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venerdì 27 luglio 2018

TAR 2018: ricorso contro rigetto istanza di rimborso delle spese legali sostenute dal ricorrente in un procedimento penale nel quale è stato pienamente assolto Pubblicato il 03/07/2018 N. 01544/2018 REG.PROV.COLL. N. 02337/2014 REG.RIC.



TAR 2018: ricorso contro rigetto istanza di rimborso delle spese legali sostenute dal ricorrente in un procedimento penale nel quale è stato pienamente assolto


Pubblicato il 03/07/2018

N. 01544/2018 REG.PROV.COLL.

N. 02337/2014 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2337 del 2014, proposto da
xxx xxx xxx, rappresentato e difeso dall'avvocato Luca Giardina Cannizzaro, con domicilio eletto presso il suo studio in Palermo, via Brunetto Latini 34;

contro

Ministero della Difesa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Palermo, via A. De Gasperi 81;

per l'annullamento

della determina del giorno 15 maggio 2014, notificata il giorno 4 giugno 2014, con la quale il Direttore della 3^ divisione del Ministero della Difesa ha rigettato l’istanza di rimborso delle spese legali sostenute dal ricorrente in un procedimento penale nel quale è stato pienamente assolto, conformandosi in toto al parere precedentemente reso con nota n. 3347/12 del giorno 26 giugno 2012, avverso la quale pure si ricorre, con il quale l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Palermo aveva espresso parere sfavorevole in ordine all’istanza di rimborso;

- del parere dell’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Palermo reso con nota n. 3347/12 del giorno 22 luglio 2013, non comunicato al ricorrente e pervenuto all’Amministrazione resistente in data 8 maggio 2014, con cui, valutate le osservazioni formulate dal M.llo xxx, è stato confermato il precedente parere negati, anch’esso richiamato nel provvedimento impugnato;

- ove occorra, del preavviso di rigetto n. 0305061 del giorno 23 luglio 2012, con il quale l’Amministrazione resistente aveva comunicato i motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza invitandolo a formulare le proprie osservazioni e deduzioni;

nonché per sentir dire e dichiarare,

il diritto del ricorrente ad ottenere il rimborso delle spese legali sostenute nel procedimento penale R.G.N.R. n. 13478/01 - R.G. Tribunale n. 3720/06, concluso con sentenza di assoluzione n. 1609/2011 del 24 marzo 2011 del Tribunale di Palermo, sez. V Penale, passata in giudicato, come da parcella in atti;

e per sentir condannare,

l’Amministrazione resistente al risarcimento dei danni, anche da ritardo nel provvedere in favore dell’odierno ricorrente, da quantificarsi in via equitativa nell’ammontare di €. 5.000,00 ovvero altra somma maggiore o minore ritenuta equa e di giustizia.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Difesa;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 maggio 2018 il dott. Giovanni Tulumello e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso ritualmente notificato e depositato il sig. xxx xxx xxx, Maresciallo dell’Arma dei Carabinieri, odierno ricorrente, ha impugnato i provvedimenti indicati in epigrafe con cui gli è stato negato il rimborso per le spese legali sostenute, ai sensi dell’art. 18 del d.l. n. 67/1997, convertito in legge n. 135/1997.

Ha chiesto, pertanto, l’accertamento del suo diritto al rimborso della somma di €.23.685,00 (oltre IVA e C.P.A.) per la difesa legale nel procedimento penale definito con sentenza del Tribunale di Palermo, sez. V Penale, n. 1609/2011 del 24.03.2011, oltre al risarcimento dei danni, anche da ritardo, quantificati in via equitativa in misura pari ad euro 5.000,00, e conseguente condanna dell’Amministrazione al suddetto pagamento.

Con atto del 12.09.2014, si costituiva in giudizio il Ministero della Difesa, difeso ope legis dall’Avvocatura dello Stato.

All’udienza pubblica dell’11 maggio 2018, previo il deposito di memorie e repliche ex art. 73 c.p.a., la causa è stata posta in decisione.

2. Va premesso, che il giudizio di congruità espresso dall'Avvocatura dello Stato riveste una natura tipicamente tecnico-discrezionale, per cui non può essere sindacato in sede di scrutinio di legittimità se non per errori di fatto percepibili ictu oculi ovvero per palese illogicità, carenza di motivazione, incoerenza, irrazionalità ovvero per violazione delle norme che ne regolano l'espressione, ferma restando la necessità di una motivazione logica e coerente, che, in modo sintetico, consenta di comprendere la scelta operata nel delineare il quantum debeatur (cfr. Consiglio di Stato, sez. II, 30 giugno 2015, n. 7722).

3. Ciò posto, possono esaminarsi i fatti di causa.

3.1. Con richiesta di rinvio a giudizio del 2004, il sig. xxx, già Comandante della Stazione dei Carabinieri di xxx, veniva imputato dei delitti di cui agli artt. 81 cpv, 615-ter commi I, II.1. e III c.p. ed artt. 81 cpv, 110, 326 comma 3 c.p., per presunta rivelazione di segreti d’ufficio ed accesso abusivo a sistema informatico.

Il predetto giudizio veniva definito con sentenza del Tribunale di Palermo del 24 marzo 2011, che proscioglieva il ricorrente con la formula assolutoria “perché il fatto non sussiste”.

Il ricorrente, pertanto, formulava istanza al Ministero della Difesa di essere ammesso ai benefici di cui all’art. 18 d.l. 25 marzo 1997, n. 67 e, pertanto, di essere tenuto indenne dalle spese legali sopportate.

L’istanza veniva tuttavia respinta dall’Amministrazione resistente con i provvedimenti in epigrafe, sulla scorta delle seguenti motivazioni:

-la condotta per la quale il dipendente è stato sottoposto a processo penale non sarebbe stata finalizzata all’adempimento di un dovere d’ufficio, ma avrebbe trovato mera occasione nello svolgimento del servizio;

- l’assoluzione da responsabilità penale sarebbe avvenuta soltanto per difetto delle necessarie risultanze processuali.

3.2. Il ricorrente ha impugnato i predetti provvedimenti, ritenutane la illegittimità per violazione e falsa applicazione di legge ed eccesso di potere, sotto diversi profili patologici.

In sintesi, premessi i presupposti fissati dalla legge per la concessione del beneficio in parola, il ricorrente osserva che, quanto al requisito della sussistenza di atti e fatti connessi con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali, i capi di imputazione erano la rivelazione di segreti d’ufficio e l’accesso abusivo a sistema informatico, di talché, le predette condotte rientravano senz’altro tra i suoi doveri istituzionali, non ricorrendo, al contrario, una mera occasionalità.

Il nesso di strumentalità tra il compimento dell’atto e l’adempimento dei suoi doveri, peraltro, sarebbe confermato nel fatto che il rinvio a giudizio, tra l’altro, era stato così motivato: “commettendo il fatto con violazione dei doveri inerenti la sua funzione e comunque abusando della sua qualità di sottoufficiale Comandante della Stazione dei Carabinieri di xxx” (cfr. sentenza di assoluzione, capo di imputazione p. 3).

Quanto al requisito riguardante l’esistenza di un provvedimento giurisdizionale che dichiari il dipendente esente da ogni responsabilità, esso sarebbe innegabile attesa la sentenza di assoluzione in suo favore, “perché il fatto non sussiste”. Inoltre, quand’anche si ammettesse che il proscioglimento fosse stato dettato per insufficienza probatoria, nondimeno, il ricorrente non è stato sottoposto ad alcun procedimento disciplinare.

4. Il ricorso non può essere accolto.

4.1. In primo luogo, stabilisce l’art. 18, comma 1, del d.l. 25 marzo 1997, n. 67, convertito con modificazioni in L. 23 maggio 1997, n. 135: «1. Le spese legali relative a giudizi per responsabilità civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali in conseguenza di fatti ed atti connessi con l'espletamento del servizio o con l'assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilità, sono rimborsate dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui dall'Avvocatura dello Stato».

Assume decisivo rilievo, nella specie, l’esatta portata interpretativa della norma e, soprattutto, la prevista connessione degli atti e fatti, in relazione ai quali il dipendente è stato sottoposto a giudizio, con “l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali”.

È già stato ampiamente osservato in giurisprudenza, come la norma sopra richiamata costituisce espressione di un principio generale dell’ordinamento amministrativo in base al quale è consentito all’Amministrazione di intervenire a sostegno della difesa del suo dipendente in tutti i casi in cui l’imputazione riguardi un’attività svolta in diretta connessione con i fini dell’Ente (fra le tante, T.A.R. Lazio - Roma, sez. I, 26 aprile 2010, n. 8478; Cassazione civile, sez. I, 3 gennaio 2008, n. 2).

La ratio, invero, è quella di tenere indenni i soggetti che abbiano agito in nome e per conto, oltre che nell’interesse dell’Amministrazione, delle spese legali affrontate per i procedimenti giudiziari strettamente connessi all’espletamento dei loro compiti istituzionali, con la conseguenza che “il requisito essenziale in questione può considerarsi sussistente solo quando risulti possibile imputare gli effetti dell’agire del pubblico dipendente direttamente all’Amministrazione di appartenenza" (Cons. Stato, III sez., 25 novembre 2003, parere n. 332/03).

Come già precisato da questa Sezione con le sentenze n. 5570/2010, n. 127/2005 e n. 128/2005, si richiede che il fatto o l'atto oggetto del giudizio sia stato compiuto nell'esercizio delle attribuzioni affidate al dipendente; che vi sia un nesso di strumentalità tra l'adempimento del dovere e il compimento dell'atto, nel senso che il dipendente non avrebbe assolto ai suoi compiti se non compiendo quel fatto o quell’atto (cfr. anche C.G.A., sez. cons., n. 358/2006). A ben vedere la tematica che qui ci occupa comporta l’applicazione al settore della pubblica amministrazione del divieto generale di locupletatio cum aliena iactura, proprio del diritto privato.

Di conseguenza, ai fini dell'applicabilità del richiamato art. 18, è richiesto un nesso di strumentalità diretto tra l'adempimento del dovere ed il compimento dell'atto o condotta, nel senso che il dipendente pubblico non avrebbe assolto ai suoi compiti, se non ponendo in essere quel determinato atto o condotta; non può, invece, darsi rilevanza ad una connessione con il fatto di reato di tipo soggettivo ed indiretto, in quanto lo spazio di applicazione della tutela legale si dilaterebbe eccessivamente, ben oltre i confini segnati dal predetto art. 18 (Cons. Stato, sez. II, 13 maggio 2015, n. 5274).

4.2. Applicando le superiori coordinate ermeneutiche al caso di specie, si ritiene che non possa trovare accoglimento la prospettazione di parte ricorrente, la quale tenta di ricondurre la fattispecie nell’alveo applicativo dell’art. 18 sulla base della circostanza che i fatti aventi presunta rilevanza penale siano stati contestati al ricorrente quali “reati propri” (nel senso di reati richiedenti espressamente la qualità soggettiva di pubblico ufficiale).

Ed infatti, il ricorrente sostiene che la sua condotta rientrerebbe senz’altro nell’assolvimento dei doveri d’ufficio in quanto egli non avrebbe potuto introdursi nel sistema informatico dell’Arma, e conseguentemente rivelare le informazioni così assunte, se non avesse avuto la qualifica di Comandante di Stazione dei Carabinieri.

Tale presupposto argomentativo rischia però di risolversi in una tautologia, posto che il nesso di strumentalità richiesto dalla disposizione in parola ha riguardo, evidentemente, a qualcosa di più della qualifica formale del pubblico dipendente.

Al contrario, se ne deduce, che i fatti per i quali si è proceduto in sede penale non sono stati originati da un'attività svolta in diretta connessione con i fini dell'Amministrazione, ovvero nell'ambito di un rapporto di immedesimazione organica tale da consentire una immediata e diretta riferibilità della condotta all'Ente, ma solo in occasionale collegamento temporale con il proprio servizio, e – secondo la prospettazione ritenuta nell’imputazione - per proprio vantaggio.

In altre parole, si è trattato di un'attività – per come contestata nell’imputazione - all'evidenza estranea ai compiti istituzionali, in cui il ricorrente ha agito per motivazioni e finalità del tutto personali e ove la qualità di pubblico ufficiale (di cui si assumeva l'abuso) è venuta in rilievo solo per il suo evidente conflitto con l'interesse proprio dell'Amministrazione di appartenenza.

A ben vedere, infatti, la circostanza che la condotta penalmente rilevante sarebbe stata compiuta dal ricorrente “con violazione dei doveri inerenti la sua funzione e comunque abusando della sua qualità di sottoufficiale Comandante della Stazione dei Carabinieri di xxx”, conferma la netta contrapposizione – a livello di imputazione: e, quindi, di fattispecie - con l’interesse pubblicistico dell’Ente, connotandosi tale comportamento quale violazione del dovere istituzionale di onestà e imparzialità e dell’obbligo di vigilanza e perseguimento dei reati.

Il Collegio non ignora che il riferito, dominante indirizzo giurisprudenziale presenta, in sede applicativa, il rischio di un eccessivo rigorismo rispetto alla formulazione letterale della disposizione in parola (come segnalato da questa Sezione con la sentenza n. 1686/2017): nondimeno, il Collegio ritiene di non doversi discostare dalle coordinate ermeneutiche su cui tale indirizzo poggia, proprio in ragione dell’insuperabilità del tenore letterale e del conseguente significato della disposizione medesima.

Deve, pertanto, convenirsi con la difesa erariale quanto all’inapplicabilità dell’art. 18 cit. al caso di specie, in quanto i fatti per i quali il ricorrente è stato rinviato a giudizio, e poi assolto, sono ricollegabili esclusivamente al suo status di appartenente all’Arma dei Carabinieri, e non al diretto svolgimento delle rispettive funzioni istituzionali.

Ritenuta l’insussistenza del superiore requisito, restano assorbiti gli ulteriori motivi di censura.

5. La domanda risarcitoria da ritardo si sottrae alla possibilità di essere valutata, in termini di ingiustizia, stante l'accertata legittimità del conclusivo provvedimento sfavorevole.

6. Per quanto precede, il ricorso deve essere respinto.

Sussistono le condizioni di legge, avuto riguardo alla peculiarità della fattispecie, per disporre la compensazione fra le parti delle spese del giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 11 maggio 2018 con l'intervento dei magistrati:

Calogero Ferlisi, Presidente

Giovanni Tulumello, Consigliere, Estensore

Roberto Valenti, Consigliere
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
Giovanni Tulumello
Calogero Ferlisi

IL SEGRETARIO

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