T.A.R. Veneto Venezia Sez. I, Sent., 14-03-2013, n. 382
Fatto - Diritto P.Q.M.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 229 del 2011, proposto da:
.
contro
Ministero della Difesa, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distrettuale in Venezia, nel domicilio di Venezia, San Marco, 63;
per l'annullamento
del Provv. n. 532/11-2010 del 30 novembre 2010, notificato in data 6 dicembre 2010, con il quale è stato rigettato il ricorso gerarchico, presentato dal ricorrente, in data 10 ottobre 2010 avverso la sanzione disciplinare di corpo, con la quale è stata irrogata la consegna per giorni due, inflitta e notificata in data 1 settembre 2010.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Difesa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 gennaio 2013 il dott. Roberto Vitanza e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
Al ricorrente, capitano dell'Arma dei carabinieri in servizio presso il comando provinciale c.c. di (Lpd) in qualità di ufficiale addetto all'ufficio OAIO, venivano contestate, con Provv. n. 66/10-0-2010, datato e comunicato in data 11 giugno 2010, le violazioni disciplinari di cui agli artt. 10, comma 2 ( doveri attinenti al grado) e 36, comma 1 e 2 (contegno del militare), senza ulteriore indicazione circa la fonte normativa di riferimento ( in realtà D.P.R. n. 545 del 1986, provvedimento ora abrogato dal D.Lgs. 15 marzo 2010, n. 66 ).
In particolare il comando contestava al ricorrente che questi, in occasione della separazione della sorella dal di lei consorte, avrebbe importunato un maresciallo dell'Arma, comandante di stazione, un funzionario della Polizia di Stato ed alcuni magistrati, suscitando lamentele dei predetti e, conseguentemente, ledendo l'immagine dell'Istituzione militare.
Il ricorrente presentava, attraverso un difensore del libero foro, le giustificazioni in merito alla contestazione.
L'Amministrazione, dopo il vaglio dei rilievi giustificativi al riguardo prodotti, irrogava, al ricorrente, la sanzione disciplinare in questa sede contestata.
Avverso tale provvedimento il ricorrente presentava, nei termini di legge, il pregiudiziale ricorso gerarchico.
L'amministrazione respingeva anche l'indicato ricorso.
Contro tale ultimo provvedimento, quindi, il ricorrente avanzava ricorso giurisdizionale affidando i rilievi di legittimità della censurata procedura disciplinare a sette motivi di gravame, che, in parte riproducevano quelli già avanzati con il ricorso gerarchico, altri riguardavano direttamente il provvedimento di rigetto del ricorso gerarchico contestato, altri, infine, venivano proposti per la prima volta nel presente ricorso giurisdizionale.
Preliminarmente il Collegio osserva che tali innovative censure non possono avere ingresso nel presente procedimento e, pertanto devono essere dichiarate inammissibili i motivi di ricorso proposti ed individuati ai numeri : 4, 5 e 7 dell'atto, atteso che, secondo un principio pacifico e tramandato insegnamento, il ricorso giurisdizionale avverso la negativa determinazione del ricorso gerarchico non può ampliare ed estendere, oltre agli originali rilievi di legittimità espressi nel ricorso gerarchico, il thema decidendum e ciò sia nell'ipotesi di ricorso gerarchico facoltativo, secondo la novella del 1971 ( art. 20 L. 6 dicembre 1971, n. 1034, ora : art. 7, D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104 e successive integrazioni e modificazioni), sia che tale procedura costituisca, come nel caso in questione ( art. 1363, D.L. 15 marzo 2010, n.66 e successive integrazioni e modificazioni), un presupposto indispensabile al successivo ricorso giurisdizionale .
Nel primo caso, infatti, si consentirebbe alla parte di svolgere i necessari rilievi critici oltre i termini decadenziali propri dei ricorsi giurisdizionali, nel secondo, invece, verrebbe frustrata la previsione deflattiva voluta dal legislatore sottoponendo all'Amministrazione una ridotta serie di censure, rispetto a quelle avanzate conil ricorso giurisdizionale e sulle quali quest'ultima non si è potuta pronunciare (Consiglio Stato sez. VI, 4 marzo 1998, n. 230; Consiglio Stato sez. IV, 5 settembre 2008, n. 4231).
Prima di affrontare il merito dei rilievi sottoposti all'esame del Collegio è necessario esaminare l'esatto impianto normativo utilizzato nella presente vicenda dalla p.a.
E' opportuno precisare che la contestazione riguarda un o più accadimenti, asseritamente protratti lungo l'arco di tre anni ( 2007/2010).
Dagli atti non si evince, né l'amministrazione ha specificato il momento in cui tale comportamento è stato conosciuto dalla stessa.
L'unico dato certo è che la contestazione disciplinare è intervenuta in data 11 giugno 2010, senza peraltro precisare se il citato e censurato comportamento fosse, al tempo, ancora in atto.
Inoltre si deve osservare che, pur se in data 8 maggio 2010 è stato pubblicato ( G.U. serie generale 8 maggio 2010, n.106, suppl. ord. n.84), il nuovo codice dell'ordinamento militare (D.L. 15 marzo 2010, n.66 e successive modificazioni ed integrazioni), ossia prima della contestazione disciplinare, nondimeno lo stesso è entrato in vigore solo il successivo 10 ottobre 2010.
Consta dagli atti di causa che il procedimento disciplinare di cui si discute si è svolto e concluso, con l'adozione della conseguente sanzione, in data 1 settembre 2010, cioè in costanza della normativa primaria e secondaria successivamente abrogata.
Di conseguenza l'avvenuta definizione del procedimento, alla data del 10 ottobre 2010, comporta, a mente dell'art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale, in uno con il tramandato ed attuale principio del tempus regit actum, la irrilevanza della successiva disciplina normativa, così come introdotta dal legislatore con il D.L. n. 66 del 2010 citato.
Ciò premesso, osserva il Collegio che il ricorso è fondato con riferimento all'assorbente secondo motivo di ricorso, già avanzato nel ricorso gerarchico.
Le censure, al riguardo sollevate dal ricorrente nel motivo indicato, sono condivise dal Collegio, atteso che costituisce principio generale non derogabile, pacificamente e costantemente tramandato ( Cons.St., sez.V, 3 luglio 1981, n.316), quello secondo cui le contestazioni disciplinare devono assumere un contenuto puntuale e rigoroso, tale da consentire una definizione modale e temporale degli avvenimenti contestati e permettere una concreta difesa dell'incolpato.
In altre parole è necessario che l'addebito indichi con esattezza i tempi, i luoghi e le modalità dell'azione asseritamente in contrasto con il sistema ordinamentale e, nel caso, come quello in argomento, specifichi le generalità delle persone offese, non essendo sufficiente una loro individuazione per categoria professionale.
Invece, dagli atti di causa, non si evince in alcun modo, né la condotta concretamente posta in essere dal ricorrente, né la identità delle persone che, per questa, ebbero a lamentarsi, né, infine, con quali modalità sono state espresse le censure alla condotta inopportuna del ricorrente.
L'azione disciplinare, proprio per la sua finalità educativa e partecipativa, richiede necessariamente un apporto dialettico che potrà assolvere la sua essenziale funzione solo con la puntuale e circoscritta individuazione del comportamento contestato, in uno con la esplicitazione delle fonti di prova a conforto dell'incolpazione che dovranno, in caso di esposti o denunzie, riportare le generalità degli autori, così da permettere una effettiva attività defensionale.
Nel caso di specie, invece, l'Amministrazione ha ritenuto sufficiente ed adeguata, una mera e soggettiva rappresentazione del fatto contestato individuandolo in un arco triennale, senza precisare e puntualizzare quali episodi sono stati oggetto di contestazione al ricorrente, ritenendo congrua una ricostruzione generica ed approssimativa dei fatti, non documentando le diverse identità delle persone coinvolte e, segnatamente, del funzionario e degli operatori della Polizia di Stato, così come quella dei magistrati citati.
La pericolosità di una tale procedura è evidente perché, dal un lato consentirebbe all'Amministrazione l'adozione di qualsivoglia provvedimento disciplinare pur in assenza di un quadro probatorio minimo, sulla base delle sole segnalazioni riservate e/o confidenziali, dall'altro impedirebbe una adeguata azione difensiva.
Per tale motivo il ricorso deve essere accolto e il provvedimento impugnato annullato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano nel dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, annulla il provvedimento in epigrafe impugnato.
Condanna l'Amministrazione al pagamento delle spese di lite che liquida complessivamente in Euro 2.500,00 (duemilacinquecento), oltre IVA e CPA, nonché alla restituzione, come per legge, del contributo unificato.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
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