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venerdì 22 dicembre 2023

Corte d’Appello 2023- Con ricorso depositato l'11 novembre 2019 OMISSIS ha adito il giudice del lavoro presso il Tribunale di Viterbo esponendo di essere titolare della ditta GRIF sita presso l'Aviosuperficie OMISSIS di OMISSIS, in Strada OMISSIS km 2, esercente l'attività di costruzione, fabbricazione e manutenzione di aeromobili, con mansioni di pilota istruttore di ultraleggeri, consulente e supervisore; che il giorno 19 luglio OMISSIS alle ore 19:15 circa, rientrando a casa dal luogo di lavoro con la propria bicicletta, si era avveduto di avere dimenticato lo zaino contenente oggetti di uso personale e professionale e, nell'accingersi ad effettuare un'inversione del senso di marcia, era precipitato con la bici nella cunetta





Corte d'Appello Roma Sez. lavoro, Sent., 03-11-2023

Fatto Diritto P.Q.M. 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DI APPELLO DI ROMA

III Sezione lavoro e previdenza

composta dai signori magistrati:

dott. Vito Francesco Nettis - Presidente

dott. Enrico Sigfrido Dedola - Consigliere relatore

dott. Maria Giulia Cosentino Consigliere

riunita in camera di consiglio ha pronunciato in grado di appello all'udienza del 18 ottobre 2023 la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al n. 482/2022 del Ruolo Generale Sezione Lavoro, vertente

TRA

I.N.A.I.L., con l'avv.  

APPELLANTE

E

G.I., con l'avv. Francesca Manni

APPELLATO

OGGETTO: appello avverso la sentenza n. 216/2021 del Tribunale del lavoro di Viterbo


Svolgimento del processo


Con ricorso depositato l'11 novembre 2019 OMISSIS ha adito il giudice del lavoro presso il Tribunale di Viterbo esponendo di essere titolare della ditta GRIF sita presso l'Aviosuperficie OMISSIS di OMISSIS, in Strada OMISSIS km 2, esercente l'attività di costruzione, fabbricazione e manutenzione di aeromobili, con mansioni di pilota istruttore di ultraleggeri, consulente e supervisore; che il giorno 19 luglio OMISSIS alle ore 19:15 circa, rientrando a casa dal luogo di lavoro con la propria bicicletta, si era avveduto di avere dimenticato lo zaino contenente oggetti di uso personale e professionale e, nell'accingersi ad effettuare un'inversione del senso di marcia, era precipitato con la bici nella cunetta

posta al lato destro della strada subendo la frattura della gamba destra; di aver denunciato l'accaduto come infortunio  in  itinere  all'I.N.A.I.L. di Viterbo il quale aveva respinto la domanda di indennizzo per asserita mancanza dei presupposti; che anche l'opposizione presentata in data 30 dicembre OMISSIS era stata respinta con Provv. del 10 gennaio 2017 e con comunicazione del 23 febbraio 2017 in quanto l'istituto aveva ritenuto insussistente il rischio lavorativo; che erano rimasti senza esito il successivo ulteriore ricorso del 27 febbraio 2017 e l'istanza di riesame del 18 aprile 2017; deduceva, dunque, che l'impiego del mezzo privato di trasporto era stato giustificato dalla lunghezza del tragitto e dalla inutilizzabilità dei mezzi pubblici (per assenza di fermate prossime alla sede di lavoro ed incompatibilità degli orari con quelli di lavoro), oltre che dalla maggiore gratificazione personale ricavabile dall'uso della bicicletta.

Tutto ciò premesso, concludeva chiedendo di "1) accertare e dichiarare con sentenza che l'infortunio occorso al sig. G.I. il giorno 19.07.OMISSIS deve qualificarsi come infortunio sul lavoro "in itinere" 2) riconoscere che allo stesso, a seguito dell'infortunio, è residuata una invalidità di natura permanente pari al 10%, o, in subordine, pari al valore accertato in corso di causa e per l'effetto 3) condannare l'INAIL a corrispondere, in favore del sig. G., l'indennizzo in capitale del danno biologico oltre interessi secondo legge; 4) condannare l'INAIL al pagamento di tutte le spese e compensi del presente giudizio da distrarsi in favore del sottoscritto procuratore antistatario con sentenza provvisoriamente esecutiva ope legis".

Instaurato il contraddittorio, si costituiva in giudizio l'I.N.A.I.L. eccependo preliminarmente l'inammissibilità del ricorso in ragione della genericità delle deduzioni in fatto fondanti la pretesa; nel merito richiedeva il rigetto della domanda stante l'uso del mezzo privato per ragioni personali, dunque ritenendo sussistere l'assunzione di un rischio elettivo avulsa dalle ragioni lavorative, come tali non riconducibili alla tutela offerta dal D.P.R. n. 1124 del 1965 per assenza dell'occasione lavorativa.

All'esito dell'istruttoria orale eseguita e della c.t.u. medica esperita, la causa era quindi decisa con la sentenza n. 216/2021, depositata il 23 settembre 2021, di accoglimento del ricorso, con riconoscimento al G. di un'inabilità permanente nella misura del 10% e condanna dell'I.N.A.I.L. all'erogazione del corrispondente indennizzo e al pagamento delle spese processuali.

Con atto depositato presso questa Corte il 3 marzo 2022 l'Istituto interponeva appello in forza dei motivi riassunti di seguito.

In via preliminare, rilevava come il consulente non avesse comunicato previamente alle parti la bozza di relazione, che era stata depositata senza lo svolgimento di contraddittorio con essa parte appellante, ciò che avrebbe viziato la successiva sentenza.

Nel merito, lamentava la contraddittorietà degli elementi raccolti, che non avrebbero dovuto consentire l'emissione di una pronuncia di accoglimento del ricorso. In particolare, qualificava come rischio elettivo quello assunto dal G., che il giorno in questione aveva portato con sé la bicicletta all'interno dell'auto, per poi utilizzarla sulla via del ritorno per ragioni di natura ludico-sportiva e non per effettiva necessità; evidenziava le incongruenze emerse nelle deposizioni di testi in ordine al tempo dell'infortunio, se nel primo o nel tardo pomeriggio; sottolineava che esso era avvenuto nella direzione opposta rispetto a quella dell'abitazione del G. e che la lunghezza del percorso da effettuare era diversa rispetto a quella indicata dal primo giudice. Concludeva quindi, previa acquisizione di documentazione attestante l'orario della chiamata al 118, per la riforma della sentenza impugnata e per il rigetto delle domande proposte in primo grado dal ricorrente.

Nuovamente radicato il contraddittorio, si costituiva il G. richiedendo il rigetto dell'impugnazione per la sua infondatezza.

All'esito della discussione orale e della successiva camera di consiglio, la causa è stata decisa come da dispositivo.


Motivi della decisione


L'appello è infondato e va respinto per le ragioni seguenti.

Quanto alla censura riguardante la mancata comunicazione della bozza di relazione da parte del consulente nominato in primo grado, osserva la Corte che risulta che l'I.N.A.I.L. non abbia nemmeno richiesto un termine a difesa nella prima udienza successiva al deposito dell'elaborato. Né nell'appello si rinvengono censure in ordine alle conclusioni cui è pervenuto l'ausiliario, di guisa che la doglianza è sostanzialmente priva di base e di concretezza.

Infatti, secondo la Suprema Corte, la denuncia di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme processuali non tutela l'interesse all'astratta regolarità dell'attività giudiziaria, ma garantisce solo l'eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in conseguenza della denunciata violazione. Ne consegue che è inammissibile la censura con la quale si lamenti un mero vizio del processo, senza prospettare anche le ragioni per le quali l'erronea applicazione della regola processuale abbia comportato, per la parte, una lesione del diritto di difesa o altro pregiudizio per la decisione di merito (Cass. n. 26419/2020; Cass. n. 29879/2021). Ciò posto, si controverte in ordine alla riconducibilità del sinistro pacificamente occorso

al G. nel novero degli infortuni cd. in itinere in quanto, secondo l'appellante I.N.A.I.L., egli avrebbe percorso il tratto di strada in questione per ragioni estranee rispetto a quelle lavorative.

Si deve ricordare che gli artt. 2 e 210 del D.P.R. n. 1124 del 1965 nel testo risultante dalla modifica introdotta dall'art. 5, comma 5, della L. n. 221 del 2015, riguardo all'infortunio in intinere dispongono che "Salvo il caso di interruzione o deviazione del tutto indipendenti dal lavoro o, comunque, non necessitate, l'assicurazione comprende gli infortuni occorsi alle persone assicurate durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro, durante il normale percorso che collega due luoghi di lavoro se il lavoratore ha più rapporti di lavoro e, qualora non sia presente un servizio di mensa aziendale, durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di lavoro a quello di consumazione abituale dei pasti. L'interruzione e la deviazione si intendono necessitate quando sono dovute a cause di forza maggiore, ad esigenze essenziali ed improrogabili o all'adempimento di obblighi penalmente rilevanti. L'assicurazione opera anche nel caso di utilizzo del mezzo di trasporto privato, purché necessitato. L'uso del velocipede, come definito ai sensi dell'articolo 50 del D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, deve, per i positivi riflessi ambientali, intendersi sempre necessitato. Restano, in questo caso, esclusi gli infortuni direttamente cagionati dall'abuso di alcolici e di psicofarmaci o dall'uso non terapeutico di stupefacenti ed allucinogeni; l'assicurazione, inoltre, non opera nei confronti del conducente sprovvisto della prescritta abilitazione di guida".

Orbene, secondo i più recenti approdi della giurisprudenza di legittimità, in base alla disciplina in vigore l'uso del mezzo proprio (senza alcuna altra connessione funzionale con l'attività lavorativa assicurata) non è di ostacolo all'indennizzabilità, ma permane la condizione che l'uso sia necessitato.

Il requisito della necessità non deve essere tuttavia inteso in senso assoluto, essendo sufficiente una necessità relativa, ossia emergente attraverso i molteplici fattori non definibili in astratto che condizionano la scelta del mezzo privato rispetto a quello pubblico.

A sostegno di tale ricostruzione militano alcuni elementi contenuti nella stessa disciplina di legge. In primo luogo, il punto nel quale essa inserisce nella tutela l'infortunio occorso durante il tragitto effettuato per andare a consumare il pasto "dal luogo di lavoro a quello di consumazione abituale dei pasti" (non necessariamente coincidente con la propria abitazione) se l'azienda sia sfornita di mensa aziendale. Se la necessità fosse stata assoluta, e non valutabile secondo gli standard di vita attualmente seguiti, una previsione di questo tipo sarebbe stata scarsamente giustificabile. Occorre inoltre considerare che ai fini dell'assicurazione la legge parla di percorso normale. Non è richiesto altro, in particolare né che la strada sia disagevole, né che presenti rischi particolari e diversi da quelli normali.

Viene a questo punto in gioco la nozione di "rischio elettivo", per come elaborata dalla giurisprudenza, che va inteso come tutto ciò che sia estraneo e non attinente all'attività lavorativa e dovuto ad una scelta arbitraria del lavoratore, il quale crei ed affronti volutamente in base a ragioni o ad impulsi personali, una situazione diversa da quella inerente all'attività lavorativa, ponendo così in essere una condotta interruttiva di ogni nesso tra lavoro, rischio ed evento.

Viene quindi in rilievo l'individuazione di ulteriori criteri in grado di definire i limiti della necessità della scelta dei lavoratore di usare il mezzo privato, che sono stati ravvisati nella normalità e ragionevolezza, derivando da valori costituzionali quali la ragionevolezza (art. 3 Cost.), la libertà di fissare la propria residenza (art. 16 Cost.), le esigenze familiari (art. 31 Cost.), la tutela del lavoro in ogni sua forma (art. 35 Cost.), la protezione del lavoratore caso di infortunio (art. 38 Cost.).

Pertanto, si è ritenuto che l'assicurazione per  infortunio  in  itinere  comprenda anche l'utilizzo del mezzo di trasporto privato laddove esso sia giustificato da particolari esigenze nell'ambito delle quali assumono preminente rilievo i luoghi in cui la personalità dell'individuo si realizza in rapporto con la comunità familiare, così individuandosi una definizione della fattispecie dell' infortunio  in  itinere  rispettosa dei canoni costituzionali della ragionevolezza (art. 3 Cost.) e della protezione dei lavoratori in caso d'infortunio (art. 38 secondo Cost.), menzionati.

Si è dunque sostenuto che l'uso del mezzo privato possa corrispondere anche ad una sorta di più accentuata gratificazione dell'attività lavorativa, in corrispondenza alla tendenza largamente presente nella società civile di riduzione del conflitto tempo libero-lavoro. E ciò in armonia con una serie di valori che apprestano protezione ai diritti della personalità individuabili negli artt. 2, 3 comma secondo, 41 secondo comma della Costituzione, tutti convergenti alla tutela della persona del lavoratore ed alla riduzione del conflitto fra interessi della produzione e libertà-dignità del lavoratore.

Rileva pure in questa ottica la tendenza presente nell'ordinamento (si legga l'art. 1 del Codice della strada), divenuta sempre più pressante, a favorire l'utilizzo della bicicletta in quanto mezzo che riduce costi economici, sociali ed ambientali al fine di ottenere benefici non solo di carattere ambientale ma anche per la salute dei cittadini, ed in prospettiva un calo delle spese sanitarie a carico del sistema nazionale.

In tale ottica si inserisce il citato art. 5 della L. n. 215 del 221 che, nell'integrare la disciplina regolante l' infortunio  in  itinere  ha esplicitamente chiarito che "L'uso del velocipede, come definito ai sensi dell'articolo 50 del D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, deve, per i positivi riflessi ambientali, intendersi sempre necessitato".

In sostanza, attraverso la nuova disciplina, ai fini dell' infortunio  in  itinere, l'uso del velocipede deve ritenersi sempre assicurato, come lo è, per la stessa normativa, l'andare al lavoro a piedi o con utilizzo del mezzo pubblico.

Si aggiunga che la legittimità del mezzo in questione va individuata in relazione ad un criterio di normalità e razionalità che tenga conto di vari standard comportamentali esistenti nella società civile, rispondendo a valori guida dell'ordinamento all'interno di un determinato contesto socioeconomico e non solo in relazione al criterio della distanza che separa l'abitazione dal luogo di lavoro.

La distanza, tanto più quando venga in considerazione l'utilizzo della bicicletta, non può essere quindi ritenuta in assoluto un criterio selettivo da solo sufficiente ad individuare la necessità dell'uso del mezzo privato. Ciò anche in quanto in mancanza di indicazioni contenute nella norma non se ne potrebbe fissare una in grado di separare con certezza i casi tutelati da quelli esclusi dalla tutela.

All'esito di tale articolato excursus, risulta assorbente il rilievo secondo il quale il sinistro per cui è causa si è verificato, in maniera non controversa tra le parti, negli immediati pressi del luogo di lavoro, il che induce a ritenere ragionevole che lo spostamento in questione fosse connesso con l'attività lavorativa.

Tanto è sufficiente, alla luce di quanto in precedenza esposto, a ricondurre il fatto storico oggetto del giudizio nell'ambito degli eventi sottoposti ad assicurazione in quanto non sono emersi elementi tali da individuare l'esistenza di un rischio elettivo, che non può esser esclusivamente basato, come sostanzialmente reputato dall'istituto appellante, sulla mera considerazione che l'utilizzo della bicicletta nel caso di specie non era necessitato, essendo al contrario sempre assicurato.

Ne discendono il rigetto dell'appello e la conferma della sentenza impugnata.

Le spese processuali, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

Si deve, infine, dare atto che per l'appellante sussistono le condizioni oggettive richieste dall'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 per il raddoppio del contributo unificato, ove dovuto.


P.Q.M.


Definitivamente pronunciando sull'appello proposto dall'I.N.A.I.L. con ricorso depositato il 3 marzo 2022 avverso la sentenza del Tribunale del lavoro di Viterbo n. 216/2021, così provvede:

- respinge l'appello;

- condanna parte appellante al pagamento delle spese del presente grado del giudizio, che si liquidano in Euro 2.300,00 oltre 15% per spese generali ed accessori di legge, con distrazione in favore dell'avv. Francesca Manni;

- dà atto che per l'appellante sussistono le condizioni oggettive richieste dall'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 per il raddoppio del contributo unificato, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 18 ottobre 2023.

Depositata in Cancelleria il 3 novembre 2023.


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