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sabato 8 giugno 2024

Consiglio di Stato 2024-"l'omessa denuncia del trasferimento delle armi, di per sé, evidenzia un comportamento superficiale indicativo di scarsa affidabilità nella custodia delle stesse, come tale sufficiente a legittimare l'imposizione del divieto ex art. 39 del TULPS”

 




Pubblicato il 31/05/2024

N. 04914/2024REG.PROV.COLL.


N. 09394/2023 REG.RIC.




REPUBBLICA ITALIANA


IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


Il Consiglio di Stato


in sede giurisdizionale (Sezione Terza)


ha pronunciato la presente


SENTENZA


sul ricorso numero di registro generale 9394 del 2023, proposto da

-OMISSIS-, rappresentata e difesa dagli avvocati Francesco Maria Fucci, Flavia De Bartolomeo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro


Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

Ministero della Difesa, non costituito in giudizio;

per la riforma


della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata (Sezione Prima) n. -OMISSIS- resa tra le parti;



Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati;


Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;


Visti tutti gli atti della causa;


Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 marzo 2024 il Cons. Raffaello Scarpato e uditi per le parti gli avvocati;


Viste le conclusioni delle parti come da verbale;


Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO e DIRITTO


1. -OMISSIS-, già titolare di porto d’armi n. -OMISSIS- rilasciato dalla Questura di Potenza e di una distinta licenza permanente per collezione di armi antiche, artistiche e rare, rilasciata dalla Questura di Potenza nell’anno 2001, è stata attinta da un decreto penale di condanna, in ragione della detenzione abusiva di 95 munizioni e dell’omessa denuncia del trasferimento di una pistola Beretta, legalmente detenuta in forza del suddetto porto d’armi, presso un diverso indirizzo di residenza.


2. Interposta opposizione avverso il suddetto decreto penale di condanna, il conseguente procedimento penale si è concluso con l’estinzione del reato contestato per avvenuta oblazione.


3. A seguito di tali accadimenti, la ricorrente è stata attinta, in via amministrativa, dal provvedimento di divieto di detenzione di armi, munizioni o materiali esplodenti, emesso dalla Prefettura di Potenza in data 1.2.2023 ai sensi degli artt. 11, 39 e 43 del R.D. n. 773/1931 (T.U.L.P.S.), non esplicitamente limitato alla pistola Beretta ed alle cartucce già oggetto della vicenda penale e, quindi, esteso a tutte le armi detenute, ivi comprese quelle facenti parte della collezione storica, con obbligo di cessione, ovvero di disattivazione, pena la successiva confisca e distruzione ai sensi dell’art. 6 comma 5 della L. n. 152/1975.


4. La ricorrente ha impugnato il divieto, in quanto illegittimo e carente dei presupposti, sia nella parte in cui è stato applicato alle armi comuni (pistola Beretta e munizioni), sia nella parte in cui l’Amministrazione ne ha esteso lo spettro applicativo anche alle armi storiche, facenti parte della Collezione autorizzata con il decreto questorile sopracitato.


5. Quanto al primo profilo, la ricorrente ha dedotto che il trasferimento della pistola Beretta dalla vecchia alla nuova residenza, risalente all’anno 2000, non era stato comunicato all’Amministrazione in buona fede, senza intenti fraudolenti; in relazione alla mancata denuncia delle cartucce, acquistate nel 1991, la ricorrente ha giustificato il proprio comportamento sotto il profilo dell’errore scusabile, avendo ritenuto che al di sotto delle 200 munizione non vi fossero obblighi di denuncia.


6. Quanto al secondo profilo, la ricorrente, premesso che il riferimento a “qualsiasi arma o munizione” contenuto nel provvedimento fosse idoneo ad estendere il divieto anche alla Collezione di armi storiche, ha eccepito che la licenza relativa a queste ultime non era mai stata formalmente ritirata dal Questore, non risultando il Prefetto competente a disporne il ritiro e non potendo in nessun caso le armi storiche essere passibili di distruzione, in caso di mancata cessione volontaria o disattivazione da parte del titolare, ai sensi dell’art. 32 commi 9 e 10 della L. n. 110/1975.


7. Il Tribunale amministrativo regionale della Basilicata, con la sentenza in epigrafe, ha respinto il ricorso, ritenendo il divieto giustificato dalla condizione di inaffidabilità della ricorrente, siccome emergente dalla vicenda penale, e correttamente esteso anche alle armi facenti parte della Collezione storica, dovendosi ogni ulteriore valutazione relativa all’eventuale distruzione delle stesse ritenere riservata all’Autorità competente per la fase esecutiva.


8. Con atto d’appello ritualmente notificato e depositato, la ricorrente ha impugnato la sentenza, deducendo, quanto al primo profilo, che erroneamente la Prefettura ed il T.a.r. avevano ritenuto la risalente ed isolata condotta penalmente rilevante indice di inaffidabilità, violando i limiti della ragionevolezza e della proporzionalità.


Quanto al secondo profilo, l’appellante ha censurato il provvedimento impugnato e la decisione del primo giudice riproponendo i motivi già posti a fondamento del ricorso di primo grado, deducendo che la Collezione relativa alle armi storiche ha carattere permanente, potendo essere revocata solo mediante un provvedimento espresso, di competenza del solo Questore e non del Prefetto.


9. Il Ministero dell’interno si è costituito in giudizio, depositando la pertinente documentazione.


10. Con ordinanza n. 2023/5166 la Sezione ha sospeso l’efficacia esecutiva della sentenza, nelle more della definizione del giudizio nel merito.


11. All’udienza pubblica del 21 marzo 2024 l’appello è stato introitato per la decisione.


12. L’appello è parzialmente fondato, in relazione alla illegittima estensione del divieto anche alla Collezione di armi storiche, artistiche e rare, mentre la sentenza impugnata merita conferma limitatamente alle statuizioni relative alle armi comuni (pistola Beretta e munizioni), legittimamente colpite dal divieto di detenzione (capo n. 5.1 della decisione impugnata).


13. Deve richiamarsi, preliminarmente, il granitico orientamento della giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, in relazione alla discrezionalità amministrativa che connota i provvedimenti relativi alla detenzione delle armi ed al conseguente sindacato del giudice amministrativo.


La oramai univoca giurisprudenza ha infatti accertato l’insussistenza di una posizione di diritto soggettivo assoluto in relazione all’ottenimento ed alla conservazione del permesso di detenzione e porto di armi in deroga al generale divieto di cui all’art. 699 c.p. e di cui all’art. 4, comma 1, l. 18 aprile 1970, n. 110 (Corte cost. n. 440 del 1993; Cons. Stato, sez. III, n. 2974 del 2018; n. 3502 del 2018). Pertanto, ai sensi degli artt. 11, 39 e 43 del TULPS, l’Amministrazione può legittimamente fondare il giudizio di “non affidabilità” del titolare del porto d’armi valorizzando il verificarsi di situazioni genericamente non ascrivibili alla “buona condotta” dell’interessato, non rendendosi necessario al riguardo né un giudizio di pericolosità sociale del soggetto né un comprovato abuso nell’utilizzo delle armi (Cons. Stato, sez. III, n. 2987 del 2014; n. 4121 del 2014; n. 4518 del 2016; sez. VI, n. 107 del 2017; sez. III, n. 2404 del 2017; n. 4955 del 2018; n. 6812 del 2018) in quanto, ai fini della revoca della licenza, l’Autorità di pubblica sicurezza può apprezzare discrezionalmente, quali indici rivelatori della possibilità d’abuso delle armi, fatti o episodi anche privi di rilievo penale, indipendentemente dalla riconducibilità degli stessi alla responsabilità dell’interessato, purché l’apprezzamento non sia irrazionale e sia motivato in modo congruo (Cons. Stato, sez. VI, n. 107 del 2017; sez. III, n. 2974 del 2018; n. 3502 del 2018), trattandosi di un provvedimento, privo di intento sanzionatorio o punitivo, avente natura cautelare al fine di prevenire possibili abusi nell’uso delle armi a tutela delle esigenze di incolumità di tutti i consociati (Cons. Stato, sez. III, n. 2974 del 2018).


Proprio la natura cautelare del provvedimento fa sì che lo stesso si fondi su considerazioni probabilistiche, basate su circostanze di fatto assistite da sufficiente fumus al momento della loro adozione (Cons. Stato, sez. III, n. 3979 del 2013; n. 5398 del 2014; n. 2404 del 2017; n. 6812 del 2018).


In materia di autorizzazioni di polizia inerenti il porto e l'uso delle armi, infatti, l'autorità di pubblica sicurezza dispone, ai sensi degli artt. 10,11, 42 e 43 del T.U.L.P.S., di una lata discrezionalità nell'apprezzare se la persona richiedente sia meritevole del titolo, per le evidenti ricadute che tali atti abilitativi possono avere ai fini di una efficace protezione di due beni giuridici di primario interesse pubblico, quali l'ordine e la sicurezza pubblica (ex plurimis, Con. St., Sez. VI, 06.04.2010, n. 1925).


La legislazione affida all'autorità di pubblica sicurezza il compito di valutare con il massimo rigore le eccezioni al divieto di circolare armati e, dunque, qualsiasi circostanza che consigli l'adozione del provvedimento di rigetto della domanda di porto d'armi, onde prevenire la commissione di reati e, in genere, di fatti lesivi della pubblica sicurezza.


Infatti, ai sensi dell'art. 39, comma 1, T.U.L.P.S., "Il prefetto ha facoltà di vietare la detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti, denunciate ai termini dell'articolo precedente, alle persone ritenute capaci di abusarne".


Pertanto, la revoca o il diniego dell'autorizzazione possono essere adottate sulla base di un giudizio ampiamente discrezionale circa la prevedibilità dell'abuso dell'autorizzazione stessa, potendo assumere rilevanza anche fatti isolati, ma significativi (cfr. Cons. Stato, III, n. 5398/2014), e potendo l'Amministrazione valorizzare nella loro oggettività sia fatti di reato diversi, sia vicende e situazioni personali del soggetto che non assumano rilevanza penale, concretamente avvenuti, anche non attinenti alla materia delle armi, da cui si possa desumere la non completa "affidabilità" all'uso delle stesse (cfr. Cons. Stato, III, n. 3979/2013; n. 4121/2014).


Conseguentemente, il divieto non richiede una particolare motivazione e il successivo vaglio del giudice amministrativo deve limitarsi alla sussistenza dei presupposti idonei a far ritenere che le valutazioni effettuate non siano irrazionali o arbitrarie (Consiglio di Stato sez. III, 18 aprile 2016, n.1536).


Alla luce di tali premesse, deve ritenersi che nel caso di specie il divieto risulti sufficientemente motivato rispetto alla mancata denuncia di acquisto di n. 95 cartucce ed alla mancata comunicazione di trasferimento della pistola presso la nuova residenza, che integrano circostanze indicative di una scarsa affidabilità e diligenza nella tenuta delle armi, violando il generale dovere informativo - che incombe su tutti coloro che posseggono armi - nei confronti degli organi di pubblica sicurezza.


Proprio a tale riguardo, la giurisprudenza ha avuto modo di affermare la sufficienza del mutamento del luogo di custodia delle armi, omettendone la comunicazione all'Autorità, a sostenere sotto il profilo motivazionale il divieto di detenzione.


È, infatti, pacifico che "l'omessa denuncia del trasferimento delle armi, di per sé, evidenzia un comportamento superficiale indicativo di scarsa affidabilità nella custodia delle stesse, come tale sufficiente a legittimare l'imposizione del divieto ex art. 39 del TULPS” (Cons. Stato, sentenze nn. 4621/2018, 4334/2017).


Non risultano pertanto fondate le censure relative al carattere non attuale ed isolato delle condotte, ovvero all’erroneo convincimento della titolare circa l’insussistenza dell’obbligo di comunicare all’autorità di pubblica sicurezza lo spostamento dell’arma, ovvero l’acquisto delle munizioni; così come l’esito del procedimento penale, culminato con l’estinzione del reato per avvenuta oblazione, non può privare di rilevanza il comportamento non diligente posto a fondamento del diniego impugnato.


14. Differenti considerazioni devono invece essere riferite all’estensione del divieto anche alla Collezione delle armi storiche.


14.1 Il divieto sub iudice, pur non recando alcuno specifico riferimento alla suddetta Collezione, si riferisce “a qualsiasi specie di armi, munizioni o materiali esplodenti”, con lata estensione applicativa anche alle armi storiche, detenute dalla ricorrente in forza di un differente titolo, costituito dall’autorizzazione questorile datata 9.11.2001.


Tale estensione non risulta legittima, per le seguenti ragioni.


Le armi storiche sono sottoposte ad un regime giuridico parzialmente diverso rispetto a quello delle armi comuni e seguono un differente canale di autorizzazione alla detenzione e di revoca, come emerge:


- dall’art. 47 del R.D. 6 maggio 1940, n. 635 e dall’art. 11 del D.M. 14.4.1982, che prevedono il carattere permanente della licenza;


- dall’art. 32 della legge n. 110 del 1975, che vieta la distruzione delle armi antiche e artistiche comunque versate all'autorità di pubblica sicurezza o alle direzioni di artiglieria senza il preventivo consenso di un esperto nominato dal sovrintendente per le gallerie competente per territorio, prevedendo che le armi riconosciute di interesse storico e artistico debbano essere destinate alle raccolte pubbliche indicate dalla sovrintendenza;


- dall’art. 8 del D.M. 14.4.1982, che disciplina un procedimento ad hoc per l’ottenimento della licenza di “Collezione”;


- dall’art. 12 del medesimo D.M. 14.4.1982 “Collezioni – Revoca della licenza”, il quale, nel richiamare l’art. 11 ultimo comma del R.D. n. 773/1931 (“Le autorizzazioni devono essere revocate quando nella persona autorizzata vengono a mancare, in tutto o in parte, le condizioni alle quali sono subordinate, e possono essere revocate quando sopraggiungono o vengono a risultare circostanze che avrebbero imposto o consentito il diniego dell' autorizzazione”), affida la revoca alla competenza del Questore, che ha l’obbligo di riferire al Sovraintendente per i beni artistici e storici ed al Prefetto, il quale deve invitare l’interessato a trasferire le armi a persone od enti legittimati, ovvero a depositarle presso un ente di diritto pubblico abilitato, indicato dalla competente sovraintendenza.


Tale particolareggiato quadro normativo consente di affermare che, in relazione alle Collezioni di armi storiche, non si applica l’obbligo di cessione a terzi o disattivazione, ovvero in mancanza la confisca con successivo versamento alla competente Direzione di artiglieria per la distruzione. Tali conseguenze, infatti, determinerebbero la compromissione dell’interesse alla conservazione del bene, in ragione del suo intrinseco valore storico artistico, oggetto di specifica tutela da parte del legislatore mediante la soprarichiamata specifica disciplina legislativa e regolamentare.


Del resto, com’è stato correttamente evidenziato dall’appellante, il divieto di detenzione impugnato è stato adottato in dichiarata applicazione dell’art. 39 R.D. n. 773/1931, il quale attribuisce al Prefetto il potere di vietare la detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti, “denunciate ai termini dell'articolo precedente”, ovverossia dell’art. art. 38, il quale esenta dall’obbligo di denuncia “i possessori di raccolte autorizzate di armi artistiche, rare o antiche” (cfr. comma 2).


Ciò conferma che, indubbiamente, il divieto di detenzione impugnato può concernere esclusivamente le armi e munizioni per le quali sussiste l’obbligo di denuncia di detenzione ex art. 38 cit. (nella specie la Beretta e le sue cartucce) ma non anche la collezione di armi artistiche, rare o antiche di proprietà dell’appellante.


Per tali ragioni, non può essere condivisa la decisione impugnata nella parte in cui, non considerando il sopradelineato quadro normativo, ha accomunato le armi artistiche, rare o antiche costituenti Collezione alle armi comuni da sparo, estendendo ad esse il divieto di detenzione e relegando ad una fase meramente esecutiva il compimento delle verifiche prescritte dall’art. 32, co. 9 e 10, della L. n. 110/1975.


14.2 A differenti conclusioni non potrebbe peraltro giungersi nemmeno attribuendo al provvedimento impugnato valore e sostanza di provvedimento di revoca implicita della licenza di raccolta e detenzione emessa dal Questore della Provincia di Potenza in data 9.11.2001.


Ed infatti, nel tratteggiare i connotati ed i limiti di ammissibilità del cd. “provvedimento implicito”, la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha chiarito che: "a) deve esistere, a monte, una manifestazione espressa di volontà della pubblica amministrazione (sub specie comportamento concludente o altro atto amministrativo); b) tale atto o comportamento deve provenire da un organo amministrativo competente e nell'esercizio delle sue attribuzioni; c) l'atto implicito deve, a sua volta, rientrare nella sfera di competenza dell'autorità amministrativa che ha emanato l'atto presupposto; d) per l'atto implicito la legge non deve richiedere una forma determinata a pena di nullità, dovendosi, comunque, rispettare le forme procedimentali previste per l'emanazione dell'atto; e) deve sussistere un collegamento esclusivo e bilaterale tra l'atto implicito e l'atto presupponente, il primo dovendo costituire l'unica conseguenza possibile dell'atto a monte espresso f) che in ogni caso, emergano e factis (avuto riguardo al concreto andamento dell'iter procedimentale e alle effettiva acquisizioni istruttorie) gli elementi necessari alla ricostruzione del potere esercitato" (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 1034/2018 ; Cons. Stato, sez. V, n. 5822/2019).


Nel caso oggetto del presente giudizio, difettano i presupposti previsti dalla lettera “c”, stante la competenza del Questore, normativamente prevista, per la revoca della licenza, e dalla lettera “e”, dovendosi escludere, per le già indicate distinzioni di disciplina e di ratio giustificatrice, che la revoca della licenza della Collezione possa considerarsi l’unica conseguenza possibile dell’atto a monte, concernente le armi comuni detenute dall’appellante e soggiacenti alla disciplina propria delle stesse, non automaticamente estendibile anche alle Collezioni.


15. Per tali ragioni, in parziale riforma della decisione impugnata, l’originario ricorso deve essere accolto ed il provvedimento impugnato deve essere riformato, limitatamente alla parte in cui il divieto è stato esteso anche alla Collezione delle armi antiche, artistiche e rare, autorizzata con la licenza rilasciata dal Questore della Provincia di Potenza in data 9.11.2001.


Il divieto rimane pertanto valido ed efficace in relazione alle rimanenti armi comuni e munizioni.


16. Le spese del doppio grado di giudizio possono essere compensate, in ragione delle motivazioni poste a fondamento della decisione e della peculiarità delle questioni trattate.


P.Q.M.


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie parzialmente, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione.


Spese compensate.


Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.


Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l’appellante;


Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 marzo 2024 con l'intervento dei magistrati:


Giovanni Pescatore, Presidente FF


Ezio Fedullo, Consigliere


Giovanni Tulumello, Consigliere


Antonio Massimo Marra, Consigliere


Raffaello Scarpato, Consigliere, Estensore


 

 

L'ESTENSORE IL PRESIDENTE

Raffaello Scarpato Giovanni Pescatore

 

 

 

 

 

IL SEGRETARIO




In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.


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