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sabato 8 giugno 2024

Consiglio di Stato 2024-Con riferimento, invece, alle altre censure dedotte, si osserva preliminarmente che il provvedimento prefettizio impugnato è stato adottato perché è stata accertata la presenza nell’armeria dell’appellante di armi non tracciate e in numero superiore a quello consentito e trova motivazione nell’avvenuto deferimento del ricorrente all’Autorità Giudiziaria ordinaria per i reati di cui agli artt. 697 c.p. 35 e art. 38 TULPS, circostanza ritenuta incidere negativamente sulla completa affidabilità dello stesso.

 


Pubblicato il 13/05/2024

N. 04274/2024REG.PROV.COLL.


N. 08004/2023 REG.RIC.




REPUBBLICA ITALIANA


IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


Il Consiglio di Stato


in sede giurisdizionale (Sezione Terza)


ha pronunciato la presente


SENTENZA


sul ricorso numero di registro generale 8004 del 2023, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Nicola Carratelli, Giuseppe Carratelli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro


il Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma


della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, sede di Catanzaro (Sezione Prima) n. -OMISSIS-, resa tra le parti, con cui è stato dichiarato inammissibile il ricorso avverso il provvedimento del Prefetto di Vibo Valentia di divieto di detenere armi, munizioni e materiale esplodente.



Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;


Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;


Visti tutti gli atti della causa;


Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 aprile 2024 il Cons. Enzo Bernardini e uditi per le parti gli avvocati, come da verbale;


Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO


1. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, sede di Catanzaro (Sezione Prima) n. -OMISSIS-, nel dichiarare, con l’impugnata sentenza, inammissibile il ricorso principale, ha premesso che “Nell'ambito del processo amministrativo, ai fini della ammissibilità del ricorso ai sensi dell'art. 40 d.lg. n. 104/2010, il ricorrente deve addurre censure puntuali ed articolate in motivi, che devono indicare specificatamente i vizi da cui ritenga inficiata la legittimità dei provvedimenti impugnati, non potendo invece trovare ingresso rilievi di contenuto generico" (T.A.R. Piemonte, sez. II, 29/09/2022, n.765)….Tanto chiarito, come già osservato in sede cautelare, il ricorso principale enuclea, per il vero in termini del tutto generici, alcune circostanze di "fatto" e quindi rubrica i motivi di diritto senza offrire nessuna specifica argomentazione (se non il mero rilievo per cui non pende alcun procedimento penale nei confronti del ricorrente..”


Lo stesso giudice ha quindi statuito che “anche a voler tentare di ricostruire il tenore delle censure alla luce dell'insieme delle argomentazioni complessivamente desumibili dal complesso dell'atto, le stesse risultano comunque infondate nel merito”, ritenendo che “Il primo motivo di ricorso è privo di pregnanza, atteso che il ricorrente, in buona sostanza, contesta la violazione di buona parte della Costituzione Italiana (articoli 2, 3, dal 13 al 47, 97), ma non offre alcun argomento specifico a sostegno delle rispettive censure…Il secondo e il terzo motivo di ricorso sono privi di consistenza, risolvendosi rispettivamente nella deduzione della violazione dell'art. 43 TULPS, argomentata sull'assunto del possesso dei requisiti morali richiesti per il rilascio delle autorizzazioni di polizia e di eccesso di potere per travisamento del fatto, sempre sul generico assunto dell'assenza di alcun indizio di colpevolezza di carattere amministrativo, penale o altro è allegato e provato che possa far ritenere che il ricorrente possa abusare delle armi che detiene per la vendita e la riparazione”.


Infine, con riferimento ai motivi aggiunti il Tar afferma che “Quanto poi ai motivi aggiunti depositati il 6.2.2020, essi risultano ampiamente tardivi, avendo essi ad oggetto il medesimo provvedimento impugnato e gli atti presupposti. Quanto, infine, all'ulteriore atto qualificato di motivi aggiunti, esso è irricevibile per la duplice ragione che non è stata depositata in tempo utile la prova dell'avvenuta notifica all'Amministrazione resistente”.


Con l’odierna impugnazione l’appellante, in sintesi, premette di essere titolare di un’armeria e di aver ricevuto la notifica di un provvedimento di divieto di detenzione armi, sull’unico asserito presupposto che in armeria fossero presenti armi superiori a quanto consentito. Al riguardo, evidenzia che la licenza essendo relativa ad attività lavorativa e quindi a diritti costituzionalmente garantiti (artt.1 e 4 Cost.), è stata trattata dall’amministrazione (e dal TAR) alla stregua di una licenza per porto d’armi di tipo hobbistico, quali il porto di fucile uso tiro a volo o caccia. Inoltre, sia l’amministrazione che il giudice di prime cure avrebbero dovuto verificare la sussistenza di motivi ostativi certi al rilascio della stessa, e non a mere supposizioni. Da ultimo, l’appellante stigmatizza come l’intervenuta archiviazione del procedimento penale scaturito dalla segnalazione del Commissariato di -OMISSIS-, non solo ha neutralizzato qualsivoglia sintomo negativo ricavabile dalla presentazione della querela stessa, ma addirittura costituisce elemento che doveva necessariamente essere valutato a favore dell’interessato, ai fini dell’apprezzamento del requisito della buona condotta.


Per quanto detto, l’appellante ritiene che “le valutazioni dell’amministrazione resistente risultano del tutto irrazionali, irragionevoli ed incoerenti in rapporto al contenuto della domanda, pertanto l’impugnato provvedimento è certamente illegittimo e meritevole di annullamento”.


2. Si è costituito in giudizio il Ministero dell’interno.


3. Alla pubblica udienza del 18 aprile 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.


DIRITTO


1. L’appello è infondato, e questo consente al Collegio di prescindere dall’esame del primo motivo atteso che il ricorso di primo grado, ove anche fosse ammissibile, sarebbe comunque da respingere nel merito.


2. Con riferimento, invece, alle altre censure dedotte, si osserva preliminarmente che il provvedimento prefettizio impugnato è stato adottato perché è stata accertata la presenza nell’armeria dell’appellante di armi non tracciate e in numero superiore a quello consentito e trova motivazione nell’avvenuto deferimento del ricorrente all’Autorità Giudiziaria ordinaria per i reati di cui agli artt. 697 c.p. 35 e art. 38 TULPS, circostanza ritenuta incidere negativamente sulla completa affidabilità dello stesso.


Al riguardo, le deduzioni di parte appellante non appaiono in grado di scalfire le motivazioni poste a fondamento dell’impugnato divieto di detenzione di armi.


Giova premettere che la materia del rilascio o rinnovo del porto d’armi è disciplinata dagli artt.11, 39 e 43 del R.D. 18 giugno 1931, n. 773, nel cui ambito l’Autorità di pubblica sicurezza procede ad un giudizio di natura prognostica sulla possibilità di abuso delle armi, con riferimento alla condotta del soggetto richiedente e all’affidamento che questo può dare. Viene in rilievo l’art. 39 del R.D. 18 giugno 1931, n. 773 secondo cui “il Prefetto ha facoltà di vietare la detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti, denunciate ai termini dell’articolo precedente, alle persone ritenute capaci di abusarne”.


In merito, la Corte Costituzionale ha affermato che “il porto d’armi non costituisce un diritto assoluto, rappresentando, invece, un’eccezione al normale divieto di portare le armi e che può di-venire operante soltanto nei confronti di persone riguardo alle quali esista la perfetta e completa sicurezza circa il buon uso delle armi stesse” (cfr. sentenza Corte Cost. 16 dicembre 1993, n. 440).


Sempre la Corte Costituzionale, con sentenza n. 109 del 20 marzo 2019, ha statuito che “proprio in ragione dell’inesistenza, nell’ordinamento costituzionale italiano, di un diritto di portare armi, deve riconoscersi in linea di principio un ampio margine di discrezionalità in capo al legislatore nella regolamentazione dei presupposti in presenza dei quali può essere concessa al privato la relativa licenza, nell’ambito di bilanciamenti che – entro il limite della non manifesta irragionevolezza – mirino a contemperare l’interesse dei soggetti che richiedono la licenza di porto d’armi per motivi giudicati leciti dall’ordinamento e il dovere costituzionale di tutelare, da parte dello Stato, la sicurezza e l’incolumità pubblica”.


Di analogo, consolidato orientamento è la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, secondo cui “l’inaffidabilità all’uso delle armi è idonea a giustificare il ritiro della licenza, addirittura senza che occorra dimostrarne l’avvenuto abuso” (Cons. St., sez. III, sentenza 18 aprile 2017, n. 1814).


In tale quadro, il giudice è chiamato a svolgere una valutazione della ragionevolezza e proporzionalità dell’esercizio del potere amministrativo, alla luce dei fatti e dei presupposti causa del diniego.


3. Nel caso in esame, il diniego dell’Amministrazione è stato legittimamente ancorato ad un fatto idoneo a supportare il giudizio di inaffidabilità a carico dell’interessato e non rileva in tale contesto l’avvenuta archiviazione della denuncia.


In particolare, in tale quadro, non appare fondata la censura relativa all’intervenuta archiviazione del procedimento penale, allorquando l’appellante sostiene che “…l’intervenuta archiviazione del procedimento penale scaturito dalla segnalazione del Commissariato di -OMISSIS-, non solo ha neutralizzato qualsivoglia sintomo negativo ricavabile dalla presentazione della querela stessa, ma addirittura costituisce elemento che doveva necessariamente essere valutato a favore dell’interessato, ai fini dell’apprezzamento del requisito della buona condotta” e che “...Pertanto, ogni riferimento al procedimento penale cui il ricorrente è stato sottoposto deve ritenersi del tutto illegittimo, e comunque ampiamente inidoneo ai fini della valutazione della carenza del requisito della buona condotta e dell’affidabilità del ricorrente stesso.”


Su tale aspetto, infatti, è costante nel tempo l’orientamento espresso da questa Sezione, secondo cui “il rilascio del titolo di porto d’armi, come deroga al divieto di portare armi, non genera diritti, né legittimi affidamenti sul rinnovo in perpetuo, ma soggiace a un controllo assiduo e continuo, assai penetrante, che si dispiega normalmente proprio all’atto del periodico rinnovo, non solo sull’uso o non abuso del titolo e sul permanere attuale di tutti quei requisiti e quelle condizioni che avevano condotto all’autorizzazione, ma che abilita altresì l’Autorità competente a condurre – nonostante i precedenti rinnovi – anche una riconsiderazione discrezionale sulla stessa opportunità del permanere del titolo autorizzatorio, e ciò eventualmente anche alla luce di mutati indirizzi in materia di sicurezza” (Cons. St., sez. III, 31 maggio 2022, n. 4418; Cons. Stato, sez. III, 25 gennaio 2023, n. 822).


In sintesi, non può disconoscersi all’Autorità di pubblica sicurezza la possibilità di apprezzare discrezionalmente, quali indici rivelatori della possibilità d’abuso delle armi, fatti o episodi anche privi di rilievo penale.


4. I fatti che sono stati alla base del provvedimento prefettizio impugnato in primo grado inducono a ritenere privo di pregio anche l’ulteriore motivo di ricorso, che si incentra sulla circostanza che il porto d’armi incide sulla capacità lavorativa dell'appellante e, quindi, sulla sua possibilità di produrre


reddito e di reperire risorse per il sostentamento proprio e della propria famiglia. Contrariamente a quanto assume il signor Pastore il provvedimento, infatti, è ben motivato in ordine alle ragioni ostative alla detenzione delle armi.


5. Per quanto detto, sia la sentenza di primo grado che il provvedimento prefettizio, contrariamente a quanto lamentato nel gravame, non appaiono né palesemente irragionevoli né illogici, e non presentano vizi di proporzionalità o contraddittorietà.


Alla luce delle suesposte considerazioni, l’appello va respinto.


6. Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese del giudizio, stante la mancanza di difese scritte da parte dell’Amministrazione costituita.


P.Q.M.


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.


Spese compensate.


Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.


Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità dell’appellante.


Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati:


Giulia Ferrari, Presidente FF


Ezio Fedullo, Consigliere


Giovanni Tulumello, Consigliere


Antonio Massimo Marra, Consigliere


Enzo Bernardini, Consigliere, Estensore


 

 

L'ESTENSORE IL PRESIDENTE

Enzo Bernardini Giulia Ferrari

 

 

 

 

 

IL SEGRETARIO

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