Cassazione: Sequestro di persona
SEQUESTRO DI PERSONA
Cass. pen. Sez. I, (u(Lpd) 08-10-2008) 24-11-2008, n. 43809
SEQUESTRO DI PERSONA
Fatto Diritto P.Q.M.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SILVESTRI Giovanni - Presidente
Dott. CANZIO Giovanni - Consigliere
Dott. ROMBOLA' Marcello - Consigliere
Dott. CASSANO Margherita - Consigliere
Dott. PIRACCINI Paola - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO CORTE D'APPELLO di ROMA;
nei confronti di:
1) (Lpd) N. IL ((Lpd));
avverso SENTENZA del 16/11/2007 CORTE ASSISE APPELLO di ROMA;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. CASSANO MARGHERITA;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. De Sandro A.M. che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;
udito il difensore avv. Albanese C. che ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
Svolgimento del processo
1. Il 16 novembre 2007 la Corte d'assise d'appello di Roma, sezione seconda penale, investita dell'impugnazione del pubblico ministero, confermava la sentenza emessa il 14 dicembre 2005 dalla locale Corte d'assise, quarta sezione penale, che aveva dichiarato (Lpd) colpevole dei delitti di sequestro di persona in danno di M.A.C. (capo a-bis), lesioni personali in danno di (Lpd) (capo b) e, riuniti i reati sotto il vincolo della continuazione, lo aveva condannato alla pena di dodici anni di reclusione, con interdizione perpetua dai pubblici uffici e interdizione legale durante l'esecuzione della pena, mentre lo aveva assolto dal reato di omicidio in danno dell'Ispettore della Polizia di Stato (Lpd)S. (capo c) per non avere commesso il fatto.
La medesima decisione di primo grado aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti di F. in ordine ai delitti di concorso nella detenzione e nel porto di armi (capo f) e di distruzione aggravata dell'auto Fiat Croma, targata ((Lpd)), impiegata per trasportare (Lpd) nel luogo di prigionia (capo i) per mancata concessione dell'estradizione.
Con distinta pronunzia della Corte d'assise di Roma, terza sezione penale, in data 29 marzo 2001 (divenuta irrevocabile) F. - arrestato in ((Lpd)) con le false generalità di (Lpd) nel possesso di 75.000 dollari USA, provento del riscatto pagato per la liberazione dell'ostaggio - era stato ritenuto responsabile del delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione in danno di (Lpd) in relazione al quale era stata concessa l'estradizione, poi estesa agli altri reati, eccezion fatta per quelli di cui ai capi f) ed i) in precedenza indicati.
2. Il delitto di omicidio in danno dell'Ispettore della Polizia di Stato (Lpd)S., oggetto del presente processo, si inquadra nel più ampio contesto della vicenda relativa al sequestro a scopo di estorsione di (Lpd), ideato e programmato da (Lpd), insieme con (Lpd) e (Lpd)
(successivamente deceduto), e, quindi, direttamente gestito da F. e C., dopo che le attività investigative avevano condotto all'arresto degli altri complici. In particolare F., insieme con C., aveva stabilito direttamente gli ulteriori contatti volti alla percezione della somma estorta; in tale contesto, si era verificato, il ((Lpd)), il conflitto a fuoco nel corso del quale aveva perso la vita l'Ispettore (Lpd), coinvolto nelle operazioni di polizia finalizzate alla liberazione di (Lpd), che, pur dopo l'arresto di alcuni dei sequestratori, continuava ad essere tenuto in ostaggio da (Lpd) e (Lpd), i quali avevano chiesto il pagamento del riscatto in cambio della sua liberazione. In particolare l'ispettore (Lpd) aveva composto, insieme con gli agenti (Lpd)Cl. e (Lpd)St., la squadra chiamata a intervenire nel luogo indicato dai sequestratori per la consegna del riscatto.
(Lpd), (Lpd), (Lpd), separatamente processati, venivano condannati con sentenza della Corte d'assise di Roma del 12 aprile 2000 (passata in giudicato) in ordine a tutti i reati contestati in connessione con il sequestro di (Lpd), compreso il delitto di omicidio volontario in danno dell'Ispettore di Polizia (Lpd)S., appartenente al corpo speciale dei Nocs.
3. I giudici d'appello pervenivano all'assoluzione di (Lpd) dal delitto di concorso in omicidio sulla base di una rilettura critica del materiale probatorio acquisito (annotazione di servizio redatta il ((Lpd)) dagli agenti (Lpd) e (Lpd); testimonianze dagli stesse rese, informativa della Questura di Roma, Squadra Mobile, datata ((Lpd)); verbali di rinvenimento e sequestro del fucile kalashnikov in disponibilità di (Lpd) ad opera dell'assistente capo (Lpd);
dichiarazioni auto ed etero accusatorie di (Lpd), appostato armato, insieme con B., in prossimità del luogo concordato con gli emissari incaricati della consegna dei soldi del riscatto e confesso circa l'esplosione di colpi d'arma da fuoco; consulenze medico-legali e balistiche, disposte dal pubblico ministero ed effettuate sul corpo della vittima e sui reperti in sequestro, costituiti da dieci bossoli cal. 7,62x39, cinque bossoli cal.
5,56x55, una pallottola cal. 7,62x39, esplosi, rispettivamente, con il fucile automatico Kalasnikov in possesso di M. e con il fucile automatico Galil in dotazione all'agente (Lpd); consulenza svolta nell'interesse della parte civile dal Prof. Fe.
R.; contributi scritti, a firma rispettivamente del dott. (Lpd), dell'ing. (Lpd)M. e del dott. (Lpd), consulenti nominati dal pubblico ministero nell'ambito delle operazioni peritali collegiali disposte dal giudice di prime cure) alla luce della perizia collegiale disposta ex art. 507 c.p.p. ed effettuata dai dott. Ca.Ge., (Lpd)A. e Mo.St., successivamente escussi nel corso del dibattimento, dei rilievi tecnici eseguiti sulla scena del delitto il ((Lpd)) e della testimonianza del dott. (Lpd), dirigente della Polizia di Stato.
L'elaborato collegiale evidenziava i seguenti profili: a) la vittima era morta in conseguenza di uno shock emorragico acuto conseguente alla lacerazione traumatica dell'aorta a livello dell'arco, dell'arteria carotidea sinistra e della vena giugulare sinistra; b) L'Ispettore (Lpd) era stato attinto da un solo proiettile sparato da distanza ravvicinata, mentre si trovava in posizione raccolta con gli arti inferiori flessi e con il tronco chino in avanti, mentre lo sparatore si trovava alla sua sinistra lievemente arretrato; c) l'unico colpo d'arma da fuoco che aveva attinto l'Ispettore era stato esploso a brevissima distanza da una pistola cal. 9 mm "parabellum"; d) i colpi esplosi dal fucile Galil (cinque) erano stati esplosi in direzione del soggetto che imbracciava il Kalashnikov; e) lo sparatore si trovava a sinistra della vittima e più in basso rispetto ad essa; f) non vi era compatibilità tra i reperti balistici (proiettili, bossoli e microtracce di proiettili repertati) e gli indumenti e le ferite sul corpo della vittima; g) le particelle (piccoli frammenti metallici e di vernice) erano del tutto estranei all'evento che aveva causato la morte dell'Ispettore di Polizia; h) le macchie di sangue rilevate sul terreno nel corso dell'ispezione dei luoghi derivavano da gocciolatura e non da sangue versato per diretto contatto di un soggetto ferito nè evidenziavano segni di trascinamento.
I rilievi fotografici del ((Lpd)), valutati anche alla luce della testimonianza resa a dibattimento dal dott. Ca. e delle registrazioni dei colloqui intercorsi nell'immediatezza del fatto tra i diversi appartenenti alle forze dell'ordine, mettevano in luce le seguenti circostanze: 1) il luogo in cui era caduto l'Ispettore (Lpd) non doveva essere collocato, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di primo grado, a cinquanta metri circa dall'incrocio della via ((Lpd)), secondo quanto riferito dagli agenti (Lpd) e (Lpd), bensì in corrispondenza della prima campata del viadotto "((Lpd))", posto al km 45,200 dell'autostrada ((Lpd)) (numero 90 dei rilievi fotografici) e, quindi, in un luogo non raggiungibile dai colpi che, secondo l'accusa, sarebbero stati esplosi (peraltro in altra direzione), da (Lpd); b) il corpo della vittima, secondo quanto documentato dalle numerose tracce ematiche rilevate, aveva subito un lungo spostamento che non era spiegabile, attesa la conformazione pianeggiante dei luoghi e la loro facile accessibilità, con la necessità dei soccorsi; 3) era intercorso un lasso di tempo pari a circa tredici - quattordici minuti tra la prima segnalazione del ferimento dell'Ispettore (Lpd) e il momento in cui era stata comunicata via radio la posizione dei soccorritori; 4) sul luogo dell'accaduto era stata rinvenuta una cartuccia cal. 9, recante sul fondello la scritta "G.F.L. 93" (numero 6 dei rilievi fotografici), ossia del medesimo calibro del colpo che aveva attinto la vittima ed era stato esploso da una distanza non superiore al metro, incompatibile con la dinamica dei fatti descritta dagli Agenti (Lpd) e (Lpd) con riferimento alla condotta di M..
Sulla base di questi elementi i giudici di secondo grado osservavano che in uno scenario così vasto, caratterizzato dalla concentrazione sul luogo delle operazioni di un numero imprecisato di uomini armati, alcuni dei quali giunti ore prima sul posto (cfr. squadra di N. S.) assumevano un rilievo determinante, per confutare la tesi accusatoria, le seguenti argomentazioni, basate soprattutto sull'esito degli accertamenti collegiali di natura medico-legale e balistica e sulle risultanze dei rilievi tecnici eseguiti il ((Lpd)): a) il colpo che aveva ucciso l'Ispettore (Lpd) non era stato esploso dalle poche armi sequestrate, tra le numerose presumibilmente in uso agli uomini delle forze dell'ordine; b) il luogo in cui era caduto l'Ispettore era inconciliabile con la posizione assunta da (Lpd) nel corso della sparatoria e riferita dai testi (Lpd) e (Lpd), così come del resto anche il percorso dello spostamento del corpo era incompatibile con l'ipotesi accusatoria; c) la distanza dalla quale era stato sparato il colpo mortale non era superiore al metro e confliggeva, quindi, con la testimonianza degli Agenti (Lpd) e (Lpd) circa la posizione assunta da M.M. all'atto della sparatoria (distanza di oltre dieci metri dalla vittima); d) il colpo che aveva attinto l'Ispettore (Lpd) non era stato esploso da un fucile mitragliatore Kalashnikov; e) il colpo che aveva attinto la vittima non era stato esploso da una persona posta a venti-venticinque metri di distanza di fronte alla stessa, così come suggerito dall'annotazione a firma degli Agenti (Lpd) e (Lpd); f) le tracce di vernice verde e dei frammenti metallici rilevati in sede autoptica erano estranei all'evento produttivo della morte dell'Ispettore (Lpd).
4. Avverso la sentenza della Corte d'assise d'appello di Roma ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d'appello di Roma, il quale lamenta violazione di legge, carenza, illogicità, contraddizione della motivazione e travisamento dei fatti e delle prove con riferimento ai seguenti profili: a) le argomentazioni sviluppate a sostegno dell'ipotesi l'Ispettore (Lpd) era stato attinto mortalmente dal colpo d'arma da fuoco fuori dal campo operativo erano illogiche e contraddittorie e smentite dalla relazione a firma degli Agenti (Lpd) e (Lpd), dalle testimonianze dai medesimi rese, dalle registrazioni delle comunicazioni via radio intercorse, il giorno dell'accaduto, tra i vari appartenenti alla Polizia di Stato, e, inoltre, erano carenti e incomplete, in quanto omettevano di valutare la considerevole distanza intercorrente tra la prima campata del viadotto "((Lpd))" e il luogo dove era stato rinvenuto il reperto contraddistinto con il n. 6 (trovato a quindici metri dall'incrocio della strada, in parte asfaltata, che si origina sulla sinistra della ex statale 5), la natura de relato delle dichiarazioni del dott. Ca., destinatario dei racconti frammentari dei vari partecipanti all'operazione e intervenuto sul luogo solo a distanza di trenta-quantacinque minuti dal fatto; b) erano stati svalutati, in modo immotivato e illogico, il contenuto della relazione di servizio degli Agenti (Lpd) e (Lpd), le loro deposizioni, le dichiarazioni rese dagli imputati B., Se., Mo., le testimonianze rese dall'Ispettore Fe. e dall'Agente N. S., il contenuto dei rilievi eseguiti il ((Lpd)) ed evidenzianti lo stato della sede stradale nel punto in cui l'Ispettore (Lpd) venne collocato dopo essere stato recuperato nel dirupo in cui era precipitato a seguito della sparatoria; c) il contenuto degli accertamenti medico-legali e balistici doveva essere letto e valutato insieme con le dichiarazioni degli Agenti (Lpd) e (Lpd), riguardanti le modalità e la provenienza dell'azione di fuoco di Mo. e il rinvenimento del fucile Kalashnikov; il complesso di questi evidenziava che a cagionare la morte dell'Ispettore (Lpd) era stato un proiettile cal. 7,62x39 esploso, non da distanza ravvicinata, dal fucile automatico kalashnikov imbracciato da Mo.; d) erano state immotivatamente svalutate le consulenze svolte dal Prof. To. e dal dott. Be. in merito alla presenza di tracce di vernice verde registrate sugli indumenti della vittima, ricondotte dagli stessi consulenti del pubblico ministero alla medesima sostanza rinvenuta sui proiettili traccianti del kalashnikov in possesso di Mo.
M. e con cui lo stesso, per sua ammissione, aveva fatto fuoco.
Motivi della decisione
Il ricorso è manifestamente infondato.
1. Il Collegio osserva preliminarmente che, alla luce della nuova formulazione dell'art. 606 c.p.p., lett. e), così come novellato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve essere volto a verificare che la motivazione della pronunzia: a) sia "effettiva" e non meramente apparente, ossia realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia "manifestamente illogica", in quanto risulti sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell'applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente contraddittoria, ovvero sia esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente "incompatibile" con "altri atti del processo" (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso per cassazione) in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico (Cass., Sez. 6^, 15 marzo 2006, Casula).
Non è, dunque, sufficiente che gli atti del processo invocati dal ricorrente siano semplicemente "contrastanti" con particolari accertamenti e valutazioni del giudicante o con la sua ricostruzione complessiva e finale dei fatti e delle responsabilità nè che siano astrattamente idonei a fornire una ricostruzione più persuasiva di quella fatta propria dal giudicante. Ogni giudizio, infatti, implica l'analisi di un complesso di elementi di segno non univoco e l'individuazione, nel loro ambito, di quei dati che - per essere obiettivamente più significativi, coerenti tra loro e convergenti verso un'unica spiegazione - sono in grado di superare obiezioni e dati di segno contrario, di fondare il convincimento del giudice e di consentirne la rappresentazione, in termini chiari e comprensibili, ad un pubblico composto da lettori razionali del provvedimento.
E', invece, necessario che gli atti del processo richiamati dal ricorrente per sostenere l'esistenza di un vizio della motivazione siano autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione sia in grado di disarticolare l'intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione (Cass., Sez. 6^, 15 marzo 2006, Casula).
Il giudice di legittimità è, pertanto, chiamato a svolgere un controllo sulla persistenza o meno di una motivazione effettiva, non manifestamente illogica e internamente coerente, a seguito delle deduzioni del ricorrente concernenti "atti del processo". Tale controllo, per sua natura, è destinato a tradursi - anche a fronte di una pluralità di deduzioni connesse a diversi "atti del processo" e di una correlata pluralità di motivi di ricorso - in una valutazione, di carattere necessariamente unitario e globale, sulla reale "esistenza" della motivazione e sulla permanenza della "resistenza" logica del ragionamento del giudice.
Al giudice di legittimità resta, infatti, preclusa, in sede di controllo sulla motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice di merito, perchè ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Queste operazioni trasformerebbero, infatti, la Corte nell'ennesimo giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai giudici di merito (a cui le parti non prestino autonomamente acquiescenza) rispetti sempre uno standard di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l'iter logico seguito dal giudice per giungere alla decisione.
2. La categoria logico-giuridica del travisamento della prova deve essere tenuta distinta da quella concernente il vizio di travisamento del fatto. La prima, infatti, a differenza del secondo, implica non una rivalutazione del fatto, che è incompatibile con il giudizio di legittimità, ma la constatazione che esiste una palese divergenza del risultato probatorio rispetto all'elemento di prova emergente dagli atti processuali e che, quindi, una determinata informazione probatoria utilizzata in sentenza, oggetto di analitica censura chiaramente argomentata, è contraddetta da uno specifico atto processuale, pure esso specificamente indicato. La recente riformulazione dell'art. 606 c.p.p., lett. e) ad opera della L. n. 46 del 2006, art. 8, non confermando l'indeclinabilità della regola preclusiva dell'esame degli atti processuali ed ammettendo un sindacato esteso a quelle forme di patologia del discorso giustificativo riconoscibili solo all'esito di una cognitio facti ex actis, colloca il vizio di travisamento della prova, cioè della prova omessa o travisata, rilevante e decisiva, nel peculiare contesto del vizio motivazionale, attesa la storica inerenza di esso al tessuto argomentativo della ratio decidendi (Cass. Sez. 6^, 20 marzo 2006, rv. 233621; Cass., Sez. 1^, 9 maggio 2006, rv. 233783;
Cass., Sez. 2^, 23 marzo 2006, rv. 233460; Cass., Sez. 5^, 11 aprile 2006, rv. 233789; Cass., Sez. 4^, 28 aprile 2006, rv. 233783; Cass., Sez. 3^, 12 aprile 2006, rv. 233823).
In virtù della novella legislativa del 2006 viene ad assumere, pertanto, pregnante rilievo l'obbligo di fedeltà della motivazione agli atti processuali/probatori, risultandone valorizzati i criteri di esattezza, completezza e tenuta informativa e, al contempo, rafforzato quell'onere di "indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto" a sostegno del singolo motivo di ricorso, che già gravava sul ricorrente ai sensi dell'art. 581 c.p.p., lett. c).
Il vizio di prova "omessa" o "travisata" sussiste, peraltro, soltanto quando l'accertata distorsione disarticoli effettivamente l'intero ragionamento probatorio e renda illogica la motivazione, per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio trascurato o travisato, secondo un parametro di rilevanza e di decisività. 3. Esaminata in quest'ottica la motivazione della sentenza impugnata si sottrae alle censure che le sono state mosse dal pubblico ministero ricorrente, che ha denunciato, da un lato, la carenza, l'illogicità e l'intrinseca contraddittorietà della motivazione e, dall'altro, ha ricondotto alla categoria logico-giuridica della prova "omessa" o "travisata" non l'omessa pronunzia su un significativo dato processuale o probatorio nè la palese divergenza del risultato probatorio rispetto all'elemento di prova emergente dagli atti processuali, bensì l'erronea valutazione di attendibilità e concludenza dell'elemento probatorio, avvenuta in violazione delle regole ermeneutiche che devono presiedere la struttura logica della motivazione in fatto.
Il provvedimento impugnato, con motivazione esente da manchevolezze, evidenti incongruenze o da interne contraddizioni e con puntuale e corretto richiamo alle risultanze processuali, ha illustrato il complesso degli elementi posti a base dell'assoluzione di (Lpd) dal delitto di concorso nel delitto di omicidio volontario a lui contestato, seguendo un organico iter argomentativo.
Preliminarmente ha, infatti, preso in esame i dati processuali valorizzati, nella prospettiva d'accusa, dal pubblico ministero ricorrente e, in particolare, il contenuto dell'annotazione di servizio redatta il ((Lpd)) dagli agenti (Lpd) e (Lpd) (che ne confermavano il contenuto nel corso delle rispettive testimonianze dibattimentali), la nota informativa della Questura di Roma, Squadra Mobile, datata ((Lpd)) contenente la ricostruzione degli accadimenti, i verbali di rinvenimento e sequestro del fucile kalashnikov, dei dieci bossoli cal. 7,62x39, dei cinque bossoli cal. 5,56x55, della pallottola cal. 7,62x39, esplosi, rispettivamente, dal fucile automatico Kalasnikov in possesso di Mo. e dal fucile automatico Galil in dotazione all'agente (Lpd), le dichiarazioni auto ed etero rese da Mo., le consulenze medico-legali e balistiche, disposte dal pubblico ministero ed effettuate sul corpo della vittima e sui reperti in sequestro. In un secondo momento ha valutato criticamente tali risultanze - idonee ad avviso del ricorrente a dimostrare che la vittima fosse stata attinta da un colposo esploso dal fucile kalashnikov in uso a (Lpd) - alla luce delle successive, ulteriori acquisizioni probatorie (perizia collegiale disposta ex art. 507 c.p.p. ed effettuata dai dott. Ca.Ge., (Lpd)A. e Mo.St., escussi nel corso del dibattimento, i rilievi tecnici eseguiti sulla scena del delitto il ((Lpd)), testimonianza resa dal dott. (Lpd), dirigente della Polizia di Stato), idonee ad inficiare l'impostazione accusatoria.
Infatti l'elaborato collegiale, con ampiezza di argomentazioni e di riferimenti alle tecniche seguite e alla loro attendibilità scientifica, giungeva alle seguenti conclusioni: a) la causa della morte dell'Ispettore (Lpd) era da ricercare in uno shock emorragico acuto conseguente alla lacerazione traumatica dell'aorta a livello dell'arco, dell'arteria carotidea sinistra e della vena giugulare sinistra; b) la vittima era stato attinta da un solo proiettile, esploso da un'arma cal. 9 "parabellum" da distanza ravvicinata, non superiore al metro, mentre si trovava in posizione raccolta con gli arti inferiori flessi e con il tronco chino in avanti, e lo sparatore si trovava alla sinistra della vittima, più in basso rispetto ad essa e lievemente arretrato; c) sussisteva incompatibilità tra i reperti balistici (proiettili, bossoli e microtracce di proiettili repertati) e gli indumenti e le ferite sul corpo della vittima; d) le macchie di sangue rilevate sul terreno nel corso dell'ispezione dei luoghi derivavano da gocciolatura e non da sangue versato per diretto contatto di un soggetto ferito nè evidenziavano segni di trascinamento; e) le particelle costituite da piccoli frammenti metallici e da vernice erano del tutto estranee all'evento che aveva causato la morte dell'Ispettore di Polizia.
I giudici di merito sottolineavano che le conclusioni della perizia collegiale trovavano un obiettivo elemento di riscontro nei rilievi fotografici eseguiti il ((Lpd)), evidenzianti che:
- il luogo in cui era caduto l'Ispettore (Lpd) doveva essere situato in corrispondenza della prima campata del viadotto "((Lpd))", posto al km 45,200 dell'autostrada ((Lpd)) (numero 90 dei rilievi fotografici), località non raggiungibile dai colpi che, secondo l'accusa, sarebbero stati esplosi (peraltro in altra direzione), da (Lpd);
- il corpo della vittima aveva subito un lungo spostamento che non era spiegabile, attesa la conformazione pianeggiante dei luoghi e la loro facile accessibilità, con la necessità dei soccorsi;
- sul posto era stata rinvenuta e sequestrata una cartuccia cal. 9, recante sul fondello la scritta "G.F.L. 93" (numero 6 dei rilievi fotografici) e avente il medesimo calibro del colpo che aveva attinto la vittima;
La sentenza impugnata argomentava, poi che le risultanze degli accertamenti medico-legali svolti in forma collegiale e dei rilievi fotografici eseguiti il ((Lpd)) trovavano conforto ulteriore, da un lato, nelle registrazioni dei colloqui intercorsi, il giorno del fatto, tra gli appartenenti alla Polizia di Stato, evidenzianti un lasso di tempo pari a circa tredici - quattordici minuti tra la prima segnalazione del ferimento dell'Ispettore (Lpd) e il momento in cui era stata comunicata via radio la posizione dei soccorritori e, dall'altro, nella testimonianza resa a dibattimento dal dott. Ca., il quale riferiva, sia pure per averlo appreso da terzi, che lo scambio di colpi che condusse a morte l'Ispettore (Lpd) avvenne sotto un ponte.
Sulla base dell'analisi attenta e puntuale degli specifici elementi in precedenza sintetizzati e delle doglianze formulate dal pubblico ministero, i giudici di secondo grado, con motivazione immune da vizi logici e giuridici e fondata su un completo iter argomentativo, contenente una risposta a tutte le doglianze formulate, giungevano alla conclusione che: il colpo che aveva ucciso l'Ispettore (Lpd) era stato esploso, da una distanza non superiore al metro, da un'arma diversa da un fucile mitragliatore Kalashnikov; il luogo in cui era caduto l'Ispettore era inconciliabile con la posizione assunta da (Lpd) nel corso della sparatoria, descritta nell'annotazione di servizio redatta nell'immediatezza dei fatti e confermata a dibattimento dai testi (Lpd) e (Lpd); il percorso dello spostamento del corpo (documentato dalla numerose tracce ematiche rilevate il ((Lpd))) era incompatibile con l'ipotesi accusatoria; le tracce di vernice verde e dei frammenti metallici rilevati in sede autoptica erano estranei all'evento produttivo della morte dell'Ispettore (Lpd).
In questo contesto non possono trovare accoglimento le prospettazioni del P.G. ricorrente, volte a impegnare la Corte o in una ricostruzione alternativa dei fatti o in una rilettura nel merito delle singole circostanze, laddove, invece, come già chiarito, il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato è - per espressa disposizione legislativa - rigorosamente circoscritto a verificare che la pronuncia sia sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell'applicazione delle regole della logica, non fondate su dati contrastanti con il "senso della realtà" degli appartenenti alla collettività ed infine esenti da vistose ed insormontabili incongruenze tra di loro. Il controllo di legittimità di questo Collegio, appuntato esclusivamente sulla coerenza strutturale "interna" della sentenza, di cui ha saggiato la oggettiva "tenuta" sotto il profilo logico-argomentativo e, per tale via, anche l'accettabilità da parte di un pubblico composto da lettori razionali del provvedimento e da osservatori disinteressati della vicenda processuale, non ha consentito, quindi, di riscontrare l'esistenza dei vizi denunciati. E', del resto, preclusa a questo giudice di legittimità - in sede di controllo sulla motivazione - la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, sollecitata nel ricorso, o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perchè ritenuti maggiormente e plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa, pure sollecitata dal P.G. ricorrente. Queste operazioni trasformerebbero infatti la Corte nell'ennesimo giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai giudici di merito (a cui le parti non prestino autonomamente acquiescenza) rispetti sempre uno standard minimo di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l'iter logico seguito dal giudice per giungere alla decisione.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricor(Lpd)
Così deciso in Roma, nella pubblica udienza, il 8 ottobre 2008.
Depositato in Cancelleria il 24 novembre 2008
Trib. Padova, 15-07-1983
Amore
LIBERTA' PERSONALE DELL'IMPUTATO
Arresto
in genere
Libertà personale, in genere
Rispondono del reato di abuso di autorità contro arrestati, di cui all'art. 608 c. p., e non di sequestro di persona, gli appartenenti al Nocs (nucleo operativo centrale sicurezza) i quali, avendo il potere-dovere di custodia di imputati arrestati in flagranza all'atto della liberazione di persona sequestrata per finalità di eversione, abbiano trasportato uno degli imputati fuori dei locali dell'ispettorato di zona del secondo reparto celere, dove era legalmente custodito, già bendato e ammanettato, caricandolo nel bagagliaio di un'auto e trasportandolo in località sconosciuta, dove veniva sottoposto a percosse e minacce; indi lo abbiano trasportato in un sotterraneo, e sottoposto ad altre percosse e violenze, prima di riportarlo nei locali di legittima detenzione (nella specie: si è ritenuto che costituisce , ai sensi dell'art. 608 c. p., qualsiasi attività restrittiva della residua libertà di detenuti e, dunque, anche un trasporto del detenuto fuori del luogo di custodia, indipendentemente dalle modalità, in quanto la sua finalità lo renda giuridicamente illegittimo).
FONTI
Foro It., 1984, II, 230 nota di PULITANò
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