Cons. Stato Sez. VI, Sent., 13-03-2013, n. 1489
Fatto - Diritto P.Q.M.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9697 del 2006, proposto :Ministero dell'interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
..per la riforma
della sentenza del T.A.R. CAMPANIA - SEZ. STACCATA DI SALERNO: SEZIONE I n. 920/2006, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del signor (Lpd);
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 febbraio 2013 il Cons. .
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
1. Con il ricorso n. 1749 del 2003 al Tribunale amministrativo regionale per la Campania, il signor (Lpd), collocato in quiescenza a far data dal 31 marzo 1997, impugnava la delibera del 13 dicembre 2002, assunta dalla Commissione per il personale del ruolo ispettori della Polizia di Stato del Ministero dell'interno, con la quale veniva espresso parere contrario alla sua istanza di riammissione in servizio, presentata il 30 ottobre 2000, in considerazione della prolungata interruzione dal servizio a causa della quale il richiedente non era ritenuto più in possesso dei requisiti necessari all'espletamento dei compiti d'istituto.
La decisione adottata dalla Commissione si basava sul criterio dalla medesima approvato nella seduta del 13 dicembre 2002, secondo cui per essere riammessi in servizio i dipendenti non dovevano aver interrotto il servizio da più di cinque anni a far data dalla delibera stessa.
2. Il giudice di prime cure accoglieva con la sentenza n. 920 del 2006 il ricorso - pur ritenendo di per sé ragionevole il criterio adottato in relazione agli spazi di discrezionalità di cui gode l'Amministrazione nei procedimenti ex art. 132 (Riammissione) del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 - nella considerazione che il superamento del termine quinquennale non era dipeso dall'interessato, quanto piuttosto dal ritardo con cui l'Amministrazione aveva preso in esame l'istanza dal medesimo presentata. Era legittimo, infatti, ritenere che ove l'Amministrazione avesse proceduto in maniera più tempestiva, la domanda del signor A., in base al criterio adottato dalla Commissione, sarebbe stata verosimilmente accolta.
Secondo la sentenza, in altri termini, la fondatezza del gravame doveva riconnettersi "ad una piana applicazione del principio di buona fede ... di guisa che, a tutela dell'affidamento delle pretese del ricorrente, il contestato diniego si atteggi(ava) quale vero e proprio venire contra factum proprium, legittimandosene la giudiziale caducazione".
3. Avverso la sentenza ha presentato appello il Ministero dell'interno (ricorso n. 9697 del 2006), ritenendo infondato l'assunto del primo giudice, secondo cui sarebbe imputabile all'Amministrazione una sorta d'inerzia nella decisione dell'istanza di riammissione.
Nel caso in esame, infatti, le assunzioni tramite procedure concorsuali sono terminate nel 2001 ma solo a partire dall'anno 2002 è stato possibile dare luogo alle riammissioni in servizio, atteso che il relativo piano di assunzioni, con il quale era stato individuato anche il contingente dei posti da coprire con il ricorso a detto istituto, è stato approvato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri con il D.P.R. dell'8 agosto 2002, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 222 del 4 dicembre 2002.
A giudizio del Ministero appellante, pertanto, ove si faccia riferimento a tale data e non a quella di presentazione della domanda dell'istante, le censure rivolte all'operato dell'Amministrazione non possono trovare giustificazione alcuna, non essendo ipotizzabile a carico di quest'ultima alcuna condotta lesiva del principio di buona fede nei rapporti con il signor A..
4. Con la memoria depositata il 10 giugno 2011 il signor A. ha rilevato che l'Amministrazione nella procedura di "reclutamento per la riammissione" di ex dipendenti non si è conformata agli obblighi di correttezza e di buona fede che avrebbero dovuto contraddistinguere il suo operato, poiché il reclutamento è avvenuto senza la preventiva precisazione di due criteri su cui era stato deciso di effettuare la selezione.
Infatti, sia il criterio dell'età anagrafica sia quello relativo al periodo massimo d'interruzione dal servizio oltre il quale l'ex dipendente è ritenuto inidoneo a svolgere i compiti d'istituto sono stati in un primo momento approvati in linea di massima (verbale della seduta della commissione del 26 marzo 2002) e solo successivamente, in coincidenza con le decisioni da assumere sugli ex dipendenti, sono stati oggetto di ulteriore definizione (verbale della seduta della commissione del 13 dicembre 2002).
Quanto precede ha dato luogo ad applicazioni arbitrarie ed in danno dell'appellato, com'è dimostrato dal fatto che per l'età anagrafica, fissata in cinquanta anni, il periodo di riferimento per calcolarla è stato individuato al 2001 e quindi in deroga al criterio fissato sono stati ammessi ex dipendenti che alla data della delibera (13 dicembre 2002) avevano superato i cinquanta anni mentre per il criterio del periodo massimo d'interruzione, fissato in cinque anni, la decorrenza per il relativo computo è stata individuata alla data della delibera (13 dicembre 2002), senza tenere conto della qualificata posizione dell'appellante fatta valere già dal 4 novembre 2000 (data in cui l'interessato aveva presentato la domanda di riammissione) che avrebbe dato luogo ad una interruzione del servizio di soli tre anni e sette mesi né del fatto che l'Amministrazione si era determinata a far luogo alle riammissioni nel 2001 né, infine, della data (26 marzo 2002) in cui la Commissione aveva per la prima volta stabilito i criteri con cui procedere alle riassunzioni.
Il signor A. ha, infine, chiesto che l'appello venga dichiarato improcedibile in quanto l'Amministrazione non ha interesse ad agire e versa in una situazione di difetto d'interesse alla definizione dell'appello poiché, com'è dimostrato dalla documentazione depositata in atti, l'appellato svolge con professionalità e dedizione i compiti affidatigli. La proposizione dell'appello, a fronte anche dell'ordinanza cautelare del Consiglio di Stato n. 5209 del 2003 con cui è stato respinto l'appello cautelare proposto dall'Amministrazione, conferma, dunque, l'atteggiamento di quest'ultima che è quello di venire contra factum proprium e il suo vero interesse che è quello di mantenere l'appellato ad nutum in una situazione di precarietà.
5. All'udienza del 22 gennaio 2013 la causa è stata trattenuta in decisione.
6. Preliminarmente il Collegio va esaminata l'istanza proposta dall'appellato di dichiarare improcedibile l'appello. Questa domanda è infondata, poiché non vi è dubbio che l'Amministrazione abbia interesse ad agire e, conseguentemente, alla definizione dell'appello: nel caso di specie viene messa in discussione la legittimità di un suo comportamento e di decisioni assunte, a nulla rilevando qui la professionalità e la correttezza con cui l'appellato svolge i compiti affidatigli.
7. Nel merito il Collegio rileva che oggetto di censura non è il criterio assunto dalla Commissione di ritenere in cinque anni il periodo massimo di assenza dal lavoro come dato temporale che attesta l'idoneità dell'ex dipendente a svolgere compiti d'istituto ma le modalità con cui detto criterio è stato applicato.
Il criterio adottato dall'Amministrazione, infatti, non pare viziato da irragionevolezza od illogicità manifesta, posto che rientra nei canoni della discrezionalità tecnica dell'Amministrazione individuare il congruo periodo di tempo trascorso il quale è dato presumere che il soggetto non sia più idoneo a svolgere compiti d'istituto e un tratto di tempo quinquennale non appare sproporzionato rispetto al dato di ordinaria esperienza.
Le modalità, invece, con cui tale criterio è stato in concreto applicato, come già rilevato da questo Consiglio di Stato con l'ordinanza cautelare n. 5209 del 2003, non possono essere condivise. Il superamento del periodo massimo d'interruzione del servizio stabilito dalla Commissione, considerato da questa come unica causa di esclusione dell'interessato dalla procedura di riassunzione, appare in realtà non esclusivamente imputabile all'interessato. Esso piuttosto appare essere dipeso, anche al di là delle giustificazioni addotte dall'appellante, anche da cause ulteriori non a lui imputabili, a cui non appare estraneo, in ragione dei fatti di specie dedotti, il lungo tempo con cui la commissione risulta aver preso in esame l'istanza in questione, così come il lungo tempo con cui la medesima ha definitivamente approvato i criteri con cui procedere alla riassunzione degli ex dipendenti; il che ragionevolmente lascia ritenere, come correttamente affermato dal giudice di primo grado, che, "ove l'Amministrazione avesse proceduto più celermente alla definizione del procedimento, l'istanza di riammissione - alla luce dei medesimi criteri - avrebbe verosimilmente e prospetticamente sortito un diverso e favorevole esito.".
Da quanto precede deriva che il diniego posto dall'Amministrazione si è configurato incongruamente riferito esclusivamente alla condotta dell'interessato e insanabilmente incoerente con la lunga tempistica che nei fatti si è effettivamente data. Dunque bene il giudice di prime cure ha fatto nell'accogliere il ricorso da quest'ultimo presentato.
8. Per quanto sin qui esposto l'appello è da ritenersi infondato e va, pertanto, respinto.
9. In relazione ai particolari profili della causa le spese della presente fase di giudizio possono essere compensati fra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compensa fra le parti le spese della presente fase di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
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