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mercoledì 25 luglio 2018

N. 161 SENTENZA 20 giugno - 17 luglio 2018 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Professioni - Requisiti per l'iscrizione all'albo dei trasportatori su strada di cose per conto di terzi - Onorabilita' - Insussistenza o perdita del requisito in caso di condanna penale definitiva del datore di lavoro per fatti che costituiscono violazione degli obblighi in materia previdenziale ed assistenziale. - Decreto legislativo 22 dicembre 2000, n. 395 (Attuazione della direttiva 98/76/CE del 1° ottobre 1998 del Consiglio dell'Unione europea, modificativa della direttiva 96/26/CE del 29 aprile 1996 riguardante l'accesso alla professione di trasportatore su strada di merci e di viaggiatori, nonche' il riconoscimento reciproco di diplomi, certificati e altri titoli allo scopo di favorire l'esercizio della liberta' di stabilimento di detti trasportatori nel settore dei trasporti nazionali ed internazionali), artt. 4 e 5, commi 2, lettera g), e 8. - (GU n.30 del 25-7-2018 )



N. 161 SENTENZA 20 giugno - 17 luglio 2018

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Professioni - Requisiti per l'iscrizione all'albo  dei  trasportatori
  su strada di cose per conto di terzi - Onorabilita' - Insussistenza
  o perdita del requisito in caso di condanna penale  definitiva  del
  datore di lavoro  per  fatti  che  costituiscono  violazione  degli
  obblighi in materia previdenziale ed assistenziale.
- Decreto legislativo 22 dicembre  2000,  n.  395  (Attuazione  della
  direttiva 98/76/CE del 1° ottobre 1998  del  Consiglio  dell'Unione
  europea, modificativa della direttiva 96/26/CE del 29  aprile  1996
  riguardante l'accesso alla professione di trasportatore  su  strada
  di merci e di viaggiatori, nonche' il riconoscimento  reciproco  di
  diplomi,  certificati  e  altri  titoli  allo  scopo  di   favorire
  l'esercizio della liberta' di stabilimento di  detti  trasportatori
  nel settore dei trasporti nazionali ed internazionali), artt.  4  e
  5, commi 2, lettera g), e 8.


(GU n.30 del 25-7-2018 )

 

                       LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
Presidente:Giorgio LATTANZI;
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo CORAGGIO,  Giuliano  AMATO,  Silvana  SCIARRA,  Daria  de
  PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,
  Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO',

     
    ha pronunciato la seguente

                              SENTENZA

    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt.  4  e  5,
commi 2, lettera g), e 8, del decreto legislativo 22  dicembre  2000,
n. 395 (Attuazione della direttiva 98/76/CE del 1° ottobre  1998  del
Consiglio dell'Unione europea, modificativa della direttiva  96/26/CE
del  29  aprile  1996  riguardante  l'accesso  alla  professione   di
trasportatore su  strada  di  merci  e  di  viaggiatori,  nonche'  il
riconoscimento reciproco di diplomi, certificati e altri titoli  allo
scopo di favorire l'esercizio della liberta' di stabilimento di detti
trasportatori nel settore dei trasporti nazionali ed internazionali),
promosso dal Consiglio di Stato, sezione quinta giurisdizionale,  nel
procedimento vertente tra la Ditta  F.A.I.  di  Ferroni  Ivano  e  la
Provincia di Ferrara, con ordinanza del 13 luglio 2017,  iscritta  al
n. 136 del  registro  ordinanze  2017  e  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 41,  prima  serie  speciale,  dell'anno
2017.
    Visti l'atto di costituzione della Ditta F.A.I. di Ferroni Ivano,
nonche'  l'atto  d'intervento  del  Presidente  del   Consiglio   dei
ministri;
    udito  nell'udienza  pubblica  del  20  giugno  2018  il  Giudice
relatore Giuliano Amato;
    uditi l'avvocato Antonello Ciervo per la Ditta F.A.I. di  Ferroni
Ivano e l'avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per  il  Presidente
del Consiglio dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.- Il Consiglio di Stato, sezione  quinta  giurisdizionale,  con
ordinanza del 13  luglio  2017  (reg.  ord.  n.  136  del  2017),  ha
sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 113 della  Costituzione,
questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 4 e 5, commi  2,
lettera g), e 8, del decreto legislativo 22  dicembre  2000,  n.  395
(Attuazione  della  direttiva  98/76/CE  del  1°  ottobre  1998   del
Consiglio dell'Unione europea, modificativa della direttiva  96/26/CE
del  29  aprile  1996  riguardante  l'accesso  alla  professione   di
trasportatore su  strada  di  merci  e  di  viaggiatori,  nonche'  il
riconoscimento reciproco di diplomi, certificati e altri titoli  allo
scopo di favorire l'esercizio della liberta' di stabilimento di detti
trasportatori nel settore dei trasporti nazionali ed internazionali).
    Le disposizioni censurate hanno attuato la direttiva 98/76/CE del
Consiglio,  del  1°  ottobre  1998,  modificativa  della   precedente
direttiva 96/26/CE  del  Consiglio,  del  29  aprile  1996,  entrambe
riguardanti «l'accesso alla professione di trasportatore su strada di
merci e  di  viaggiatori,  nonche'  il  riconoscimento  reciproco  di
diplomi,  certificati  e  altri  titoli  allo   scopo   di   favorire
l'esercizio della liberta' di stabilimento di detti trasportatori nel
settore dei trasporti nazionali ed internazionali».
    L'art. 5, comma 2,  lettera  g),  del  d.lgs.  n.  395  del  2000
stabilisce che non sussiste, o cessa di sussistere, il  requisito  di
onorabilita'  -  previsto  dal  precedente  art.  4  quale  requisito
necessario per l'iscrizione all'albo di cui all'art. 1 della legge  6
giugno  1974,  n.  298   (Istituzione   dell'albo   nazionale   degli
autotrasportatori di  cose  per  conto  di  terzi,  disciplina  degli
autotrasporti di cose e  istituzione  di  un  sistema  di  tariffe  a
forcella per i trasporti di merci su strada) - in  caso  di  condanna
penale definitiva del datore di lavoro per  fatti  che  costituiscono
violazione degli obblighi sussistenti  in  materia  previdenziale  ed
assistenziale. Ai sensi del successivo comma  8,  al  verificarsi  di
tale presupposto, il requisito cessa di diritto.
    2.- Riferisce in fatto il giudice  rimettente  che  le  questioni
traggono  origine  dall'impugnazione  della  sentenza  del  Tribunale
amministrativo  regionale  per  l'Emilia-Romagna,  seconda   sezione,
Bologna, 3 marzo 2016, n. 278, che ha respinto il ricorso della Ditta
F.A.I. di Ferroni Ivano, parte appellante nel  giudizio  a  quo,  per
l'annullamento dell'atto della Provincia di Ferrara n. 566 del  2015.
Tale  provvedimento  ha  disposto   la   revoca   dell'autorizzazione
all'esercizio dell'attivita' di autotrasporto, con  la  cancellazione
d'ufficio dell'impresa dall'albo delle persone fisiche  e  giuridiche
che  esercitano  l'autotrasporto  di  cose  per  conto  terzi   della
Provincia, poiche' erano emersi in danno del titolare quattro decreti
penali di condanna per omesso versamento dei contributi previdenziali
ed assistenziali, delitto previsto e punito dall'art. 2, comma l-bis,
del decreto-legge 12  settembre  1983,  n.  463  (Misure  urgenti  in
materia previdenziale e sanitaria e per il contenimento  della  spesa
pubblica,   disposizioni   per   vari    settori    della    pubblica
amministrazione  e  proroga  di  taluni  termini),  convertito,   con
modificazioni,  nella  legge  11  novembre  1983,  n.  638.  Siffatti
decreti, per cui non risulta  concessa  la  sospensione  condizionale
della pena ne' vi e' dichiarazione di estinzione dei reati, non  sono
stati opposti e sono dunque divenuti esecutivi tra il 2009 e il 2013.
    2.1.- Osserva il giudice rimettente che, in presenza dell'univoco
dettato legislativo, non potrebbe ragionevolmente dubitarsi, sotto un
profilo formale, della correttezza dell'operato dell'amministrazione.
La misura  meramente  amministrativa  di  cui  si  discute,  infatti,
sarebbe priva di qualsiasi effetto  punitivo  o  afflittivo  (il  che
farebbe escludere l'invocazione del principio del ne bis in  idem)  e
dunque non costituirebbe un valido argomento l'impossibilita' per  il
decreto penale di condanna di applicare pene accessorie. E del  tutto
inconferente sarebbe il richiamo  all'inefficacia  di  giudicato  del
decreto penale nei giudizi civili o amministrativi.
    Le disposizioni in esame manterrebbero la propria efficacia anche
in seguito all'entrata in vigore del regolamento CE n. 1071/2009  del
Parlamento europeo  e  del  Consiglio,  del  21  ottobre  2009,  «che
stabilisce norme comuni sulle condizioni da rispettare per esercitare
l'attivita' di trasportatore su strada e abroga la direttiva 96/26/CE
del Consiglio». Il d.lgs.  n.  395  del  2000,  che  ha  recepito  la
precedente direttiva, infatti,  resterebbe  pienamente  efficace  per
tutte le parti  compatibili  con  la  nuova  disciplina  comunitaria.
Riguardo ai  requisiti  di  onorabilita',  per  i  quali  e'  rimasta
ostativa la violazione di norme in materia di lavoro, non si potrebbe
rinvenire alcuna incompatibilita'.
    2.2.-  Secondo  il  Consiglio  di  Stato,  con  le   disposizioni
censurate il legislatore avrebbe astrattamente effettuato il giudizio
sugli interessi, pubblici e privati, in  gioco  e  sul  bilanciamento
degli stessi. Si  determinerebbe,  infatti,  un  automatismo  tra  la
perdita del requisito di onorabilita' e l'applicazione  di  qualsiasi
sanzione penale in materia previdenziale  e  assistenziale,  comunque
comminata, escludendo in radice una possibilita'  di  valutazione  da
parte dell'amministrazione circa la tipologia di infrazione  compiuta
o l'entita' della sanzione subita o altro elemento rilevante.
    Come statuito da questa Corte in altri  settori  dell'ordinamento
(e' richiamata la sentenza n. 202 del 2013), infatti, gli automatismi
disposti  dal  legislatore   devono   rispecchiare   un   ragionevole
bilanciamento  tra  tutti  gli  interessi  e  i  diritti  di  rilievo
costituzionale coinvolti, con conseguente  illegittimita'  di  quelle
disposizioni  legislative  che  incidano  in  modo  sproporzionato  e
irragionevole sui diritti fondamentali (sono richiamate  le  sentenze
n. 245 del 2011, n. 299 e n. 249 del 2010).
    Nel caso  in  esame,  l'automatismo  non  sarebbe  conforme  alla
previsione  dell'art.  3  Cost.,  in   tema   di   ragionevolezza   e
proporzionalita'.
    In particolare, la  liberta'  di  iniziativa  economica  privata,
protetta dalla Costituzione e richiamata anche dalla Convenzione  per
la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle  liberta'  fondamentali
(CEDU), firmata  a  Roma  il  4  novembre  1950,  ratificata  e  resa
esecutiva  con  legge  4  agosto  1955,  n.  848,   potrebbe   essere
agevolmente configurata quale  diritto  fondamentale  del  cittadino,
anche  nella  prospettiva  dinamica  di  strumento  per  la  concreta
manifestazione della propria  personalita',  nonche'  di  crescita  e
sviluppo sociale ed economico della societa'. Tale diritto resterebbe
definitivamente ed inesorabilmente compromesso nel caso di specie per
la mera sussistenza di una qualsiasi sanzione penale, anche minima.
    Cio' rileverebbe anche sotto il profilo  della  proporzionalita',
dal momento che proprio l'automatismo della  sanzione  amministrativa
finirebbe con il ricollegare una  conseguenza  irreversibile  ad  una
misura  che,  in   quanto   penale   e   dunque   punitiva,   sarebbe
necessariamente temporanea o addirittura di natura pecuniaria.
    Dovrebbe tenersi presente, tra l'altro, che nell'ambito dei reati
in materia previdenziale, il decreto legislativo 15 gennaio 2016,  n.
8 (Disposizioni in materia di depenalizzazione, a norma dell'articolo
2, comma 2, della legge  28  aprile  2014,  n.  67)  ha  disposto  la
depenalizzazione di numerose ipotesi di reato, anche  quella  di  cui
all'art. 2, comma l-bis, del d.l. n. 463 del 1983,  come  convertito.
Dunque, sussisterebbe una graduazione tra sanzioni diverse (penali  e
amministrative) a seconda  del  tipo  e  dell'entita'  dell'illecito,
frutto di un giudizio astratto del legislatore,  che  cercherebbe  un
equilibrato bilanciamento tra valori opposti. Tale bilanciamento, nel
caso di specie, sarebbe del tutto assente, poiche' ogni  sanzione  in
materia previdenziale, di qualsiasi natura ed entita',  comporterebbe
automaticamente  il  venir  meno  dell'autorizzazione   all'esercizio
dell'attivita' di autotrasporto.
    Sotto altro concorrente profilo sarebbero violati anche gli artt.
24  e  113  Cost.  La  facolta'  di  agire  in   giudizio,   infatti,
risulterebbe   meramente    formale,    poiche'    l'amministrazione,
nell'adottare l'atto oggetto di revoca e cancellazione,  sarebbe  del
tutto  priva  della  possibilita'  di  valutare  la  rilevanza  della
condanna  ai  fini  della  persistenza  dell'iscrizione  all'albo   o
l'effettiva ricorrenza  di  un  pregiudizio  o  di  un  pericolo  per
l'interesse pubblico, derivante dalla condanna.
    Dovrebbe altresi' tenersi presente che,  ai  sensi  dell'art.  6,
paragrafo 3,  del  regolamento  CE  n.  1071/2009,  il  requisito  di
onorabilita' «non si considera rispettato finche'  non  sia  adottata
una misura di riabilitazione o un'altra misura di effetto equivalente
a  norma   delle   pertinenti   disposizioni   nazionali».   Il   che
confermerebbe l'irragionevolezza di un  provvedimento  automatico  ed
irreversibile come quello previsto dal d.lgs. n. 395 del 2000, tenuto
conto  anche  dell'impossibilita'   di   operare   un'interpretazione
costituzionalmente orientata  delle  predette  disposizioni,  poiche'
spetterebbero esclusivamente al  legislatore  l'individuazione  e  la
previsione  concreta  delle  adeguate,  proporzionate  e  ragionevoli
misure  sanzionatorie  amministrative  conseguenti  a   pronunce   di
condanne penale incidenti  sul  requisito  dell'onorabilita',  ovvero
delle misure riabilitative o di altre misure di effetto  equivalente,
anche di natura temporanea.
    3.- Con atto depositato il 31  ottobre  2017  e'  intervenuto  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello  Stato,  chiedendo  che  le  questioni
siano dichiarate infondate.
    3.1.- Il d.lgs. n. 395 del 2000, infatti, costituisce recepimento
della direttiva 96/26/CE, come modificata dalla  direttiva  98/76/CE.
Ivi,  si  contempla  esplicitamente  il  ricorso  a   un   meccanismo
automatico in materia di onorabilita' e si obbligano gli Stati membri
a prevedere che tale requisito non sussista  o  cessi  di  sussistere
qualora le persone fisiche rientrino in specifiche fattispecie, quali
l'aver  subito  condanne  per  infrazioni  gravi  e  ripetute   delle
disposizioni vigenti sulle condizioni di retribuzione  e  di  lavoro.
Siffatta  situazione  verrebbe  riconosciuta  dallo  stesso   giudice
rimettente, che riterrebbe altresi' irrilevante nel caso di specie il
sopravvenuto regolamento CE n. 1071/2009.
    La previsione del censurato  automatismo,  dunque,  costituirebbe
una valutazione discrezionale spettante al legislatore,  peraltro  in
recepimento di una direttiva europea. Tale  valutazione  non  sarebbe
irragionevole o sproporzionata, in ragione della gravita'  dei  reati
commessi dall'imprenditore. Ne' l'automatismo  di  fonte  comunitaria
limiterebbe  il  diritto  di  difesa  o  il   diritto   alla   tutela
giurisdizionale, come dimostrerebbe  proprio  la  vicenda  alla  base
delle questioni portate all'attenzione di questa Corte.
    Inoltre, non sussisterebbe neppure  quell'irreversibilita'  degli
effetti della perdita del requisito della onorabilita' lamentata  dal
giudice a quo, atteso che l'art. 5, comma 9, del d.lgs.  n.  395  del
2000 recita: «[f]ermi restando gli effetti degli articoli 166  e  167
del codice penale e 445 del codice di  procedura  penale  e  di  ogni
disposizione  che  comunque  prevede  l'estinzione  del   reato,   il
requisito dell'onorabilita'  e'  riacquistato:  a)  a  seguito  della
concessione della riabilitazione di cui all'articolo 178  del  codice
penale, sempreche' non intervenga la revoca di cui  all'articolo  180
del   medesimo   codice   [...]».   La    perdita    del    requisito
dell'onorabilita',  quindi,  sarebbe  temporanea   e   l'onorabilita'
sarebbe riacquistabile nella ricorrenza di siffatti presupposti.
    Quanto al riferimento alla liberta' di iniziativa economica,  che
peraltro non  costituirebbe  un  profilo  diretto  e  autonomo  della
ritenuta  illegittimita',  la  sua  limitazione  discenderebbe  dalla
necessita' di  un  sistema  di  regole  volte  a  tutelare  la  leale
concorrenza e i soggetti coinvolti, primi tra essi i  lavoratori.  Il
meccanismo  sanzionatorio   sarebbe   correttamente   finalizzato   a
garantire un sistema economico-sociale indenne da comportamenti degli
imprenditori  del  settore  gravemente   lesivi   dei   diritti   dei
lavoratori, anche al fine d'impedire l'alterazione della  concorrenza
e del mercato derivante dall'indebito vantaggio in termini di  minori
costi e maggiore disponibilita' di risorse.
    4.- Con atto depositato il 17 ottobre 2017 si  e'  costituita  la
Ditta F.A.I. di Ferroni Ivano, parte appellante nel giudizio  a  quo,
specificando le proprie argomentazioni nella  memoria  presentata  in
prossimita' dell'udienza.
    La difesa della parte privata, in  particolare,  ritiene  che  le
disposizioni censurate siano incostituzionali,  in  riferimento  agli
artt.  3,  24  e  113  Cost.  o,  in  subordine,   costituzionalmente
illegittime nella parte in cui prevedono la revoca e la cancellazione
dall'albo  delle  persone  fisiche  e   giuridiche   che   esercitano
l'autotrasporto   di   cose   per   conto   terzi,   quale   sanzione
amministrativa automatica,  che  esclude  qualsiasi  possibilita'  di
valutazione nel merito circa la tipologia di  infrazione  compiuta  o
l'entita' della sanzione subita o qualsiasi altro elemento rilevante,
da parte dell'amministrazione competente.
    4.1.- In primo luogo,  il  reato  contestato  all'appellante  del
giudizio  principale,  ossia  l'omesso  versamento   delle   ritenute
previdenziali dei propri dipendenti, non potrebbe considerarsi «grave
infrazione della  normativa  nazionale  in  vigore»  ai  sensi  della
direttiva 98/76/CE.
    La sanzione prevista dal  legislatore,  infatti,  consiste  nella
comminazione  di  un  decreto  penale  di  condanna,   strumento   di
risoluzione speciale delle imputazioni penali piu' lievi  nel  nostro
ordinamento  giuridico.  Il  pagamento  della   sanzione   pecuniaria
irrogata, a detta della parte  privata,  determinerebbe  l'estinzione
del reato (art. 460, comma 5, del codice di procedura penale), il che
farebbe   venir   meno   lo   stesso   presupposto   della   sanzione
amministrativa. Inoltre, il  decreto  penale  di  condanna  non  puo'
prevedere la comminazione di  sanzioni  penali  accessorie  ne',  una
volta divenuto definitivo, puo' assumere efficacia di cosa passata in
giudicato, sia in sede civile, sia in sede amministrativa.  Nel  caso
de quo, invece, il decreto sarebbe assunto quale presupposto fattuale
e logico-giuridico dell'applicazione della sanzione amministrativa.
    Gia'  da  cio'  emergerebbe  la  palese  irragionevolezza   delle
disposizioni censurate dal giudice a quo. Infatti, chi e'  condannato
per il reato in questione e paga la sanzione pecuniaria  comminatagli
con  decreto  penale  non   si   vedrebbe   applicata   la   sanzione
amministrativa (perche' il pagamento della sanzione penale pecuniaria
estingue  il  reato),  mentre  quest'ultima,  molto  piu'   grave   e
sproporzionata rispetto  a  quella  penale,  sarebbe  automaticamente
applicata a chi non paga la sanzione pecuniaria. Inoltre, coloro  che
sono  condannati  con  decreto  penale  per  fattispecie   di   reato
differenti  non  vedrebbero  esteso  tale  giudicato  in  altre  sedi
giudiziarie, a differenza di quanto avviene per chi e' condannato con
decreto penale nelle fattispecie qui d'interesse.
    Che il reato in  questione  non  sia  grave  per  il  legislatore
interno sarebbe ulteriormente dimostrato dal fatto che il d.lgs. n. 8
del 2016 ha disposto la depenalizzazione di numerose ipotesi di reato
in materia di lavoro  e  di  previdenza  obbligatoria,  ivi  compresa
quella prevista dall'art. 2, comma l-bis, del d.l. n. 463  del  1983,
come convertito. L'art. 3,  comma  6,  del  d.lgs.  n.  8  del  2016,
infatti,  opera  una  distinzione  legata  al  valore  dell'omissione
compiuta dal datore di lavoro e prevede la sanzione penale per i soli
omessi versamenti d'importo superiore a diecimila euro annui,  mentre
negli altri casi si  applica  soltanto  una  sanzione  amministrativa
pecuniaria.
    Secondo la difesa della parte privata, sebbene sia irrilevante ai
fini del giudizio rimesso a questa Corte la questione del susseguirsi
nel corso del tempo di una  norma  penale  piu'  favorevole  al  reo,
sarebbe  evidente  che  la  sanzione  amministrativa  della   perdita
dell'onorabilita' sia sproporzionata non  soltanto  alla  luce  della
precedente fattispecie, ma  a  fortiori  alla  luce  della  normativa
attualmente vigente.  Infatti,  per  chi  e'  condannato  per  omesso
versamento dei contributi previdenziali per  somme  al  di  sotto  di
diecimila euro annui,  a  detta  della  parte  costituita,  sarebbero
comminate ben  due  sanzioni  amministrative,  quella  principale  di
natura pecuniaria e quella accessoria.
    Il reato in questione, dunque, non sarebbe mai stato  considerato
grave nel nostro ordinamento, ne' nella sua originaria  formulazione,
ne' nella sua versione vigente.
    La sanzione amministrativa della perdita dell'onorabilita'  e  la
conseguente cancellazione dall'albo degli autotrasportatori per conto
terzi, inoltre, sarebbe irragionevole anche sotto  il  profilo  della
proporzionalita' della sanzione e della sua  congruita'  rispetto  al
bene giuridico tutelato.  La  fattispecie  penale,  infatti,  sarebbe
volta  a  tutelare  la  finanza  pubblica   e   il   buon   andamento
dell'amministrazione, oltre che i diritti dei lavoratori.  La  misura
prevista dal d.lgs. n. 395 del 2000, invece, avrebbe  come  obiettivo
quello di tutelare la sicurezza pubblica nella circolazione stradale,
nonche'  di  garantire  un  sistema  economico-sociale   indenne   da
comportamenti degli imprenditori del settore  gravemente  lesivi  dei
diritti dei lavoratori, con un'alterazione della  concorrenza  e  del
mercato derivante dall'indebito vantaggio in termini di minori  costi
e di maggiore disponibilita' di risorse. Tuttavia, non risulterebbero
nel nostro ordinamento  sanzioni  simili  per  gli  imprenditori  che
evadano le tasse, che assumano in nero o non paghino le  retribuzioni
ai loro dipendenti.
    Da ultimo, l'irragionevolezza della sanzione  si'  manifesterebbe
in tutta la sua portata nell'ipotesi in cui a denunciare il datore di
lavoro inadempiente siano i suoi stessi dipendenti. In  questo  caso,
infatti, sebbene la ratio legis sia quella di  tutelare  il  soggetto
piu' debole del rapporto lavorativo, in  virtu'  di  un'irragionevole
eterogenesi dei fini, la  sanzione  amministrativa,  determinando  di
fatto la chiusura dell'attivita'  d'impresa  del  proprio  datore  di
lavoro, esporrebbe il lavoratore al rischio di perdere il lavoro.
    4.2.- In secondo luogo, la giurisprudenza costituzionale  sarebbe
assolutamente costante nel considerare  illegittimi  gli  automatismi
sanzionatori quale quello in esame, in quanto lesivi del principio di
ragionevolezza, declinato in termini di  non  proporzionalita'  della
sanzione e di non adeguatezza della stessa alla fattispecie  concreta
contestata nel giudizio principale (sono richiamate  le  sentenze  n.
170 del 2015, n. 202 del 2013, n. 265 e n. 139 del  2010,  n.  2  del
1999, n. 363 e n. 239 del 1996, n. 220 del 1995, n. 158 e n.  40  del
1990, n. 971 del 1988 e n. 270 del 1986).
    Inoltre, il giudice si  troverebbe  di  fronte  ad  una  sanzione
fissa, la cui automatica applicazione non soltanto  comprimerebbe  de
facto il diritto alla difesa del soggetto a cui  viene  inflitta,  ma
vanificherebbe  letteralmente  la  stessa  funzione  giurisdizionale.
Correttamente, quindi, il giudice a quo avrebbe rilevato un vizio  di
legittimita' costituzionale anche per quanto concerne la lesione  del
diritto di azione e difesa.
    4.3.- Da ultimo, la sanzione in esame dovrebbe essere  intesa  di
natura sostanzialmente penale, alla luce dei criteri elaborati  dalla
giurisprudenza della Corte europea dei diritti  dell'uomo  a  partire
dalla nota sentenza 8 giugno 1976, Engel e altri contro Paesi  Bassi,
su cui questa Corte si e' piu' volte pronunciata (da  ultimo  con  la
sentenza n. 22 del 2018).
    La  natura  penale  dell'illecito  (formalmente)  amministrativo,
infatti, sarebbe comunque desumibile dal  concreto  scopo  afflittivo
della   sanzione   amministrativa,   tra   l'altro   di    automatica
applicazione,  che  risponderebbe  chiaramente  ad  una  funzione  di
prevenzione generale, tipica della sanzione penale.
    Sebbene il Consiglio di Stato non abbia sollevato la questione ai
sensi dell'art. 117, primo comma, Cost.,  siffatti  rilievi  soltanto
prima facie esulerebbero dal quadro della rimessione  della  quaestio
legitimitatis, mentre sarebbero in questa sede comunque  apprezzabili
da questa Corte. Del resto,  qualora  la  questione  di  legittimita'
costituzionale venisse dichiarata infondata, in assenza  quanto  meno
di una  valutazione  sul  punto,  il  problema  della  qualificazione
giuridica della sanzione oggetto del giudizio resterebbe immutato  e,
pertanto, secondo la difesa della parte privata  sarebbe  necessario,
esaurite le vie di ricorso  interne,  sottoporre  il  problema  della
natura della sanzione de qua alla Corte di Strasburgo.

                       Considerato in diritto

    1.- Il Consiglio di Stato, sezione  quinta  giurisdizionale,  con
ordinanza del 13 luglio 2017, ha sollevato, in riferimento agli artt.
3,  24  e  113  della   Costituzione,   questioni   di   legittimita'
costituzionale degli artt. 4 e 5, commi  2,  lettera  g),  e  8,  del
decreto legislativo  22  dicembre  2000,  n.  395  (Attuazione  della
direttiva 98/76/CE del 1°  ottobre  1998  del  Consiglio  dell'Unione
europea, modificativa della direttiva 96/26/CE  del  29  aprile  1996
riguardante l'accesso alla professione di trasportatore su strada  di
merci e  di  viaggiatori,  nonche'  il  riconoscimento  reciproco  di
diplomi,  certificati  e  altri  titoli  allo   scopo   di   favorire
l'esercizio della liberta' di stabilimento di detti trasportatori nel
settore dei trasporti nazionali ed internazionali).
    1.1.- L'art. 5, comma 2, lettera g), del d.lgs. n. 395  del  2000
stabilisce che non sussiste, o cessa di sussistere, il  requisito  di
onorabilita'  -  previsto  dal  precedente  art.  4  quale  requisito
necessario per l'iscrizione all'albo di cui all'art. 1 della legge  6
giugno  1974,  n.  298   (Istituzione   dell'albo   nazionale   degli
autotrasportatori di  cose  per  conto  di  terzi,  disciplina  degli
autotrasporti di cose e  istituzione  di  un  sistema  di  tariffe  a
forcella per i trasporti di merci su strada) - in  caso  di  condanna
penale definitiva del datore di lavoro per  fatti  che  costituiscono
violazione degli obblighi sussistenti  in  materia  previdenziale  ed
assistenziale. Ai  sensi  dell'art.  5,  comma  8,  il  requisito  in
questione cessa di diritto al verificarsi di tale presupposto.
    1.2.- Le disposizioni censurate determinerebbero,  in  violazione
dell'art. 3 Cost., un irragionevole automatismo tra  la  perdita  del
requisito di onorabilita'  e  l'applicazione  di  qualsiasi  sanzione
penale in materia  previdenziale  e  assistenziale,  poiche'  sarebbe
escluso  in  radice  una  possibilita'  di   valutazione   da   parte
dell'amministrazione  circa  la  tipologia   d'infrazione   compiuta,
l'entita' della sanzione subita o altro elemento rilevante.
    Altresi' violati sarebbero gli artt.  24  e  113  Cost.,  poiche'
l'assenza  da  parte  dell'amministrazione  della   possibilita'   di
valutare la  rilevanza  della  condanna  ai  fini  della  persistenza
dell'iscrizione all'albo renderebbe la facolta' di agire in giudizio,
attraverso  l'impugnazione  dell'atto  di  cancellazione   dall'albo,
meramente formale.
    2.- La difesa della parte privata  asserisce  che  la  disciplina
della misura amministrativa oggetto d'esame si porrebbe in  contrasto
con i criteri elaborati dalla giurisprudenza della Corte europea  dei
diritti dell'uomo in materia di sanzioni  amministrative  afflittive,
in particolare a partire dalla nota sentenza 8 giugno 1976,  Engel  e
altri contro Paesi Bassi, con conseguente violazione anche  dell'art.
117, primo comma, Cost. Tale parametro, tuttavia, non e' invocato dal
giudice a quo, che anzi esplicitamente esclude che le disposizioni in
esame possano presentare profili di contrasto con la Convenzione  per
la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle  liberta'  fondamentali
(CEDU), firmata  a  Roma  il  4  novembre  1950,  ratificata  e  resa
esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848.
    Pertanto, in quanto tesa ad allargare il thema decidendum fissato
dall'ordinanza di rimessione, la  questione  sollevata  dalla  difesa
della  parte  privata  e'  inammissibile,  poiche'  «"l'oggetto   del
giudizio  di  legittimita'  costituzionale  in  via  incidentale   e'
limitato alle disposizioni e ai parametri indicati nelle ordinanze di
rimessione. Pertanto, non  possono  essere  presi  in  considerazione
ulteriori questioni o  profili  di  costituzionalita'  dedotti  dalle
parti, sia eccepiti, ma non fatti propri dal giudice a quo, sia volti
ad ampliare o modificare successivamente il  contenuto  delle  stesse
ordinanze" (ex plurimis, sentenze n. 251 del 2017, n. 214  del  2016,
n. 231 e n. 83 del 2015)» (sentenza n. 4 del 2018).
    3.- Le questioni di legittimita' costituzionale degli artt.  4  e
5, commi 2, lettera g), e 8, del d.lgs. n. 395 del 2000, sollevate in
riferimento agli artt. 3, 24 e 113 Cost., non sono fondate.
    3.1.- Il d.lgs. n. 395 del 2000 ha recepito la direttiva 96/26/CE
del Consiglio,  del  29  aprile  1996,  «riguardante  l'accesso  alla
professione di trasportatore su strada di  merci  e  di  viaggiatori,
nonche' il riconoscimento reciproco di diplomi, certificati  e  altri
titoli  allo  scopo  di  favorire  l'esercizio  della   liberta'   di
stabilimento  di  detti  trasportatori  nel  settore  dei   trasporti
nazionali  ed  internazionali»,  come  modificata   dalla   direttiva
98/76/CE del  Consiglio,  del  1°  ottobre  1998,  «che  modifica  la
direttiva  96/26/CE  riguardante  l'accesso   alla   professione   di
trasportatore su  strada  di  merci  e  di  viaggiatori,  nonche'  il
riconoscimento reciproco di diplomi, certificati e altri titoli  allo
scopo di favorire l'esercizio della liberta' di stabilimento di detti
trasportatori nel settore dei trasporti nazionali ed internazionali».
    Tale   direttiva,   all'art.   3,    prevedeva    il    requisito
dell'onorabilita' tra quelli necessari per l'esercizio dell'attivita'
di autotrasporto su strada e attribuiva agli Stati membri la potesta'
di determinare le  condizioni  in  base  alle  quali  tale  requisito
dovesse sussistere in capo alle imprese, espressamente  condizionando
la sua sussistenza all'assenza di condanna per infrazioni gravi  alle
normative  nazionali  in  vigore  riguardanti   «le   condizioni   di
retribuzione  e   di   lavoro   della   professione»   (fatte   salve
l'intervenuta riabilitazione o altra misura di effetto  equivalente).
Inoltre,  in  caso  di  sopravvenuta   carenza   dei   requisiti   di
onorabilita', l'art. 6, paragrafo 2, stabiliva  che  l'autorizzazione
ad esercitare la  professione  di  trasportatore  su  strada  dovesse
essere necessariamente revocata.
    Il successivo regolamento CE n. 1071/2009 ha  dettato  una  nuova
disciplina della materia, senza pero' innovare riguardo al  requisito
di onorabilita', come  sottolinea  anche  il  giudice  a  quo.  Resta
attribuita agli Stati membri, infatti, la disciplina del requisito in
questione, che non puo' comunque sussistere nel caso  di  condanne  o
sanzioni per infrazioni gravi della normativa  nazionale  in  vigore,
tra cui quelle concernenti le condizioni di retribuzione e di  lavoro
della professione.
    L'art. 5, comma 2, lettera  g),  del  d.lgs.  n.  395  del  2000,
pertanto, ha individuato tra le cause d'insussistenza  del  requisito
di onorabilita' il  fatto  che  il  datore  di  lavoro  abbia  subito
«l'applicazione di qualunque sanzione, comunque comminata, per omesso
o   insufficiente   versamento   degli   oneri    previdenziali    od
assistenziali»; causa che la novella di cui all'art. 5, comma 4,  del
decreto  legislativo  28  dicembre   2001,   n.   478   (Disposizioni
integrative e correttive del decreto legislativo 22 dicembre 2000, n.
395, in materia di  accesso  alla  professione  di  trasportatore  su
strada di cose  per  conto  terzi)  ha  modificato  nell'aver  subito
«condanna penale definitiva per fatti  che  costituiscono  violazione
degli   obblighi   sussistenti   in    materia    previdenziale    ed
assistenziale». Il comma 8, inoltre, ha  previsto  la  cessazione  di
diritto  dal  requisito  di  onorabilita'  al  verificarsi  di   tale
condizione, con conseguente provvedimento  amministrativo  di  revoca
dell'autorizzazione all'esercizio dell'attivita' di  autotrasporto  e
cancellazione dal relativo albo (di cui al successivo art. 11).
    3.2.- Le disposizioni censurate, dunque, delineano un  meccanismo
automatico di perdita dei requisiti di onorabilita', sulla base di un
bilanciamento in astratto effettuato dal legislatore, che ha  imposto
un'attivita' rigidamente vincolata all'amministrazione.
    La giurisprudenza costituzionale ha ritenuto  in  piu'  casi  non
legittimi gli automatismi  legislativi,  anche  in  materie  ove  sia
riconosciuta  un'ampia  discrezionalita'  al  legislatore,  come   e'
accaduto per la sanzione della destituzione automatica nei  confronti
dei pubblici dipendenti e dei professionisti, senza la mediazione del
procedimento disciplinare (sentenze n. 268 del 2016, n. 234 del 2015,
n. 329 del 2007, n. 2 del 1999, n. 363 e n. 239 del 1996, n.  16  del
1991, n. 158 e n. 40 del 1990 e n.  971  del  1988).  In  tali  casi,
infatti,  questa   Corte   ha   sostenuto   che   il   principio   di
proporzionalita'  postula  l'adeguatezza  della  sanzione   al   caso
concreto  e  tale  adeguatezza  non  puo'  essere  raggiunta  se  non
attraverso la  concreta  valutazione  degli  specifici  comportamenti
messi in atto nella commissione dell'illecito (sentenza  n.  170  del
2015; nello stesso senso le sentenze n. 265 del 2010  e  n.  220  del
1995).
    Tuttavia, tale principio non e' stato ritenuto  applicabile  «nei
casi in cui la legge preveda la decadenza automatica da  ruoli  o  da
autorizzazioni   all'esercizio   di   determinate   attivita'    come
conseguenza della perdita di un requisito soggettivo  necessario  per
l'accesso e per la permanenza nel ruolo o  per  la  prosecuzione  del
rapporto autorizzatorio» (sentenza n. 2 del 1999).
    Tale e' il caso disciplinato dall'art. 5 del d.lgs.  n.  395  del
2000. Il provvedimento di revoca e  cancellazione,  infatti,  non  ha
carattere punitivo  o  afflittivo  e  non  si  configura  quale  pena
accessoria, che sarebbe invece inibita al decreto penale di condanna,
ma e' una misura conseguente alla  constatazione  della  sopravvenuta
perdita dei «requisiti di onorabilita'»  prescritti  per  l'esercizio
dell'attivita'  in  questione,  che  devono  permanere  in  corso  di
attivita'.
    Come gia' affermato  da  questa  Corte,  «dalla  mancanza  di  un
requisito soggettivo per la prosecuzione del rapporto  autorizzatorio
il legislatore puo' legittimamente far discendere  la  decadenza  dal
rapporto stesso  non  essendo  ipotizzabile  una  maggiore  o  minore
"gravita'" di tale mancanza in modo da dover proporzionare ad essa la
reazione  dell'ordinamento  e  da  richiedere  una  graduazione  come
nell'ipotesi di vere e proprie sanzioni  disciplinari»  (sentenza  n.
297 del 1993). Dunque, proprio l'assenza nella misura  amministrativa
in esame di una funzione punitiva,  retributiva  o  dissuasiva  dalla
commissione  di  illeciti  consente  di  ritenere  insussistente   la
violazione del principio di proporzionalita',  che  non  puo'  essere
invocato  «per  quei  provvedimenti  espulsivi  che  conseguono,   di
diritto, al venir meno di un requisito soggettivo  (sentenza  n.  297
del 1993)» (sentenza n. 226 del 1997).
    Il legislatore,  al  fine  di  tutelare  la  sicurezza  stradale,
nell'esercizio della propria discrezionalita', ha  individuato  nella
fattispecie prevista dall'art. 2, comma l-bis, del d.l.  n.  463  del
1983, come convertito, una delle violazioni da considerare «gravi» ai
sensi della disciplina comunitaria. Si tratta di una  fattispecie  di
rilevanza penale,  che  «ha  la  finalita'  di  ovviare  al  fenomeno
costituito dalla grave forma di evasione, quale quella  contributiva,
con un inasprimento delle sanzioni» (sentenza n. 139 del 2014).
    La perdita dell'onorabilita', quindi, non e' conseguenza  di  una
qualsiasi sanzione per omesso o insufficiente versamento degli  oneri
previdenziali  od  assistenziali  e  neppure  assume   il   carattere
dell'assoluta irreversibilita'.  Infatti,  l'art.  5,  comma  9,  del
d.lgs. n. 395 del 2000 prevede  che  «[f]ermi  restando  gli  effetti
degli articoli 166 e 167 del  codice  penale  e  445  del  codice  di
procedura  penale  e  di  ogni  disposizione  che  comunque   prevede
l'estinzione   del   reato,   il   requisito   dell'onorabilita'   e'
riacquistato: a) a seguito della concessione della riabilitazione  di
cui all'articolo 178 del codice penale, sempreche' non intervenga  la
revoca di  cui  all'articolo  180  del  medesimo  codice  [...]».  Il
requisito dell'onorabilita', pertanto, potrebbe  essere  riacquistato
nella ricorrenza dei presupposti indicati.
    La parziale depenalizzazione operata dal decreto  legislativo  15
gennaio 2016, n. 8 (Disposizioni in materia  di  depenalizzazione,  a
norma dell'articolo 2, comma 2, della legge 28 aprile 2014,  n.  67),
che ha modificato l'art. 2, comma l-bis, del d.l. n.  463  del  1983,
come convertito, conferma ulteriormente la non irragionevolezza delle
disposizioni censurate. Le omissioni contributive di rilevanza penale
- le sole che consentono l'applicazione della  misura  amministrativa
"espulsiva" - sono, infatti, quelle che eccedono  la  somma  di  euro
diecimila, con l'esclusione delle violazioni piu' lievi.
    E' bensi' vero che il regolamento CE n. 1071/2009 si riferisce  a
violazioni  «gravi»,  mentre  la  stessa  omissione  contributiva  di
rilevanza penale appare  oggettivamente  una  violazione  meno  grave
rispetto ad altre fattispecie indicate dall'art. 5 del d.lgs. n.  395
del  2000  quale  presupposto  per  la   perdita   dell'onorabilita'.
Tuttavia, essa fa parte di un'elencazione legislativa che non  appare
casuale, ma e' dettata, ora dall'oggettiva gravita' della violazione,
ora dalla relazione fra questa e l'attivita' svolta dall'interessato.
    La  disciplina  dell'automatismo  legislativo,  quindi,  non   e'
contraria ne' al principio di  proporzionalita',  ne'  alla  garanzia
della liberta' d'iniziativa economica. Essa, semmai, evita che talune
imprese possano trarre un indebito vantaggio  in  termini  di  minori
costi  e  maggiore  disponibilita'  di  risorse.  E  in   tal   senso
costituiscono argomentazioni di mero fatto sia la  constatazione  del
possibile pregiudizio indiretto per  gli  stessi  lavoratori  che  la
cancellazione  dall'albo  potrebbe  loro  portare,  in  virtu'  della
cessazione dell'attivita' d'impresa ove prestano  la  propria  opera,
sia la mancanza di strumenti sanzionatori analoghi in  altri  settori
dell'ordinamento.
    Quanto affermato fa altresi' escludere la violazione degli  artt.
24 e 113 Cost. La natura  necessitata  del  provvedimento  di  revoca
dell'autorizzazione e  cancellazione  dall'albo,  infatti,  configura
l'attivita'   dell'amministrazione   competente    quale    attivita'
vincolata,  limitata  alla  mera  verifica  della   sussistenza   del
requisito di onorabilita' richiesto dalla legge. Pertanto,  i  limiti
ai  vizi  censurabili  in  sede   di   ricorso   amministrativo   non
costituiscono una compressione del diritto di  azione  e  difesa,  ma
sono   ovvia    conseguenza    dell'assenza    di    discrezionalita'
amministrativa. Il che non esclude, tra l'altro, la  possibilita'  di
censurare l'atto in questione per i pur limitati profili di contrasto
con la legge.

     

                          per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE

    dichiara non fondate le questioni di legittimita'  costituzionale
degli artt. 4 e 5, commi 2, lettera g), e 8, del decreto  legislativo
22 dicembre 2000, n. 395 (Attuazione della direttiva 98/76/CE del  1°
ottobre 1998 del Consiglio dell'Unione  europea,  modificativa  della
direttiva 96/26/CE del 29  aprile  1996  riguardante  l'accesso  alla
professione di trasportatore su strada di  merci  e  di  viaggiatori,
nonche' il riconoscimento reciproco di diplomi, certificati  e  altri
titoli  allo  scopo  di  favorire  l'esercizio  della   liberta'   di
stabilimento  di  detti  trasportatori  nel  settore  dei   trasporti
nazionali ed internazionali), sollevata, in riferimento agli artt. 3,
24 e 113 della Costituzione, dal Consiglio di Stato,  sezione  quinta
giurisdizionale, con l'ordinanza indicata in epigrafe.
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 giugno 2018.

                                F.to:
                    Giorgio LATTANZI, Presidente
                      Giuliano AMATO, Redattore
                    Filomena PERRONE, Cancelliere

    Depositata in Cancelleria il 17 luglio 2018.

                           Il Cancelliere
                       F.to: Filomena PERRONE


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