REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
la
Corte dei Conti
Sezione Giurisdizionale Regionale
per l'@@-@@
in funzione di giudice unico delle pensioni in composizione monocratica, in persona del Consigliere dott. Francesco Maria Pagliara
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio instaurato con il ricorso n. 43113/PM R.G. presentato da ----, nata il OMISSIS, rappresentata e difesa dall’avvocato ---- ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in -----, contro la Sede Provinciale di OMISSIS dell’Istituto Nazionale di Previdenza per i Dipendenti dell’Amministrazione Pubblica (ora INPS) avverso il recupero di indebito pensionistico di cui alla nota prot. n. 4018 in data 9 dicembre 2009 della Sede provinciale anzidetta;
Udito nella pubblica udienza dell’11 aprile 2012, con l’assistenza del Segretario dott.ssa Maria Cassadonte, l’avv. ---- per l’INPS - Gestione ex INPDAP; non rappresentata la ricorrente;
Visti gli atti di causa;
Ritenuto in
FATTO
Con decreto n. 46-2/08 del 19 dicembre 2008 il Comando Regione Carabinieri @@ @@ attribuiva alla sig.ra -----, vedova del Maresciallo Ordinario dei Carabinieri @@ deceduto il OMISSIS, la pensione normale ordinaria indiretta di € 4.806,60, a decorrere dal 19 novembre 1997.
In sede di applicazione del menzionato provvedimento, la Sede INPDAP di OMISSIS, avente in gestione la pensione anzidetta, effettuato il conguaglio tra quanto erogato alla sig.ra M. a titolo di pensione provvisoria e quanto spettantele a titolo di pensione definitiva, accertava un debito da recuperare – per maggiori somme corrisposte dal 1° dicembre 1997 al 31 ottobre 2009 - pari a € 24.615,34, di cui dava comunicazione all’interessata con nota prot. n. 4018 del 9 dicembre 2009 informandola, altresì, che a partire dalla rata di novembre 2009 si sarebbe provveduto ad operare una ritenuta cautelativa di € 87,60.
Nel proposto ricorso – depositato preso la Segreteria della Sezione il 16 maggio 2011 – è stata eccepita l’illegittimità del provvedimento di recupero dell’indebito pensionistico per violazione degli articoli 106 (recte: 162) del d.P.R. n. 1092 del 1973 e 2 della legge n. 241 del 1990.
Al riguardo, si è dedotto che il “trattamento provvisorio” disciplinato dall’art. 162 d.P.R. n. 1092/1973 è una forma di tutela che la legge attribuisce al soggetto posto in quiescenza e si sostanzia in un pagamento immediato della pensione sulla base degli elementi di computo certi alla data del collocamento in pensione, sì da consentire all’interessato di godere del trattamento di quiescenza nelle more del procedimento amministrativo volto ad accertare il trattamento pensionistico definitivo.
E’ stato evidenziato che la previsione, di cui allo stesso art. 162 citato, del conguaglio “a credito o a debito” tra l’importo della pensione definitiva e quello attribuito in via provvisoria non è diretta a concedere alla Pubblica Amministrazione una generale possibilità di rimediare agli errori commessi, ovvero la possibilità per l’ente di competenza di dilatare discrezionalmente i tempi di conclusione della procedura di computo definitivo della pensione, indipendentemente dalle conseguenze che tali errori e/o ritardi abbiano sugli interessi primari di vita dl pensionato.
La liquidazione del trattamento di quiescenza – si è soggiunto – è procedimentalmente scandita da una serie di adempimenti finalizzati alla più rigorosa e ampia tutela patrimoniale del pensionato, e la necessità di comprimere quelli che sono i tempi per addivenire ad una analisi definitiva del trattamento pensionistico è ravvisabile anche nelle disposizioni dei commi 9 e 10 dell’art. 162 d.P.R. n. 1092/1973 e dell’art. 7 d.P.R. n. 538/1986, ove è prevista l’ipotesi di responsabilità disciplinare da ritardo che non può non ritenersi estesa anche ai casi di ingiustificata protrazione del procedimento di emanazione del provvedimento di pensione definitivo.
Sul punto, si è inoltre osservato che l’art. 2 della legge n. 241 del 1990, nello stabilire che l’amministrazione ha il dovere di determinare il termine entro il quale ogni procedimento deve essere concluso e che, in mancanza di detta determinazione, il procedimento deve concludersi entro trenta giorni, ha eliminato ogni dubbio circa l’insussistenza in capo alla pubblica amministrazione di un potere indiscriminato di recupero delle somme erroneamente corrisposte.
Si è affermato che le sopravvenute disposizioni de quibus, con il riconoscimento del principio della “generalizzata certezza dei tempi dell’azione amministrativa”, hanno colmato ogni possibile carenza in materia di liquidazione provvisoria di quiescenza, ed in proposito si richiamano gli orientamenti della Corte Costituzionale (sent.ze n. 262 del 23 luglio 1997, n. 176 del 22 giugno 2004, n. 166 del 24 maggio 1996, n. 431 del 14 dicembre 1993, n. 240 del 10 giugno 1994) e della Corte dei Conti, evidenziandosi il “principio di settore” ravvisato dalla citata giurisprudenza, secondo cui “in luogo della generale disciplina codicistica di incondizionata ripetibilità dell’indebito ex art. 2033 c.c., trova applicazione la diversa regola che esclude il recupero in presenza di situazioni di fatto che, pur variamente articolate, abbiano come minimo comune denominatore la non addebitabilità al percettore dell’erogazione non dovuta”.
Sono stati poi riportati ampi brani della sentenza delle Sezioni Riunite di questa Corte n. 7/2007/QM, la quale ha statuito che, in assenza di dolo dell'interessato, il disposto contenuto nell'art. 162 del d.P.R. n. 1092 del 1973, concernente il recupero dell'indebito formatosi sul trattamento pensionistico provvisorio, deve interpretarsi nell'ambito della disciplina sopravvenuta contenuta nella legge n. 241 del 1990, per cui, a decorrere dall'entrata in vigore di detta legge n. 241 del 1990, decorso il termine posto per l'emanazione del provvedimento definitivo sul trattamento di quiescenza, non può più effettuarsi il recupero dell'indebito, per il consolidarsi della situazione esistente, fondato sull'affidamento riposto nell'Amministrazione.
E’ stata pertanto sottolineata la violazione, nel caso di specie, della legge n. 241 del 1990, rilevandosi che l’emanazione del decreto di pensione definitiva è intervenuta a distanza di anni dal decesso del coniuge della ricorrente la quale, avendo fornito tutti i dati e le informazioni alle amministrazioni competenti e non essendo mai stata interpellata, dato il lasso di tempo trascorso, ha ritenuto che fosse già avvenuta la conclusione del procedimento e che, pertanto, le somme erogate fossero conformi a quelle effettivamente dovute, facendo quindi affidamento sulle predette risorse finanziarie per il soddisfacimento delle proprie esigenze di vita.
Richiamata, poi, giurisprudenza favorevole di questa Sezione in tema di irripetibilità delle maggiori somme pensionistiche indebitamente erogate (Corte dei Conti – Sezione giur. reg. @@ @@, 30 marzo 2010 n. 443), è stata anche addotta l’intervenuta prescrizione del diritto di ripetizione dell’indebito ai sensi dell’art. 2033 c.c., in quanto le somme pretese in restituzione sono state erogate a partire dall’anno 1997, e la prima richiesta di pagamento avanzata dall’INPDAP risale al settembre 2009, quindi ben oltre il termine prescrizionale dei dieci anni dal pagamento.
Da ultimo, si è evidenziato il pregiudizio derivante alla ricorrente dalle arbitrarie trattenute effettuate sulla pensione, comportanti un pericolo di danno grave ed irreparabile per la riduzione di mezzi di sussistenza a disposizione della percipiente.
Si è chiesto, pertanto, a questa Corte di voler accogliere le seguenti conclusioni:
- in via preliminare, concedere la sospensione della ritenuta cautelativa mensile, applicata dall’INPDAP sulla pensione dell’odierna ricorrente;
- in via principale: annullare il provvedimento di recupero di indebito n. 4018 in data 9 dicembre 2009 e, per l’effetto, dichiarare non dovuto dalla ricorrente in favore dell’INPDAP l’importo di € 24.615,34, derivante dal conguaglio tra la pensione provvisoria e la pensione definitiva, nonché condannare l’INPDAP alla restituzione delle somme recuperate illegittimamente, maggiorate degli interessi legali dalle singole trattenute fino alla restituzione;
- in via subordinata, accertare l’intervenuta prescrizione di parte del debito imputato alla ricorrente e pertanto dichiarare irripetibili le somme prescritte.
Con vittoria di spese, diritti ed onorari.
Si è costituita in giudizio la Sede INPDAP di OMISSIS con memoria depositata il 5 settembre 2011 nella quale, riepilogata la vicenda in esame, in opposizione alle censure avanzate dalla parte ricorrente si è anzitutto evidenziato il contenuto dell’art. 162, comma 1, del d.P.R. n. 1092 del 1973, norma regolatrice del trattamento provvisorio di pensione.
Si è poi osservato che la riserva sul conguaglio a credito o a debito prevista dal comma 7 dello stesso art. 162, e quindi la provvisorietà della pensione, rende, di conseguenza, giuridicamente irrilevante l’affidamento insorto nell’interessato, nei cui confronti l’esplicita natura provvisoria del trattamento inizialmente erogato non consente l’ingenerarsi di alcuna certezza circa l’esatta entità del trattamento erogato, che potrà risultare di misura inferiore al momento della determinazione definitiva operata dall’Amministrazione previdenziale.
Si è sostenuto che di fronte ad una chiara lettera della legge diventa superfluo e inutile qualsiasi sforzo diretto a trasformare la natura provvisoria del provvedimento di pensione, in una natura definitiva, ancorandola ad un requisito labile e discrezionale quale “il lungo lasso di tempo” trascorso tra i due provvedimenti.
A sostegno, è stato richiamato l’orientamento espresso dalle Sezioni Riunite della Corte dei Conti nella sentenza n. 1/QM del 14 gennaio 1999, secondo cui all’art. 206 del d.P.R. n. 1092 del 1973 non va riconosciuto il carattere di principio generale di irripetibilità delle somme pensionistiche indebitamente corrisposte, per cui non sussiste la possibilità di attribuire rilievo alla buona fede del percettore per somme erroneamente corrisposte a titolo di pensione provvisoria, anche se sia decorso un notevole lasso di tempo.
Si è rilevato che tale orientamento ha trovato conferma nella giurisprudenza pensionistica (citate: Sezione III Centrale d’Appello, sent. n. 175/04; Sezione I Centrale d’Appello, sent. n. 153/06), e la Corte Costituzionale, con reiterate pronunce, e da ultimo con ordinanza n. 178/2006, ha statuito che « non sussiste un'esigenza costituzionale che imponga per l'indebito previdenziale e per quello assistenziale un'identica disciplina, atteso che - pur operando in questa materia un principio di settore, onde la regolamentazione della ripetizione dell'indebito è tendenzialmente sottratta a quella generale del codice civile - rientra però nella discrezionalità del legislatore porre distinte discipline speciali adattandole alle caratteristiche dell'una o dell'altra prestazione ».
Si è fatto altresì presente di non ignorare che le Sezioni Riunite della Corte dei Conti, con la sentenza n. 7/2007/QM, sono andate in diverso avviso dalla precedente sentenza n. 1/99/QM, e si è dedotto che tale contrasto non può comunque sortire un effetto abrogativo dell’art. 162 del d.P.R. n. 1092/1973, tuttora vigente, rilevandosi altresì – con richiamo, per conforto, di alcune pronunce di questa Corte (sent.ze n. 805/07, n. 806/07, n. 807/07 e n. 808/07 della Sezione giurisdizionale regionale per la Puglia; sent. n. 260/2008 della Sezione giurisdizionale per la regione Toscana) che la predetta decisione n. 7/2007/QM, pur in mancanza di una disposizione legislativa in tal senso, ha ritenuto di poter attribuire valenza precettiva ad una norma procedimentale quale è la legge n. 241/1990 in difformità, peraltro, dalla giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione (Cass. Civ. Sez. Lavoro, sent. n. 2804/03).
Conclusivamente, si è chiesto di voler respingere la richiesta sospensiva e, nel merito, respingere il ricorso, con ciò confermando la legittimità dell’operato dell’Amministrazione; in subordine, si è chiesto di tenere conto dei limiti della prescrizione quinquennale, anche alla luce della sentenza n. 10/QM/02 e della consolidata giurisprudenza della Corte dei Conti.
In data 9 settembre 2011 l’avv. Maria Cristina Gardella, nell’interesse della ricorrente, ha depositato una memoria nella quale ha ripreso e ulteriormente sviluppato gli argomenti svolti nel ricorso introduttivo, con nuovo richiamo alla sentenza delle Sezioni Riunite n. 7/2007/QM e con citazione di giurisprudenza favorevole di questa Sezione (sent.ze n. 1579/2010, 1570/2010, 1515/2010).
Ha quindi ribadito che l’inerzia della pubblica amministrazione nei confronti della ricorrente non può essere imputata a quest’ultima, poiché non vi ha in alcun modo concorso, e del resto la stessa ha maturato la convinzione che, dato l’abbondante lasso di tempo trascorso, la pensione fosse ormai divenuta definitiva.
Ha evidenziato che un recupero di € 24.000 circa comporta un esborso rilevante e svuota di significato la ratio del trattamento provvisorio che è la tutela del pensionato, ribadendo il pregiudizio sofferto dalla ricorrente per le trattenute effettuate sulla pensione.
Ha riconfermato, pertanto, la richiesta cautelare di sospensiva delle trattenute e la richiesta di annullamento del provvedimento di recupero indebito, con condanna dell’INPDAP alla restituzione di quanto già trattenuto, oltre gli accessori di legge.
All’esito della camera di consiglio del 21 settembre 2011, l’istanza di sospensione dell’efficacia del gravato provvedimento di recupero è stata accolta con ordinanza n. 78/11/M.
In data 15 marzo 2012 - a seguito dell’intervenuta soppressione dell’INPDAP disposta dall’art. 21, comma 1, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, in legge 22 dicembre 2011, n. 214, con conseguente attribuzione delle relative funzioni in materia pensionistica all’INPS e subentro di quest’ultimo nei rapporti attivi e passivi dell’Ente soppresso – il ricorso introduttivo del giudizio è stato notificato in riassunzione nei confronti dell’INPS – Gestione ex INPDAP – Sede Provinciale di OMISSIS .
L’INPS si è poi costituito in giudizio con memoria depositata il 29 marzo 2012 nella quale, nel riportarsi integralmente all’atto di costituzione in giudizio già depositato dall’INPDAP, si contrasta l’interpretazione giurisprudenziale che non consentendo il recupero dell’indebito pensionistico, sostanzialmente, disconosce il contenuto precettivo degli artt. 162 e 206 del d.P.R. n. 1092/1973.
Si osserva “che la stessa giurisprudenza negli ultimi tempi ha, comunque, mutato orientamento superando il precedente sancito nella sentenza della Corte dei Conti a sezioni riunite n. 7/2007/QM, richiamata da controparte”, soggiungendosi che le Sezioni Riunite sono intervenute sulla medesima questione con la sentenza n. 7/QM/2011 affermando che “gli artt. 203, 204 e 205 del D.P.R. n. 1092 non si applicano al trattamento provvisorio di cui all’art. 162 del summenzionato Testo Unico delle pensioni, con la conseguenza che, sino all’adozione del provvedimento definitivo di pensione, sono possibili modifiche del trattamento provvisorio stesso, attesa la sua natura interinale”.
Si sostiene che con la suindicata sentenza le Sezioni Riunite hanno mutato l’orientamento in precedenza espresso sull’irripetibilità dell’indebito ribadendo la piena vigenza delle norme che consentono all’amministrazione il recupero dei pagamenti non dovuti nonché, in linea con la giurisprudenza del Consiglio di Stato (Sez. IV, 24 maggio 2007 n. 2651), la conservazione da parte della P.A. del potere di adottare il provvedimento di recupero, e pertanto, allorché sia conferita la pensione provvisoria, è del tutto ammissibile che la stessa sia soggetta ad una valutazione che, “ammettono le SS.RR.”, “potrebbe, per svariati casi e motivi, superare il tempi definiti dal regolamento senza che - ed in questo si intende dar conto come sia rivisitabile e non esaustiva la sentenza (in un’ottica di approfondimento meditativo), prefata, n. 7 del 2007 di queste Sezioni Riunite – sia ‘de facto’ applicabile il principio dell’irripetibilità delle somme erogate ma non dovute, semmai intervenendo la possibilità, in presenza di colpa dell’Amministrazione, del danno da ritardo ( art. 7, comma 1, l. c) L. 18.6.2009 n. 69)”.
Si deduce che il nuovo indirizzo sull’indebito è stato fatto proprio dalla Sezione Prima Giurisdizionale Centrale d’Appello la quale, in alcune recenti sentenze (n. 46/2012/A e n. 47/2012/A del 1° febbraio 2012; n. 449 del 5 ottobre 2011), ha rivisitato il proprio orientamento alla luce delle indicazioni fornite nella citata pronuncia n. 7/QM/2011, e pertanto, pur riconoscendo che il ritardo nella liquidazione del trattamento definitivo può ingenerare nel percipiente in buona fede l’erroneo convincimento circa l’effettiva spettanza delle maggiori somme ricevute, ha affermato che “…la diffusione di una tale anomala situazione gestionale dei procedimenti di pensione definitiva non può elidere il principio generale che vuole la ripetibilità dell’indebito”, e ciò anche in considerazione del fatto che il recupero viene effettuato in forma rateale e senza la maggiorazione di interessi e rivalutazione sicché il “necessario bilanciamento fra gli interessi dell’ente erogatore e quelli del pensionato che ha percepito somme non dovute” trova spazio “sulle modalità di recupero, che debbono, in virtù del precetto costituzionale, salvaguardare la posizione del lavoratore-pensionato”.
Si afferma che facendo applicazione dei suindicati principi ne deriva, pertanto, la legittimità del comportamento tenuto dall’INPDAP e, conseguentemente, l’infondatezza delle domande svolte dalla pensionata, considerato che il provvedimento di recupero è di poco successivo al decreto del Comando Regione Carabinieri @@ @@ di determinazione della pensione definitiva, ed il recupero della somma non dovuta è stato disposto ratealmente e tramite trattenuta cautelare nei limiti di 1/5 della pensione, senza aggravio di interessi e rivalutazione.
Si rileva, altresì, che non appare possibile addebitare un danno da ritardo procedimentale all’INPDAP, dal momento che la liquidazione della pensione era stata effettuata dal datore di lavoro della ricorrente, eventualmente unico responsabile del ritardo stesso.
In via subordinata, nell’ipotesi di accoglimento del ricorso, si evidenzia, con richiamo di giurisprudenza di questa Corte, che le somme da restituire non derivano da un rapporto obbligatorio tra amministrazione e amministrato trattandosi, invece, di somme che la pensionata ha percepito per errore dall’Amministrazione e che quest’ultima ha recuperato, per cui si deve ritenere equa l’eventuale restituzione del solo importo recuperato, senza alcuna maggiorazione per interessi legali e rivalutazione monetaria.
Da ultimo, ancora in via subordinata, si eccepisce l’intervenuta prescrizione delle somme che dovessero essere riconosciute dovute alla ricorrente anteriormente al quinquennio decorrente dalla data di notifica del ricorso.
Conclusivamente, si chiede: 1) nel merito, integralmente respingere e/o rigettare il ricorso; 2) in via subordinata, nell’ipotesi di accoglimento del ricorso, dichiarare non dovuti interessi legali e rivalutazione monetaria sulle somme da restituire; 3) sempre in via subordinata, accertare e dichiarare l’intervenuta prescrizione delle somme che, in ipotesi, dovessero essere riconosciute dovute alla ricorrente anteriormente al quinquennio decorrente dalla data di notifica del ricorso giudiziario; 4) emettere ogni provvedimento e/o statuizione attinente e conseguente a quanto in premessa anche in assenza di conclusione specifica. Con vittoria di spese e compensi del giudizio.
Con memoria depositata il 30 marzo 2012 la difesa della ricorrente, dopo aver precisato che la notifica in riassunzione è stata effettuata “ai fini di evitare una dichiarazione di interruzione del giudizio, nonostante per costante e quasi unanime giurisprudenza delle Sezioni Giurisdizionali della Corte dei Conti l’INPS sia da ritenere successore ex lege anche nei rapporti processuali”, e svolte osservazioni sul punto, nel merito ha ribadito l’illegittimità del provvedimento di recupero di indebito ed insistito per il suo annullamento, con condanna dell’INPS, nella sua qualità di successore ex lege dell’INPDAP, alla restituzione di quanto già trattenuto.
All’udienza odierna l’avv. Riccardo Salvo, per l’INPS, si è rimesso agli atti.
La causa è quindi passata in decisione con conseguente lettura del dispositivo e fissazione del termine di sessanta giorni per il deposito della sentenza, ai sensi dell’ultima parte dell’art. 429, comma 1, secondo capoverso, c.p.c., come sostituito dall’art. 53 del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni nella legge 6 agosto 2008, n. 133.
Considerato in
DIRITTO
La questione di merito posta all’esame della Corte concerne la ripetibilità o meno dell’indebito pari a € 24.615,34 di cui in narrativa, accertato a carico della ricorrente per somme corrispostele in più sul trattamento provvisorio di pensione percepito dal 1° dicembre 1997 al 31 ottobre 2009.
Ciò premesso, occorre in primo luogo esaminare l’eccezione di parziale prescrizione del credito erariale addotta dalla parte ricorrente.
Al riguardo va osservato che, secondo pacifica giurisprudenza di questa Corte, il diritto della pubblica amministrazione di ripetere ciò che ha indebitamente pagato a titolo di pensione, anche provvisoria, è soggetto all’ordinaria prescrizione decennale di cui all’art. 2946 c.c. (cfr. Corte dei Conti – Sez. giur. reg. Lombardia, 12 ottobre 2006 n. 566; Sez. giur. reg. Veneto, 18 maggio 2006 n. 483; Sez. giur. reg. Umbria, 1° agosto 2002 n. 334; Sez. giur. reg. Toscana, 22 maggio 1996 n. 287; Sez. III, 12 gennaio 1989 n. 62696).
Inoltre, come chiarito dalla stessa giurisprudenza – sulla base di argomentazioni qui condivise -, in base al combinato disposto degli art. 2033, 2935 e 2946 c.c. il “dies a quo” della prescrizione decennale relativa alla ripetizione, da parte dell’INPDAP, di quanto indebitamente pagato a titolo di pensione, va individuato nella data dei singoli pagamenti non dovuti, essendo irrilevante, ai fini dell’art. 2935 c.c., la data di comunicazione all’Istituto previdenziale del provvedimento di pensione definitiva (cfr. Corte dei Conti Sez. giur. reg. Piemonte, 27 aprile 2006 n. 102; Sez. giur. reg. Lombardia, 12 ottobre 2006 n. 566; 8 maggio 1995 n. 399).
Nella fattispecie concreta devesi rilevare come il primo atto validamente interruttivo ai fini della prescrizione, ossia il provvedimento dell’INPDAP di comunicazione dell’indebito per cui è causa, rechi la data del 9 dicembre 2009, sicché risultano prescritte, e quindi non più ripetibili, le somme indebitamente corrisposte a titolo di pensione provvisoria nel periodo anteriore al decennio precedente la data di pervenimento alla ricorrente della predetta comunicazione.
Per le restanti somme dell’indebito, occorre ricordare che l’art. 162 (Liquidazione provvisoria) del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, dopo avere previsto, al comma 1, che “dalla data di cessazione dal servizio e sino all’inizio del pagamento della pensione diretta, la competente direzione provinciale del tesoro corrisponde al pensionato un trattamento provvisorio, determinato in relazione ai servizi risultanti dalla documentazione prodotta ovvero in possesso dell’amministrazione, purché sussistano i presupposti per il loro riconoscimento a norma di legge, da recuperare in sede di liquidazione definitiva ”, dispone, al successivo comma 7, che “qualora l’importo della pensione definitiva diretta o di riversibilità risultante dal decreto di concessione registrato alla Corte dei conti non sia uguale a quello attribuito in via provvisoria, la direzione provinciale del tesoro provvede alle necessarie variazioni, facendo luogo al conguaglio a credito o a debito”.
Ebbene, le Sezioni Riunite di questa Corte, con la nota sentenza n. 7/2007/QM in data 11 luglio – 7 agosto 2007, tornando a pronunciarsi sul controverso tema della ripetibilità di indebiti pensionistici, hanno statuito, con ampie ed articolate motivazioni – qui da intendersi integralmente recepite - che, in assenza di dolo dell’interessato, il disposto contenuto nel citato art. 162 d.P.R. n. 1092/1973, concernente il recupero dell’indebito formatosi sul trattamento economico provvisorio, deve interpretarsi nell’ambito della disciplina sopravvenuta nella legge n. 241 del 1990, per cui, a decorrere dall’entrata in vigore di quest’ultima normativa, decorso il termine posto per l’emanazione del provvedimento definitivo sul trattamento di quiescenza, non può più effettuarsi il recupero dell’indebito, per il consolidarsi della situazione esistente, fondato sull’affidamento riposto nell’Amministrazione.
Come dedotto nella pronuncia dianzi citata, “con l’art. 2 della legge n. 241 del 1990 è stato infatti normativamente introdotto il principio della generalizzata certezza dei tempi dell'azione amministrativa, con articolazione del nuovo sistema dei termini su tre livelli: il termine predeterminato per legge (livello normativo), il termine determinato dalle singole amministrazioni modulandone la durata sulla base della complessità del procedimento da disciplinare (livello regolamentare amministrativo) e il termine residuale unico e indifferenziato, previsto in caso di carenza di fissazione espressa, sostanzialmente determinato in misura tale da indurre le Amministrazioni a provvedere (Corte costituzionale, 23 luglio 1997, n° 262; vedasi anche Corte costituzionale, 22 giugno 2004, n° 176). Nella materia pensionistica sono stati dunque emanati dal Ministro del tesoro vari decreti ministeriali (cfr. dd.mm. 23 marzo 1992 n° 304, 8 giugno 1993 n° 299 e 5 agosto 1997 n° 325), con fissazione dei termini concernenti anche i procedimenti di liquidazione e di riliquidazione di trattamenti di quiescenza, e analogamente hanno proceduto anche altre Amministrazioni, tra cui l'INPDAP (cfr. circolare n° 31 del 17 maggio 1999)” e “quale che sia la natura che viene attribuita a detti termini, essi comunque ora rappresentano un limite oggettivamente predeterminato ex lege, e si configurano quale elemento essenziale del procedimento destinato a eliminare ogni possibile incertezza, vigendo ora, ai sensi dell'art. 2 della legge n° 241 del 1990, l'obbligo per l'amministrazione di concludere il procedimento con un provvedimento espresso, entro un limite certo”.
Secondo le Sezioni Riunite, “il termine di legge o regolamentare amministrativo entro il quale l'Amministrazione deve procedere all'emissione del provvedimento definitivo di quiescenza assume dunque - atteso l'inequivoco dettato normativo relativo alla contestualità dell'emissione del provvedimento di pensione definitiva e dell'eventuale, conseguente conguaglio - portata identificativa del connesso limite temporale da ritenersi sussistente per l'eventuale esercizio legittimo del potere recuperatorio destinato a incidere sfavorevolmente sull'assetto economico del percettore”, ragione per cui alla scadenza del predetto limite temporale non si può ravvisare “alcuna ulteriore possibilità di esercizio del potere di recupero, e ciò nella considerazione che i limiti temporali fissati nella subiecta materia sono previsti a tutela (e non già a discapito) degli interessi privati coinvolti nel procedimento e operano come limite esterno destinato a segnare il discrimine tra esercizio dinamicamente legittimo del potere restrittivo da parte dell'Amministrazione e il sopravvenire della preclusiva carenza del potere stesso”.
A tale principio di diritto questo giudice ritiene di doversi attenere per ragioni di certezza giurisprudenziale nella complessa materia in discussione, osservandosi peraltro che esso non è stato affatto rivisitato dalle Sezioni Riunite, laddove la successiva sentenza n. 7/2011/QM in data 26 maggio 2011, evocata dalla difesa dell’INPS, nel decidere la questione della modificabilità, al momento dell’emissione del provvedimento definitivo di pensione, del trattamento provvisorio anche nell’ipotesi in cui sia stato riscontrato un precedente errore di diritto, ha affermato il principio che “gli artt. 203, 204 e 205 del d.P.R. n. 1092 del 1973 non si applicano al trattamento provvisorio di cui all’art. 162 del summenzionato Testo Unico delle pensioni, con la conseguenza che, sino all’adozione del provvedimento definitivo di pensione, sono possibili modifiche del trattamento provvisorio stesso, attesa la sua natura interinale”, ma nulla ha statuito sull’ulteriore questione della irripetibilità delle somme erogate in più “onde non cadere in ultra petita”.
Ed invero, le stesse Sezioni Riunite, con la più recente sentenza n. 16/2011/QM del 28 novembre 2011, hanno evidenziato, con riguardo alla giurisprudenza delle Sezioni giurisdizionali centrali d’appello, che “l’orientamento consolidatosi nell’ultimo biennio recepisce del principio di diritto affermato dalla sentenza n. 7/2007/QM [ex multis: Sezione prima: 11 maggio 2011, n. 194; 6 luglio 2011, n. 308; 5 settembre 2011, n. 362; 7 ottobre 2011, n. 451; Sezione seconda: 8 marzo 2011, n. 142; 10 marzo 2011, n.ri 149 e 150; 17 maggio 2011, n. 223; 23 maggio 2011, n. 239 (pronunce, peraltro, fondate sulla particolare gravità del ritardo nei casi di specie); Sezione terza: 18 febbraio 2011, n. 164; 2 marzo 2011, n. 214; 16 giugno 2011, n. 490; 21 ottobre 2011, n. 698]”, ed hanno dichiarato inammissibile la questione, inerente la materia che occupa, deferita dalla Sezione giurisdizionale regionale per il Piemonte con ordinanza del 10 agosto 2011.
Per il caso in esame, ne consegue che, non essendo posta in discussione la buona fede della ricorrente, ed essendo il decreto definitivo di pensione, ossia il decreto n. 46-2/08 in data 19 dicembre 2008 del Comando Regione Carabinieri @@ @@, intervenuto a circa undici anni di distanza dal decesso del dante causa, vale a dire ben oltre qualsiasi termine procedimentale per la liquidazione della pensione definitiva, le somme pensionistiche erroneamente liquidatele in più devono ritenersi comunque irripetibili.
Va pertanto dichiarata l’irripetibilità della somma di € 24.615,34 oggetto del gravato recupero, con conseguente diritto della ricorrente alla restituzione degli importi già trattenuti dall’INPDAP, ma senza corresponsione di interessi legali e rivalutazione monetaria, trattandosi di somme che originariamente non erano dovute (cfr. Corte dei Conti – Sez. I centrale d’appello, 30 ottobre 2007 n. 376).
Nei sensi ed entro i limiti delle considerazioni che precedono il ricorso de quo deve giudicarsi fondato; tenuto conto della complessità della questione dedotta e dell'evoluzione della giurisprudenza in materia, si ritiene sussistano giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.
la Corte dei Conti - Sezione giurisdizionale regionale per l'@@-@@ in funzione di giudice unico delle pensioni in composizione monocratica, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, definitivamente pronunciando
Accoglie
il ricorso in epigrafe nei sensi ed entro i limiti di cui in motivazione, e per l’effetto dichiara l’irripetibilità dell’indebito pensionistico pari alla somma di complessivi € 24.615,34 oggetto del gravato recupero, con conseguente diritto della ricorrente alla restituzione degli importi già trattenuti, senza interessi e rivalutazione monetaria.
Spese compensate.
Manda alla Segreteria della Sezione per gli adempimenti di rito.
Così deciso in Bologna l’11 aprile 2012.
Il giudice
(Francesco Maria Pagliara)
f.to Francesco Maria Pagliara
Depositata in Segreteria il 22/05/2012
Il Direttore di Segreteria
f.to dr.ssa Nicoletta Natalucci
DECRETO
Il Giudice, ravvisati gli estremi per l’applicazione dell’art. 52 del Decreto Legislativo 30 giugno 2003 nr. 196,
DISPONE
Che a cura della Segreteria venga apposta l’annotazione di cui al comma 3 di detto articolo 52 nei riguardi della parte privata e, se esistenti, del dante causa e degli aventi causa.
Il Giudice Unico
(Francesco Maria Pagliara)
f.to Francesco Maria Pagliara
Depositato in Segreteria il giorno 22/05/2012
Il Direttore della Segreteria
f.to dr.ssa Nicoletta Natalucci
In esecuzione del Provvedimento ai sensi dell’art. 52 del Decreto Legislativo 30 giugno 2003 nr. 196, in caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi della parte privata e se esistenti del dante causa e degli eventi causa.
Data 22/05/2012
Il Direttore della Segreteria
f.to dr.ssa Nicoletta Natalucci
SEZIONE
ESITO
NUMERO
ANNO
MATERIA
PUBBLICAZIONE
@@ @@
Sentenza
107
2012
Pensioni
22-05-2012
In nome del Popolo Italiano
la
Corte dei Conti
Sezione Giurisdizionale Regionale
per l'@@-@@
in funzione di giudice unico delle pensioni in composizione monocratica, in persona del Consigliere dott. Francesco Maria Pagliara
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio instaurato con il ricorso n. 43113/PM R.G. presentato da ----, nata il OMISSIS, rappresentata e difesa dall’avvocato ---- ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in -----, contro la Sede Provinciale di OMISSIS dell’Istituto Nazionale di Previdenza per i Dipendenti dell’Amministrazione Pubblica (ora INPS) avverso il recupero di indebito pensionistico di cui alla nota prot. n. 4018 in data 9 dicembre 2009 della Sede provinciale anzidetta;
Udito nella pubblica udienza dell’11 aprile 2012, con l’assistenza del Segretario dott.ssa Maria Cassadonte, l’avv. ---- per l’INPS - Gestione ex INPDAP; non rappresentata la ricorrente;
Visti gli atti di causa;
Ritenuto in
FATTO
Con decreto n. 46-2/08 del 19 dicembre 2008 il Comando Regione Carabinieri @@ @@ attribuiva alla sig.ra -----, vedova del Maresciallo Ordinario dei Carabinieri @@ deceduto il OMISSIS, la pensione normale ordinaria indiretta di € 4.806,60, a decorrere dal 19 novembre 1997.
In sede di applicazione del menzionato provvedimento, la Sede INPDAP di OMISSIS, avente in gestione la pensione anzidetta, effettuato il conguaglio tra quanto erogato alla sig.ra M. a titolo di pensione provvisoria e quanto spettantele a titolo di pensione definitiva, accertava un debito da recuperare – per maggiori somme corrisposte dal 1° dicembre 1997 al 31 ottobre 2009 - pari a € 24.615,34, di cui dava comunicazione all’interessata con nota prot. n. 4018 del 9 dicembre 2009 informandola, altresì, che a partire dalla rata di novembre 2009 si sarebbe provveduto ad operare una ritenuta cautelativa di € 87,60.
Nel proposto ricorso – depositato preso la Segreteria della Sezione il 16 maggio 2011 – è stata eccepita l’illegittimità del provvedimento di recupero dell’indebito pensionistico per violazione degli articoli 106 (recte: 162) del d.P.R. n. 1092 del 1973 e 2 della legge n. 241 del 1990.
Al riguardo, si è dedotto che il “trattamento provvisorio” disciplinato dall’art. 162 d.P.R. n. 1092/1973 è una forma di tutela che la legge attribuisce al soggetto posto in quiescenza e si sostanzia in un pagamento immediato della pensione sulla base degli elementi di computo certi alla data del collocamento in pensione, sì da consentire all’interessato di godere del trattamento di quiescenza nelle more del procedimento amministrativo volto ad accertare il trattamento pensionistico definitivo.
E’ stato evidenziato che la previsione, di cui allo stesso art. 162 citato, del conguaglio “a credito o a debito” tra l’importo della pensione definitiva e quello attribuito in via provvisoria non è diretta a concedere alla Pubblica Amministrazione una generale possibilità di rimediare agli errori commessi, ovvero la possibilità per l’ente di competenza di dilatare discrezionalmente i tempi di conclusione della procedura di computo definitivo della pensione, indipendentemente dalle conseguenze che tali errori e/o ritardi abbiano sugli interessi primari di vita dl pensionato.
La liquidazione del trattamento di quiescenza – si è soggiunto – è procedimentalmente scandita da una serie di adempimenti finalizzati alla più rigorosa e ampia tutela patrimoniale del pensionato, e la necessità di comprimere quelli che sono i tempi per addivenire ad una analisi definitiva del trattamento pensionistico è ravvisabile anche nelle disposizioni dei commi 9 e 10 dell’art. 162 d.P.R. n. 1092/1973 e dell’art. 7 d.P.R. n. 538/1986, ove è prevista l’ipotesi di responsabilità disciplinare da ritardo che non può non ritenersi estesa anche ai casi di ingiustificata protrazione del procedimento di emanazione del provvedimento di pensione definitivo.
Sul punto, si è inoltre osservato che l’art. 2 della legge n. 241 del 1990, nello stabilire che l’amministrazione ha il dovere di determinare il termine entro il quale ogni procedimento deve essere concluso e che, in mancanza di detta determinazione, il procedimento deve concludersi entro trenta giorni, ha eliminato ogni dubbio circa l’insussistenza in capo alla pubblica amministrazione di un potere indiscriminato di recupero delle somme erroneamente corrisposte.
Si è affermato che le sopravvenute disposizioni de quibus, con il riconoscimento del principio della “generalizzata certezza dei tempi dell’azione amministrativa”, hanno colmato ogni possibile carenza in materia di liquidazione provvisoria di quiescenza, ed in proposito si richiamano gli orientamenti della Corte Costituzionale (sent.ze n. 262 del 23 luglio 1997, n. 176 del 22 giugno 2004, n. 166 del 24 maggio 1996, n. 431 del 14 dicembre 1993, n. 240 del 10 giugno 1994) e della Corte dei Conti, evidenziandosi il “principio di settore” ravvisato dalla citata giurisprudenza, secondo cui “in luogo della generale disciplina codicistica di incondizionata ripetibilità dell’indebito ex art. 2033 c.c., trova applicazione la diversa regola che esclude il recupero in presenza di situazioni di fatto che, pur variamente articolate, abbiano come minimo comune denominatore la non addebitabilità al percettore dell’erogazione non dovuta”.
Sono stati poi riportati ampi brani della sentenza delle Sezioni Riunite di questa Corte n. 7/2007/QM, la quale ha statuito che, in assenza di dolo dell'interessato, il disposto contenuto nell'art. 162 del d.P.R. n. 1092 del 1973, concernente il recupero dell'indebito formatosi sul trattamento pensionistico provvisorio, deve interpretarsi nell'ambito della disciplina sopravvenuta contenuta nella legge n. 241 del 1990, per cui, a decorrere dall'entrata in vigore di detta legge n. 241 del 1990, decorso il termine posto per l'emanazione del provvedimento definitivo sul trattamento di quiescenza, non può più effettuarsi il recupero dell'indebito, per il consolidarsi della situazione esistente, fondato sull'affidamento riposto nell'Amministrazione.
E’ stata pertanto sottolineata la violazione, nel caso di specie, della legge n. 241 del 1990, rilevandosi che l’emanazione del decreto di pensione definitiva è intervenuta a distanza di anni dal decesso del coniuge della ricorrente la quale, avendo fornito tutti i dati e le informazioni alle amministrazioni competenti e non essendo mai stata interpellata, dato il lasso di tempo trascorso, ha ritenuto che fosse già avvenuta la conclusione del procedimento e che, pertanto, le somme erogate fossero conformi a quelle effettivamente dovute, facendo quindi affidamento sulle predette risorse finanziarie per il soddisfacimento delle proprie esigenze di vita.
Richiamata, poi, giurisprudenza favorevole di questa Sezione in tema di irripetibilità delle maggiori somme pensionistiche indebitamente erogate (Corte dei Conti – Sezione giur. reg. @@ @@, 30 marzo 2010 n. 443), è stata anche addotta l’intervenuta prescrizione del diritto di ripetizione dell’indebito ai sensi dell’art. 2033 c.c., in quanto le somme pretese in restituzione sono state erogate a partire dall’anno 1997, e la prima richiesta di pagamento avanzata dall’INPDAP risale al settembre 2009, quindi ben oltre il termine prescrizionale dei dieci anni dal pagamento.
Da ultimo, si è evidenziato il pregiudizio derivante alla ricorrente dalle arbitrarie trattenute effettuate sulla pensione, comportanti un pericolo di danno grave ed irreparabile per la riduzione di mezzi di sussistenza a disposizione della percipiente.
Si è chiesto, pertanto, a questa Corte di voler accogliere le seguenti conclusioni:
- in via preliminare, concedere la sospensione della ritenuta cautelativa mensile, applicata dall’INPDAP sulla pensione dell’odierna ricorrente;
- in via principale: annullare il provvedimento di recupero di indebito n. 4018 in data 9 dicembre 2009 e, per l’effetto, dichiarare non dovuto dalla ricorrente in favore dell’INPDAP l’importo di € 24.615,34, derivante dal conguaglio tra la pensione provvisoria e la pensione definitiva, nonché condannare l’INPDAP alla restituzione delle somme recuperate illegittimamente, maggiorate degli interessi legali dalle singole trattenute fino alla restituzione;
- in via subordinata, accertare l’intervenuta prescrizione di parte del debito imputato alla ricorrente e pertanto dichiarare irripetibili le somme prescritte.
Con vittoria di spese, diritti ed onorari.
Si è costituita in giudizio la Sede INPDAP di OMISSIS con memoria depositata il 5 settembre 2011 nella quale, riepilogata la vicenda in esame, in opposizione alle censure avanzate dalla parte ricorrente si è anzitutto evidenziato il contenuto dell’art. 162, comma 1, del d.P.R. n. 1092 del 1973, norma regolatrice del trattamento provvisorio di pensione.
Si è poi osservato che la riserva sul conguaglio a credito o a debito prevista dal comma 7 dello stesso art. 162, e quindi la provvisorietà della pensione, rende, di conseguenza, giuridicamente irrilevante l’affidamento insorto nell’interessato, nei cui confronti l’esplicita natura provvisoria del trattamento inizialmente erogato non consente l’ingenerarsi di alcuna certezza circa l’esatta entità del trattamento erogato, che potrà risultare di misura inferiore al momento della determinazione definitiva operata dall’Amministrazione previdenziale.
Si è sostenuto che di fronte ad una chiara lettera della legge diventa superfluo e inutile qualsiasi sforzo diretto a trasformare la natura provvisoria del provvedimento di pensione, in una natura definitiva, ancorandola ad un requisito labile e discrezionale quale “il lungo lasso di tempo” trascorso tra i due provvedimenti.
A sostegno, è stato richiamato l’orientamento espresso dalle Sezioni Riunite della Corte dei Conti nella sentenza n. 1/QM del 14 gennaio 1999, secondo cui all’art. 206 del d.P.R. n. 1092 del 1973 non va riconosciuto il carattere di principio generale di irripetibilità delle somme pensionistiche indebitamente corrisposte, per cui non sussiste la possibilità di attribuire rilievo alla buona fede del percettore per somme erroneamente corrisposte a titolo di pensione provvisoria, anche se sia decorso un notevole lasso di tempo.
Si è rilevato che tale orientamento ha trovato conferma nella giurisprudenza pensionistica (citate: Sezione III Centrale d’Appello, sent. n. 175/04; Sezione I Centrale d’Appello, sent. n. 153/06), e la Corte Costituzionale, con reiterate pronunce, e da ultimo con ordinanza n. 178/2006, ha statuito che « non sussiste un'esigenza costituzionale che imponga per l'indebito previdenziale e per quello assistenziale un'identica disciplina, atteso che - pur operando in questa materia un principio di settore, onde la regolamentazione della ripetizione dell'indebito è tendenzialmente sottratta a quella generale del codice civile - rientra però nella discrezionalità del legislatore porre distinte discipline speciali adattandole alle caratteristiche dell'una o dell'altra prestazione ».
Si è fatto altresì presente di non ignorare che le Sezioni Riunite della Corte dei Conti, con la sentenza n. 7/2007/QM, sono andate in diverso avviso dalla precedente sentenza n. 1/99/QM, e si è dedotto che tale contrasto non può comunque sortire un effetto abrogativo dell’art. 162 del d.P.R. n. 1092/1973, tuttora vigente, rilevandosi altresì – con richiamo, per conforto, di alcune pronunce di questa Corte (sent.ze n. 805/07, n. 806/07, n. 807/07 e n. 808/07 della Sezione giurisdizionale regionale per la Puglia; sent. n. 260/2008 della Sezione giurisdizionale per la regione Toscana) che la predetta decisione n. 7/2007/QM, pur in mancanza di una disposizione legislativa in tal senso, ha ritenuto di poter attribuire valenza precettiva ad una norma procedimentale quale è la legge n. 241/1990 in difformità, peraltro, dalla giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione (Cass. Civ. Sez. Lavoro, sent. n. 2804/03).
Conclusivamente, si è chiesto di voler respingere la richiesta sospensiva e, nel merito, respingere il ricorso, con ciò confermando la legittimità dell’operato dell’Amministrazione; in subordine, si è chiesto di tenere conto dei limiti della prescrizione quinquennale, anche alla luce della sentenza n. 10/QM/02 e della consolidata giurisprudenza della Corte dei Conti.
In data 9 settembre 2011 l’avv. Maria Cristina Gardella, nell’interesse della ricorrente, ha depositato una memoria nella quale ha ripreso e ulteriormente sviluppato gli argomenti svolti nel ricorso introduttivo, con nuovo richiamo alla sentenza delle Sezioni Riunite n. 7/2007/QM e con citazione di giurisprudenza favorevole di questa Sezione (sent.ze n. 1579/2010, 1570/2010, 1515/2010).
Ha quindi ribadito che l’inerzia della pubblica amministrazione nei confronti della ricorrente non può essere imputata a quest’ultima, poiché non vi ha in alcun modo concorso, e del resto la stessa ha maturato la convinzione che, dato l’abbondante lasso di tempo trascorso, la pensione fosse ormai divenuta definitiva.
Ha evidenziato che un recupero di € 24.000 circa comporta un esborso rilevante e svuota di significato la ratio del trattamento provvisorio che è la tutela del pensionato, ribadendo il pregiudizio sofferto dalla ricorrente per le trattenute effettuate sulla pensione.
Ha riconfermato, pertanto, la richiesta cautelare di sospensiva delle trattenute e la richiesta di annullamento del provvedimento di recupero indebito, con condanna dell’INPDAP alla restituzione di quanto già trattenuto, oltre gli accessori di legge.
All’esito della camera di consiglio del 21 settembre 2011, l’istanza di sospensione dell’efficacia del gravato provvedimento di recupero è stata accolta con ordinanza n. 78/11/M.
In data 15 marzo 2012 - a seguito dell’intervenuta soppressione dell’INPDAP disposta dall’art. 21, comma 1, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, in legge 22 dicembre 2011, n. 214, con conseguente attribuzione delle relative funzioni in materia pensionistica all’INPS e subentro di quest’ultimo nei rapporti attivi e passivi dell’Ente soppresso – il ricorso introduttivo del giudizio è stato notificato in riassunzione nei confronti dell’INPS – Gestione ex INPDAP – Sede Provinciale di OMISSIS .
L’INPS si è poi costituito in giudizio con memoria depositata il 29 marzo 2012 nella quale, nel riportarsi integralmente all’atto di costituzione in giudizio già depositato dall’INPDAP, si contrasta l’interpretazione giurisprudenziale che non consentendo il recupero dell’indebito pensionistico, sostanzialmente, disconosce il contenuto precettivo degli artt. 162 e 206 del d.P.R. n. 1092/1973.
Si osserva “che la stessa giurisprudenza negli ultimi tempi ha, comunque, mutato orientamento superando il precedente sancito nella sentenza della Corte dei Conti a sezioni riunite n. 7/2007/QM, richiamata da controparte”, soggiungendosi che le Sezioni Riunite sono intervenute sulla medesima questione con la sentenza n. 7/QM/2011 affermando che “gli artt. 203, 204 e 205 del D.P.R. n. 1092 non si applicano al trattamento provvisorio di cui all’art. 162 del summenzionato Testo Unico delle pensioni, con la conseguenza che, sino all’adozione del provvedimento definitivo di pensione, sono possibili modifiche del trattamento provvisorio stesso, attesa la sua natura interinale”.
Si sostiene che con la suindicata sentenza le Sezioni Riunite hanno mutato l’orientamento in precedenza espresso sull’irripetibilità dell’indebito ribadendo la piena vigenza delle norme che consentono all’amministrazione il recupero dei pagamenti non dovuti nonché, in linea con la giurisprudenza del Consiglio di Stato (Sez. IV, 24 maggio 2007 n. 2651), la conservazione da parte della P.A. del potere di adottare il provvedimento di recupero, e pertanto, allorché sia conferita la pensione provvisoria, è del tutto ammissibile che la stessa sia soggetta ad una valutazione che, “ammettono le SS.RR.”, “potrebbe, per svariati casi e motivi, superare il tempi definiti dal regolamento senza che - ed in questo si intende dar conto come sia rivisitabile e non esaustiva la sentenza (in un’ottica di approfondimento meditativo), prefata, n. 7 del 2007 di queste Sezioni Riunite – sia ‘de facto’ applicabile il principio dell’irripetibilità delle somme erogate ma non dovute, semmai intervenendo la possibilità, in presenza di colpa dell’Amministrazione, del danno da ritardo ( art. 7, comma 1, l. c) L. 18.6.2009 n. 69)”.
Si deduce che il nuovo indirizzo sull’indebito è stato fatto proprio dalla Sezione Prima Giurisdizionale Centrale d’Appello la quale, in alcune recenti sentenze (n. 46/2012/A e n. 47/2012/A del 1° febbraio 2012; n. 449 del 5 ottobre 2011), ha rivisitato il proprio orientamento alla luce delle indicazioni fornite nella citata pronuncia n. 7/QM/2011, e pertanto, pur riconoscendo che il ritardo nella liquidazione del trattamento definitivo può ingenerare nel percipiente in buona fede l’erroneo convincimento circa l’effettiva spettanza delle maggiori somme ricevute, ha affermato che “…la diffusione di una tale anomala situazione gestionale dei procedimenti di pensione definitiva non può elidere il principio generale che vuole la ripetibilità dell’indebito”, e ciò anche in considerazione del fatto che il recupero viene effettuato in forma rateale e senza la maggiorazione di interessi e rivalutazione sicché il “necessario bilanciamento fra gli interessi dell’ente erogatore e quelli del pensionato che ha percepito somme non dovute” trova spazio “sulle modalità di recupero, che debbono, in virtù del precetto costituzionale, salvaguardare la posizione del lavoratore-pensionato”.
Si afferma che facendo applicazione dei suindicati principi ne deriva, pertanto, la legittimità del comportamento tenuto dall’INPDAP e, conseguentemente, l’infondatezza delle domande svolte dalla pensionata, considerato che il provvedimento di recupero è di poco successivo al decreto del Comando Regione Carabinieri @@ @@ di determinazione della pensione definitiva, ed il recupero della somma non dovuta è stato disposto ratealmente e tramite trattenuta cautelare nei limiti di 1/5 della pensione, senza aggravio di interessi e rivalutazione.
Si rileva, altresì, che non appare possibile addebitare un danno da ritardo procedimentale all’INPDAP, dal momento che la liquidazione della pensione era stata effettuata dal datore di lavoro della ricorrente, eventualmente unico responsabile del ritardo stesso.
In via subordinata, nell’ipotesi di accoglimento del ricorso, si evidenzia, con richiamo di giurisprudenza di questa Corte, che le somme da restituire non derivano da un rapporto obbligatorio tra amministrazione e amministrato trattandosi, invece, di somme che la pensionata ha percepito per errore dall’Amministrazione e che quest’ultima ha recuperato, per cui si deve ritenere equa l’eventuale restituzione del solo importo recuperato, senza alcuna maggiorazione per interessi legali e rivalutazione monetaria.
Da ultimo, ancora in via subordinata, si eccepisce l’intervenuta prescrizione delle somme che dovessero essere riconosciute dovute alla ricorrente anteriormente al quinquennio decorrente dalla data di notifica del ricorso.
Conclusivamente, si chiede: 1) nel merito, integralmente respingere e/o rigettare il ricorso; 2) in via subordinata, nell’ipotesi di accoglimento del ricorso, dichiarare non dovuti interessi legali e rivalutazione monetaria sulle somme da restituire; 3) sempre in via subordinata, accertare e dichiarare l’intervenuta prescrizione delle somme che, in ipotesi, dovessero essere riconosciute dovute alla ricorrente anteriormente al quinquennio decorrente dalla data di notifica del ricorso giudiziario; 4) emettere ogni provvedimento e/o statuizione attinente e conseguente a quanto in premessa anche in assenza di conclusione specifica. Con vittoria di spese e compensi del giudizio.
Con memoria depositata il 30 marzo 2012 la difesa della ricorrente, dopo aver precisato che la notifica in riassunzione è stata effettuata “ai fini di evitare una dichiarazione di interruzione del giudizio, nonostante per costante e quasi unanime giurisprudenza delle Sezioni Giurisdizionali della Corte dei Conti l’INPS sia da ritenere successore ex lege anche nei rapporti processuali”, e svolte osservazioni sul punto, nel merito ha ribadito l’illegittimità del provvedimento di recupero di indebito ed insistito per il suo annullamento, con condanna dell’INPS, nella sua qualità di successore ex lege dell’INPDAP, alla restituzione di quanto già trattenuto.
All’udienza odierna l’avv. Riccardo Salvo, per l’INPS, si è rimesso agli atti.
La causa è quindi passata in decisione con conseguente lettura del dispositivo e fissazione del termine di sessanta giorni per il deposito della sentenza, ai sensi dell’ultima parte dell’art. 429, comma 1, secondo capoverso, c.p.c., come sostituito dall’art. 53 del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni nella legge 6 agosto 2008, n. 133.
Considerato in
DIRITTO
La questione di merito posta all’esame della Corte concerne la ripetibilità o meno dell’indebito pari a € 24.615,34 di cui in narrativa, accertato a carico della ricorrente per somme corrispostele in più sul trattamento provvisorio di pensione percepito dal 1° dicembre 1997 al 31 ottobre 2009.
Ciò premesso, occorre in primo luogo esaminare l’eccezione di parziale prescrizione del credito erariale addotta dalla parte ricorrente.
Al riguardo va osservato che, secondo pacifica giurisprudenza di questa Corte, il diritto della pubblica amministrazione di ripetere ciò che ha indebitamente pagato a titolo di pensione, anche provvisoria, è soggetto all’ordinaria prescrizione decennale di cui all’art. 2946 c.c. (cfr. Corte dei Conti – Sez. giur. reg. Lombardia, 12 ottobre 2006 n. 566; Sez. giur. reg. Veneto, 18 maggio 2006 n. 483; Sez. giur. reg. Umbria, 1° agosto 2002 n. 334; Sez. giur. reg. Toscana, 22 maggio 1996 n. 287; Sez. III, 12 gennaio 1989 n. 62696).
Inoltre, come chiarito dalla stessa giurisprudenza – sulla base di argomentazioni qui condivise -, in base al combinato disposto degli art. 2033, 2935 e 2946 c.c. il “dies a quo” della prescrizione decennale relativa alla ripetizione, da parte dell’INPDAP, di quanto indebitamente pagato a titolo di pensione, va individuato nella data dei singoli pagamenti non dovuti, essendo irrilevante, ai fini dell’art. 2935 c.c., la data di comunicazione all’Istituto previdenziale del provvedimento di pensione definitiva (cfr. Corte dei Conti Sez. giur. reg. Piemonte, 27 aprile 2006 n. 102; Sez. giur. reg. Lombardia, 12 ottobre 2006 n. 566; 8 maggio 1995 n. 399).
Nella fattispecie concreta devesi rilevare come il primo atto validamente interruttivo ai fini della prescrizione, ossia il provvedimento dell’INPDAP di comunicazione dell’indebito per cui è causa, rechi la data del 9 dicembre 2009, sicché risultano prescritte, e quindi non più ripetibili, le somme indebitamente corrisposte a titolo di pensione provvisoria nel periodo anteriore al decennio precedente la data di pervenimento alla ricorrente della predetta comunicazione.
Per le restanti somme dell’indebito, occorre ricordare che l’art. 162 (Liquidazione provvisoria) del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, dopo avere previsto, al comma 1, che “dalla data di cessazione dal servizio e sino all’inizio del pagamento della pensione diretta, la competente direzione provinciale del tesoro corrisponde al pensionato un trattamento provvisorio, determinato in relazione ai servizi risultanti dalla documentazione prodotta ovvero in possesso dell’amministrazione, purché sussistano i presupposti per il loro riconoscimento a norma di legge, da recuperare in sede di liquidazione definitiva ”, dispone, al successivo comma 7, che “qualora l’importo della pensione definitiva diretta o di riversibilità risultante dal decreto di concessione registrato alla Corte dei conti non sia uguale a quello attribuito in via provvisoria, la direzione provinciale del tesoro provvede alle necessarie variazioni, facendo luogo al conguaglio a credito o a debito”.
Ebbene, le Sezioni Riunite di questa Corte, con la nota sentenza n. 7/2007/QM in data 11 luglio – 7 agosto 2007, tornando a pronunciarsi sul controverso tema della ripetibilità di indebiti pensionistici, hanno statuito, con ampie ed articolate motivazioni – qui da intendersi integralmente recepite - che, in assenza di dolo dell’interessato, il disposto contenuto nel citato art. 162 d.P.R. n. 1092/1973, concernente il recupero dell’indebito formatosi sul trattamento economico provvisorio, deve interpretarsi nell’ambito della disciplina sopravvenuta nella legge n. 241 del 1990, per cui, a decorrere dall’entrata in vigore di quest’ultima normativa, decorso il termine posto per l’emanazione del provvedimento definitivo sul trattamento di quiescenza, non può più effettuarsi il recupero dell’indebito, per il consolidarsi della situazione esistente, fondato sull’affidamento riposto nell’Amministrazione.
Come dedotto nella pronuncia dianzi citata, “con l’art. 2 della legge n. 241 del 1990 è stato infatti normativamente introdotto il principio della generalizzata certezza dei tempi dell'azione amministrativa, con articolazione del nuovo sistema dei termini su tre livelli: il termine predeterminato per legge (livello normativo), il termine determinato dalle singole amministrazioni modulandone la durata sulla base della complessità del procedimento da disciplinare (livello regolamentare amministrativo) e il termine residuale unico e indifferenziato, previsto in caso di carenza di fissazione espressa, sostanzialmente determinato in misura tale da indurre le Amministrazioni a provvedere (Corte costituzionale, 23 luglio 1997, n° 262; vedasi anche Corte costituzionale, 22 giugno 2004, n° 176). Nella materia pensionistica sono stati dunque emanati dal Ministro del tesoro vari decreti ministeriali (cfr. dd.mm. 23 marzo 1992 n° 304, 8 giugno 1993 n° 299 e 5 agosto 1997 n° 325), con fissazione dei termini concernenti anche i procedimenti di liquidazione e di riliquidazione di trattamenti di quiescenza, e analogamente hanno proceduto anche altre Amministrazioni, tra cui l'INPDAP (cfr. circolare n° 31 del 17 maggio 1999)” e “quale che sia la natura che viene attribuita a detti termini, essi comunque ora rappresentano un limite oggettivamente predeterminato ex lege, e si configurano quale elemento essenziale del procedimento destinato a eliminare ogni possibile incertezza, vigendo ora, ai sensi dell'art. 2 della legge n° 241 del 1990, l'obbligo per l'amministrazione di concludere il procedimento con un provvedimento espresso, entro un limite certo”.
Secondo le Sezioni Riunite, “il termine di legge o regolamentare amministrativo entro il quale l'Amministrazione deve procedere all'emissione del provvedimento definitivo di quiescenza assume dunque - atteso l'inequivoco dettato normativo relativo alla contestualità dell'emissione del provvedimento di pensione definitiva e dell'eventuale, conseguente conguaglio - portata identificativa del connesso limite temporale da ritenersi sussistente per l'eventuale esercizio legittimo del potere recuperatorio destinato a incidere sfavorevolmente sull'assetto economico del percettore”, ragione per cui alla scadenza del predetto limite temporale non si può ravvisare “alcuna ulteriore possibilità di esercizio del potere di recupero, e ciò nella considerazione che i limiti temporali fissati nella subiecta materia sono previsti a tutela (e non già a discapito) degli interessi privati coinvolti nel procedimento e operano come limite esterno destinato a segnare il discrimine tra esercizio dinamicamente legittimo del potere restrittivo da parte dell'Amministrazione e il sopravvenire della preclusiva carenza del potere stesso”.
A tale principio di diritto questo giudice ritiene di doversi attenere per ragioni di certezza giurisprudenziale nella complessa materia in discussione, osservandosi peraltro che esso non è stato affatto rivisitato dalle Sezioni Riunite, laddove la successiva sentenza n. 7/2011/QM in data 26 maggio 2011, evocata dalla difesa dell’INPS, nel decidere la questione della modificabilità, al momento dell’emissione del provvedimento definitivo di pensione, del trattamento provvisorio anche nell’ipotesi in cui sia stato riscontrato un precedente errore di diritto, ha affermato il principio che “gli artt. 203, 204 e 205 del d.P.R. n. 1092 del 1973 non si applicano al trattamento provvisorio di cui all’art. 162 del summenzionato Testo Unico delle pensioni, con la conseguenza che, sino all’adozione del provvedimento definitivo di pensione, sono possibili modifiche del trattamento provvisorio stesso, attesa la sua natura interinale”, ma nulla ha statuito sull’ulteriore questione della irripetibilità delle somme erogate in più “onde non cadere in ultra petita”.
Ed invero, le stesse Sezioni Riunite, con la più recente sentenza n. 16/2011/QM del 28 novembre 2011, hanno evidenziato, con riguardo alla giurisprudenza delle Sezioni giurisdizionali centrali d’appello, che “l’orientamento consolidatosi nell’ultimo biennio recepisce del principio di diritto affermato dalla sentenza n. 7/2007/QM [ex multis: Sezione prima: 11 maggio 2011, n. 194; 6 luglio 2011, n. 308; 5 settembre 2011, n. 362; 7 ottobre 2011, n. 451; Sezione seconda: 8 marzo 2011, n. 142; 10 marzo 2011, n.ri 149 e 150; 17 maggio 2011, n. 223; 23 maggio 2011, n. 239 (pronunce, peraltro, fondate sulla particolare gravità del ritardo nei casi di specie); Sezione terza: 18 febbraio 2011, n. 164; 2 marzo 2011, n. 214; 16 giugno 2011, n. 490; 21 ottobre 2011, n. 698]”, ed hanno dichiarato inammissibile la questione, inerente la materia che occupa, deferita dalla Sezione giurisdizionale regionale per il Piemonte con ordinanza del 10 agosto 2011.
Per il caso in esame, ne consegue che, non essendo posta in discussione la buona fede della ricorrente, ed essendo il decreto definitivo di pensione, ossia il decreto n. 46-2/08 in data 19 dicembre 2008 del Comando Regione Carabinieri @@ @@, intervenuto a circa undici anni di distanza dal decesso del dante causa, vale a dire ben oltre qualsiasi termine procedimentale per la liquidazione della pensione definitiva, le somme pensionistiche erroneamente liquidatele in più devono ritenersi comunque irripetibili.
Va pertanto dichiarata l’irripetibilità della somma di € 24.615,34 oggetto del gravato recupero, con conseguente diritto della ricorrente alla restituzione degli importi già trattenuti dall’INPDAP, ma senza corresponsione di interessi legali e rivalutazione monetaria, trattandosi di somme che originariamente non erano dovute (cfr. Corte dei Conti – Sez. I centrale d’appello, 30 ottobre 2007 n. 376).
Nei sensi ed entro i limiti delle considerazioni che precedono il ricorso de quo deve giudicarsi fondato; tenuto conto della complessità della questione dedotta e dell'evoluzione della giurisprudenza in materia, si ritiene sussistano giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.
la Corte dei Conti - Sezione giurisdizionale regionale per l'@@-@@ in funzione di giudice unico delle pensioni in composizione monocratica, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, definitivamente pronunciando
Accoglie
il ricorso in epigrafe nei sensi ed entro i limiti di cui in motivazione, e per l’effetto dichiara l’irripetibilità dell’indebito pensionistico pari alla somma di complessivi € 24.615,34 oggetto del gravato recupero, con conseguente diritto della ricorrente alla restituzione degli importi già trattenuti, senza interessi e rivalutazione monetaria.
Spese compensate.
Manda alla Segreteria della Sezione per gli adempimenti di rito.
Così deciso in Bologna l’11 aprile 2012.
Il giudice
(Francesco Maria Pagliara)
f.to Francesco Maria Pagliara
Depositata in Segreteria il 22/05/2012
Il Direttore di Segreteria
f.to dr.ssa Nicoletta Natalucci
DECRETO
Il Giudice, ravvisati gli estremi per l’applicazione dell’art. 52 del Decreto Legislativo 30 giugno 2003 nr. 196,
DISPONE
Che a cura della Segreteria venga apposta l’annotazione di cui al comma 3 di detto articolo 52 nei riguardi della parte privata e, se esistenti, del dante causa e degli aventi causa.
Il Giudice Unico
(Francesco Maria Pagliara)
f.to Francesco Maria Pagliara
Depositato in Segreteria il giorno 22/05/2012
Il Direttore della Segreteria
f.to dr.ssa Nicoletta Natalucci
In esecuzione del Provvedimento ai sensi dell’art. 52 del Decreto Legislativo 30 giugno 2003 nr. 196, in caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi della parte privata e se esistenti del dante causa e degli eventi causa.
Data 22/05/2012
Il Direttore della Segreteria
f.to dr.ssa Nicoletta Natalucci
SEZIONE
ESITO
NUMERO
ANNO
MATERIA
PUBBLICAZIONE
@@ @@
Sentenza
107
2012
Pensioni
22-05-2012
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