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sabato 8 giugno 2024

Consiglio di Stato 2024-I provvedimenti da adottarsi dal Comune, su richiesta del Prefetto, ai sensi del citato art. 19, in riferimento all’art. 100 del TULPS, sono infatti caratterizzati da una riconosciuta finalità di tutela preventiva dell’ordine pubblico, necessitata dal rischio oggettivo per la sicurezza dei cittadini ritenuto dall’autorità preposta.

 


Pubblicato il 16/05/2024

N. 04342/2024REG.PROV.COLL.


N. 02923/2023 REG.RIC.




REPUBBLICA ITALIANA


IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


Il Consiglio di Stato


in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)


ha pronunciato la presente


SENTENZA


sul ricorso numero di registro generale 2923 del 2023, proposto da

-OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Roberto Afeltra, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro


Ministero dell'Interno, Ufficio Territoriale del Governo Roma, Questura Roma, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Alberto Armenante, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 11367/2022, resa tra le parti.



Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;


Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno, dell’Ufficio Territoriale del Governo di Roma, della Questura di Roma e di Roma Capitale;


Visti tutti gli atti della causa;


Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 marzo 2024 il Cons. Giuseppina Luciana Barreca e uditi per le parti gli avvocati Afeltra e Memeo in dichiarata delega di Armenante;


Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO e DIRITTO


1.Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha dichiarato improcedibile il primo e respinto il secondo dei ricorsi riuniti, proposti dalla società -OMISSIS- s.r.l., esercente l’attività di somministrazione e bevande oggetto degli atti impugnati, nei confronti di Roma Capitale e del Ministero dell’Interno – Ufficio territoriale del Governo di Roma – Questura di Roma, per l’annullamento:


quanto al ricorso n. 5425 del 2021:


- della determinazione dirigenziale num. Rep.-OMISSIS- del 12/03/2021, num. prot. -OMISSIS- del 12/03/2021 di MUNICIPIO ROMA IV, avente ad oggetto “revoca titolo autorizzativo all'esercizio dell'attività di somministrazione di alimenti e bevande esercitata con S.C.I.A. Prot. n. -OMISSIS-del 07.09.2017”, notificata in data 16.3.2021;


- di ogni altro atto presupposto, conseguente e, comunque, connesso, ivi comprese, per quanto occorrer possa, la nota prot.-OMISSIS- del 4.3.2021, emessa dalla Prefettura di Roma – Area I TER – Ordine e Sicurezza Pubblica– Polizia, nota prot.-OMISSIS- del 5.3.2021 emessa dall'Assessorato allo Sviluppo Economico Turismo e Lavoro di Roma Capitale, la nota dell'8.3.2021, prot. CE n. -OMISSIS-, emessa dalla Collaboratrice della Sindaca per il Municipio Roma IV, la nota della Questura di Roma – Divisione Polizia Amministrativa e Sociale dell'1.3.2021;


quanto al ricorso n. 8457 del 2021:


- della determinazione dirigenziale num. Rep. -OMISSIS- del 11/06/2021, num.prot. -OMISSIS- del 11/06/2021 di MUNICIPIO ROMA IV – U.O. AMMINISTRATIVA E AFFARI GENERALI, avente ad oggetto “annullamento Determinazione Dirigenziale Rep. -OMISSIS- del 12.3.2021 – Determinazione di revoca titolo autorizzativo all'esercizio dell'attività di somministrazione di alimenti e bevande esercitata con S.C.I.A. Prot. n. -OMISSIS-del 07.09.2017”, notificata in data 11.6.2021;


- di ogni altro atto presupposto, conseguente e, comunque, connesso, ivi compresa, per quanto occorrer possa, la nota della Prefettura di Roma –Ufficio Territoriale del Governo Area I Ter OS.P. prot. -OMISSIS- dell’11.06.2021, oltre che le note di cui al precedente ricorso.


1.1.Il provvedimento (del 12 marzo 2021) impugnato col primo ricorso faceva seguito ad un provvedimento prefettizio di sospensione della licenza, per la durata di cinque giorni, con conseguente chiusura dell’attività, a causa della riscontrata “presenza di avventori segnalati quali assuntori o comunque detentori di sostanze stupefacenti e soggetti con a carico numerosi pregiudizi di Polizia”, circostanza che consigliava l’adozione del provvedimento ai sensi dell’art. 100 del T.U.L.P.S., in ragione della “prevalente natura di misura cautelare” dello stesso, “con finalità di prevenzione, rispondendo alla ratio di produrre un effetto dissuasivo su soggetti ritenuti pericolosi, […]”.


1.2. Il provvedimento (dell’11 giugno 2021) impugnato col secondo ricorso attiene all’annullamento del provvedimento oggetto del primo ricorso e ad una nuova determinazione in merito alla revoca dell’autorizzazione all’esercizio di attività di somministrazione di alimenti e bevande. Va precisato che tale secondo provvedimento è stato adottato da Roma Capitale dopo che, a seguito della presentazione del primo ricorso, era stata concessa la sospensione cautelare dell’esecutività del primo provvedimento.


1.3. Il tribunale ha dichiarato improcedibile il primo ricorso, atteso l’annullamento d’ufficio del provvedimento con esso impugnato.


1.4. Riguardo al secondo ricorso, ha premesso che nel caso in esame Roma Capitale ha esercitato uno dei poteri di polizia amministrativa attribuiti ai comuni, in sede di decentramento amministrativo, dall’art. 19 del DPR n. 616\1977, che dispone che sono attribuite ai comuni, tra le altre, talune funzioni di cui al testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, e successive modificazioni (tra le quali il rilascio delle licenze per l’attività di somministrazione di alimenti e bevande) e che i relativi provvedimenti sono adottati previa comunicazione al prefetto e devono essere sospesi, annullati o revocati per motivata richiesta dello stesso.


1.4.1. Ha quindi respinto il primo motivo, concernente l’omessa comunicazione di avvio della procedura ex art. 7 della legge n. 241 del 1990, ritenendo la natura vincolata del provvedimento e quindi l’applicabilità dell’art. 21 octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990.


1.4.2. Ha poi trattato congiuntamente i motivi secondo, terzo e quarto, con i quali la ricorrente aveva denunziato difetto di istruttoria e di motivazione e violazione del principio di proporzionalità, per i seguenti due aspetti, come sintetizzati in sentenza: “quello per cui la società ricorrente e i suoi soci ed amministratori, pur operando in una realtà sociale connotata da rilevanti fenomeni criminali legati soprattutto allo spaccio di stupefacenti, non sarebbero risultati coinvolti in reato alcuno, né sarebbero emersi specifici elementi di reato a carico dei soggetti pregiudicati che sono stati ripetutamente controllati nel locale della ricorrente; e quello per cui la situazione che ha dato luogo all’emissione dell’atto gravato non presenterebbe elementi di novità rispetto a quella che aveva indotto il Prefetto a richiedere la precedente revoca, giudicata difettosa d’istruttoria in sede cautelare”.


Premesso che la revoca di cui all’art. 19 del d.P.R. n. 616 del 1977 ha finalità di tutela preventiva dell’ordine pubblico, il tribunale ha ritenuto che:


- la stessa ricorrente non aveva posto seriamente in dubbio che nel locale in cui essa esercitava l’attività vi fosse abituale ritrovo di soggetti pregiudicati e che la medesima fosse ubicata in una zona della città di Roma connotata da rilevanti fenomeni (almeno) di microcriminalità legata allo spaccio di stupefacenti;


- la documentazione in atti smentiva le affermazioni poste a base delle censure in esame secondo le quali ai frequentatori dell’esercizio commerciale non potrebbero essere attribuiti specifici reati e la società ricorrente non sarebbe toccata da fenomeni criminali.


Esaminata criticamente tale documentazione (in particolare gli allegati alla nota prefettizia dell’11 giugno 2021), il primo giudice ha respinto i detti motivi.


1.4.3. Ha infine respinto l’ultimo mezzo, svolto in via subordinata, concernente la mancata previsione dell’indennizzo per la revoca.


1.5. Respinto il ricorso, le spese processuali sono state poste a carico della ricorrente ed a favore di Roma Capitale, secondo il criterio della soccombenza.


2. La società -OMISSIS- s.r.l. ha proposto appello con cinque motivi.


2.1. Roma Capitale ha resistito all’appello.


Il Ministero dell’Interno e gli uffici territoriali indicati in epigrafe, rappresentati dall’Avvocatura generale dello Stato, hanno depositato memoria di costituzione e documenti.


2.2. Dopo un rinvio disposto a seguito di una presentazione di querela di falso in sede penale e dopo il rigetto dell’istanza cautelare con ordinanza del 26 gennaio 2024, n. 286, all’udienza del 21 marzo 2024 la causa è stata discussa e assegnata a sentenza, previo deposito di memorie della società appellante e di Roma Capitale.


3. Col primo motivo è censurata la dichiarazione di improcedibilità del primo ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, sostenendo la ricorrente che la società, anche dopo l’adozione del secondo provvedimento, avrebbe mantenuto l’interesse alla decisione dell’impugnazione del primo, per le ragioni indicate alle lettere da a) a d) della relativa illustrazione.


3.1. Il motivo è infondato.


L’annullamento del provvedimento impugnato ne ha determinato la caducazione con effetto ex tunc, travolgendo pure gli effetti dell’ordinanza cautelare dell’8 giugno 2021 n. 3222/21.


Dato che il provvedimento di annullamento conteneva anche una nuova determinazione di revoca del titolo autorizzativo per la somministrazione di alimenti e bevande, quest’ultima si è interamente sostituita alla precedente.


L’annullamento d’ufficio del provvedimento impugnato fa venire meno la condizione dell’azione costituita dall’interesse a ricorrere, dal momento che una pronuncia giudiziale di annullamento non apporterebbe al ricorrente alcuna ulteriore utilità.


Quanto, poi, all’interesse ad una pronuncia meramente dichiarativa dell’illegittimità dell’atto, questo si può configurare soltanto come interesse a fini risarcitori, ai sensi dell’art. 34, comma 3, c.p.a.


Tuttavia, tale interesse va espressamente dichiarato (come ribadito dalla decisione dell’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato 13 luglio 2022, n. 8), mentre nel caso di specie tale dichiarazione non è compresa tra le ragioni di interesse alla decisione di cui alle lettere da a) a d) del ricorso in appello, né indicata in altri scritti processuali dell’appellante.


3.2. Il primo motivo di appello va quindi respinto.


4. Col secondo motivo è criticata la decisione di rigetto della censura di omessa comunicazione di avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, sostenendo la ricorrente che la revoca non fosse un provvedimento vincolato, come ritenuto dal tribunale, e che il giudicante non aveva considerato che con la determinazione impugnata l’amministrazione aveva giustificato l’adozione del provvedimento senza la previa comunicazione per la sussistenza di esigenze di celerità del procedimento. Invece il tribunale non aveva speso nemmeno una parola riguardo a tali esigenze, delle quali l’appellante esclude la configurabilità nel caso concreto.


4.1. Il motivo non merita favorevole apprezzamento.


In primo luogo, devono ritenersi sussistenti le esigenze di celerità rilevanti ai sensi dell’inciso iniziale dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990.


I provvedimenti da adottarsi dal Comune, su richiesta del Prefetto, ai sensi del citato art. 19, in riferimento all’art. 100 del TULPS, sono infatti caratterizzati da una riconosciuta finalità di tutela preventiva dell’ordine pubblico, necessitata dal rischio oggettivo per la sicurezza dei cittadini ritenuto dall’autorità preposta. Nel caso di specie, l’amministrazione comunale, su richiesta dell’autorità provinciale di pubblica sicurezza (ossia il Prefetto), ha ragionevolmente ritenuto che l’imminente possibile ripresa dell’attività di somministrazione nei locali di proprietà della società ricorrente potesse compromettere, per le ragioni esposte nel provvedimento (su cui si tornerà), gli interessi pubblici coinvolti, afferenti l’ordine e la sicurezza pubblica, anche per il tempo strettamente necessario all’invio della comunicazione di avvio del procedimento.


La valutazione delle ragioni di urgenza contenuta nel provvedimento è quindi adeguatamente supportata dalla gravità dei fatti contestati, tali da non consentire di procrastinare l’adozione del provvedimento (cfr. Cons. Stato, III, 5 luglio 2013, n. 3581).


4.2. Peraltro, come ritenuto dal tribunale, ricorre nel caso di specie la situazione processuale di cui all’art. 21 octies della legge n. 241 del 1990. Sebbene infatti il provvedimento del Comune non si possa ritenere assolutamente vincolato, tuttavia il provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato poiché l’apporto collaborativo della società ricorrente sarebbe stato diretto ad escludere - secondo la linea difensiva seguita in giudizio - la sussistenza delle ragioni di pubblica sicurezza sulle quali il comune non ha alcuna competenza.


Sulla portata del vincolo derivante dalla previsione dell’art. 19 del d.P.R. n. 616 del 1977, secondo cui il comune, che è competente al rilascio del titolo abilitativo per l’attività di somministrazione, deve provvedere alla revoca in caso di “motivata richiesta” del prefetto (per esigenze di pubblica sicurezza: cfr. Corte Cost., 24 marzo 1987, n. 77), si è espresso infatti il condivisibile precedente di questa Sezione V, 23 agosto 2019, n. 5829.


Nella motivazione di tale sentenza, dopo avere riconosciuto all’amministrazione municipale la possibilità di individuare – nell’ottica del bilanciamento degli interessi in gioco – ulteriori ragioni (distinte rispetto a quelle considerate dall’autorità prefettizia e relative invece all’esercizio delle diverse funzioni comunali) idonee a giustificare il mantenimento del rapporto di licenza, si richiama il principio generale espresso, tra gli altri, nel precedente del Cons. Stato, VI, 18 novembre 2010, n. 8107, secondo cui dal combinato disposto dell’art. 100 r.d. n. 773 del 1931 e dell’art. 19 d.P.R. n. 616 del 1977 si desume che i comuni non hanno certamente una competenza propria ed autonoma in materia di ordine pubblico e, dunque, non possono compiere autonome valutazioni su tale interesse e si precisa trattarsi di “un contesto operativo nel quale si impone una leale collaborazione tra amministrazioni preposte alla cura di diversi interessi e si prevede la competenza formale del Comune a revocare le proprie autorizzazioni, peraltro su proposta vincolante dell'Autorità di pubblica sicurezza” (così Cons. Stato, V, n. 5829/2019 cit.; cfr. nello stesso senso anche Cons. Stato, III, 22 dicembre 2014, n. 6324).


In definitiva, nel caso di specie, in presenza delle esigenze di tutela della pubblica sicurezza rappresentate dal Prefetto, il provvedimento di revoca comunale era sostanzialmente vincolato.


4.3. Il secondo motivo di appello va quindi respinto.


5. Col terzo motivo si denuncia la violazione di legge in relazione all’art. 100 TULPS e all’art. 19, comma 4, del d.P.R. n. 616 del 1977, perché la revoca non sarebbe stata preceduta dalla sospensione, non avendo la Prefettura di Roma avanzato alcuna richiesta di sospensione o di revoca successivamente al mese di marzo 2021. Secondo l’appellante, quindi, tenuto conto della successione temporale degli atti e degli avvenimenti, il (secondo) provvedimento di revoca sarebbe privo di un presupposto giuridico e non sarebbe stato possibile utilizzare, per la nuova determinazione di revoca, la richiesta e la sospensione che avevano condotto alla prima revoca, poi annullata, poiché l’annullamento avrebbe travolto l’intero iter amministrativo.


5.1. Il motivo è infondato.


L’ordinanza cautelare n. 3222/2021 adottata nel primo procedimento dal Tribunale amministrativo regionale è motivata con riferimento al vizio di difetto di istruttoria e di motivazione e ha accolto l’istanza cautelare della ricorrente, facendo “salva l’adozione di ulteriori provvedimenti da parte dell’amministrazione”.


Quando l’amministrazione comunale, in dichiarata esecuzione di tale ordinanza, ha adottato il provvedimento di revoca dell’11 giugno 2021, annullando il precedente, contrariamente a quanto sostiene l’appellante, non ha “travolto” tutto intero l’iter procedimentale che aveva portato all’adozione del provvedimento annullato. Si è limitata piuttosto a rinnovare il procedimento: ne ha ripreso il corso interrotto dall’adozione dell’atto viziato e ha posto in essere l’attività ritenuta carente dal tribunale, provvedendo, come si dirà, all’integrazione motivazionale del provvedimento conclusivo.


Si tratta di modus operandi conforme al principio di conservazione degli atti per il quale, in caso di annullamento (o, come nel caso di specie, di sospensione cautelare) dell’atto del procedimento ritenuto viziato, la procedura va rinnovata prendendo le mosse dall’ultimo atto non viziato dell’iter procedimentale.


In attuazione di quanto disposto dall’ordinanza cautelare e del principio appena richiamato, il provvedimento di revoca dell’11 giugno 2021 è da intendersi riferito alla richiesta avanzata dal Prefetto di Roma con la nota del 4 marzo 2021, a seguito della sospensione dell’attività ai sensi dell’art. 100 T.U.L.P.S. disposta dal Questore di Roma con provvedimento del 23 dicembre 2020.


5.2. Il terzo motivo di appello va quindi respinto.


6. Col quarto motivo si ripercorre la vicenda che ha portato all’adozione dei provvedimenti nei confronti della società -OMISSIS- s.r.l., al fine di contestare nel merito la determinazione di revoca dell’11 giugno 2021, per le seguenti ragioni:


- la nota numero 0213728 dell’11 giugno 2021 della Prefettura di Roma, sulla base della cui documentazione allegata è stata assunta la determinazione numero CE/970/2021 dell’11 giugno 2021 (oggetto della seconda impugnativa da parte della società), in realtà avrebbe contenuto i medesimi atti istruttori già contenuti nella nota del 4 marzo 2021, che il tribunale non aveva ritenuto sufficienti a sorreggere il provvedimento di revoca (come da ordinanza cautelare n. 3222 dell’8 giugno 2021, con la quale ne era stata sospesa l’esecutività);


- la motivazione della sentenza sarebbe contraddittoria, perché, una volta riuniti i ricorsi e riscontrato che la documentazione posta a fondamento del secondo provvedimento era identica alla precedente, la conclusione non avrebbe potuto essere che quella dell’ordinanza cautelare dell’8 giugno 2021, dal momento che i vizi di “genericità” in ordine al numero, alle generalità degli avventori ed al tipo di violazioni sarebbero rimasti invariati;


- proprio dagli atti inviati in data 11 giugno 2021 risulterebbe la prova che nessuna istruttoria ulteriore era stata fatta dopo i fatti del febbraio 2021, già oggetto della prima determinazione, sicché il novum, che avrebbe potuto giustificare la seconda revoca, sarebbe inesistente;


- tra gli atti inviati dalla Prefettura vi è un “appunto Questura di Roma squadra Mobile”, che non è menzionato nel provvedimento di revoca, ma che il tribunale ha utilizzato in malam partem: da tale appunto risulta la circostanza – ad avviso della società appellante, a portata decisiva – che l’attività della -OMISSIS- s.r.l. è esercitata in un locale attiguo ad una tabaccheria, frequentata dai medesimi avventori, che la Questura di Roma (con atto del 22 dicembre 2020) aveva escluso dal provvedimento di sospensione (limitato al bar, cioè all’attività di somministrazione di alimenti e bevande); l’Agenzia delle Dogane, Ufficio del Monopolio, a sua volta, pur destinataria di una nota inviata (in data 17 marzo 2021) dal Corpo di Polizia Locale di Roma Capitale, non aveva emesso alcun provvedimento riguardo all’attività di rivendita dei tabacchi, malgrado la contiguità e la frequentazione da parte dei medesimi avventori;


- il contenuto della nota della Questura di Roma e della nota della Legione dei Carabinieri del Lazio, trasmesse dalla Prefettura, non sarebbe idoneo a dimostrare la contestata frequentazione di pregiudicati e soprattutto a fare ritenere che i soggetti controllati fossero avventori del bar e non piuttosto della tabaccheria attigua.


Sulla base di dette contestazioni, l’appellante assume che mancherebbero, nel caso di specie, il pericolo per la sicurezza pubblica e la reiterazione del fatto (che ha portato all’aggravamento della misura della sospensione con quella della revoca) che costituiscono, anche in base alla circolare del Ministero dell’Interno n. 557/2019, i presupposti del provvedimento impugnato.


6.1. Col quinto motivo l’appellante lamenta il difetto di ragionevolezza e di proporzionalità del provvedimento di revoca, non avendo l’amministrazione, ed il giudice di primo grado, valutato l’idoneità dello stesso al raggiungimento dello scopo e l’applicabilità di mezzi alternativi, in violazione della Carta di Nizza e dell’art. 97 della Costituzione (come da precedente del Consiglio di Stato, n. 964/2015, richiamato in atti).


7. I motivi, da trattarsi congiuntamente per ragioni di connessione, sono infondati.


7.1. L’appellante sostiene che la revoca dell’11 giugno 2021 sarebbe viziata, per difetto di istruttoria e di motivazione, perché l’amministrazione avrebbe dovuto effettuare una nuova istruttoria e invece questa non vi sarebbe stata perché i documenti posti a fondamento del secondo provvedimento sarebbero i medesimi posti a fondamento del primo.


L’assunto è infondato, oltre che comunque irrilevante.


7.1.1. La nota della Prefettura di Roma dell’11 giugno 2021, successiva quindi alla sospensione del provvedimento del 12 marzo 2021, riguarda la trasmissione:


- della nota 1361/17-11-1996 del Comando provinciale dei Carabinieri di Roma datata 26 gennaio 2021, con l’elenco dei controlli effettuati dal personale della Compagnia Carabinieri di Montesacro nei giorni 28 dicembre, 30 e 31 dicembre 2020 e nei giorni 2, 8, 9,10 e 16 gennaio 2021;


- della nota della Questura di Roma di trasmissione dell’elenco dei controlli effettuati dal IV distretto di P.S. San Basilio nei giorni 11, 17, 18 e 19 febbraio 2021.


Roma Capitale rappresenta di avere acquisito tali risultanze soltanto dopo l’emanazione del primo provvedimento gravato. La circostanza trova riscontro negli atti processuali, mentre la contraria affermazione contenuta nell’atto di appello è rimasta indimostrata.


Infatti, sebbene le risultanze di entrambe dette note risultino menzionate nella richiesta prefettizia del 4 marzo 2021, non risulta che le note medesime siano state trasmesse al Comune di Roma con tale richiesta: in particolare, tra gli atti prodotti dalla stessa ricorrente nel giudizio iscritto dinanzi al T.a.r. col n. 5425/2021, mancano i prospetti dei controlli effettuati dal personale della Compagnia Carabinieri di Montesacro e di quelli effettuati dal personale del IV distretto di Polizia di Stato San Basilio. Dal fascicolo telematico non risulta che tali prospetti fossero stati messi a disposizione del tribunale prima dell’ordinanza cautelare n. 3222 dell’8 giugno 2021, la quale infatti individuò quale vizio dell’atto impugnato la mancanza di indicazioni “in ordine al numero, alle generalità, al tipo di pregiudizi gravanti sui soggetti trovati all’interno dei locali in occasione dei controlli sopra menzionati”.


Le risultanze di detti prospetti non risultano infatti riportate nel dettaglio né richiamate nel provvedimento di revoca del 12 marzo 2021, che richiama esclusivamente la nota prefettizia del 4 marzo 2021, nonché le altre note comunali del 5, 8 e 9 marzo 2021.


Non trova pertanto riscontro in atti l’assunto della parte ricorrente che il dettaglio dei controlli fosse noto a Roma Capitale ed anche al giudice di primo grado quando venne ritenuto, in sede cautelare, il difetto di istruttoria e di motivazione.


7.1.2. Peraltro, l’assunto è irrilevante, ai fini della decisione.


Invero, col provvedimento dell’11 giugno 2021 l’amministrazione capitolina ha sanato il precedente provvedimento del 12 marzo 2021 attraverso un’integrazione motivazionale, che ha dato conto della pregressa istruttoria prefettizia.


Il tribunale aveva ricavato il “probabile” difetto di istruttoria dall’insufficienza della motivazione dell’atto impugnato. Si è però accertato nel corso del secondo giudizio (iscritto col n. 8457/2021) che non si trattò affatto di un difetto di istruttoria, ma tutt’al più di un difetto di motivazione del primo provvedimento di revoca, sanato mediante l’integrazione della motivazione contenuta nel secondo.


Giova aggiungere che, essendo la tutela cautelare connotata da temporaneità e strumentalità, il giudizio di incompletezza dell’istruttoria in sede cautelare, ben avrebbe potuto essere rivisto nella sede di merito, anche se la documentazione fosse stata completa sin dall’instaurazione del primo giudizio.


In definitiva, contrariamente a quanto presuppone la parte appellante, per sanare il vizio riscontrato come probabile in sede cautelare non era necessario attivare nuovi controlli di pubblica sicurezza, essendo sufficiente dare conto di quelli già svolti nella motivazione del relativo provvedimento (come d’altronde confermato, nella stessa sede cautelare, con l’ordinanza emessa nel giudizio n. 8457/2021, in data 6 ottobre 2021, n. 5272, che dà atto della sopravvenuta completezza della motivazione).


7.2. Quanto al merito, va ribadito che, nel caso di provvedimento adottato ai sensi degli artt. 19 del d.P.R. n. 616 del 1977 e 100 T.U.L.P.S. “il giudice amministrativo può svolgere solamente un sindacato “esterno” di legittimità – e non di merito – sul contenuto di un provvedimento amministrativo ampiamente discrezionale quale quello in esame, nel quale l’amministrazione è chiamata ad operare un bilanciamento tra esigenze contrapposte di rilevante interesse pubblicistico; tale sindacato va dunque circoscritto alle ipotesi di palese abnormità e/o contraddittorietà delle conclusioni raggiunte rispetto alle premesse ivi menzionate, ovvero all’evidente carenza di motivazione del provvedimento adottato.”.


Nel caso di specie, la nota prefettizia del 4 marzo 2021, gli atti ad essa allegati e gli atti trasmessi con la nota prefettizia dell’11 giugno 2021 hanno dato conto dell’esito di numerosi controlli di polizia espletati in giorni diversi presso il bar gestito dalla società ricorrente, dai quali è emerso che questo era frequentato da soggetti, “individuati personalmente con le generalità e la data e l’ora di controllo, e, per ciascuno di essi, l’annotazione di fatti di reato o costituenti illecito amministrativo (questi ultimi per lo più contemplati nel DPR n. 309/1990) ascritti” (come si legge nella sentenza appellata).


Alla luce di dette risultanze (anche a voler prescindere da quelle esposte nell’informativa della Questura, citate nella sentenza, ma non nel provvedimento impugnato) non può oggettivamente ritenersi – nei limiti e nei termini del sindacato proprio del giudice amministrativo – che nel caso di specie il Prefetto, nello svolgere le valutazioni eminentemente discrezionali di sua competenza quale autorità provinciale di pubblica sicurezza, abbia operato in palese difetto di istruttoria, ovvero abbia assunto le proprie conclusioni in evidente contraddizione rispetto alle premesse di fatto rilevate.


Invero, non è oggettivamente irragionevole ritenere che le riscontrate e ripetute presenze di soggetti pregiudicati presso l’esercizio gestito dalla società costituiscano motivo di turbamento dell'ordine pubblico e della sicurezza, senza che possa rilevare entrare nel merito dei singoli reati o dei pregiudizi amministrativi (su cui si sofferma l’appellante).


7.3. La misura è da ritenersi altresì proporzionata se si considera che la precedente sospensione dell’attività, pur disposta per motivi analoghi, non ha dato luogo alla cessazione o al ridimensionamento delle abituali frequentazioni, considerato che i controlli menzionati nella richiesta di revoca sono numerosi (otto da parte dei Carabinieri e 4 da parte della Polizia di Stato), tutti successivi alla misura della sospensione e tutti conclusi con l’individuazione del locale quale luogo di incontro di diversi soggetti (complessivamente “31 soggetti gravati da precedenti”) dediti ad attività illecite, se non proprio di esercizio di queste ultime.


Si legge inoltre nella richiesta prefettizia, sul punto richiamata nel provvedimento impugnato, che il bar gestito dalla società “nonostante il provvedimento di chiusura costituisce tuttora abituale ritrovo di soggetti pericolosi dediti al traffico illecito ed all’assunzione di sostanze stupefacenti, oltre che di bevande alcoliche” e che la “situazione di degrado, inciviltà ed emarginazione sociale” riscontrata in loco “desta particolare preoccupazione ed impone un immediato potenziamento dell’azione preventiva e di contrasto per il recupero della legalità e la tutela della sicurezza dei cittadini […]”.


7.4. Quanto, infine, alla contiguità con i locali di rivendita di tabacchi, ed alla mancata revoca della corrispondente autorizzazione, oltre a doversi ribadire l’ampia discrezionalità riservata alle competenti amministrazioni, sembra pertinente e condivisibile la considerazione della difesa comunale che, ai fini della tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, l’attività di raduno all’interno di un bar di soggetti pregiudicati, anche per il traffico illecito di sostanze stupefacenti, sia maggiormente connotata da profili di pericolosità sociale rispetto all’acquisto dei prodotti di una tabaccheria.


8. L’appello va quindi respinto.


8.1. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, a carico dell’appellante ed a favore di Roma Capitale.


Sussistono giusti motivi di compensazione con il Ministero dell’Interno e gli uffici territoriali rappresentati dall’Avvocatura generale dello Stato, in considerazione dell’attività difensiva d’appello, limitata alla produzione di documenti e degli atti del primo grado.


P.Q.M.


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.


Condanna l’appellante al pagamento delle spese processuali, che liquida, in favore di Roma Capitale, nell’importo complessivo di € 4.500,00, oltre accessori come per legge; compensa le spese processuali nei confronti delle altre parti appellate.


Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.


Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 marzo 2024 con l'intervento dei magistrati:


Diego Sabatino, Presidente


Valerio Perotti, Consigliere


Alberto Urso, Consigliere


Giuseppina Luciana Barreca, Consigliere, Estensore


Sara Raffaella Molinaro, Consigliere


 

 

L'ESTENSORE IL PRESIDENTE

Giuseppina Luciana Barreca Diego Sabatino

 

 

 

 

 

IL SEGRETARIO

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