiti per l'iscrizione all'albo dei trasportatori su strada di cose per conto di terzi - Onorabilita' - Insussistenza o perdita del requisito in caso di condanna penale definitiva del datore di lavoro per fatti che costituiscono violazione degli obblighi in materia previdenziale ed assistenziale. - Decreto legislativo 22 dicembre 2000, n. 395 (Attuazione della direttiva 98/76/CE del 1° ottobre 1998 del Consiglio dell'Unione europea, modificativa della direttiva 96/26/CE del 29 aprile 1996 riguardante l'accesso alla professione di trasportatore su strada di merci e di viaggiatori, nonche' il riconoscimento reciproco di diplomi, certificati e altri titoli allo scopo di favorire l'esercizio della liberta' di stabilimento di detti trasportatori nel settore dei trasporti nazionali ed internazionali), artt. 4 e 5, commi 2, lettera g), e 8. - (GU n.30 del 25-7-2018 )
N. 161 SENTENZA 20 giugno - 17 luglio 2018
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
Professioni - Requisiti per l'iscrizione all'albo dei trasportatori
su strada di cose per conto di terzi - Onorabilita' - Insussistenza
o perdita del requisito in caso di condanna penale definitiva del
datore di lavoro per fatti che costituiscono violazione degli
obblighi in materia previdenziale ed assistenziale.
- Decreto legislativo 22 dicembre 2000, n. 395 (Attuazione della
direttiva 98/76/CE del 1° ottobre 1998 del Consiglio dell'Unione
europea, modificativa della direttiva 96/26/CE del 29 aprile 1996
riguardante l'accesso alla professione di trasportatore su strada
di merci e di viaggiatori, nonche' il riconoscimento reciproco di
diplomi, certificati e altri titoli allo scopo di favorire
l'esercizio della liberta' di stabilimento di detti trasportatori
nel settore dei trasporti nazionali ed internazionali), artt. 4 e
5, commi 2, lettera g), e 8.
-
(GU n.30 del 25-7-2018 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Giorgio LATTANZI;
Giudici :Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI,
Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de
PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA,
Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO',
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 4 e 5,
commi 2, lettera g), e 8, del decreto legislativo 22 dicembre 2000,
n. 395 (Attuazione della direttiva 98/76/CE del 1° ottobre 1998 del
Consiglio dell'Unione europea, modificativa della direttiva 96/26/CE
del 29 aprile 1996 riguardante l'accesso alla professione di
trasportatore su strada di merci e di viaggiatori, nonche' il
riconoscimento reciproco di diplomi, certificati e altri titoli allo
scopo di favorire l'esercizio della liberta' di stabilimento di detti
trasportatori nel settore dei trasporti nazionali ed internazionali),
promosso dal Consiglio di Stato, sezione quinta giurisdizionale, nel
procedimento vertente tra la Ditta F.A.I. di Ferroni Ivano e la
Provincia di Ferrara, con ordinanza del 13 luglio 2017, iscritta al
n. 136 del registro ordinanze 2017 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell'anno
2017.
Visti l'atto di costituzione della Ditta F.A.I. di Ferroni Ivano,
nonche' l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell'udienza pubblica del 20 giugno 2018 il Giudice
relatore Giuliano Amato;
uditi l'avvocato Antonello Ciervo per la Ditta F.A.I. di Ferroni
Ivano e l'avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente
del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.- Il Consiglio di Stato, sezione quinta giurisdizionale, con
ordinanza del 13 luglio 2017 (reg. ord. n. 136 del 2017), ha
sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione,
questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 4 e 5, commi 2,
lettera g), e 8, del decreto legislativo 22 dicembre 2000, n. 395
(Attuazione della direttiva 98/76/CE del 1° ottobre 1998 del
Consiglio dell'Unione europea, modificativa della direttiva 96/26/CE
del 29 aprile 1996 riguardante l'accesso alla professione di
trasportatore su strada di merci e di viaggiatori, nonche' il
riconoscimento reciproco di diplomi, certificati e altri titoli allo
scopo di favorire l'esercizio della liberta' di stabilimento di detti
trasportatori nel settore dei trasporti nazionali ed internazionali).
Le disposizioni censurate hanno attuato la direttiva 98/76/CE del
Consiglio, del 1° ottobre 1998, modificativa della precedente
direttiva 96/26/CE del Consiglio, del 29 aprile 1996, entrambe
riguardanti «l'accesso alla professione di trasportatore su strada di
merci e di viaggiatori, nonche' il riconoscimento reciproco di
diplomi, certificati e altri titoli allo scopo di favorire
l'esercizio della liberta' di stabilimento di detti trasportatori nel
settore dei trasporti nazionali ed internazionali».
L'art. 5, comma 2, lettera g), del d.lgs. n. 395 del 2000
stabilisce che non sussiste, o cessa di sussistere, il requisito di
onorabilita' - previsto dal precedente art. 4 quale requisito
necessario per l'iscrizione all'albo di cui all'art. 1 della legge 6
giugno 1974, n. 298 (Istituzione dell'albo nazionale degli
autotrasportatori di cose per conto di terzi, disciplina degli
autotrasporti di cose e istituzione di un sistema di tariffe a
forcella per i trasporti di merci su strada) - in caso di condanna
penale definitiva del datore di lavoro per fatti che costituiscono
violazione degli obblighi sussistenti in materia previdenziale ed
assistenziale. Ai sensi del successivo comma 8, al verificarsi di
tale presupposto, il requisito cessa di diritto.
2.- Riferisce in fatto il giudice rimettente che le questioni
traggono origine dall'impugnazione della sentenza del Tribunale
amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, seconda sezione,
Bologna, 3 marzo 2016, n. 278, che ha respinto il ricorso della Ditta
F.A.I. di Ferroni Ivano, parte appellante nel giudizio a quo, per
l'annullamento dell'atto della Provincia di Ferrara n. 566 del 2015.
Tale provvedimento ha disposto la revoca dell'autorizzazione
all'esercizio dell'attivita' di autotrasporto, con la cancellazione
d'ufficio dell'impresa dall'albo delle persone fisiche e giuridiche
che esercitano l'autotrasporto di cose per conto terzi della
Provincia, poiche' erano emersi in danno del titolare quattro decreti
penali di condanna per omesso versamento dei contributi previdenziali
ed assistenziali, delitto previsto e punito dall'art. 2, comma l-bis,
del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463 (Misure urgenti in
materia previdenziale e sanitaria e per il contenimento della spesa
pubblica, disposizioni per vari settori della pubblica
amministrazione e proroga di taluni termini), convertito, con
modificazioni, nella legge 11 novembre 1983, n. 638. Siffatti
decreti, per cui non risulta concessa la sospensione condizionale
della pena ne' vi e' dichiarazione di estinzione dei reati, non sono
stati opposti e sono dunque divenuti esecutivi tra il 2009 e il 2013.
2.1.- Osserva il giudice rimettente che, in presenza dell'univoco
dettato legislativo, non potrebbe ragionevolmente dubitarsi, sotto un
profilo formale, della correttezza dell'operato dell'amministrazione.
La misura meramente amministrativa di cui si discute, infatti,
sarebbe priva di qualsiasi effetto punitivo o afflittivo (il che
farebbe escludere l'invocazione del principio del ne bis in idem) e
dunque non costituirebbe un valido argomento l'impossibilita' per il
decreto penale di condanna di applicare pene accessorie. E del tutto
inconferente sarebbe il richiamo all'inefficacia di giudicato del
decreto penale nei giudizi civili o amministrativi.
Le disposizioni in esame manterrebbero la propria efficacia anche
in seguito all'entrata in vigore del regolamento CE n. 1071/2009 del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 ottobre 2009, «che
stabilisce norme comuni sulle condizioni da rispettare per esercitare
l'attivita' di trasportatore su strada e abroga la direttiva 96/26/CE
del Consiglio». Il d.lgs. n. 395 del 2000, che ha recepito la
precedente direttiva, infatti, resterebbe pienamente efficace per
tutte le parti compatibili con la nuova disciplina comunitaria.
Riguardo ai requisiti di onorabilita', per i quali e' rimasta
ostativa la violazione di norme in materia di lavoro, non si potrebbe
rinvenire alcuna incompatibilita'.
2.2.- Secondo il Consiglio di Stato, con le disposizioni
censurate il legislatore avrebbe astrattamente effettuato il giudizio
sugli interessi, pubblici e privati, in gioco e sul bilanciamento
degli stessi. Si determinerebbe, infatti, un automatismo tra la
perdita del requisito di onorabilita' e l'applicazione di qualsiasi
sanzione penale in materia previdenziale e assistenziale, comunque
comminata, escludendo in radice una possibilita' di valutazione da
parte dell'amministrazione circa la tipologia di infrazione compiuta
o l'entita' della sanzione subita o altro elemento rilevante.
Come statuito da questa Corte in altri settori dell'ordinamento
(e' richiamata la sentenza n. 202 del 2013), infatti, gli automatismi
disposti dal legislatore devono rispecchiare un ragionevole
bilanciamento tra tutti gli interessi e i diritti di rilievo
costituzionale coinvolti, con conseguente illegittimita' di quelle
disposizioni legislative che incidano in modo sproporzionato e
irragionevole sui diritti fondamentali (sono richiamate le sentenze
n. 245 del 2011, n. 299 e n. 249 del 2010).
Nel caso in esame, l'automatismo non sarebbe conforme alla
previsione dell'art. 3 Cost., in tema di ragionevolezza e
proporzionalita'.
In particolare, la liberta' di iniziativa economica privata,
protetta dalla Costituzione e richiamata anche dalla Convenzione per
la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali
(CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa
esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, potrebbe essere
agevolmente configurata quale diritto fondamentale del cittadino,
anche nella prospettiva dinamica di strumento per la concreta
manifestazione della propria personalita', nonche' di crescita e
sviluppo sociale ed economico della societa'. Tale diritto resterebbe
definitivamente ed inesorabilmente compromesso nel caso di specie per
la mera sussistenza di una qualsiasi sanzione penale, anche minima.
Cio' rileverebbe anche sotto il profilo della proporzionalita',
dal momento che proprio l'automatismo della sanzione amministrativa
finirebbe con il ricollegare una conseguenza irreversibile ad una
misura che, in quanto penale e dunque punitiva, sarebbe
necessariamente temporanea o addirittura di natura pecuniaria.
Dovrebbe tenersi presente, tra l'altro, che nell'ambito dei reati
in materia previdenziale, il decreto legislativo 15 gennaio 2016, n.
8 (Disposizioni in materia di depenalizzazione, a norma dell'articolo
2, comma 2, della legge 28 aprile 2014, n. 67) ha disposto la
depenalizzazione di numerose ipotesi di reato, anche quella di cui
all'art. 2, comma l-bis, del d.l. n. 463 del 1983, come convertito.
Dunque, sussisterebbe una graduazione tra sanzioni diverse (penali e
amministrative) a seconda del tipo e dell'entita' dell'illecito,
frutto di un giudizio astratto del legislatore, che cercherebbe un
equilibrato bilanciamento tra valori opposti. Tale bilanciamento, nel
caso di specie, sarebbe del tutto assente, poiche' ogni sanzione in
materia previdenziale, di qualsiasi natura ed entita', comporterebbe
automaticamente il venir meno dell'autorizzazione all'esercizio
dell'attivita' di autotrasporto.
Sotto altro concorrente profilo sarebbero violati anche gli artt.
24 e 113 Cost. La facolta' di agire in giudizio, infatti,
risulterebbe meramente formale, poiche' l'amministrazione,
nell'adottare l'atto oggetto di revoca e cancellazione, sarebbe del
tutto priva della possibilita' di valutare la rilevanza della
condanna ai fini della persistenza dell'iscrizione all'albo o
l'effettiva ricorrenza di un pregiudizio o di un pericolo per
l'interesse pubblico, derivante dalla condanna.
Dovrebbe altresi' tenersi presente che, ai sensi dell'art. 6,
paragrafo 3, del regolamento CE n. 1071/2009, il requisito di
onorabilita' «non si considera rispettato finche' non sia adottata
una misura di riabilitazione o un'altra misura di effetto equivalente
a norma delle pertinenti disposizioni nazionali». Il che
confermerebbe l'irragionevolezza di un provvedimento automatico ed
irreversibile come quello previsto dal d.lgs. n. 395 del 2000, tenuto
conto anche dell'impossibilita' di operare un'interpretazione
costituzionalmente orientata delle predette disposizioni, poiche'
spetterebbero esclusivamente al legislatore l'individuazione e la
previsione concreta delle adeguate, proporzionate e ragionevoli
misure sanzionatorie amministrative conseguenti a pronunce di
condanne penale incidenti sul requisito dell'onorabilita', ovvero
delle misure riabilitative o di altre misure di effetto equivalente,
anche di natura temporanea.
3.- Con atto depositato il 31 ottobre 2017 e' intervenuto il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni
siano dichiarate infondate.
3.1.- Il d.lgs. n. 395 del 2000, infatti, costituisce recepimento
della direttiva 96/26/CE, come modificata dalla direttiva 98/76/CE.
Ivi, si contempla esplicitamente il ricorso a un meccanismo
automatico in materia di onorabilita' e si obbligano gli Stati membri
a prevedere che tale requisito non sussista o cessi di sussistere
qualora le persone fisiche rientrino in specifiche fattispecie, quali
l'aver subito condanne per infrazioni gravi e ripetute delle
disposizioni vigenti sulle condizioni di retribuzione e di lavoro.
Siffatta situazione verrebbe riconosciuta dallo stesso giudice
rimettente, che riterrebbe altresi' irrilevante nel caso di specie il
sopravvenuto regolamento CE n. 1071/2009.
La previsione del censurato automatismo, dunque, costituirebbe
una valutazione discrezionale spettante al legislatore, peraltro in
recepimento di una direttiva europea. Tale valutazione non sarebbe
irragionevole o sproporzionata, in ragione della gravita' dei reati
commessi dall'imprenditore. Ne' l'automatismo di fonte comunitaria
limiterebbe il diritto di difesa o il diritto alla tutela
giurisdizionale, come dimostrerebbe proprio la vicenda alla base
delle questioni portate all'attenzione di questa Corte.
Inoltre, non sussisterebbe neppure quell'irreversibilita' degli
effetti della perdita del requisito della onorabilita' lamentata dal
giudice a quo, atteso che l'art. 5, comma 9, del d.lgs. n. 395 del
2000 recita: «[f]ermi restando gli effetti degli articoli 166 e 167
del codice penale e 445 del codice di procedura penale e di ogni
disposizione che comunque prevede l'estinzione del reato, il
requisito dell'onorabilita' e' riacquistato: a) a seguito della
concessione della riabilitazione di cui all'articolo 178 del codice
penale, sempreche' non intervenga la revoca di cui all'articolo 180
del medesimo codice [...]». La perdita del requisito
dell'onorabilita', quindi, sarebbe temporanea e l'onorabilita'
sarebbe riacquistabile nella ricorrenza di siffatti presupposti.
Quanto al riferimento alla liberta' di iniziativa economica, che
peraltro non costituirebbe un profilo diretto e autonomo della
ritenuta illegittimita', la sua limitazione discenderebbe dalla
necessita' di un sistema di regole volte a tutelare la leale
concorrenza e i soggetti coinvolti, primi tra essi i lavoratori. Il
meccanismo sanzionatorio sarebbe correttamente finalizzato a
garantire un sistema economico-sociale indenne da comportamenti degli
imprenditori del settore gravemente lesivi dei diritti dei
lavoratori, anche al fine d'impedire l'alterazione della concorrenza
e del mercato derivante dall'indebito vantaggio in termini di minori
costi e maggiore disponibilita' di risorse.
4.- Con atto depositato il 17 ottobre 2017 si e' costituita la
Ditta F.A.I. di Ferroni Ivano, parte appellante nel giudizio a quo,
specificando le proprie argomentazioni nella memoria presentata in
prossimita' dell'udienza.
La difesa della parte privata, in particolare, ritiene che le
disposizioni censurate siano incostituzionali, in riferimento agli
artt. 3, 24 e 113 Cost. o, in subordine, costituzionalmente
illegittime nella parte in cui prevedono la revoca e la cancellazione
dall'albo delle persone fisiche e giuridiche che esercitano
l'autotrasporto di cose per conto terzi, quale sanzione
amministrativa automatica, che esclude qualsiasi possibilita' di
valutazione nel merito circa la tipologia di infrazione compiuta o
l'entita' della sanzione subita o qualsiasi altro elemento rilevante,
da parte dell'amministrazione competente.
4.1.- In primo luogo, il reato contestato all'appellante del
giudizio principale, ossia l'omesso versamento delle ritenute
previdenziali dei propri dipendenti, non potrebbe considerarsi «grave
infrazione della normativa nazionale in vigore» ai sensi della
direttiva 98/76/CE.
La sanzione prevista dal legislatore, infatti, consiste nella
comminazione di un decreto penale di condanna, strumento di
risoluzione speciale delle imputazioni penali piu' lievi nel nostro
ordinamento giuridico. Il pagamento della sanzione pecuniaria
irrogata, a detta della parte privata, determinerebbe l'estinzione
del reato (art. 460, comma 5, del codice di procedura penale), il che
farebbe venir meno lo stesso presupposto della sanzione
amministrativa. Inoltre, il decreto penale di condanna non puo'
prevedere la comminazione di sanzioni penali accessorie ne', una
volta divenuto definitivo, puo' assumere efficacia di cosa passata in
giudicato, sia in sede civile, sia in sede amministrativa. Nel caso
de quo, invece, il decreto sarebbe assunto quale presupposto fattuale
e logico-giuridico dell'applicazione della sanzione amministrativa.
Gia' da cio' emergerebbe la palese irragionevolezza delle
disposizioni censurate dal giudice a quo. Infatti, chi e' condannato
per il reato in questione e paga la sanzione pecuniaria comminatagli
con decreto penale non si vedrebbe applicata la sanzione
amministrativa (perche' il pagamento della sanzione penale pecuniaria
estingue il reato), mentre quest'ultima, molto piu' grave e
sproporzionata rispetto a quella penale, sarebbe automaticamente
applicata a chi non paga la sanzione pecuniaria. Inoltre, coloro che
sono condannati con decreto penale per fattispecie di reato
differenti non vedrebbero esteso tale giudicato in altre sedi
giudiziarie, a differenza di quanto avviene per chi e' condannato con
decreto penale nelle fattispecie qui d'interesse.
Che il reato in questione non sia grave per il legislatore
interno sarebbe ulteriormente dimostrato dal fatto che il d.lgs. n. 8
del 2016 ha disposto la depenalizzazione di numerose ipotesi di reato
in materia di lavoro e di previdenza obbligatoria, ivi compresa
quella prevista dall'art. 2, comma l-bis, del d.l. n. 463 del 1983,
come convertito. L'art. 3, comma 6, del d.lgs. n. 8 del 2016,
infatti, opera una distinzione legata al valore dell'omissione
compiuta dal datore di lavoro e prevede la sanzione penale per i soli
omessi versamenti d'importo superiore a diecimila euro annui, mentre
negli altri casi si applica soltanto una sanzione amministrativa
pecuniaria.
Secondo la difesa della parte privata, sebbene sia irrilevante ai
fini del giudizio rimesso a questa Corte la questione del susseguirsi
nel corso del tempo di una norma penale piu' favorevole al reo,
sarebbe evidente che la sanzione amministrativa della perdita
dell'onorabilita' sia sproporzionata non soltanto alla luce della
precedente fattispecie, ma a fortiori alla luce della normativa
attualmente vigente. Infatti, per chi e' condannato per omesso
versamento dei contributi previdenziali per somme al di sotto di
diecimila euro annui, a detta della parte costituita, sarebbero
comminate ben due sanzioni amministrative, quella principale di
natura pecuniaria e quella accessoria.
Il reato in questione, dunque, non sarebbe mai stato considerato
grave nel nostro ordinamento, ne' nella sua originaria formulazione,
ne' nella sua versione vigente.
La sanzione amministrativa della perdita dell'onorabilita' e la
conseguente cancellazione dall'albo degli autotrasportatori per conto
terzi, inoltre, sarebbe irragionevole anche sotto il profilo della
proporzionalita' della sanzione e della sua congruita' rispetto al
bene giuridico tutelato. La fattispecie penale, infatti, sarebbe
volta a tutelare la finanza pubblica e il buon andamento
dell'amministrazione, oltre che i diritti dei lavoratori. La misura
prevista dal d.lgs. n. 395 del 2000, invece, avrebbe come obiettivo
quello di tutelare la sicurezza pubblica nella circolazione stradale,
nonche' di garantire un sistema economico-sociale indenne da
comportamenti degli imprenditori del settore gravemente lesivi dei
diritti dei lavoratori, con un'alterazione della concorrenza e del
mercato derivante dall'indebito vantaggio in termini di minori costi
e di maggiore disponibilita' di risorse. Tuttavia, non risulterebbero
nel nostro ordinamento sanzioni simili per gli imprenditori che
evadano le tasse, che assumano in nero o non paghino le retribuzioni
ai loro dipendenti.
Da ultimo, l'irragionevolezza della sanzione si' manifesterebbe
in tutta la sua portata nell'ipotesi in cui a denunciare il datore di
lavoro inadempiente siano i suoi stessi dipendenti. In questo caso,
infatti, sebbene la ratio legis sia quella di tutelare il soggetto
piu' debole del rapporto lavorativo, in virtu' di un'irragionevole
eterogenesi dei fini, la sanzione amministrativa, determinando di
fatto la chiusura dell'attivita' d'impresa del proprio datore di
lavoro, esporrebbe il lavoratore al rischio di perdere il lavoro.
4.2.- In secondo luogo, la giurisprudenza costituzionale sarebbe
assolutamente costante nel considerare illegittimi gli automatismi
sanzionatori quale quello in esame, in quanto lesivi del principio di
ragionevolezza, declinato in termini di non proporzionalita' della
sanzione e di non adeguatezza della stessa alla fattispecie concreta
contestata nel giudizio principale (sono richiamate le sentenze n.
170 del 2015, n. 202 del 2013, n. 265 e n. 139 del 2010, n. 2 del
1999, n. 363 e n. 239 del 1996, n. 220 del 1995, n. 158 e n. 40 del
1990, n. 971 del 1988 e n. 270 del 1986).
Inoltre, il giudice si troverebbe di fronte ad una sanzione
fissa, la cui automatica applicazione non soltanto comprimerebbe de
facto il diritto alla difesa del soggetto a cui viene inflitta, ma
vanificherebbe letteralmente la stessa funzione giurisdizionale.
Correttamente, quindi, il giudice a quo avrebbe rilevato un vizio di
legittimita' costituzionale anche per quanto concerne la lesione del
diritto di azione e difesa.
4.3.- Da ultimo, la sanzione in esame dovrebbe essere intesa di
natura sostanzialmente penale, alla luce dei criteri elaborati dalla
giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo a partire
dalla nota sentenza 8 giugno 1976, Engel e altri contro Paesi Bassi,
su cui questa Corte si e' piu' volte pronunciata (da ultimo con la
sentenza n. 22 del 2018).
La natura penale dell'illecito (formalmente) amministrativo,
infatti, sarebbe comunque desumibile dal concreto scopo afflittivo
della sanzione amministrativa, tra l'altro di automatica
applicazione, che risponderebbe chiaramente ad una funzione di
prevenzione generale, tipica della sanzione penale.
Sebbene il Consiglio di Stato non abbia sollevato la questione ai
sensi dell'art. 117, primo comma, Cost., siffatti rilievi soltanto
prima facie esulerebbero dal quadro della rimessione della quaestio
legitimitatis, mentre sarebbero in questa sede comunque apprezzabili
da questa Corte. Del resto, qualora la questione di legittimita'
costituzionale venisse dichiarata infondata, in assenza quanto meno
di una valutazione sul punto, il problema della qualificazione
giuridica della sanzione oggetto del giudizio resterebbe immutato e,
pertanto, secondo la difesa della parte privata sarebbe necessario,
esaurite le vie di ricorso interne, sottoporre il problema della
natura della sanzione de qua alla Corte di Strasburgo.
Considerato in diritto
1.- Il Consiglio di Stato, sezione quinta giurisdizionale, con
ordinanza del 13 luglio 2017, ha sollevato, in riferimento agli artt.
3, 24 e 113 della Costituzione, questioni di legittimita'
costituzionale degli artt. 4 e 5, commi 2, lettera g), e 8, del
decreto legislativo 22 dicembre 2000, n. 395 (Attuazione della
direttiva 98/76/CE del 1° ottobre 1998 del Consiglio dell'Unione
europea, modificativa della direttiva 96/26/CE del 29 aprile 1996
riguardante l'accesso alla professione di trasportatore su strada di
merci e di viaggiatori, nonche' il riconoscimento reciproco di
diplomi, certificati e altri titoli allo scopo di favorire
l'esercizio della liberta' di stabilimento di detti trasportatori nel
settore dei trasporti nazionali ed internazionali).
1.1.- L'art. 5, comma 2, lettera g), del d.lgs. n. 395 del 2000
stabilisce che non sussiste, o cessa di sussistere, il requisito di
onorabilita' - previsto dal precedente art. 4 quale requisito
necessario per l'iscrizione all'albo di cui all'art. 1 della legge 6
giugno 1974, n. 298 (Istituzione dell'albo nazionale degli
autotrasportatori di cose per conto di terzi, disciplina degli
autotrasporti di cose e istituzione di un sistema di tariffe a
forcella per i trasporti di merci su strada) - in caso di condanna
penale definitiva del datore di lavoro per fatti che costituiscono
violazione degli obblighi sussistenti in materia previdenziale ed
assistenziale. Ai sensi dell'art. 5, comma 8, il requisito in
questione cessa di diritto al verificarsi di tale presupposto.
1.2.- Le disposizioni censurate determinerebbero, in violazione
dell'art. 3 Cost., un irragionevole automatismo tra la perdita del
requisito di onorabilita' e l'applicazione di qualsiasi sanzione
penale in materia previdenziale e assistenziale, poiche' sarebbe
escluso in radice una possibilita' di valutazione da parte
dell'amministrazione circa la tipologia d'infrazione compiuta,
l'entita' della sanzione subita o altro elemento rilevante.
Altresi' violati sarebbero gli artt. 24 e 113 Cost., poiche'
l'assenza da parte dell'amministrazione della possibilita' di
valutare la rilevanza della condanna ai fini della persistenza
dell'iscrizione all'albo renderebbe la facolta' di agire in giudizio,
attraverso l'impugnazione dell'atto di cancellazione dall'albo,
meramente formale.
2.- La difesa della parte privata asserisce che la disciplina
della misura amministrativa oggetto d'esame si porrebbe in contrasto
con i criteri elaborati dalla giurisprudenza della Corte europea dei
diritti dell'uomo in materia di sanzioni amministrative afflittive,
in particolare a partire dalla nota sentenza 8 giugno 1976, Engel e
altri contro Paesi Bassi, con conseguente violazione anche dell'art.
117, primo comma, Cost. Tale parametro, tuttavia, non e' invocato dal
giudice a quo, che anzi esplicitamente esclude che le disposizioni in
esame possano presentare profili di contrasto con la Convenzione per
la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali
(CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa
esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848.
Pertanto, in quanto tesa ad allargare il thema decidendum fissato
dall'ordinanza di rimessione, la questione sollevata dalla difesa
della parte privata e' inammissibile, poiche' «"l'oggetto del
giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale e'
limitato alle disposizioni e ai parametri indicati nelle ordinanze di
rimessione. Pertanto, non possono essere presi in considerazione
ulteriori questioni o profili di costituzionalita' dedotti dalle
parti, sia eccepiti, ma non fatti propri dal giudice a quo, sia volti
ad ampliare o modificare successivamente il contenuto delle stesse
ordinanze" (ex plurimis, sentenze n. 251 del 2017, n. 214 del 2016,
n. 231 e n. 83 del 2015)» (sentenza n. 4 del 2018).
3.- Le questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 4 e
5, commi 2, lettera g), e 8, del d.lgs. n. 395 del 2000, sollevate in
riferimento agli artt. 3, 24 e 113 Cost., non sono fondate.
3.1.- Il d.lgs. n. 395 del 2000 ha recepito la direttiva 96/26/CE
del Consiglio, del 29 aprile 1996, «riguardante l'accesso alla
professione di trasportatore su strada di merci e di viaggiatori,
nonche' il riconoscimento reciproco di diplomi, certificati e altri
titoli allo scopo di favorire l'esercizio della liberta' di
stabilimento di detti trasportatori nel settore dei trasporti
nazionali ed internazionali», come modificata dalla direttiva
98/76/CE del Consiglio, del 1° ottobre 1998, «che modifica la
direttiva 96/26/CE riguardante l'accesso alla professione di
trasportatore su strada di merci e di viaggiatori, nonche' il
riconoscimento reciproco di diplomi, certificati e altri titoli allo
scopo di favorire l'esercizio della liberta' di stabilimento di detti
trasportatori nel settore dei trasporti nazionali ed internazionali».
Tale direttiva, all'art. 3, prevedeva il requisito
dell'onorabilita' tra quelli necessari per l'esercizio dell'attivita'
di autotrasporto su strada e attribuiva agli Stati membri la potesta'
di determinare le condizioni in base alle quali tale requisito
dovesse sussistere in capo alle imprese, espressamente condizionando
la sua sussistenza all'assenza di condanna per infrazioni gravi alle
normative nazionali in vigore riguardanti «le condizioni di
retribuzione e di lavoro della professione» (fatte salve
l'intervenuta riabilitazione o altra misura di effetto equivalente).
Inoltre, in caso di sopravvenuta carenza dei requisiti di
onorabilita', l'art. 6, paragrafo 2, stabiliva che l'autorizzazione
ad esercitare la professione di trasportatore su strada dovesse
essere necessariamente revocata.
Il successivo regolamento CE n. 1071/2009 ha dettato una nuova
disciplina della materia, senza pero' innovare riguardo al requisito
di onorabilita', come sottolinea anche il giudice a quo. Resta
attribuita agli Stati membri, infatti, la disciplina del requisito in
questione, che non puo' comunque sussistere nel caso di condanne o
sanzioni per infrazioni gravi della normativa nazionale in vigore,
tra cui quelle concernenti le condizioni di retribuzione e di lavoro
della professione.
L'art. 5, comma 2, lettera g), del d.lgs. n. 395 del 2000,
pertanto, ha individuato tra le cause d'insussistenza del requisito
di onorabilita' il fatto che il datore di lavoro abbia subito
«l'applicazione di qualunque sanzione, comunque comminata, per omesso
o insufficiente versamento degli oneri previdenziali od
assistenziali»; causa che la novella di cui all'art. 5, comma 4, del
decreto legislativo 28 dicembre 2001, n. 478 (Disposizioni
integrative e correttive del decreto legislativo 22 dicembre 2000, n.
395, in materia di accesso alla professione di trasportatore su
strada di cose per conto terzi) ha modificato nell'aver subito
«condanna penale definitiva per fatti che costituiscono violazione
degli obblighi sussistenti in materia previdenziale ed
assistenziale». Il comma 8, inoltre, ha previsto la cessazione di
diritto dal requisito di onorabilita' al verificarsi di tale
condizione, con conseguente provvedimento amministrativo di revoca
dell'autorizzazione all'esercizio dell'attivita' di autotrasporto e
cancellazione dal relativo albo (di cui al successivo art. 11).
3.2.- Le disposizioni censurate, dunque, delineano un meccanismo
automatico di perdita dei requisiti di onorabilita', sulla base di un
bilanciamento in astratto effettuato dal legislatore, che ha imposto
un'attivita' rigidamente vincolata all'amministrazione.
La giurisprudenza costituzionale ha ritenuto in piu' casi non
legittimi gli automatismi legislativi, anche in materie ove sia
riconosciuta un'ampia discrezionalita' al legislatore, come e'
accaduto per la sanzione della destituzione automatica nei confronti
dei pubblici dipendenti e dei professionisti, senza la mediazione del
procedimento disciplinare (sentenze n. 268 del 2016, n. 234 del 2015,
n. 329 del 2007, n. 2 del 1999, n. 363 e n. 239 del 1996, n. 16 del
1991, n. 158 e n. 40 del 1990 e n. 971 del 1988). In tali casi,
infatti, questa Corte ha sostenuto che il principio di
proporzionalita' postula l'adeguatezza della sanzione al caso
concreto e tale adeguatezza non puo' essere raggiunta se non
attraverso la concreta valutazione degli specifici comportamenti
messi in atto nella commissione dell'illecito (sentenza n. 170 del
2015; nello stesso senso le sentenze n. 265 del 2010 e n. 220 del
1995).
Tuttavia, tale principio non e' stato ritenuto applicabile «nei
casi in cui la legge preveda la decadenza automatica da ruoli o da
autorizzazioni all'esercizio di determinate attivita' come
conseguenza della perdita di un requisito soggettivo necessario per
l'accesso e per la permanenza nel ruolo o per la prosecuzione del
rapporto autorizzatorio» (sentenza n. 2 del 1999).
Tale e' il caso disciplinato dall'art. 5 del d.lgs. n. 395 del
2000. Il provvedimento di revoca e cancellazione, infatti, non ha
carattere punitivo o afflittivo e non si configura quale pena
accessoria, che sarebbe invece inibita al decreto penale di condanna,
ma e' una misura conseguente alla constatazione della sopravvenuta
perdita dei «requisiti di onorabilita'» prescritti per l'esercizio
dell'attivita' in questione, che devono permanere in corso di
attivita'.
Come gia' affermato da questa Corte, «dalla mancanza di un
requisito soggettivo per la prosecuzione del rapporto autorizzatorio
il legislatore puo' legittimamente far discendere la decadenza dal
rapporto stesso non essendo ipotizzabile una maggiore o minore
"gravita'" di tale mancanza in modo da dover proporzionare ad essa la
reazione dell'ordinamento e da richiedere una graduazione come
nell'ipotesi di vere e proprie sanzioni disciplinari» (sentenza n.
297 del 1993). Dunque, proprio l'assenza nella misura amministrativa
in esame di una funzione punitiva, retributiva o dissuasiva dalla
commissione di illeciti consente di ritenere insussistente la
violazione del principio di proporzionalita', che non puo' essere
invocato «per quei provvedimenti espulsivi che conseguono, di
diritto, al venir meno di un requisito soggettivo (sentenza n. 297
del 1993)» (sentenza n. 226 del 1997).
Il legislatore, al fine di tutelare la sicurezza stradale,
nell'esercizio della propria discrezionalita', ha individuato nella
fattispecie prevista dall'art. 2, comma l-bis, del d.l. n. 463 del
1983, come convertito, una delle violazioni da considerare «gravi» ai
sensi della disciplina comunitaria. Si tratta di una fattispecie di
rilevanza penale, che «ha la finalita' di ovviare al fenomeno
costituito dalla grave forma di evasione, quale quella contributiva,
con un inasprimento delle sanzioni» (sentenza n. 139 del 2014).
La perdita dell'onorabilita', quindi, non e' conseguenza di una
qualsiasi sanzione per omesso o insufficiente versamento degli oneri
previdenziali od assistenziali e neppure assume il carattere
dell'assoluta irreversibilita'. Infatti, l'art. 5, comma 9, del
d.lgs. n. 395 del 2000 prevede che «[f]ermi restando gli effetti
degli articoli 166 e 167 del codice penale e 445 del codice di
procedura penale e di ogni disposizione che comunque prevede
l'estinzione del reato, il requisito dell'onorabilita' e'
riacquistato: a) a seguito della concessione della riabilitazione di
cui all'articolo 178 del codice penale, sempreche' non intervenga la
revoca di cui all'articolo 180 del medesimo codice [...]». Il
requisito dell'onorabilita', pertanto, potrebbe essere riacquistato
nella ricorrenza dei presupposti indicati.
La parziale depenalizzazione operata dal decreto legislativo 15
gennaio 2016, n. 8 (Disposizioni in materia di depenalizzazione, a
norma dell'articolo 2, comma 2, della legge 28 aprile 2014, n. 67),
che ha modificato l'art. 2, comma l-bis, del d.l. n. 463 del 1983,
come convertito, conferma ulteriormente la non irragionevolezza delle
disposizioni censurate. Le omissioni contributive di rilevanza penale
- le sole che consentono l'applicazione della misura amministrativa
"espulsiva" - sono, infatti, quelle che eccedono la somma di euro
diecimila, con l'esclusione delle violazioni piu' lievi.
E' bensi' vero che il regolamento CE n. 1071/2009 si riferisce a
violazioni «gravi», mentre la stessa omissione contributiva di
rilevanza penale appare oggettivamente una violazione meno grave
rispetto ad altre fattispecie indicate dall'art. 5 del d.lgs. n. 395
del 2000 quale presupposto per la perdita dell'onorabilita'.
Tuttavia, essa fa parte di un'elencazione legislativa che non appare
casuale, ma e' dettata, ora dall'oggettiva gravita' della violazione,
ora dalla relazione fra questa e l'attivita' svolta dall'interessato.
La disciplina dell'automatismo legislativo, quindi, non e'
contraria ne' al principio di proporzionalita', ne' alla garanzia
della liberta' d'iniziativa economica. Essa, semmai, evita che talune
imprese possano trarre un indebito vantaggio in termini di minori
costi e maggiore disponibilita' di risorse. E in tal senso
costituiscono argomentazioni di mero fatto sia la constatazione del
possibile pregiudizio indiretto per gli stessi lavoratori che la
cancellazione dall'albo potrebbe loro portare, in virtu' della
cessazione dell'attivita' d'impresa ove prestano la propria opera,
sia la mancanza di strumenti sanzionatori analoghi in altri settori
dell'ordinamento.
Quanto affermato fa altresi' escludere la violazione degli artt.
24 e 113 Cost. La natura necessitata del provvedimento di revoca
dell'autorizzazione e cancellazione dall'albo, infatti, configura
l'attivita' dell'amministrazione competente quale attivita'
vincolata, limitata alla mera verifica della sussistenza del
requisito di onorabilita' richiesto dalla legge. Pertanto, i limiti
ai vizi censurabili in sede di ricorso amministrativo non
costituiscono una compressione del diritto di azione e difesa, ma
sono ovvia conseguenza dell'assenza di discrezionalita'
amministrativa. Il che non esclude, tra l'altro, la possibilita' di
censurare l'atto in questione per i pur limitati profili di contrasto
con la legge.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni di legittimita' costituzionale
degli artt. 4 e 5, commi 2, lettera g), e 8, del decreto legislativo
22 dicembre 2000, n. 395 (Attuazione della direttiva 98/76/CE del 1°
ottobre 1998 del Consiglio dell'Unione europea, modificativa della
direttiva 96/26/CE del 29 aprile 1996 riguardante l'accesso alla
professione di trasportatore su strada di merci e di viaggiatori,
nonche' il riconoscimento reciproco di diplomi, certificati e altri
titoli allo scopo di favorire l'esercizio della liberta' di
stabilimento di detti trasportatori nel settore dei trasporti
nazionali ed internazionali), sollevata, in riferimento agli artt. 3,
24 e 113 della Costituzione, dal Consiglio di Stato, sezione quinta
giurisdizionale, con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 giugno 2018.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Giuliano AMATO, Redattore
Filomena PERRONE, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 17 luglio 2018.
Il Cancelliere
F.to: Filomena PERRONE
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