Translate

giovedì 9 giugno 2011

Cassazione "...L'imputata  è  accusata del reato di cui all'art. 336 c.p.,  perchè alla richiesta di esibizione dei documenti di riconoscimento da parte degli  Agenti di Polizia di Stato,  appartenenti alla Sezione Volanti, usava  nei  confronti degli stessi minaccia, proferendo  le  testuali parole:  "ma  chi  siete  voi,  che  cazzo  volete,  non  vi   dovete permettervi  a  fermarmi, non sapete con chi avete  a  che  fare,  vi faccio passare una brutta serata, siete  ridicoli con quella specie di divisa  che  avete addosso, che vi credete di essere, non  vi  do  un cazzo  di documento, vi vengo a trovare alle vostre case per  farvela pagare, io sono la nipote di un giudice, vedete in che guai vi metto, con me non vi dovete permettere, sono al telefono con mio zio giudice parlateci  voi  che avete i coglioni sotto"..."

CASSAZIONE PENALE
Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 24-03-2011) 01-04-2011, n. 13402
Fatto - Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
####################  ricorre personalmente contro la sentenza 8  luglio 2010  della  Corte  di  appello di Catanzaro  che  ha  confermato  la sentenza 12 marzo 2008  del Tribunale di Catanzaro di condanna per  il delitto ex art. 336 cod. pen..
1.) il capo di imputazione.
L'imputata  è  accusata del reato di cui all'art. 336 c.p.,  perchè alla richiesta di esibizione dei documenti di riconoscimento da parte degli  Agenti di Polizia di Stato,  appartenenti alla Sezione Volanti, usava  nei  confronti degli stessi minaccia, proferendo  le  testuali parole:  "ma  chi  siete  voi,  che  cazzo  volete,  non  vi   dovete permettervi  a  fermarmi, non sapete con chi avete  a  che  fare,  vi faccio passare una brutta serata, siete  ridicoli con quella specie di divisa  che  avete addosso, che vi credete di essere, non  vi  do  un cazzo  di documento, vi vengo a trovare alle vostre case per  farvela pagare, io sono la nipote di un giudice, vedete in che guai vi metto, con me non vi dovete permettere, sono al telefono con mio zio giudice parlateci  voi  che avete i coglioni sotto" (fatti del   (OMISSIS)).
2.) i motivi di ricorso.
Con  un  primo  motivo di impugnazione viene dedotta inosservanza  ed erronea  applicazione della legge sul presupposto: che  nella  specie "non vi era alcun atto del pubblico ufficiale da coartare", atto  che non  sarebbe  neppure  stato indicato nella motivazione  della  corte distrettuale; che difettava comunque l'elemento psicologico.
Con  un  secondo  motivo  si  lamenta vizio  di  motivazione  essendo mancata,   pur  a  fronte  di  uno  specifico  motivo   di   appello, l'individuazione  dell'atto impedito, tale non potendosi  considerare l'esigenza  di identificazione della donna, persona conosciuta  dagli agenti.
Entrambi i motivi sono privi di fondamento.
Innanzitutto  una  lettura, anche superficiale, delle  decisioni  dei giudici  di  merito le quali integrano una doppia conforme pronuncia, rende  manifesto  che  l'atto "coartato" dei pubblici  ufficiali  era l'accertamento della identità personale dell'imputata, correttamente richiesto  nei  contesti  della condotta della  donna,  la  quale  si accompagnava e stava litigando con persona nota come pregiudicato.
Nè  può  valere,  a  giustificare la condotta  omissiva  della  D.    N.,   la   circostanza  che  la  sua  identità  era   conosciuta all'Ufficio, considerato che il reato di cui all'art. 651  cod.  pen. si  perfeziona  con  il  semplice  rifiuto  di  fornire  al  pubblico ufficiale indicazioni circa la propria identità personale,  per  cui è   irrilevante,   ai  fini  dell'integrazione  dell'illecito,   che l'identità  del soggetto sia facilmente accertata per la  conoscenza personale  da  parte del pubblico (Cass. pen. sez. 6, 34689/2007  Rv.
237606  Massime precedenti Conformi: N. 1804 del 1985 Rv. 168010,  N. 851  del  1995 Rv. 200588, N. 6052 del 1995 Rv. 201435, N.  9337  del 1995 Rv. 202978, N. 34 del 1996 Rv. 203851).
Inoltre,  quanto  alla  legittimità della  richiesta  stessa,  ferme restando le precedenti argomentazioni, va rammentato che in  tema  di rifiuto  d'indicazioni  sulla  propria identità  personale,  di  cui all'art.  651  cod.  pen.,   il  giudice  penale  può  sindacare   la legittimità della richiesta del pubblico ufficiale soltanto sotto il duplice  profilo  della qualifica soggettiva e della  competenza  del richiedente,  ma non può (come sembra esigere il ricorso)  investire anche  la  discrezionalità della concreta  iniziativa  del  pubblico ufficiale, in relazione alla causa della richiesta. (Cass. pen.  sez. 1, 7250/1993 Rv. 197886 Massime  precedenti Conformi: Rv. 136559).
Con un terzo motivo si prospetta violazione di legge.
Il  ricorso premette in fatto che il decreto di citazione a  giudizio in  appello è stato erroneamente notificato all'avv. Domenico Aiello e  non  all'avv.  Claudia  Orsini, e che all'udienza  8  luglio  2010 l'imputata è risultata difesa da difensore nominato quale  sostituto d'udienza dal difensore di fiducia avv. Claudia Orsini, il quale  non ha sollevato questione alcuna in sede dibattimentale.
Su  tale  premessa si chiede una pronuncia circa la  legittimità  di tale  comportamento e, in particolare, si chiede se la  nullità  del decreto di citazione per il giudizio di appello, in quanto notificato a   soggetto  non  difensore  (l'avv.  Domenico  Aiello  è  soggetto totalmente  estraneo  al  giudizio ancorchè precedente  difensore  e collega   di  studio  dell'avv.  Orsini),  unitamente  alla   mancata proposizione   di  eccezioni  processuali  da   parte  del   sostituto processuale  nominato  non  sia motivo di  nullità  della  impugnata sentenza, dal momento che la Corte ha giudicato senza rilevare  detta evidente  nullità  del  decreto, pur potendo peraltro  correttamente giudicare stante il comportamento processuale del difensore ancorchè rappresentato da sostituto processuale.
Il  quesito su cui si sollecita una pronuncia è, dunque, se sussiste un onere a pena di nullità di evidenziare l'esistenza di un vizio di nullità  rilevabile d'ufficio, ancorchè sanato nel caso  di  specie dalla  formale  presenza  del  difensore  nominato  e  dalla  mancata proposizione  di eccezioni procedurali, ovvero se la sanatoria  delle irregolarità,  in  applicazione delle  norme  di  legge,  esoneri  i Giudici   anche  dal  rilevare  i  motivi  di  palese   nullità   e, conseguentemente,   determini  la  regolarità   di   una   pronuncia nonostante l'evidente omissione di applicazione di norme procedurali.
Ritiene il Collegio che il vizio procedurale, sanato per volontà  di chi  avrebbe titolo per dedurlo, non impone al giudice alcun  rilievo formale  della verificata nullità e ciò nel rispetto del  principio affermato  dalla Corte delle leggi (Corte costituzionale,  ord.  8-10 maggio  2000,  Pres.  Mirabelli, rel. Flick)   secondo  cui  non  ogni irregolarità  processuale conduce alla sanzione di nullità,  specie ove  si consideri che la legge di delega sul nuovo c.p.p., nella  sua direttiva  di  esordio, ha espressamente sancito  il  criterio  della massima   semplificazione   nello  svolgimento   del   processo   con eliminazione  di  ogni  atto  o attività non-essenziale".  "Inoltre, l'insistito  richiamo del legislatore delegante alla  semplificazione delle  forme non può dunque che rispondere ad una omologa e rigorosa limitazione  della  cause  di nullità ai  soli  vizi  di
forma  che rispondano ad altrettanti difetti  di sostanza.
Il motivo è quindi palesemente infondato.
All'inammissibilità del ricorso stesso consegue, ex art. 616 c.p.p.,  la  condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali  e di  una  somma in favore della Cassa delle ammende che si stima  equo determinare in Euro 1500,00 (mille).P.Q.M.
dichiara   inammissibile  il  ricorso  e  condanna  il  ricorrente  al pagamento  delle spese processuali e della somma di Euro 1.500,00  in favore della  Cassa delle ammende.

Nessun commento: