TAR 2018: ricorso
contro rigetto istanza di rimborso delle spese legali sostenute dal
ricorrente in un procedimento penale nel quale è stato pienamente
assolto
Pubblicato il
03/07/2018
N. 01544/2018
REG.PROV.COLL.
N. 02337/2014
REG.RIC.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO
ITALIANO
Il Tribunale
Amministrativo Regionale per la Sicilia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la
presente
SENTENZA
sul ricorso numero
di registro generale 2337 del 2014, proposto da
xxx xxx xxx,
rappresentato e difeso dall'avvocato Luca Giardina Cannizzaro, con
domicilio eletto presso il suo studio in Palermo, via Brunetto Latini
34;
contro
Ministero della
Difesa, in persona del legale rappresentante pro tempore,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato,
domiciliataria ex lege in Palermo, via A. De Gasperi 81;
per l'annullamento
della determina del
giorno 15 maggio 2014, notificata il giorno 4 giugno 2014, con la
quale il Direttore della 3^ divisione del Ministero della Difesa ha
rigettato l’istanza di rimborso delle spese legali sostenute dal
ricorrente in un procedimento penale nel quale è stato pienamente
assolto, conformandosi in toto al parere precedentemente reso con
nota n. 3347/12 del giorno 26 giugno 2012, avverso la quale pure si
ricorre, con il quale l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di
Palermo aveva espresso parere sfavorevole in ordine all’istanza di
rimborso;
- del parere
dell’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Palermo reso con nota
n. 3347/12 del giorno 22 luglio 2013, non comunicato al ricorrente e
pervenuto all’Amministrazione resistente in data 8 maggio 2014, con
cui, valutate le osservazioni formulate dal M.llo xxx, è stato
confermato il precedente parere negati, anch’esso richiamato nel
provvedimento impugnato;
- ove occorra, del
preavviso di rigetto n. 0305061 del giorno 23 luglio 2012, con il
quale l’Amministrazione resistente aveva comunicato i motivi
ostativi all’accoglimento dell’istanza invitandolo a formulare le
proprie osservazioni e deduzioni;
nonché per sentir
dire e dichiarare,
il diritto del
ricorrente ad ottenere il rimborso delle spese legali sostenute nel
procedimento penale R.G.N.R. n. 13478/01 - R.G. Tribunale n. 3720/06,
concluso con sentenza di assoluzione n. 1609/2011 del 24 marzo 2011
del Tribunale di Palermo, sez. V Penale, passata in giudicato, come
da parcella in atti;
e per sentir
condannare,
l’Amministrazione
resistente al risarcimento dei danni, anche da ritardo nel provvedere
in favore dell’odierno ricorrente, da quantificarsi in via
equitativa nell’ammontare di €. 5.000,00 ovvero altra somma
maggiore o minore ritenuta equa e di giustizia.
Visti il ricorso e i
relativi allegati;
Visto l'atto di
costituzione in giudizio di Ministero della Difesa;
Visti tutti gli atti
della causa;
Relatore
nell'udienza pubblica del giorno 11 maggio 2018 il dott. Giovanni
Tulumello e uditi per le parti i difensori come specificato nel
verbale;
Ritenuto e
considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con ricorso
ritualmente notificato e depositato il sig. xxx xxx xxx, Maresciallo
dell’Arma dei Carabinieri, odierno ricorrente, ha impugnato i
provvedimenti indicati in epigrafe con cui gli è stato negato il
rimborso per le spese legali sostenute, ai sensi dell’art. 18 del
d.l. n. 67/1997, convertito in legge n. 135/1997.
Ha chiesto,
pertanto, l’accertamento del suo diritto al rimborso della somma di
€.23.685,00 (oltre IVA e C.P.A.) per la difesa legale nel
procedimento penale definito con sentenza del Tribunale di Palermo,
sez. V Penale, n. 1609/2011 del 24.03.2011, oltre al risarcimento dei
danni, anche da ritardo, quantificati in via equitativa in misura
pari ad euro 5.000,00, e conseguente condanna dell’Amministrazione
al suddetto pagamento.
Con atto del
12.09.2014, si costituiva in giudizio il Ministero della Difesa,
difeso ope legis dall’Avvocatura dello Stato.
All’udienza
pubblica dell’11 maggio 2018, previo il deposito di memorie e
repliche ex art. 73 c.p.a., la causa è stata posta in decisione.
2. Va premesso, che
il giudizio di congruità espresso dall'Avvocatura dello Stato
riveste una natura tipicamente tecnico-discrezionale, per cui non può
essere sindacato in sede di scrutinio di legittimità se non per
errori di fatto percepibili ictu oculi ovvero per palese illogicità,
carenza di motivazione, incoerenza, irrazionalità ovvero per
violazione delle norme che ne regolano l'espressione, ferma restando
la necessità di una motivazione logica e coerente, che, in modo
sintetico, consenta di comprendere la scelta operata nel delineare il
quantum debeatur (cfr. Consiglio di Stato, sez. II, 30 giugno 2015,
n. 7722).
3. Ciò posto,
possono esaminarsi i fatti di causa.
3.1. Con richiesta
di rinvio a giudizio del 2004, il sig. xxx, già Comandante della
Stazione dei Carabinieri di xxx, veniva imputato dei delitti di cui
agli artt. 81 cpv, 615-ter commi I, II.1. e III c.p. ed artt. 81 cpv,
110, 326 comma 3 c.p., per presunta rivelazione di segreti d’ufficio
ed accesso abusivo a sistema informatico.
Il predetto giudizio
veniva definito con sentenza del Tribunale di Palermo del 24 marzo
2011, che proscioglieva il ricorrente con la formula assolutoria
“perché il fatto non sussiste”.
Il ricorrente,
pertanto, formulava istanza al Ministero della Difesa di essere
ammesso ai benefici di cui all’art. 18 d.l. 25 marzo 1997, n. 67 e,
pertanto, di essere tenuto indenne dalle spese legali sopportate.
L’istanza veniva
tuttavia respinta dall’Amministrazione resistente con i
provvedimenti in epigrafe, sulla scorta delle seguenti motivazioni:
-la condotta per la
quale il dipendente è stato sottoposto a processo penale non sarebbe
stata finalizzata all’adempimento di un dovere d’ufficio, ma
avrebbe trovato mera occasione nello svolgimento del servizio;
- l’assoluzione da
responsabilità penale sarebbe avvenuta soltanto per difetto delle
necessarie risultanze processuali.
3.2. Il ricorrente
ha impugnato i predetti provvedimenti, ritenutane la illegittimità
per violazione e falsa applicazione di legge ed eccesso di potere,
sotto diversi profili patologici.
In sintesi, premessi
i presupposti fissati dalla legge per la concessione del beneficio in
parola, il ricorrente osserva che, quanto al requisito della
sussistenza di atti e fatti connessi con l’espletamento del
servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali, i capi di
imputazione erano la rivelazione di segreti d’ufficio e l’accesso
abusivo a sistema informatico, di talché, le predette condotte
rientravano senz’altro tra i suoi doveri istituzionali, non
ricorrendo, al contrario, una mera occasionalità.
Il nesso di
strumentalità tra il compimento dell’atto e l’adempimento dei
suoi doveri, peraltro, sarebbe confermato nel fatto che il rinvio a
giudizio, tra l’altro, era stato così motivato: “commettendo il
fatto con violazione dei doveri inerenti la sua funzione e comunque
abusando della sua qualità di sottoufficiale Comandante della
Stazione dei Carabinieri di xxx” (cfr. sentenza di assoluzione,
capo di imputazione p. 3).
Quanto al requisito
riguardante l’esistenza di un provvedimento giurisdizionale che
dichiari il dipendente esente da ogni responsabilità, esso sarebbe
innegabile attesa la sentenza di assoluzione in suo favore, “perché
il fatto non sussiste”. Inoltre, quand’anche si ammettesse che il
proscioglimento fosse stato dettato per insufficienza probatoria,
nondimeno, il ricorrente non è stato sottoposto ad alcun
procedimento disciplinare.
4. Il ricorso non
può essere accolto.
4.1. In primo luogo,
stabilisce l’art. 18, comma 1, del d.l. 25 marzo 1997, n. 67,
convertito con modificazioni in L. 23 maggio 1997, n. 135: «1. Le
spese legali relative a giudizi per responsabilità civile, penale e
amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di
amministrazioni statali in conseguenza di fatti ed atti connessi con
l'espletamento del servizio o con l'assolvimento di obblighi
istituzionali e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la
loro responsabilità, sono rimborsate dalle amministrazioni di
appartenenza nei limiti riconosciuti congrui dall'Avvocatura dello
Stato».
Assume decisivo
rilievo, nella specie, l’esatta portata interpretativa della norma
e, soprattutto, la prevista connessione degli atti e fatti, in
relazione ai quali il dipendente è stato sottoposto a giudizio, con
“l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi
istituzionali”.
È già stato
ampiamente osservato in giurisprudenza, come la norma sopra
richiamata costituisce espressione di un principio generale
dell’ordinamento amministrativo in base al quale è consentito
all’Amministrazione di intervenire a sostegno della difesa del suo
dipendente in tutti i casi in cui l’imputazione riguardi
un’attività svolta in diretta connessione con i fini dell’Ente
(fra le tante, T.A.R. Lazio - Roma, sez. I, 26 aprile 2010, n. 8478;
Cassazione civile, sez. I, 3 gennaio 2008, n. 2).
La ratio, invero, è
quella di tenere indenni i soggetti che abbiano agito in nome e per
conto, oltre che nell’interesse dell’Amministrazione, delle spese
legali affrontate per i procedimenti giudiziari strettamente connessi
all’espletamento dei loro compiti istituzionali, con la conseguenza
che “il requisito essenziale in questione può considerarsi
sussistente solo quando risulti possibile imputare gli effetti
dell’agire del pubblico dipendente direttamente all’Amministrazione
di appartenenza" (Cons. Stato, III sez., 25 novembre 2003,
parere n. 332/03).
Come già precisato
da questa Sezione con le sentenze n. 5570/2010, n. 127/2005 e n.
128/2005, si richiede che il fatto o l'atto oggetto del giudizio sia
stato compiuto nell'esercizio delle attribuzioni affidate al
dipendente; che vi sia un nesso di strumentalità tra l'adempimento
del dovere e il compimento dell'atto, nel senso che il dipendente non
avrebbe assolto ai suoi compiti se non compiendo quel fatto o
quell’atto (cfr. anche C.G.A., sez. cons., n. 358/2006). A ben
vedere la tematica che qui ci occupa comporta l’applicazione al
settore della pubblica amministrazione del divieto generale di
locupletatio cum aliena iactura, proprio del diritto privato.
Di conseguenza, ai
fini dell'applicabilità del richiamato art. 18, è richiesto un
nesso di strumentalità diretto tra l'adempimento del dovere ed il
compimento dell'atto o condotta, nel senso che il dipendente pubblico
non avrebbe assolto ai suoi compiti, se non ponendo in essere quel
determinato atto o condotta; non può, invece, darsi rilevanza ad una
connessione con il fatto di reato di tipo soggettivo ed indiretto, in
quanto lo spazio di applicazione della tutela legale si dilaterebbe
eccessivamente, ben oltre i confini segnati dal predetto art. 18
(Cons. Stato, sez. II, 13 maggio 2015, n. 5274).
4.2. Applicando le
superiori coordinate ermeneutiche al caso di specie, si ritiene che
non possa trovare accoglimento la prospettazione di parte ricorrente,
la quale tenta di ricondurre la fattispecie nell’alveo applicativo
dell’art. 18 sulla base della circostanza che i fatti aventi
presunta rilevanza penale siano stati contestati al ricorrente quali
“reati propri” (nel senso di reati richiedenti espressamente la
qualità soggettiva di pubblico ufficiale).
Ed infatti, il
ricorrente sostiene che la sua condotta rientrerebbe senz’altro
nell’assolvimento dei doveri d’ufficio in quanto egli non avrebbe
potuto introdursi nel sistema informatico dell’Arma, e
conseguentemente rivelare le informazioni così assunte, se non
avesse avuto la qualifica di Comandante di Stazione dei Carabinieri.
Tale presupposto
argomentativo rischia però di risolversi in una tautologia, posto
che il nesso di strumentalità richiesto dalla disposizione in parola
ha riguardo, evidentemente, a qualcosa di più della qualifica
formale del pubblico dipendente.
Al contrario, se ne
deduce, che i fatti per i quali si è proceduto in sede penale non
sono stati originati da un'attività svolta in diretta connessione
con i fini dell'Amministrazione, ovvero nell'ambito di un rapporto di
immedesimazione organica tale da consentire una immediata e diretta
riferibilità della condotta all'Ente, ma solo in occasionale
collegamento temporale con il proprio servizio, e – secondo la
prospettazione ritenuta nell’imputazione - per proprio vantaggio.
In altre parole, si
è trattato di un'attività – per come contestata nell’imputazione
- all'evidenza estranea ai compiti istituzionali, in cui il
ricorrente ha agito per motivazioni e finalità del tutto personali e
ove la qualità di pubblico ufficiale (di cui si assumeva l'abuso) è
venuta in rilievo solo per il suo evidente conflitto con l'interesse
proprio dell'Amministrazione di appartenenza.
A ben vedere,
infatti, la circostanza che la condotta penalmente rilevante sarebbe
stata compiuta dal ricorrente “con violazione dei doveri inerenti
la sua funzione e comunque abusando della sua qualità di
sottoufficiale Comandante della Stazione dei Carabinieri di xxx”,
conferma la netta contrapposizione – a livello di imputazione: e,
quindi, di fattispecie - con l’interesse pubblicistico dell’Ente,
connotandosi tale comportamento quale violazione del dovere
istituzionale di onestà e imparzialità e dell’obbligo di
vigilanza e perseguimento dei reati.
Il Collegio non
ignora che il riferito, dominante indirizzo giurisprudenziale
presenta, in sede applicativa, il rischio di un eccessivo rigorismo
rispetto alla formulazione letterale della disposizione in parola
(come segnalato da questa Sezione con la sentenza n. 1686/2017):
nondimeno, il Collegio ritiene di non doversi discostare dalle
coordinate ermeneutiche su cui tale indirizzo poggia, proprio in
ragione dell’insuperabilità del tenore letterale e del conseguente
significato della disposizione medesima.
Deve, pertanto,
convenirsi con la difesa erariale quanto all’inapplicabilità
dell’art. 18 cit. al caso di specie, in quanto i fatti per i quali
il ricorrente è stato rinviato a giudizio, e poi assolto, sono
ricollegabili esclusivamente al suo status di appartenente all’Arma
dei Carabinieri, e non al diretto svolgimento delle rispettive
funzioni istituzionali.
Ritenuta
l’insussistenza del superiore requisito, restano assorbiti gli
ulteriori motivi di censura.
5. La domanda
risarcitoria da ritardo si sottrae alla possibilità di essere
valutata, in termini di ingiustizia, stante l'accertata legittimità
del conclusivo provvedimento sfavorevole.
6. Per quanto
precede, il ricorso deve essere respinto.
Sussistono le
condizioni di legge, avuto riguardo alla peculiarità della
fattispecie, per disporre la compensazione fra le parti delle spese
del giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale
Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Prima),
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,
lo rigetta.
Spese compensate.
Ordina che la
presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in
Palermo nella camera di consiglio del giorno 11 maggio 2018 con
l'intervento dei magistrati:
Calogero Ferlisi,
Presidente
Giovanni Tulumello,
Consigliere, Estensore
Roberto Valenti,
Consigliere
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
Giovanni Tulumello
Calogero Ferlisi
IL SEGRETARIO
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