COMMERCIO
DI VENDITA AL PUBBLICO
Cons. Stato Sez. V, Sent., 12-09-2011, n. 5087
Fatto - Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
La sig.ra S. B. e la società (Lpd) S.a.s. di P. A., titolari di autorizzazione del Comune di Roma ad esercitare l'attività di commercio in forma itinerante su aree pubbliche, avevano occupato un'area rimasta libera nel mercato rionale giornaliero di via Montebello (I Municipio), attraverso il posizionamento di 4 brande, per una superficie complessiva di circa mq. 7,00.
Con D.D. n. 821 del 2 marzo 2007 il Comune di Roma aveva quindi ordinato loro, dietro rapporto redatto dalla Polizia Municipale a seguito di intervento del 2 marzo 2006, di cessare l'attività commerciale svolta in sede fissa nel mercato di via Montebello e di ripristinare lo stato dei luoghi.
Successivamente il Dirigente dell'VIII Municipio, con nota del 9 marzo 2007, specificava ai predetti che ai titolari di autorizzazione al commercio nella forma itinerante era inibito l'utilizzo del titolo nei Municipi I, II, III e XVII, secondo quanto previsto dalle delibere C.C. n. 35 e 36 del 6 febbraio 2006.
Avverso tali atti, tra cui, in particolare, l'art. 20, comma 2, della delibera C.C. n. 35 del 6 febbraio 2006 e l'art. 17, comma 1, della delibera C.C. n. 36 del 6 febbraio 2006, recanti la riferita inibitoria, la (Lpd) e la (Lpd) S.a.s. proponevano impugnativa dinanzi al T.A.R. per il Lazio, cui resisteva il Comune di Roma.
Le disposizioni avversate, aveva tra l'altro osservato parte ricorrente, erano ripetitive di precedenti provvedimenti comunali, di contenuto analogo, già annullati dallo stesso TAR con le sentenze definitive n. 79/2000 e n. 6014/2005, in ragione dell'ampiezza delle aree interessate dal divieto e della genericità della sua motivazione.
All'esito del giudizio il Tribunale, con la sentenza n. 5312/2010, mentre respingeva le censure mosse dalle ricorrenti avverso la D.D. n. 821 del 2 marzo 2007, che aveva ordinato loro di cessare l'attività commerciale svolta in sede fissa nel mercato di via Montebello e di ripristinare lo stato dei luoghi, ne accoglieva invece le doglianze che avevano investito le delibere consiliari nn. 35 e 36 del 2006, e relativa nota dirigenziale di comunicazione del 9 marzo 2007, nella parte in cui esse prescrivevano che i titolari delle autorizzazioni in forma itinerante non potessero svolgere attività commerciale nei Municipi I, II, III e XVII né nel settore 10 di cui alla delibera n. 104/1994.
La motivazione a sostegno del decisum sfavorevole al Comune di Roma era la seguente:
"In particolare, le ricorrenti deducono che le delibere nn. 35 e 36 del 2006, nella parte in cui pongono il divieto per i titolari di autorizzazioni in forma itinerante a svolgere attività commerciale nei Municipi I, II, III e XVII e nel settore 10 di cui alla delibera G.C. n. 104/1994, reiterano disposizioni analoghe (contenute, in particolare, nell'ordinanza n. 449/1995) che sono state annullate dal TAR Lazio con sentenze n. 79/2000 e n. 6014/2005.
Il Collegio, sul punto, ritiene ancora attuali, anche con riferimento all'art. 20, comma 2, della delibera n. 35/2006 e all'art. 17, comma 1, della delibera n. 36/2006, le considerazioni svolte, in altra fattispecie, nelle citate sentenze del Tribunale poiché, anche in questo caso, le previsioni citate, oltre ad essere generiche circa la sussistenza dei presupposti di cui all'art. 28, comma 16, del D.lgs n. 114/98, riguardano un'area estesa di territorio comunale senza una concreta individuazione dei siti di specifica rilevanza di cui alla normativa da ultimo citata, risolvendosi (tali disposizioni) in un divieto generalizzato che limita, senza una specifica motivazione, la libera esplicazione dell'attività privata.
In sintesi, il ricorso, in questa parte, va accolto e vanno annullati la nota n. 16688 del 9 marzo 2007, l'art. 20, comma 2, della delibera n. 35/2006 e l'art. 17, comma 1, della delibera n. 36/2006, fatti salvi tuttavia gli ulteriori provvedimenti dell'amministrazione."
Il Comune di Roma avverso la detta sentenza proponeva il presente appello, con il quale la impugnava nella parte in cui aveva accolto il ricorso avversario.
L'appellante, dopo avere richiamato le previsioni dei commi 15 e 16 dell'art. 28 del d.lgs. n. 114/1998, deduceva che tale normativa, nello stabilire che vengano individuate le aree aventi valore archeologico, storico, artistico e ambientale, ai fini della cui salvaguardia l'esercizio del commercio in forma itinerante è vietato o sottoposto a condizioni particolari, e con il soggiungere che possono essere stabiliti divieti e limitazioni all'esercizio di tale forma di attività commerciale anche per motivi di viabilità, di carattere igienicosanitario o altre ragioni di pubblico interesse, non imponeva al Comune, all'atto in cui prescriveva i predetti divieti o limiti, l'onere di esprimere alcuna particolare indicazione. Le norme affidavano l'intera materia alla discrezionalità dell'Ente, a partire dalla stessa delimitazione, a monte, delle aree da destinare all'esercizio
dell'attività commerciale itinerante.
Nell'atto di appello si osservava poi: che la delibera n. 35 cit. non sarebbe stata generica nella sua formulazione, in quanto aveva pur sempre espresso i criteri che avevano ispirato la sua prescrizione; che i Municipi I, II, III e XVII, interessati dal divieto, costituivano il nucleo della Capitale, ed esprimevano peculiari e pregnanti esigenze di tutela storicoartistica, di difesa delle numerosissime sedi istituzionali presenti e di viabilità, con un altissimo numero di siti da salvaguardare; che, infine, il richiamo del primo Giudice alle precedenti sentenze di annullamento nn. 79/2000 e 6014/2005 dello stesso T.A.R. sarebbe stato forzato e fuorviante, in quanto le delibere oggetto del presente contenzioso, diversamente dall'ordinanza n. 449/1995 a suo tempo annullata, trovavano giustificazione in una nuova normativa di rango primario (d.lgs. n. 114/1998; L.R. n. 33 del 1999).
Si costituiva in giudizio per resistere all'appello l'originaria ricorrente, che ne deduceva l'infondatezza.
Il Comune, dal canto suo, ribadiva le proprie ragioni con una successiva memoria, con la quale insisteva per l'accoglimento del gravame.
Alla pubblica udienza del 21 giugno 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.
L'appello è fondato nei limiti che saranno indicati nei paragr. 78.
1 Si controverte in questa sede intorno alla legittimità dell'annullamento da parte del T.A.R. per il Lazio delle delibere del Consiglio comunale di Roma nn. 35 e 36 del 2006, nella parte in cui esse (rispettivamente, agli artt. 20, comma 2, e 17, comma 1) prescrivevano che i titolari delle autorizzazioni all'esercizio del commercio in forma itinerante non potessero operare nei Municipi I, II, III e XVII, né nel settore 10 di cui alla delibera n. 104/1994. Le restanti statuizioni della sentenza in epigrafe, reiettive in parte qua del ricorso di primo grado degli attuali appellati, sono rimaste, invece, incontestate, e sono pertanto divenute definitive.
L'inibitoria dettata dalle delibere nn. 3536/2006 configura pacificamente una sostanziale riproposizione di analoghi provvedimenti comunali, a suo tempo annullati dal TAR del Lazio con le sentenze n. 79/2000 e n. 6014/2005, alle cui motivazioni si è sostanzialmente rifatta anche la pronuncia in epigrafe.
2 Le precedenti misure comunali si proiettavano nello spettro dell'art. 3, comma 3, della legge n. 112 del 28/3/1991, a mente del quale l'esercizio dell'attività di commercio su aree pubbliche in forma itinerante "può essere oggetto di limitazioni e divieti per motivi di polizia stradale o di carattere igienicosanitario o per altri motivi di pubblico interesse. In ogni comune debbono essere stabilite le zone in cui esso è vietato per i detti motivi."
Lo stesso articolo di legge prevedeva, peraltro, anche che ogni organo consiliare avrebbe dovuto stabilire "l'ampiezza complessiva delle aree destinate all'esercizio del commercio su aree pubbliche di cui all'art. 1, comma 2, lettera a) e b), nonché i criteri di assegnazione dei posteggi,..." ecc. (art. 3 cit., comma 4); infine, che "Con decreto del Ministro per i beni culturali e ambientali o nei regolamenti di polizia urbana sono individuate le aree aventi valore archeologico, storico, artistico e ambientale, in cui l'esercizio del commercio previsto dalla presente legge non è consentito o è consentito solo con particolari limitazioni " (art. cit., comma 13).
A tali previsioni hanno fatto poi seguito quelle dell'art. 28 del d.lgs. n. 114 del 1998, che nei suoi commi 15 e 16 dedica all'attività in questione le seguenti, e tutto sommato analoghe, disposizioni:
"15. Il comune, sulla (Lpd)e delle disposizioni emanate dalla regione, stabilisce l'ampiezza complessiva delle aree da destinare all'esercizio dell'attività, nonché le modalità di assegnazione dei posteggi,..."
"16. Nella deliberazione di cui al comma 15 vengono individuate altresì le aree aventi valore archeologico, storico, artistico e ambientale nelle quali l'esercizio del commercio di cui al presentearticolo è vietato o sottoposto a condizioni particolari ai fini della salvaguardia delle aree predette. Possono essere stabiliti divieti e limitazioni all'esercizio anche per motivi di viabilità, di carattere sanitario o per altri motivi di pubblico interesse" (cfr. altresì, in termini simili al penultimo periodo, la previsione dell'art. 52 del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al d.lgs. n. 22 gennaio 2004, n. 42).
3 L'avvento della nuova normativa, riflessasi rapidamente nella L.R. n. 33 del 1999 (cfr. i suoi artt. 33 e segg., e indi il documento programmatico assunto con la delibera regionale n. 139/2003), ha indotto l'Amministrazione capitolina ad intervenire nuovamente sulla materia.
La disciplina recata dall'art. 28 del d.lgs. n. 114/1998, pur non avendo concretato una mera, "pedissequa riproduzione" della precedente, se ne differenzia, peraltro, per aspetti che ai fini di causa risultano trascurabili.
Non si può, difatti, convenire con le tesi del Comune sull'accentuazione dei poteri discrezionali che sarebbero stati assegnati dal d.lgs. n. 114/1998 alle Amministrazioni comunali. L'appellante enfatizza come queste ultime siano state chiamate ad intervenire in materia, ancor prima che enunciando contingenti divieti o limitazioni, e a monte di ciò, già per la delimitazione complessiva delle aree da destinare all'esercizio dell'attività commerciale in forma itinerante. Ma una previsione analoga compariva già, come si è visto, nell'art. 3, comma 4, della legge n. 112/1991.
4 Le modeste innovazioni introdotte in tema di commercio ambulante dal d.lgs. n. 114/1998 non autorizzavano quindi l'Amministrazione comunale a tenere in non cale le indicazioni fornite dalla giurisprudenza sotto il vigore della disciplina precedente.
Il T.A.R. competente, al cospetto dell'art. 20, comma 2, della delibera n. 35/2006 e dell'art. 17, comma 1, della delibera n. 36/2006, ha ritenuto non senza ragione ancora attuali le proprie precedenti considerazioni, atteso che anche in questo caso le previsioni sub judice, "oltre ad essere generiche circa la sussistenza dei presupposti di cui all'art. 28, comma 16, del D.lgs n. 114/98, riguardano un'area estesa di territorio comunale senza una concreta individuazione dei siti di specifica rilevanza di cui alla normativa da ultimo citata, risolvendosi (tali disposizioni) in un divieto generalizzato che limita, senza una specifica motivazione, la libera esplicazione dell'attività privata."
E in precedenza lo stesso Tribunale aveva osservato, in linea di principio condivisibilmente, che l'esercizio del commercio in forma itinerante nelle zone del territorio comunale, "espressione dello svolgimento di attività pur sempre garantite dall'art. 41 della Costituzione, può ricevere limitazioni per motivi connessi alla presenza di determinati interessi pubblici che sono proprio quelli ormai specificati nelle disposizioni di cui al predetto art. 3" (n.d.r.: della legge n. 112/1991).
"Tali interessi di pubblicistica rilevanza ben possono tra loro anche concorrere nella rilevazione della necessità di vietare tale forma di attività commerciale, ma si esige tuttavia la loro precisa e specifica individuazione con riferimento alle particolari zone del territorio comunale in cui lo stesso divieto viene imposto" (sentenze. nn. 79/2000 e 6014/2005 del TAR del Lazio).
Pertanto, il Tribunale aveva concluso "che la ordinanza che intenda effettuare una estensione delle zone di divieto di commercio ambulante ad ulteriori zone comprese in perimetri del territorio comunale di notevoli dimensioni e vastità in quanto interessanti ben quattro circoscrizioni comunali, presupponga, per la sua adozione, la effettiva individuazione sia dei motivi di pubblico interesse che impongano la limitazione, che delle zone in cui si richiede per la tutela dello stesso interesse, la imposizione del divieto."
5 A fronte di una pronuncia fondata sul riferito quadro motivazionale, l'Amministrazione appellante assume che la nuova normativa non prescriveva al Comune, all'atto in cui avrebbe imposto i divieti o limiti consentiti, di fornire delle puntuali indicazioni individuatrici dei siti reputati di specifica rilevanza.
Nell'appello si invoca, poi, la particolare discrezionalità che l'art. 28 d.lgs. n. 114/1998 riconosce all'Amministrazione affidando ad essa l'intera materia in esame, a partire dalla delimitazione, a monte, delle aree in cui ammettere l'esercizio dell'attività commerciale itinerante, e fino alle limitazioni e ai divieti intesi a perseguire gli interessi pubblici rientranti nelle tipologie indicate dalla legge.
Si obietta, infine, che l'art. 20, comma 2, della delibera n. 35 cit. non recherebbe una formulazione generica, in quanto avrebbe comunque espresso i criteri di interesse pubblico che avevano ispirato la sua prescrizione (la memoria dell'appellante del 18/5/2011 contiene anche ulteriori doglianze, che però non sono suscettibili di esame, per il fatto di essere state dedotte del tutto irritualmente e tardivamente).
6 A tutto ciò è però immediato obiettare quanto segue.
Si è già visto come l'art. 28 d.lgs. cit. non abbia, in realtà, dilatato in modo sensibile l'ambito di discrezionalità già riconosciuto alle amministrazioni comunali in tema di commercio itinerante. Mette qui conto, però, soprattutto aggiungere che i poteri discrezionali non sono poteri rimessi al mero arbitrio dell'Ente che ne sia titolare, ma devono pur sempre essere esercitati nel rispetto dei canoni di completezza istruttoria, sussistenza dei presupposti e razionalità nella determinazione, che integrano, unitamente ad altri, la deontologia della discrezionalità amministrativa.
Vero è, inoltre, che la normativa vigente a livello letterale non esige, a rigore, che ad ogni specifica limitazione decisa sul fondamento del disposto dell'art. 28, comma 16, d.lgs. n. 114/1998, corrisponda una puntuale individuazione del singolo sito da proteggere. Ciò non toglie, però, che ogni singola misura comunale applicativa del predetto disposto, in tanto possa legittimarsi, in quanto risulti ancorata a concreti presupposti atti a denotare la reale sussistenza di quei valori di interesse pubblico la cui effettività sola giustifica la limitazione o il divieto di esercizio in sede locale della libertà economica in parola.
Diversamente, la norma della cui applicazione si discute avrebbe attribuito alle Amministrazioni, in materia, non già dei poteri discrezionali (quali invece sono, di tutta evidenza, quelli sottesi alle scelte in rilievo), bensì delle prerogative arbitrarie dall'esercizio non sindacabile.
Quanto, infine, al rilievo che l'art. 20, comma 2, della delibera n. 35 cit. non recherebbe una formulazione generica, ma avrebbe pur sempre espresso i criteri di interesse pubblico che avevano ispirato la sua prescrizione, al riguardo si impone la seguente considerazione.
L'inibitoria in contestazione a proprio fondamento si limita a richiamare, in blocco unitario e quasi integralmente, tutto il ventaglio dei diversi interessi pubblici che potrebbero individualmente giustificare, in astratto, misure consimili, riferendo inoltre siffatto richiamo giustificativo all'intera area costituita dalla sommatoria dei Municipi I, II, III e XVII, interessati dal divieto.
7 Mentre, quindi, già prende a profilarsi la conclusione che il nucleo essenziale delle argomentazioni svolte dal primo Giudice possa essere qui confermato, si impone a questo punto, però, una differenziazione tra i Municipi appena indicati, che l'Amministrazione ha inteso assoggettare indifferenziatamente tutti al divieto di cui si tratta.
Per i Municipi II, III e XVII, invero, l'impostazione seguita dalla sentenza oggetto di scrutinio può essere integralmente condivisa; per il Municipio I, invece, occorre un discorso a sé, e si impone una soluzione diversa.
La superficie di pertinenza del Municipio I, che coincide con il territorio racchiuso nelle Mura Aureliane ed è significativamente denominato "Centro Storico", concentra notoriamente in sé un unicum di numerosissime testimonianze di assoluto valore archeologico, storico ed artistico, oltre che un numero assai elevato di sedi istituzionali.
La formulazione la cui legittimità è sub judice, dunque, quando viene rapportata alla realtà del patrimonio di valori rinvenibile nella circoscrizione del I Municipio, perde i propri connotati di genericità, per la semplice ragione che in quell'unicum concorrono davvero tutti gli interessi pubblici indicati dalla deliberazione comunale, onde il loro cumulativo richiamo cessa di fungere da indice rivelatore di un'aprioristica e pedissequa riproduzione del precetto normativo, per presentarsi, nello specifico, come una diretta conseguenza dello stato dei luoghi, in quanto riflette fedelmente l'irripetibile ricchezza di valori espressa dall'area in riferimento, rispetto alla quale un'analitica individuazione dei siti da salvaguardare sarebbe, oltretutto, inesigibile e priva di apprezzabile senso pratico.
Rispetto alla -sola- area del Municipio I si rivela, quindi, meritevole di accoglimento il rilievo svolto alla pag. 7 dell'atto di appello, con il quale è stato dedotto, in sintesi, che la densità e numerosità di siti di interesse che vi si trovano (il che integra un fatto notorio) facciano sì, in pratica, che diventi eccezionalmente giustificato considerare l'intera area come di interesse -per dirla in breve- monumentale, e pertanto meritevole di tutela, senza che una simile scelta possa essere ritenuta affetta da alcun difetto di istruttoria o di motivazione.
Un vincolo contenuto entro il perimetro di tale Municipio si manifesta di estensione ristretta rispetto all'intera superficie cittadina.
La misura, inoltre, investe paritariamente tutti gli operatori, e non solo gli aspiranti nuovi entranti, e non presenta, di conseguenza, profili discriminatori.
Le norme di cui essa costituisce applicazione, d'altra parte, non potrebbero neppure essere fatte rientrare tra le limitazioni alle attività commerciali che sono state rimosse dall'art. 3 del d.l. n. 223 del 2006 (convertito con la legge n. 248 dello stesso anno).
E non è irrilevante ricordare, infine, che la Corte costituzionale, recentemente investita di dubbi di costituzionalità avverso una norma di legge regionale (L.R. Veneto 25 febbraio 2005, n. 7, art. 16) recante un divieto di commercio in forma itinerante nei centri storici dei comuni della Regione interessata aventi popolazione superiore ai 50 mila abitanti, ha riconosciuto come una previsione del genere, oltre ad essere -per quel che rileva- coerente con le norme del d.lgs. n. 114/1998, assicurasse un contemperamento ragionevole tra la libertà dell'esercizio del commercio nella forma indicata, da un lato, e "l'introduzione di limitate eccezioni, oggettivamente motivate dall'esigenza di non superare i limiti posti a tutela dei centro storici delle grandi città d'arte della Regione", dall'altro (C.Cost., sentenza 8 luglio 2010 n. 247).
Considerazioni come quelle appena dedicate al Municipio I non possono però essere estese, come invece tenta di sostenere la difesa comunale, alle rimanenti aree pure interessate dall'inibitoria oggetto di controversia. Quelle dei Municipi II, III e XVII sono, infatti, circoscrizioni carenti di omogeneità rispetto alla prima, siccome prive, come ogni altra, delle sue caratteristiche di assoluta eccezionalità. Sono, perciò, aree rispetto alle quali non ci sarebbe ragione di non applicare il disposto dell'art. 28 comma 16 con l'ordinario rigore istruttorio e motivazionale (i Municipi II, III e XVII corrispondono rispettivamente ai quartieri cittadini: FlaminioParioliPincianoSalarioTrieste; Castro Pretorio; BorgoPrati).
8 Altra statuizione dell'Amministrazione capitolina che merita conferma è, infine, quella racchiusa nel periodo conclusivo del comma 2 dell'art. 20 della delibera n. 35/2006, che impone un'inibitoria analoga, sempre a spese del commercio in forma itinerante, "per motivi di sicurezza, nelle Stazioni della Metro e delle Ferrovie fino ad una distanza di 200 mt. dalle stesse". La prescrizione, avverso la quale non risultano essere stati mossi specifici rilievi critici, può infatti reputarsi anch'essa espressione del potere conferito all'Amministrazione dall'art. 28, comma 16, d.lgs. cit.: tanto più per il fatto di essere motivata da una ragione di interesse pubblico inequivocabilmente precisa, e di riguardare circoscritte porzioni del territorio comunale, indicate in maniera puntuale.
9 In conclusione, l'appello del Comune di Roma è suscettibile di accoglimento solo nei limiti indicati negli ultimi due paragrafi, la sua misura inibitoria essendo risultata immune da vizi soltanto rispetto all'ambito del Municipio I, nonché ad una distanza inferiore ai 200 mt. dalle stazioni della metropolitana e delle ferrovie cittadine.
L'appello per i rimanenti aspetti viene respinto.
La reciprocità della soccombenza induce alla compensazione delle spese processuali tra le parti.P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello in epigrafe, lo accoglie nei limiti di cui in motivazione, e per l'effetto, in parziale riforma della decisione di primo grado, accoglie l'originario ricorso degli attuali appellati, e conseguentemente annulla i provvedimenti da loro impugnati, unicamente nella parte in cui il divieto impartito dal Comune di Roma eccede il territorio del Municipio I e la distanza minima di rispetto imposta rispetto alle Stazioni.
Spese del doppio grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
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