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sabato 27 aprile 2013

Consiglio di Stato: Raccolta di scommesse per l'estero? Legittimo il no del questore




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Raccolta di scommesse per l'estero? Legittimo il no del questore
Smentito il Tar Abruzzo su un'autorizzazione negata a Caserta. Le norme comunitarie rinviano ai limiti previsti dalle leggi nazionali






REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

N.5644/2006

Reg.Dec.

N. 571 Reg.Ric.

ANNO 2006

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n. 571/2006 proposto dal MINISTERO DELL’INTERNO-QUESTORE PROVINCIA DI CASERTA- rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato con domicilio eletto in Roma via dei Portoghesi n. 12;

contro

...OMISSIS.... ...OMISSIS.... IN PROPRIO E QUALE SOCIO AMMINISTRATORE LEGALE RAPPRESENTANTE DELLA ...OMISSIS.... SNC, DI ...OMISSIS.... ...OMISSIS.... IN PROPRIO E QUALE SOCIO AMMINISTRATORE E LEGALE RAPPRESENTANTE DELLA ...OMISSIS.... SNC rappresentate e difese dagli avv.ti -
Interveniente ad Adiuvandum

SISAL SPA E MATCH POINT SPA, rappresentate e difese dall’avv. Giuseppe Bernardi con domicilio eletto in Roma via Monte Zebio n. 28;

per l'annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale dell’Abruzzo – L’Aquila n. 866/2005.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio delle società appellate;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Alla pubblica udienza del 14 luglio 2006 relatore il Consigliere Sabino Luce. Udito l’avv. dello Stato Greco, l’avv. Torrelli l’avv. Maoli e l’avv. Agnello;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO

Con sentenza n. 866/2005, del 29 giugno/20 ottobre 2005 il Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo annullava il provvedimento del Questore di Caserta che negava a ...OMISSIS.... ...OMISSIS.... e Di ...OMISSIS.... ...OMISSIS.... l’autorizzazione alla gestione dell’attività di intermediazione nel settore delle scommesse per conto di società estera. Contro l’indicata sentenza il Ministero dell’interno proponeva appello al Consiglio di Stato chiedendo, con ricorso notificato il 29.12.2005, la riforma dell’impugnata decisione con il rigetto del ricorso proposto in primo grado. Il ricorso, nella resistenza della parte appellata e con l’intervento ad adiuvandum di Sisal Spa e Match Point Spa chiamato per l’udienza odierna, all’esito, è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO

1. Assumendo di essere titolari di un centro di raccolta e di trasmissione di dati relativi alle scommesse per conto della Stanley international betting di Liverpool, autorizzata dal Governo britannico ad operare nel settore, ...OMISSIS.... ...OMISSIS.... e Di ...OMISSIS.... ...OMISSIS.... comunicavano alla Questura di Caserta, ai sensi dell’art. 19 della legge n. 241/1990, di avere dato avvio all’attività di relativa intermediazione, e chiedevano il rilascio della licenza di cui all’art. 88 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza. L’autorizzazione era negata dalla Questura che vietava, anzi, la prosecuzione dell’intrapresa iniziativa: l’art. 88 del r.d. 18 giugno 1931, n. 773, così come modificato dall’art. 37 della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (finanziaria per il 2001), disponeva, infatti, che la licenza per l’esercizio delle scommesse può essere concessa esclusivamente a soggetti concessionari o autorizzati (e tale non erano i richiedenti) da parte di Ministeri o di altri enti cui la legge riserva la facoltà di organizzazione e gestione delle scommesse, nonché a soggetti incaricati dal concessionario o dal titolare di autorizzazione in forza della stessa concessione o autorizzazione. Ai sensi, inoltre, dell’art. 4 bis della legge 13 dicembre 1989, n. 401, come introdotto dall’indicata legge n. 388/2000, le sanzioni (penali) di cui allo stesso articolo sono applicate a chiunque, privo di concessione, autorizzazione o licenza ai sensi dell’art. 88 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, e successive modificazioni, svolge in Italia qualsiasi attività organizzata al fine di accettare o raccogliere o comunque favorire l’accettazione o in qualsiasi modo la raccolta, anche per via telefonica o telematica, di scommesse di qualsiasi genere da chiunque accettate in Italia o all’estero.

2. La Corte di giustizia dell’Unione europea con sentenza del 20 ottobre 1999, in C-67/98 e del 6 novembre 2003, in C-243/01 aveva poi, ritenuto che le disposizioni del Trattato CE relative alla libera prestazione dei servizi non ostano a una normativa nazionale, come quella italiana, che riserva a determinati enti il diritto di esercitare scommesse sugli eventi sportivi, ove tale normativa sia effettivamente giustificata da obiettivi di politica sociale tendenti a limitare gli effetti nocivi di tali attività e ove le restrizioni da essa imposte non siano sproporzionate rispetto a tali obiettivi, e che spetta al giudice nazionale verificare se tale normativa, alla luce delle sue concrete modalità di applicazione, risponda realmente agli obiettivi tali da giustificarla e se le restrizioni che essa impone non risultino sproporzionate rispetto a tali obiettivi. Inoltre con la sentenza n. 42187, del 30 settembre 2003, depositata il 5 novembre successivo, la terza sezione penale della Cassazione aveva stabilito che l’attività svolta dalla società britannica doveva ritenersi assoggettabile alla disciplina sanzionatoria di cui al già richiamato art. 4 delle legge n. 401/89, con sentenza delle sezioni unite della Cassazione penale n. 23272, del 26 aprile 2004, era stato affermato che la normativa italiana in materia di gestione delle sommesse e dei concorsi pronostici, anche se caratterizzata da innegabile espansione dell’offerta, persegue finalità di controllo per motivi di ordine pubblico che, come tali, possono giustificare le restrizioni che essa pone ai principi comunitari della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi.

3. Il provvedimento del Questore era, tuttavia, annullato dal Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo, secondo cui la normativa nazionale vigente in materia di scommesse e di concorsi pronostici (art. 88 r.d. n. 773/1931 ed art. 4 legge 410/1989) posta a base dell’impugnato diniego, poiché realizzava un regime di monopolio in favore dello Stato, non poteva avere applicazione in quanto incompatibile con i principi comunitari della libertà di stabilimento (art. 43 Trattato UE) e della libera prestazione dei servizi all’interno dell’Unione europea (art. 49). Secondo i giudici di primo grado, la funzione di controllo per motivi di ordine pubblico, virtualmente idonei a giustificare (ex art. 46 del Trattato) le restrizioni nazionali agli anzidetti principi comunitari, risultava nella realtà ampiamente superata e smentita da una politica legislativa di notevole incentivazione dell’offerta, alla quale è sotteso il dichiarato, effettivo e prevalente interesse d’incrementare il gettito fiscale in favore dell’erario. Il divieto contemplato dalle norme interne era, in particolare- sempre secondo il Tribunale amministrativo regionale- da un lato, del tutto indiscriminato, riguardando eventi e giochi che travalicano quelli prestabiliti sotto l’egida del Coni e dell’Unire (soggetti abilitati al rilascio delle concessioni) e dall’altro contrastante con i principi costituzionali enunciati negli artt. 3, 10, 11, 15 e 41 della Costituzione, oltre che in violazione del principio della proporzionalità (più di una volta evocato nella giurisprudenza della Corte di giustizia europea): i motivi d’interesse generale, ove effettivamente sussistenti- secondo i giudici di primo grado- non dovrebbero mai superare la soglia di stretta necessarietà che consente di raggiungere l’obiettivo perseguito, posto che il controllo sull’attività in questione per motivi di ordine pubblico, da una parte, e l’interesse fiscale, dall’altra, ben possono essere realizzati in sede di rilascio dell’autorizzazione di polizia (invano richiesta nel caso di specie).

4. L’indica decisione è errata e va riformata.

Come, infatti, è stato più volte affermato in giurisprudenza- e contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale amministrativo regionale- la vigente normativa nazionale in materia di scommesse non si pone in contrasto con alcuno dei richiamati principi di diritto comunitario, né viola alcuno dei diritti costituzionalmente garantiti cui hanno fatto riferimento i giudici di primo grado. La politica espansiva delle scommesse, richiamata dall’impugnata sentenza, pur contraddicendo lo scopo sociale di limitare la propensione al gioco, è, tuttavia, coerente con quello di evitarvi, per quanto possibile, le infiltrazioni criminali: sicché, la stessa non è incompatibile con i motivi di ordine pubblico e di pubblica sicurezza, che a norma degli artt. 46 e 55 del Trattato Ce, sono altrettanto (se non di più) idonei a giustificare restrizioni ai principi di libero stabilimento e di libera prestazione dei servizi. La legislazione italiana, in particolare, volta com’è a sottoporre a controllo preventivo e successivo la gestione delle lotterie, delle scommesse e dei giuochi d’azzardo, si propone non già di contenere la domanda e l’offerta di giuoco, ma di canalizzarla in circuiti controllabili al fine di prevenire la possibile degenerazione criminale. Indipendentemente, quindi, da quanto osservato dai giudici di primo grado in ordine alla modalità di realizzazione della comparazione (che dovrebbe effettuarsi in sede di rilascio dell’autorizzazione) tra l’interesse fiscale e quello attinente all’ordine pubblico, non vi è alcun dubbio sull’adeguatezza e proporzionalità di un sistema così articolato, essenzialmente basato sulla riserva pubblica e la possibilità di concessione ad altri soggetti, nonché sulla soggezione dei concessionari ad autorizzazione di polizia; infatti, la stessa giurisprudenza comunitaria ha più volte riconosciuto il potere discrezionale di ogni Stato membro di scegliere per il perseguimento del suo scopo o la strada del divieto delle scommesse e dei corsi pronostici o quella, alternativa, della concessione della relativa gestione a soggetti più o meno rigidamente controllati (Cass. SS.UU 26 aprile- 18 maggio 2004). A ciò va aggiunta la considerazione che la delineata normativa nazionale non ha alcun carattere discriminatorio giacché il sistema di accesso alle concessioni di cui all’art. 2, comma 6, del D.M. 2 giugno 1998, n. 174 ed all’articolo 2, comma 8, del D.P.R. 8 aprile 1998, n. 169, non distingue tra società italiane e società estere interessate alla gara per le concessioni ed inoltre, ai sensi dell’art. 22, comma 11, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (legge finanziaria 2003), alle procedure concorrenziali per l’affidamento delle concessioni di cui ai citati regolamenti del 1998 possono partecipare anche le società di capitali e che, con la riforma del diritto societario italiano a far data dal 1 gennaio 2004, è stata perfezionata la parificazione giuridica del regime delle società italiane a quello delle altre società europee aperte che fanno appello al mercato del capitale di rischio (Cons. St. sez. VI, n. 5898/2005). Normativa, peraltro, anche ripresa e meglio articolata con l’art. 38 del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito in legge 4 agosto 2006, n. 248.

5. Né a conclusione diversa rispetto a quella indicata possono indurre i rilievi della parte resistente, secondo cui il caso all’esame del collegio non può essere risolto alla stregua delle precedenti soluzioni giurisprudenziali stanti la diversità della forma e natura dei provvedimenti richiesti alla Questura e l’asserita evoluzione della problematica successivamente all’indicata sentenza delle sezioni unite penali della Cassazione. Nel caso di specie, la richiesta di autorizzazione sarebbe stata presentata in stretta aderenza alle indicazioni della menzionata sentenza della Cassazione, allegando la documentazione attestante il possesso dei requisiti previsti dal T.u.l.p.s.: le esigenze di tutela dell’ordine pubblico, quindi- nella rappresentazione della resistente potevano essere assicurate e garantite dall’amministrazione in sede di rilascio della chiesta autorizzazione. Del resto- sottolinea ancora la parte appellata- anche successivamente all’indicata sentenza delle sezioni unite penali della Cassazione, molti giudici di merito si sarebbero pronunziati in senso opposto alla soluzione ivi adottata, disapplicando le norme interne in materia di scommesse clandestine per contrasto con i principi comunitari di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi. Inoltre, il Tribunale di Teramo e di Termoli avrebbero di nuovo rimesso la questione pregiudiziale alla Corte di giustizia comunitaria presso cui si sarebbe già tenuta l’udienza di trattazione orale. La terza e la quarta sezione penale della Cassazione avrebbero, poi, rinviato a nuovo ruolo alcuni processi avanti ad esse pendenti in attesa della nuova decisione della Corte comunitaria. Ed ancora, la Commissione della Comunità avrebbe dato avvio, in data 4 aprile 2006, ad una procedura di richiamo del Governo italiano a presentare le proprie osservazioni in merito ad un’asserita violazione degli obblighi imposti dal Trattato. Tutto ciò- sempre nella prospettazione della resistente- se non alla reiezione dell’appello, dovrebbe comportare, quanto meno, la remissione della questione alla Corte di giustizia comunitaria ai sensi dell’art. 234 del Trattato Ce o la sospensione del giudizio in attesa della nuova decisione della Corte indicata, o comunque dovrebbe imporre di sollevare questione di legittimità costituzionale della normativa richiamata per violazione degli artt. 3, 10, 11, 24 e 41 della Costituzione.

6. Il fatto, invero, che le resistenti, unitamente alla Stanley internazional betting, abbiano allegato all’istanza di autorizzazione la documentazione necessaria a comprovare il possesso dei requisiti di cui al testo unico di pubblica sicurezza, non ha- ad avviso del collegio- alcuna incidenza in ordine alla valutazione della compatibilità del delineato sistema interno con quello comunitario. Come già rilevato in precedenza, l’ordinamento nazionale del settore, ancorché implicante una restrizione alla libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi, è, tuttavia, compatibile con il Trattato comunitario, dato che trova giustificazione in esigenze di ordine e di sicurezza pubblica di cui agli articoli 46 e 55 del Trattato medesimo, i quali a tali libertà consentono agli Stati di derogare per ragione di ordine pubblico. E la compatibilità con il Trattato comunitario- come pure precedentemente rilevato- sussiste ancorché sia stato previsto un meccanismo di sostanziale riserva pubblica nella gestione delle scommesse, nella considerazione che lo stesso consente di canalizzare il fenomeno dei giochi pronostici in circuiti controllabili al fine di prevenire la possibile degenerazione criminale, senza comportare, nel contempo, alcuna limitazione alla concorrenza dal momento che è stata prevista la piena liberalizzazione dell’accesso alle concessioni. Sembra, inoltre, di chiara evidenza come non spetti al giudice di sostituirsi al legislatore nell’individuazione delle modalità operativa che garantiscono al meglio la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica commisurandola, eventualmente, al perseguimento di altri interessi anch’essi di rilievo pubblicistico (per il caso di specie, quelli fiscali); e di ritenere, quindi- come ha fatto il Tribunale amministrativo regionale- che il controllo, ai fini della tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, dovrebbe essere realizzato al momento del rilascio dell’autorizzazione di pubblica sicurezza, anziché prevedendo una riserva della gestione dell’attività in favore dello Stato o di suoi concessionari.

7. E’, inoltre, pacifico in dottrina e giurisprudenza che l’art. 177, comma 3, del Trattato Ce va interpretato nel senso che le giurisdizioni nazionali, le cui decisioni non sono impugnabili secondo l’ordinamento interno, non sono tenute all’obbligo del rinvio pregiudiziale alla Corte comunitaria ove la disposizione comunitaria di cui è causa ha già costituito oggetto d’interpretazione da parte della Corte ed ove la disposizione comunitaria s’imponga con tale evidenza da non lasciare adito a ragionevoli dubbi (Corte giust. Ce, 6 ottobre 1982). Il rinvio pregiudiziale della causa alla Corte di giustizia europea, ai sensi dell’art. 177 del Trattato istitutivo della Cee, volto ad ottenere l’interpretazione delle norme comunitarie, trova la sua giustificazione nell’esigenza di assicurare la corretta ed uniforme applicazione del diritto comunitario in tutti i paesi membri; di modo che l’obbligatorietà del rinvio viene meno quando la questione sia materialmente identica ad altra già sollevata e già decisa in via pregiudiziale, ed in ogni ipotesi in cui la risposta al quesito si imponga con tale evidenza da non lasciare adito ad alcun ragionevole dubbio interpretativo (Cass. Sez. I, 18 febbraio 2000, n. 1804). Il che è quanto avvenuto per il caso esaminato rispetto al quale, come già rilevato, la Corte di giustizia comunitaria ha in più occasioni già avuto modo di chiarire che la normativa comunitaria – che è poi l’unica la quale può essere oggetto di rinvio pregiudiziale- va interpretata nel senso che le libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi possono essere derogate dagli Stati membri per ragioni di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica e nelsenso chenon spetta ad essa Cortema al giudice nazionale verificare se la normativa interna, alla luce delle sue concrete modalità di applicazione, risponda realmente ad obiettivi tali da giustificarla e se le restrizioni che essa propone non risultino sproporzionate rispetto all’obiettivo perseguito. A ciò va aggiunto che- in base alla stessa prospettazione della parte resistente- al fine della risoluzione della controversia in esame non vi è necessità di fare applicazione di alcuna norma di diritto comunitario di dubbia interpretazione, riguardando la questione devoluta al collegio la sola verifica dell’adeguatezza e proporzionalità del delineato sistema interno in materia di giochi e scommesse rispetto alla proclamata esigenza di tutela dell’ordine e la sicurezza pubblica; questione interpretativa la quale, come più volte ribadito dalla Corte comunitaria, è di pertinenza esclusiva del giudice nazionale. Adeguatezza e proporzionalità che- ad avviso del collegio- così come ritenuto dalle sezioni unite della Cassazione penale e per le ragioni precedentemente richiamate, risultano pienamente rispettate. La mancanza delle condizioni per disporre un rinvio alla Corte di giustizia comunitaria esclude, inoltre, la possibilità della sospensione del giudizio in corso, sia con riferimento all’ipotesi di cui al richiamato art. 177 del Trattato, che tale rinvio presuppone, sia con riferimento all’art. 295 del codice di procedura civile che- ad avviso del collegio-non può avere applicazione nei casi in cui si faccia questione di rinvio pregiudiziale alla Corte indicata. Potendo, inoltre, l’ordine e la sicurezza pubblica costituire un limite all’iniziativa economica che, pur essendo libera, non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale, e stante la già richiamata liberalizzazione all’accesso alla concessione per la gestione delle considerate attività, appare, poi, evidente che non sussiste violazione dei principi costituzionali cui ha fatto riferimento il Tribunale amministrativo regionale. Va considerato, infine, che alcuna rilevanza per la verifica della legittimità del provvedimento impugnato in primo grado ha il rappresentato scostamento di alcune decisioni di giudici penali rispetto all’indirizzo delle sezioni unite della Cassazione, né la sollecitazione della Commissione europea al Governo italiano per le proprie osservazioni in merito ad un’asserita violazione degli obblighi imposti dal Trattato.

Va, da ultimo, rilevato, che le ricorrenti ...OMISSIS.... ...OMISSIS.... e Di ...OMISSIS.... ...OMISSIS.... lamentano la lesione di un loro preteso interesse sostanziale che tuttavia differisce da quello considerato nelle richiamate sentenze della Corte di Giustizia.

Invero, le ricorrenti intendono svolgere attività di intermediazione per conto ed in nome di società estere che non hanno inteso avvalersi del diritto di stabilimento in Italia per lo svolgimento della suddetta attività.

Tale interesse è privo di tutela, in quanto la legislazione nazionale relega “il gioco e la scommessa” a livello di obbligazione naturale, privi di tutela giuridica in caso di mancato adempimento dell’obbligazione da parte del promittente.

L’Autorità amministrativa non è, pertanto, legittimata ad autorizzare lo svolgimento di un’attività che non consentirebbe al vincitore del gioco o della scommessa di evocare in giudizio la controparte, nel caso di mancato adempimento della propria obbligazione (naturale) di pagamento del premio o della scommessa.

La riserva allo Stato di tale tipo di attività fu sì che l’unica deroga ammessa a tale principio civilistico riguarda la possibilità che l’attività venga svolta da un soggetto munito di concessione o di autorizzazione rilasciate dalle prescritte Autorità nonché, come si è dinanzi precisato, da un soggetto incaricato dal concessionario o dal titolare della autorizzazione in forza della stessa concessione o autorizzazione.

Il principio di tipicità degli atti o provvedimenti amministrativi, unito a quello che relega il gioco e le scommesse nell’ambito delle obbligazioni naturali, fa sì che le suddette attività possono assumere rilevanza sul piano normativo, per qualsiasi soggetto privato, solo se svolto nei precisati limiti; vale a dire da chi è munito dei prescritti requisiti, così come precisati nella richiamata normativa primaria.

L’attività di intermediazione, in altri termini, è giuridicamente rilevante in questo campo solo se svolta in nome e per conto di un soggetto concessionario autorizzato ed in tale misura può essere assentito dalla pubblica Autorità.

8. L’appello va, conseguentemente, accolto, con la riforma dell’impugnata sentenza, il rigetto del ricorso proposto in primo grado e la compensazione delle spese processuali ricorrendovi giusti motivi per la complessità della lite.

P. Q. M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione sesta, accoglie l’appello ed in riforma dell’impugnata sentenza rigetta il ricorso proposto in primo grado al Tribunale amministrativo regionale. Spese compensate.

Ordina che la decisione venga eseguita in via amministrativa.

Così deciso il 14 luglio 2006 in camera di consiglio dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione sesta, con l’intervento dei sigg:

Claudio Varrone Presidente

Sabino Luce Consigliere Est.

Carmine Volpe Consigliere

Giuseppe Romeo Consigliere

Luciano Barra Caracciolo Consigliere


Presidente

CLAUDIO VARRONE

Consigliere Segretario

SABINO LUCE GLAUCO SIMONINI




DEPOSITATA IN SEGRETERIA


il...27/09/2006

(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)

Il Direttore della Sezione

MARIA RITA OLIVA



CONSIGLIO DI STATO

In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta)


Addì...................................copia conforme alla presente è stata trasmessa


al Ministero..............................................................................................


a norma dell'art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642


Il Direttore della Segreteria




N.R.G. 571/2006




FF



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